Prima di analizzare l'opinione di Edoardo Boncinelli, una doverosa premessa. Stimo molto il Boncinelli scienziato e divulgatore scientifico; di conseguenza, spero che i lettori, tanto quelli d'accordo con me tanto quelli in disaccordo, non leggano questo articolo come un attacco "ad personam". Criticare le opinioni che non si condividono è il fondamento della libertà di pensiero, rispettare l'interlocutore che si critica è la base della tolleranza; questi due requisiti, strettamente interconnessi, sono le due torri (passatemi la citazione tolkeniana, visto che siamo in tema) sulle quali deve poggiare una discussione civile. Se anche una delle due viene meno, crolla l'intero edificio e la discussione diventa o un circo di insulti oppure un monologo a due voci, in cui ciascuna parte in causa dice la propria senza minimamente ascoltare l'altro.
Venendo al punto dell'articolo, come già accaduto in passato quando criticò aspramente la filosofia, penso che Boncinelli abbia nuovamente espresso un'opinione superficiale. Quest'ultima mia espressione non è da leggersi come un insulto (andrebbe contro quanto detto fino ad ora); sostengo che Boncinelli abbia espresso un'opinione superficiale perché, da quanto scritto in Contro il fantasy, sembra che egli abbia dato soltanto un rapido sguardo sulla superficie del complesso e variegato genere fantasy.
Dalle sue parole, infatti, trapela un'idea fortemente stereotipata di tale genere letterario.
Scrive Boncinelli per descrivere il fantasy: "Il fantasy è un genere letterario strettamente connesso con il mondo soprannaturale. Non si tratta di un sottogenere della fantascienza, [...] perché nella fantascienza gli eventi rispettano sempre un filo di coerenza tecnico-scientifica, [...] mentre nel fantasy i protagonisti si trovano sempre in balia di forze imponderabili e imprevedibili come la magia e la stregoneria, in ostaggio di un non meglio precisato destino, spesso opera di forze superiori, e soltanto alcuni pochi eletti sono in grado di ribaltare le situazioni create da qualcuno".
Partiamo da questa prima, breve, definizione. Essa sembra dice tutto e allo stesso tempo non dice nulla; è talmente generica che potrebbe adattarsi a qualsiasi testo fantasy e proprio per questo non è adatta a nessuno di essi, poiché, se poi ci si inoltra nel dettaglio, ci si accorge di come soltanto poche delle premesse sottolineate da Boncinelli vengano seguite pedissequamente.
Per quanto riguarda la stretta connessione con il mondo soprannaturale, ciò è innegabile e su questo punto non ho nulla da ridire. Anche nei fantasy in cui la presenza di forze magiche è minoritaria, come nel Il Trono di spade, essa è comunque ricorrente; a variare è soltanto la sua "intensità". Senza la presenza di forze magiche verrebbe meno uno dei principali requisiti del fantasy. Tuttavia, mettere sullo stesso piano le diverse forme di "influssi magici" per fare un unico calderone, e bollarli tutte come magia e stregoneria non permette di comprendere la complessità non solo del fantasy, ma della finzione letteraria tout court, compresa quella fantascientifica.
Ogni testo di finzione letteraria è un universo parallelo governato dalle proprie leggi, che si evincono durante la lettura. Il buon narratore è tendenzialmente in grado di farle comprendere al lettore senza spiegarle esplicitamente ma, soprattutto, è in grado di mantenere una coerenza narrativa interna che, nel caso dei romanzi fantasy, non faccia apparire la magia come un semplice deus ex machina, in grado di cambiare continuamente le leggi di tale universo parallelo.
In tal modo, in questi universi paralleli la magia non è il semplice riflesso di una superstizione, o dei desideri di onnipotenza dell'uomo, ma una forza che, alla pari delle leggi fisiche, è presente nel mondo immaginato dall'autore e che stabilisce precisi nessi causali.
Secondariamente, i protagonisti sono in balia del destino almeno quanto noi uomini siamo in balia del caos. Così come noi cerchiamo di portare ordine in questo caos, allo stesso modo i "pochi eletti" citati da Boncinelli tentano di fare lo stesso nel loro universo; il fatto che, spesso, non tutti siano in grado nel romanzo fantasy di compiere tale operazione non è l'espressione di un elitarismo fine a se stesso, ma è una forma letteraria ricorrente e dalle origini antichissime, tipica già dei primi racconti fiabeschi, poiché espressione del processo di formazione del protagonista che lo porterà ad essere da una persona qualunque a un uomo cresciuto e compiuto, come sottolinea spesso Vladimir Propp nei suoi approfonditi scritti sul racconto fiabesco.
Tornando alle parole di Boncinelli, lo scienziato rincara "l'attacco" alla magia all'interno della letteratura, e sostiene:
"Il punto fondamentale è che le storie narrate non possano stare né in cielo né in terra, ma piuttosto nel dominio del magico e della magia, tipo Il signore degli anelli o la saga di Harry Potter. Da sempre sono esistete le favole, e le fiabe per i più piccoli, ma nelle storie fantasy tutto, assolutamente tutto, è magia e sortilegio, ovvero proprio il contrario della scienza, in un crescendo di inverosimiglianza".
Sinceramente, non comprendo come Boncinelli possa insinuare che nel fantasy tutto è magia e sortilegio, mentre nelle fiabe no, senza specificare in che cosa differiscano i due generi letterari. Trovo che ci sia molta più magia nelle fiabe per i più piccoli piuttosto che nei racconti fantasy per adulti. Come dicevo prima, il fantasy si contraddistingue proprio per creare universi con una propria coerenza interna, in cui la magia stessa ha una forma di giustificazione e in cui, sempre la magia, non può agire indiscriminatamente andando contro le "leggi tacite" istituite dal narratore (o, meglio, ciò è possibile, ma in quel caso ci si troverebbe di fronte a un brutto romanzo fantasy, esattamente come ci si potrebbe trovare di fronte a un brutto paper scientifico); al contrario, mentre nel fantasy la magia si trova all'interno dell'universo, nella fiaba l'universo si trova all'interno della magia. L'Universo fiabesco è la magia stessa e nelle fiabe tutto può succedere.
Tuttavia, trovo che l'opinione più superficiale sia espressa da Boncinelli sul motivo per il quale il fantasy attiri così tanti lettori:
"Evidentemente la cosa piace, e piace sempre di più. Probabilmente perché tutto ciò rappresenta il massimo dell'evasione, del disimpegno e magari del relax [...]. La curvatura dello spazio-tempo e la perdita di peso di chi si trova in orbita vanno capite, almeno in parte, mentre magie, sortilegi, trasformazioni e altre stregonerie fanno parte del bagaglio di conoscenze dei nostri antenati che dormono ancora i. noi".
Devo essere sincero, ci ho messo un po' a digerire questo passo. Da appassionato di tutte le materie, tanto quelle filosofiche, tanto quelle religiose, tanto quelle scientifiche, non riesco a digerire il pregiudizio, che spesso "infetta" ogni specialista, secondo il quale soltanto la sua materia sia quella complessa, che richiede una costante meditazione e attenzione, mentre tutto il resto si colloca a un grado inferiore. Purtroppo, devo constatare che quest'ultimo pregiudizio è particolarmente diffuso proprio all'interno di quel mondo scientifico che da un lato cerca di porsi come baluardo del pensiero razionale, contro ogni pregiudizio, ma che dall'altro perpetra un pregiudizio immotivato nei confronti della cultura umanistica, considerandola come una sorta di "cultura inferiore" che non richiede un eccessivo sforzo intellettuale, né per essere prodotta né per essere compresa.
Questo discorso è valido anche per la letteratura in generale, compresa quella fantasy. Non so Boncinelli quale materiale fantasy abbia fruito, ma, per fare un esempio, lo stesso Signore degli anelli da lui citato è tutto fuorché un testo di evasione e per leggerlo e comprenderlo a pieno ci vuole un'attenzione almeno pari a quella che si spende nella comprensione della teoria della relatività. Anzitutto perché Tolkien, prima ancora di essere un grande romanziere, fu un grande glottologo, medievalista e studioso di mitologia. Il signore degli anelli, come Lo Hobbit e il Silmarillion, oltre a tessere universi narrativi estremamente complessi, (talmente vasti da contenere anche lingue coniate dallo stesso Tolkien, come l'elfico) contengono infiniti rimandi alle saghe nordiche e una lunga serie di interpretazioni simboliche degli eventi narrati che necessitano anni di studio per essere colti nella loro complessità. L'utilità di questi studi? ci si potrebbe domandare. Come mostra bene Gian Battista Vico nel suo discorso Sul nuovo metodo di studio nei nostri tempi, e come ben sapevano gli umanisti italiani, la cultura scientifica non basta, da sola, per formare l'uomo. Le humanae litterae sono essenziali per fornire all'uomo gli strumenti di pensiero critici di base per analizzare se stesso e le proprie azioni, per riflettere su come agisce e su ciò che studia. Senza tali strumenti di pensiero, non si crea il terreno fertile non solo per un'umanità consapevole, ma nemmeno per la ricerca scientifica, perché il "dottrinarismo" è un male comune a tutti i saperi e anche uno scienziato, se formato esclusivamente sulla propria materia di studio, non avrà gli strumenti critici necessari per ragionare con la propria mente.
In tutto ciò, la lettura e lo studio di testi letterari, fantasy compresi, permettono di affrontare le dinamiche umane che per la propria natura sono difficilmente inquadrabili in un'indagine scientifica, come l'educazione e la formazione (tema ricorrente nei romanzi "iniziatici") o la contraddittorietà del comportamento e delle emozioni umani, anche mediante lo stimolo dinamiche fantastiche che Boncinelli bolla come mere superstizioni, ma che in realtà sono il prodotto di un'altra essenziale facoltà umana: l'immaginazione creativa, che può formarsi solo se adeguatamente stimolata, non solo da bambini ma in ogni età, e che a sua volta ha un ruolo essenziale nella scoperta scientifica, come mostra Feyerabend in Contro il metodo.
Per fare un altro esempio, inoltre, citando una delle serie fantasy più in voga, mai come dopo aver visto Il trono di spade mi sento quella sensazione di relax ed evasione descritta da Boncinelli. Da un lato, per la complessità della trama e degli intrecci narrativi, ricchi anch'essi di riferimenti alla storia medievale e, soprattutto, di politica, in grado di mostrare le molteplici forme dell'esercizio di potere; dall'altro, per il grande coinvolgimento emotivo che questi stessi intrecci sono in grado di suscitare allo spettatore e, soprattutto, per la serie di domande e dilemmi morali che sono in grado di sollevare. Essendo i protagonisti tutto fuorché stereotipati o nettamente divisi tra buoni e cattivi, ci si trova spesso a dover riflettere sulle azioni da loro compiute, sui sentimenti contrastanti che si prova nei loro confronti e, di conseguenza, sul giudizio morale in continuo mutamente che esprimiamo verso di loro. Spesso, guardando le puntate del telefilm, mi son ritrovato a pensare a Mente e morale di Marraffa e, in particolare, alla stretta relazione sussistente proprio tra emozioni e giudizi morali; consiglio dunque la visione al professor Boncinelli, senz'altro troverebbe molti spunti di riflessione a riguardo.
Tornando all'articolo, dato per assodato che il fantasy non lo attrae per i motivi sopra citati (sacrosanto, come si sa de gustibus non disputandum est), cos'ha di così dannoso questo genere letterario secondo il nostro neuroscienziato?
Secondo Boncinelli: "Il magico costituisce il massimo del disimpegno e della deresponsabilizzazione, le stesse istanze che nella storia hanno portato il romanticismo a disintegrare e soppiantare l'illuminismo".
Questa affermazione è espressione di una grande semplificazione di due periodi estremamente complessi quali l'illuminismo e il romanticismo. Ho notato che nel pensiero scientifico vi è la tendenza a elogiare e idealizzare il primo, come apoteosi della razionalità e del pensiero scientifico, e a considerare il secondo come il recupero dell'irrazionalità e del pensiero magico/medievale. Come ogni semplificazione, essa distorce così tanto la realtà da non permettere di cogliere le sfumature. Anzitutto, il romanticismo non soppiantò mai l'illuminismo; da un lato, perché proprio il 1800 fu l'apoteosi del positivismo, precursore della diffusione della mentalità scientifica, di cui siamo strettamente eredi. Secondariamente perché vi è una stretta continuità tra illuminismo e romanticismo, nella misura in cui il secondo, pur recuperando la sfera emotiva, intuitiva, in parte magica, non rinuncia tuttavia alle conquiste illuministiche che hanno affrancato l'uomo dal controllo "totalitaristico", in favore di un maggiore individualismo (che nell'illuminismo si riflette su un individualismo "razionale", come libertà di pensiero critico, mentre nel romanticismo su un individualismo "emotivo", come libertà di creare e vivere le proprie emozioni). Secondariamente, vi è il lato oscuro dell'illuminismo che non viene mai considerato: quello che, da Voltaire a Buffon, ha posto le basi del razzismo scientifico ottocentesco di De Gobineau e Lombroso e che affonda le sue radici proprio nella catalogazione scientifica ed enciclopedica di ogni aspetto dell'esistenza, uomo compreso. Tralasciando ciò, che il magico favorisca un disimpegno e una deresponsabilizzazione, sembra anch'essa una grande semplificazione. Come già accennato il precedenza, il fantasy si fa spesso specchio "deformante" (nella misura in cui interviene l'aspetto creativo) delle dinamiche e delle problematiche umane, e proprio tale deformazione permette, con la sua estremizzazione, di renderle esplicite, comprensibili, affrontabili.
Ma, fatto ancor di più grave secondo Boncinelli: "Non è difficile comunque trovare un nesso fra tutto questo e il dilagare del ricorso alle medicine alternative di tutti i tipi o i metodi di cura fai da te. Senza trascurare l'imperversare del complottismo come base di spiegazione degli eventi più diversi".
Questa considerazione finale, che chiude l'articolo, mi ha fatto rabbrividire. In primo luogo perché, contro ogni scientificità, insinua non solo una correlazione, ma addirittura un nesso causale tra la diffusione del fantasy e il mondo pseudoscientifico/complottista, senza portare alcun dato a riguardo, né motivazioni razionali per supportarla. In completo disaccordo con Boncinelli, trovo semmai che il pubblico in cui è maggiormente diffuso il problema della mancanza di lettura critica delle fonti sia proprio il pubblico che non legge regolarmente; non solo fantasy, ma qualsiasi genere di libro, indipendentemente dal contenuto. Come già accennato in precedenza, proprio le humanae littarae sono la cura alla mancanza di pensiero critico che porta a fidarsi di cure pseudoscientifiche o di teorie complottiste che, solo perché fantasiose, non significa che siano fantasy.
Per fare, infine, una breve apologia della magia, filosofi del passato come Cornelio Agrippa o Giordano Bruno non consideravano né semplificavano la magia alla mera formulazione di formule magiche in grado di far ottenere ciò che si vuole. La magia, esattamente come farà la scienza nei secoli a seguire, era la conoscenza che si occupava di quei nessi di causa ed effetto misteriosi, che sfuggono alla maggior parte delle persone perché apparentemente sembrano inesistenti. Lo stesso Newton, che oltre a un grande scienziato fu un esoterista e un alchimista (cosa che spesso si liquida come un'informazione di poco conto), considerava la legge di gravitazione universale come una "legge magica", perché essa sembrava instaurare un nesso di causa ed effetto tra due corpi senza che tra essi vi fosse un'apparente connessione. Tutto questo per sottolineare come il pensiero magico, che troppo spesso viene bollato come una superstizione medievale, ha avuto un grande influsso nello sviluppo della scienza, proprio a causa della curiositas di questi personaggi al limite tra la scienza, la filosofia, la spiritualità e l'esoterismo che non avevano remore non solo a indagare i nessi nascosti dell'esistenza, ma anche a meravigliarsi di fronte a essi. La medesima meraviglia che i testi fantasy tentano di risvegliare.
Daniele Palmieri
Immagine: August Malmström - Dancing Fairies - Google Art Project
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"Scrivo dunque intorno a cose che né vidi né provai né appresi da altri, e inoltr di cose che non esistono affatto, e che non possono assolutamente esistere. Perciò occorre che i miei lettori non ci credano per nulla. (Luciano - STORIA VERA)
RispondiEliminaCon questa premessa che Luciano ha scritto nella sua STORIA VERA, qualsiasi opera letteraria è un libero atto creativo, un opera d'arte che arriva al suo compimento qunadndo è letta e interpretata da un qualsiasi lettore. Chi non ne conosce il linguaggio non accoglie l'opera ovvero si rifiuta di leggere né più né meno di chi aprendo un libro scritto in una lingua non sua, lo richiude saggiamente perchè non capisce quello che c'è scritto. Così il genere fantasy chi non lo conosce e non vuol conoscerlo; semplicemente non lo accoglie e non può quindi interpretarlo nè criticarlo. È quello che fanno i critici che leggono ciò che non conoscono e non accolgono con la dovuta cortesia.
"Se i testi sono in una lingua straniera - ... - ci impegniamo nello sforzo frustrante di padroneggiare quell'altra lingua, o accettiamo l'umiliazione di doverci affidare a una traduzione. Ogni passo in questo processo di ingressi ed allarmi(*) è al tempo stesso esigente e appagante."
(*) allusione alle didascalie shakespeariane dove alarm sta per lo squillo di tromba "alle arme"
Così George Steiner spiega l'alterità linguistica di un opera d'arte e/o letteraria. Possiamo considerare la letteratura fantasy (quant'anche la letteratura tout court) una alterità linguistica per "Edoardo Boncinelli".
Ottima osservazione, ho apprezzato molto la citazione di Luciano di Samosata! Per il resto, concordo assolutamente sulla questione del linguaggio. Ciascuna conoscenza ha il proprio linguaggio specifico e per comprenderla a fondo, e dunque anche per poterla criticare, bisogna prima imparare quel linguaggio. Il problema è che l'operazione è molto lunga. Sul piano metaforico, per ogni conoscenza si deve passare prima dall'alfabeto e poi dalle regole grammaticali. Siccome tale operazione è lunga, impegnativa e complessa, le persone preferiscono limitarsi alla superficie e a giudicare senza conoscere. Come i greci che definivano "barbari" gli altri popoli perché sembrava loro che dicessero solo "bar bar bar bar"
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