La solitudine, nella nostra epoca, è percepita negativamente, è sinonimo di tristezza e spaventa poiché necessita il “fermarsi”, concetto tra i più temuti in una civiltà in continuo movimento. Tuttavia, fermarsi è fondamentale per riflettere, per analizzare se stessi, prendere fiato e continuare ad avanzare senza il rischio di inciampare.
La solitudine è importante per prendere coscienza di se stessi, sia del proprio corpo che della propria psyché.
Soltanto in solitudine abbiamo modo di esplorare il nostro fisico in rapporto alla nostra mente, senza nessuno intorno che giudichi né il primo né la seconda, liberi da condizionamenti esterni che nascondono il nostro essere dietro il velo dell’apparenza e dei canoni della falsa bellezza propugnata dalle mode.
Ciò che gli asceti scoprono ritirandosi a meditare in solitudine non è Dio, come credono, ma loro stessi.
La luce interiore di cui parla Agostino d’Ippona ne Le Confessioni non proviene da Dio, è la luce della nostra psyché che illumina il nostro sôma dal buio antro in cui lo releghiamo; apriamo questo varco, soffiamoci sopra e la sua fiamma si leverà come fuoco ardente innalzato dal nostro respiro.
Chi ha paura della solitudine ha in realtà paura di rimanere con se stesso; ma questo è un grave problema. Noi siamo la persona con cui passeremo la maggior parte della nostra vita e rendere forzata tale convivenza non è certo auspicabile.
Per cui, bisogna imparare a bearsi della solitudine, non a sopportarla. Soltanto imparando a rimanere soli potremmo approcciarci nel giusto modo con il prossimo e scoprire la nostra libertà interiore.
“Domandi che cosa a mio parere tu debba evitare? La folla” scrive Seneca nella settima lettera de Le lettere a Lucilio. La folla è un’idra a cento teste che annichilisce la personalità del singolo uomo, cercando di inglobarla nel super-organismo che crea. Non c’è alcuna differenza tra una folla di cento uomini allo stadio e un gruppo di formiche; i primi agiscono seguendo l’istinto del gruppo tanto quanto le seconde. Nella folla ciascuno è tenuto a rispettare i dettami dell’istinto collettivo, a seconda degli impulsi che lo agitano. Se ne rende conto lo stesso Seneca quando percepisce la sporcizia che gli rimane impressa nell’anima dopo aver assistito ai giochi gladiatori udendo i commenti della massa eccitata per il sangue.
L’epoca moderna è oltremodo eccitata dalla massa e dall’ebbrezza sregolata che essa comporta.
La solitudine viene automaticamente percepita come qualcosa negativo; il divertimento è associato alla presenza del maggior numero di persone possibili e anche quando si è soli non si riesce a stare unicamente con se stessi, preferendo colmare il vuoto rimanendo costantemente in contatto con il Mondo.
Ma è proprio nella massa che l’uomo è isolato o, per meglio dire, alienato.
Nella folla soffre della peggiore solitudine possibile: l’alienamento da se stessi, visto che nella massa bisogna rinunciare alla propria vera personalità.
Vivere bene è impossibile se prima non si è in grado di trarre profitto dalle ore passate in solitudine, poiché solo in essa è possibile imparare a vivere per se stessi, svincolandosi da ogni condizionamento esterno e dunque coltivando la propria libertà.
Tale libertà fatta crescere in solitudine è l’unica vera libertà, che permette di coltivare uno dei beni più grandi: l’autarchia, l’assoluta autosufficienza.
Si tratta di prendere consapevolezza di possedere tutto ciò di cui si ha bisogno, di godere della semplice gioia di vivere. E questo non significa non dover intrecciare alcun rapporto umano, al contrario: soltanto così è possibile amare in maniera disinteressata il prossimo, non desiderando alcunché in cambio.
Stare soli con se stessi significa recuperare l’essenziale della vita, recuperare il rapporto unico, inscindibile, personale che abbiamo con il nostro corpo e la nostra psyché. Nessun altro può coltivare tale virtù al posto nostro.
Reclamare il diritto alla solitudine significa inoltre reclamare il diritto al proprio Tempo che, come vedremo in seguito, è uno dei beni più preziosi.
Guardiamoci intorno; la solitudine risalta la bellezza delle cose. Di noi e di quello che ci circonda. “Chi vuole essere da solo, che guardi le stelle. I raggi che vengono da quei mondi celesti introdurranno una barriera tra lui e le cose volgari” scrisse Emerson in Nature, ed i aggiungo che nelle nostre città in cui l’inquinamento fotoelettrico impedisce di vedere gli astri, basterà volgere gli occhi alla Luna che dall’alto della Notte veglia sui nostri sonni.
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