sabato 22 gennaio 2022

Le Piante degli Dèi. La gnosi vegetale di Hofmann e Ratsch

Dopo l'ultimo articolo sulla Rivoluzione psichedelica, proseguiamo l'approfondimento sull'estasi indotta dalle piante sacre con un grande classico della materia: Piante degli Dèi, scritto a quattro mani da Albert Hofmann e Christian Ratsch e poi rivisto da Richard Evans Schultes, coraggiosamente ripubblicato di recente in Italia da Venexia Edizioni.

La storia del libro si lega strettamente alla rivoluzione psichedelica avvenuta nel lungo arco di tempo che va dalla scoperta (involontaria) dei poteri visionari dell'LSD, compiuta dallo stesso Hofmann nel 1943, fino all'apoteosi della diffusione dei movimenti di "controcultura" del '68, sebbene il testo, pubblicato nel 1979, giunge ormai a coronamento di una rivoluzione volta al suo termine, quasi a farne da coronamento. 

Quando Ratsch e Hofmann pubblicarono il testo, infatti, la morsa della legge si era abbattuta da tempo sulla molteplicità di sostanze psichedeliche che avevano contribuito a diffondere una differente visione del mondo e della coscienza, soprattutto negli Stati Uniti, ed erano state ormai bandite nei principali stati Occidentali, fatta eccezione alcune "concessioni" a scopo religioso.

Lo stesso Hofmann aveva avuto modo di riflettere in maniera critica su quanto era avvenuto nei decenni passati in un altro libro, forse il più noto dell'autore: LSD il mio bambino difficile (edito in Italia da Feltrinelli), anch'esso dato alle stampe nel 1979, da un lato riconoscendo le potenzialità dell'LSD e, in generale, delle sostanze psicoattive nell'espansione della coscienza umana, nonché nella storia delle religioni, ma dall'altro mettendo in guardia sull'uso sconsiderato che ne era stato fatto, soprattutto da figure come Timothy Leary, reo di averne "volgarizzato" l'utilizzo alle grandi masse, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze legali e psicologiche.

Nonostante la "deriva" presa dalla rivoluzione psichedelica, non venne meno la consapevolezza di Hofmann sull'importanza delle sostanze psicotrope per la storia e l'evoluzione umana. Da qui la scelta di compilare una delle guide rivolte al grande pubblico più complete sull'argomento, in collaborazione con Christian Ratsch, antropologo ed etnobotanico tedesco che, fin dalla giovane età, si era occupato di studiare gli effetti delle piante allucinogene sulla psiche e la cultura dell'uomo. Similmente a studiosi come Wasson, infatti, era stato a stretto contatto con le popolazioni indigene del Sud America per studiare l'uso degli allucinogeni nelle tradizioni sciamaniche autoctone, vivendo con i Lacandòn nelle foreste del Chiapas (Messico).

Piante degli Dèi è un'opera coraggiosa e monumentale, volta a proseguire in maniera accademica gli studi antropologici e farmacologici sulle piante sacre e a compiere una summa delle scoperte (o, meglio, delle riscoperte) avvenute in materia fino al 1979, con la consapevolezza che dietro alle sostanze allucinogene vi fosse molto di più della deriva popolare e triviale presa dalla rivoluzione sessantottina. Come scrivono gli autori fin dall'introduzione del libro: "L'uso di piante allucinogene o che espandono la coscienza ha fatto parte dell'esperienza umana per molti millenni, tuttavia, solo di recente il mondo moderno occidentale si è reso conto dell'importanza che queste piante hanno avuto nel plasmare la storia, sia delle culture primitive che di quelle più sviluppate. Infatti, gli ultimi trent'anni hanno visto una vertiginosa crescita dell'interesse verso l'uso e il possibile valore degli allucinogeni nella nostra società moderna, industrializzata e urbanizzata. Le piante allucinogene sono complesse fabbriche chimiche, ma ancora pochi si rendono pienamente conto di quanto potrebbero contribuire alla soddisfazione dei bisogni profondi dell'uomo [...]. Non c'è dunque da stupirsi che esse abbiano giocato un ruolo importante nei riti religiosi delle prime civiltà, e che continuino a essere motivo di venerazione e timore presso alcune popolazioni" (Piante degli Dèi, Hofmann e Ratsch, Venexia Edizioni, p. 9).

Il filo conduttore del libro, molto più di un semplice dizionario, è l'idea che le piante sacre abbiano da sempre accompagnato l'uomo nel suo sviluppo religioso e spirituale e che il loro "bando", soprattutto nel mondo Occidentale (o a causa del mondo Occidentale) sia avvenuto in un'epoca relativamente recente della storia. Per millenni le piante sacre dagli effetti psicoattivi sono stati dei veri e propri portali vegetali in grado da fungere da collegamento tra il mondo materiale e il mondo degli spiriti. Lungi dall'essere un fenomeno isolato, la loro presenza e il loro utilizzo rituale è costante pressoché in tutto il mondo. A variare, chiaramente, è la sostanza utilizzata, in base alle piante "offerte" dalle regioni nel mondo. Ma la cosa sorprendente è che a diverse latitudini e longitudini del globo, in culture radicalmente differenti tra loro e mai entrate a contatto fino a determinati periodi storici, è sempre possibile rintracciare delle sostanze psicotrope che hanno accompagnato i riti e le pratiche sciamaniche, religiose o magiche. Così, per fare alcuni esempi, nell'Induismo delle origini si trovava il Soma, bevanda divina in grado di mettere in contatto l'uomo con la divinità, in cui Wasson identificò, come ingrediente principale, l'Amanita Muscaria; nel mondo Greco-Romano, per oltre 1500 anni, a farla da padrona fu il kikeon, il ciceone, nettare iniziatico a cui si abbeveravano gli iniziati ai misteri eleusini il quale, secondo Hofmann e anche secondo alcune scoperte archeologiche recenti, sarebbe stato preparato con la Claviceps Purpurea, o ergot, il fungo della segale cornuta; nell'estremo Nord-Ovest dell'America meridionale gli sciamani delle popolazioni autoctone hanno usato, e usano tutt'ora, una pozione inebriante e psicoattiva, chiamata in lingua quechua Ayahuasca (rampicante dell'anima), un decotto vegetale estremamente sofisticato dal punto di vista chimico, composto da piante di diverse famiglie, tra le quali le più importanti sono la Banisteriopsis caapi e le foglie di chacruna (Psychotria viridis); nel culto bwiti e di altri gruppi iniziati del Gabon è possibile trovare l'iboga (Tabernanthe iboga), radice dal colore giallastro utilizzata dagli sciamani per condurre l'iniziato nel mondo dei morti, facendo vagare la sua anima al di fuori dal corpo anche per diversi giorni; in Messico gli Aztechi svilupparono una grande devozione nei confronti della cosiddetta "carne divina", i funghi psicoattivi che usavano nelle loro cerimonie più solenni. 

In Occidente il declino e la persecuzione di questa forma di iniziazione al mondo spirituale è avvenuto con l'avvento del Cristianesimo che, limitando esclusivamente alle pratiche ascetiche la possibilità di entrare in contatto con il divino e additando come pagane ed eretiche tutte le pratiche che coinvolgevano l'uso di sostanze psichedeliche, ne bandì l'utilizzo, interrompendo, dopo una eredità millenaria, il culto di Eleusi, sopravvissuto fino ad allora a ogni conquistatore. Un atteggiamento manifestatosi più volte nel corso della storia del Cristianesimo, identico a quello perpetrato sia nei confronti delle "streghe" ree di utilizzare unguenti dagli effetti psicoattivi (contenenti, infatti, piante analizzate dal testo di Hofmann e Ratsch) sia dai primi missionari cristiani che entrarono in contatto con le popolazioni autoctone del Sud America, che bandirono vere e proprie crociate per sradicare il culto e l'utilizzo delle piante sacre. 

E' interessante, in questo caso, compiere una connessione con un altro testo sulle piante sacre, Pharmakognosis di Dale Pendell (Add Editore), in cui l'etnobotanico sottolinea come l'atteggiamento inquisitoriale nei confronti delle piante sacre sia stato ereditato, in maniera pressoché immutata, dalla mentalità sociale e giuridica contemporanea. Come avvenuto durante le persecuzioni religiose perpetrate dall'Inquisizione, lo stato alterato di coscienza viene percepito a priori come un tabù, anche quando indotto da sostanze che non presentano alcun effetto collaterale sulla salute, e perseguitato dalla legge in quanto tale - formalmente per le possibili azioni pericolose per sé e per gli altri che si potrebbero compiere, ma essenzialmente per la paura indotta dal cristianesimo nei confronti della dell'esperienza visionaria diretta e per la capacità dello stato alterato di coscienza di mettere in luce il non-senso di gran parte delle strutture sociali, e di sovvertire così l'ordine costituito. D'altronde, perfino l'esperienza diretta della divinità indotta dai mistici attraverso le pratiche ascetiche è sempre stata vista con sospetto anche dalla Chiesa e, in fin dei conti, ogni mistico sapeva di muoversi sul confine delicato e sottile tra santità ed eresia.

Ma questo sospetto è in gran parte immotivato e pregiudiziale. Come illustra in maniera estremamente dettagliata Piante degli Dèi, l'uomo ha sempre convissuto in simbiosi con le piante sacre. Il loro abuso è figlio esclusivamente della società moderna, proprio perché, a differenza delle civiltà tradizionali, ne è stato smantellato l'utilizzo rituale, che permetteva di avere esperienze mistiche guidate e in situazioni controllate, minimizzando il rischio di "eventi avversi". Come sottolinea Giorgio Samorini in un dialogo con Marco Maculotti su Axis Mundi dedicato proprio al libro (qui il dialogo), è incredibile constatare la capacità da parte di società erroneamente definite "primitive" di gestire piante sacre dagli effetti potenzialmente mortali, come l'iboga, che molti chimici esperti della società occidentale non si arrischierebbero a usare, data l'alta tossicità. E questo perché, ben prima dello sviluppo della chimica moderna, l'uomo era stato in grado di conoscere, sperimentare e utilizzare i principi attivi delle piante sacre, attirato dal fascino sacro dei loro effetti il cui significato, ancora oggi, resta un profondo mistero.

Come scrivono, infatti, Hofmann e Ratsch: "ancora non si conosce quale sia la funzione di queste sostanze speciali nella vita della pianta stessa [...]. Il motivo per cui alcune piante producono sostanze con effetti specifici sulle funzioni mentali ed emotive dell'uomo, e sulla sua capacità di percezione, persino di ste stesso, rimane quindi uno degli enigmi risolti della natura(Piante degli Dèi, Hofmann e Ratsch, Venexia Edizioni, p. 20). Un mistero che, tuttavia, sembra essere intrinsecamente connesso con l'evoluzione umana - a tal punto che, secondo autori come McKenna, lo stesso salto evolutivo dell'uomo è stato possibile proprio grazie all'incontro con le sostanze allucinogene, che avrebbero contribuito allo sviluppo della coscienza (tesi avanzata ne Il cibo degli dèi, qui la recensione).

Se solo non fossero soffocate dal peso del pregiudizio e del sospetto, la scienza e la chimica moderne, in collaborazione con l'antropologia ma anche la religione e, in generale, le materie collegate ai reami dello spirito, potrebbero risolvere questo mistero. D'altronde, come scrivono Hofmann e Ratsch: "Si potrebbe pensare che con l'isolamento, l'analisi strutturale e la sintesi della psilocibina e della psilocina, i funghi messicani abbiano perso la loro magia. Per migliaia di anni gli Indios hanno creduto che nei funghi abitasse un dio, proprio a causa degli effetti sullo spirito di quelle sostanze che, ora, invece, possono essere prodotte sinteticamente in un pallone di vetro per reazioni chimiche. Ma non si deve dimenticare che la ricerca scientifica ha soltanto dimostrato che le proprietà magiche dei funghi coincidono con le proprietà dei due composti cristallini: il loro effetto sulla mente umana rimane tanto prodigioso e inspiegabile quanto quella dei funghi stessi. E questo vale anche per quanto riguarda i principi attivi isolati e purificati di altre piante degli dèi" (Piante degli Dèi, Hofmann e Ratsch, Venexia Edizioni, p. 23).


Piante degli Dèi, Hofmann e Ratsch, Venexia Edizioni


Daniele Palmieri

giovedì 20 gennaio 2022

Rivoluzione psichedelica: la storia, i protagonisti e i retroscena del 68 raccontati da Mario Iannaccone



La rivoluzione culturale del '68 ha avuto un impatto incredibile sulla cultura post-bellica del mondo occidentale. Con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, essa scardinò i comuni modi di pensare, fu il trampolino di lancio per la conquista di ulteriori diritti civili, per la rivoluzione sessuale e la distruzione di molti preconcetti bigotti di lunga data. Tuttavia, il '68, universalmente riconosciuto come anno di svolta, in realtà fu soltanto la punta dell'iceberg. Nessuna rivoluzione nasce dal nulla. Nessuna rivolta prende piede se prima non sono state create le condizioni culturali affinché essa si verifichi. Lo stesso dicasi della rivoluzione sessantottina, intrinsecamente connessa a un'altra rivoluzione, dei decenni precedenti: la rivoluzione psichedelica. Ed è proprio a questa complessa rivoluzione, fatta di artisti, poeti, scienziati, chimici ma anche servizi segreti, che Mario Arturo Iannaccone ha dedicato un bellissimo saggio: Rivoluzione psichedelica, prima dalla Sugarco Edizioni e ora dalle Ares Edizioni.
Rivoluzione psichedelica è uno di quei libri che ti apre un mondo, in grado di entrare nelle pieghe della storia sia collettiva sia dei pionieri culturali che, più o meno volontariamente, con le loro vicende personali si adoperano per creare la storia, e riesce nel difficile compito di mostrare quanto le opere e i pensieri di un autore siano intrinsecamente connessi da un lato alle sue vicende di vita e, dall'altro, ai fermenti sociali della sua epoca.
Come mette in luce Iannaccone nel libro, il '68 è cominciato molto prima del 1968. La rivoluzione psichedelica della seconda metà del '900 aveva mostrato i primi germogli nelle visioni estatiche e decadenti di Baudelaire, De Quincey e Coleridge, per poi mettere solidi radici nelle scoperte e negli studi di Hofmann, primo sintetizzatore dell'LSD, crescere e dispiegarsi tra l'elite colta con le narrazioni di Aldous Huxley e Ernst Junger e infine sbocciare e approdare al grande pubblico con i folli esperimenti psicologici di Timothy Leary che, "iniziatore del nuovo millennio", rifondò una rinnovata Eleusi radunando attorno a sé tutta una nuova schiera di "fedeli", simili ai novizi accalcatisi attorni al templio descritti da Plutarco in uno dei suoi moralia. 
Quasi si fosse manifestata nella forma di un imbuto cosmico, tra gli anni '40 e gli anni '70 la rivoluzione psichedelica accomunò, come scrive Iannaccone, "persone che non avevano niente in comune tra loro", ognuna con la propria visione, i propri scopi e i propri piani, ma tutte legate da un filo conduttore: gli effetti stupefacenti delle "nuove droghe" sulla mente umana. Tra essi, solo per citare alcuni dei principali protagonisti, vi furono, Hofmann, il chimico mistico, che fin dalla prima, involontaria, esperienza con LSD da lui sintetizzata si accorse del potenziale, ma anche del pericolo, rappresentato da questa sostanza. Aldous Huxley, l'intellettuale che si occupò di "convincere" l'elite culturale della scoperta rivoluzionaria fatta da Hofmann e delle possibilità che essa dischiudeva per la coscienza e l'evoluzione umana; ma anche la CIA e le trame occulte del potere, che presto tenderà i suoi tentacoli verso queste nuove droghe per inserirle nei propri progetti segreti, come l'MkUltra, per studiare nuove tecniche di interrogatorio, lavaggio del cervello (brainwashing) e condizionamento del comportamento; Infine, Timothy Leary, lo psicologo di cui, all'interno del libro, seguiamo la lenta ascesa (o discesa, dipende dai punti di vista) da rinomato professore dell'università di Harvard a messia della nuova religione psichedelica, che in pochi anni passerà da rigorosi studi psicologici nelle aule universitarie alla creazione di comuni volte a creare una nuova umanità, dedita all'esplorazione dei reami psichedelici.
Questo "gruppo eterogeneo" formò l'epicentro di un vero e proprio terremoto, che presto scatenò un'ondata di curiosità, seguita dalle successive esperienze psichedeliche, tra artisti, studenti, scienziati, gente comune, complice il ventennio per il quale queste droghe sperimentali erano ancora permesse dalla legge e spesso acquistabili in farmacia sotto ricetta medica, oppure ampiamente diffuse nei laboratori sperimentali dei dipartimenti di chimica e psicologia delle università.
Benché, come accennato, già i poeti decadenti di fine ottocento avessero iniziato a esplorare i reami delle visioni schiusi dalle droghe, la loro poetica e la loro vita rimase spesso relegata ai margini della società. Essi trasmettevano il fascino malinconico di una rovina erosa dai secoli; quel tipo di fascino di cui è possibile godere, esteticamente, soltanto rimanendo all'esterno dell'esperienza ma che, di certo, non si vuole provare sulla propria pelle.
La rivoluzione psichedelica che ebbe inizio con la scoperta dell'LSD fu di tutt'altra natura. Questa nuova droga non trascinava nella palude del decadentismo, ma sembrava riportare alla luce, dai reami nascosti della coscienza, l'atavico simbolismo dei misteri iniziatici, dei miti della creazioni, delle visione dei mistici e dei santi. La distruzione dell'ego non avveniva con un lento e progressivo avvelenamento, che portava il poeta ad autodistruggersi come una rovina lasciata alle intemperie, ma attraverso un'elevazione dello spirito che veniva letteralmente trascinato in un'altra dimensione: il lato nascosto delle cose descritto da mistici, iniziati e visionari di ogni secolo. 
Questa esperienza, come quella della mescalina, sembrava indurre una iniziazione istantanea, in cui l'io non si sentiva spaesato nel labirinto delle visioni proiettate dal proprio inconscio ma, al contrario, sembrava cogliere con uno sguardo l'intrinseco significato dell'Universo.
Un esempio è l'esperienza con la mescalina avuta dal portavoce del Partito Laburista inglese Christopher Mayhew, ripresa dalle telecamere della BBC (è possibile vederla qui) che, nonostante il tentativo di mantenere l'autocontrollo, verrà sempre di più trascinato oltre le "porte della percezione" (come le definirà Huxley), fino ad ammettere: "Sono molto interessato al problema dell'adesso, qualunque cosa sia. E questo... esperimento, per me, è stato un grande successo. Al momento mi sto muovendo da un tempo a un altro e poi ancora indietro. Non sono molto consapevole di muovermi nello spazio [...] mentre lo sono... del muovermi nel tempo... e del fatto che non esiste il tempo assoluto... e nemmeno lo spazio... questo è ciò che imponiamo al mondo esterno... e più percepisco questo, più mi sento rilassato" (Cristopher Mayhew, citato in Rivoluzione psichedelica, Mario Arturo Iannaccone, Sugarco Edizioni, p. 57).

Queste esperienze indotte dalle droghe, dunque, non catapultavano il soggetto in un labirinto di delirio e allucinazione ma, al contrario, lasciando la coscienza vigile lo trasportavano in un mondo di visioni colme di significato. Proprio per questo l'esperienza non rimaneva limitata a un evento soggettivo: come avveniva per le visioni descritte dei mistici delle grandi religioni, i soggetti raggiungevano la consapevolezza di aver avuto accesso a un reame più alto, di aver sfiorato la natura stessa dell'universo. A più riprese nel libro di Iannaccone si accenna al fatto l'esperienza 
psichedelica prendeva sempre di più l'aspetto di una nuova gnosi. Come per le varie correnti gnostiche, infatti, la differenza tra l'iniziato e il non-iniziato risiedeva non tanto in quello che l'iniziato sapeva, bensì in quello che l'iniziato viveva. Non a caso, dopo l'ondata teosofica che nella prima metà del '900 aveva fatto filtrare, per la prima volta, le conoscenze orientali in occidente, è in questi anni che si assiste a un revival delle tradizioni religiose induiste, buddhiste e zen, ad opera proprio di "psiconauti" come Timothy Leary, che aveva trasformato il Libro Tibetano dei Morti, insieme a Metzner e Alpert, in una guida al viaggio psichedelico - avendo riscontrato una estrema somiglianza tra le visioni del Buddhismo Tibetano e quelle indotte dall'LSD, ma anche di studiosi come Alan Watts che, seppur presto distaccatosi dal movimento e dall'esperienza psichedelica, sottolineando l'importanza della meditazione "pura", contribuirà a espandere il fascino per gli allucinogeni e le dottrine orientali con testi come The Joyous Cosmology. Ma è anche in questi anni che iniziano a essere riconosciuta, a livello storico e antropologico, l'importanza delle sostanze psicoattive per la genesi delle religioni e dei poteri visionari della mente, ad esempio con gli studi di Gordon Wasson, micologo e antropologo indipendente, che rintraccerà nell'amanita muscaria l'ingrediente segreto del Soma vedico, bevanda sacra dagli effetti psicoattivi ritenuta alla base del sorgere dell'intera poesia e simbologia vedica.
A un certo punto, tuttavia, la situazione sfuggì di mano. Mentre Huxley e Hofmann ritenevano di dover mantenere un atteggiamento più riservato, di diffondere, sì, le sostanze psichedeliche per trasformare radicalmente la civiltà ma di partire dalle elite, Leary adottò un approccio inizialmente più "democratico" che, presto, sfociò nel populismo e poi nel "messianismo". Autoproclamatosi Gran Sacerdote della nuova religione psichedelica, cadrà nell'errore di "dare perle ai porci" e diffondere a macchia d'olio la rivoluzione psichedelica senza preoccuparsi del grado di preparazione psicologica dei suoi nuovi adepti e fondando a più riprese e in luoghi disparati delle comuni indipendenti basate sulla psichedelia che, però, si trasformavano presto in covi di sbandati. Parallelamente, gli psichiatri cominciavano a moderare l'entusiasmo terapeutico nei confronti dell'LSD e la CIA stava perdendo interesse nei confronti di queste sostanze, ritenendole poco funzionali ai propri studi sul controllo della mente. 
Complici diversi scandali giunti all'eco dell'opinione pubblica, e così, nel 1966, fu resa illegale, seguita a ruota dalle altre sostanze psichedeliche attorno alle quali, anche nei giorni nostri, continua a stringersi il severo cappio della legge.
E così siamo giunti al '68: l'apice di questa lunga avventura durata almeno trent'anni ma anche il suo canto del cigno: l'ultima esplosione di visioni e vitalità proveniente dai reami psichedelici.
Ma quelle visioni ci sono state, così come il tentativo di sovvertire il comune modo di vedere la realtà; consiglio dunque di leggere Rivoluzione psichedelica di Mario Arturo Iannaccone per immergersi in un lungo viaggio nei reami dell'estasi. Un libro avvincente e scorrevole come un romanzo ma preciso e ricco di fonti come una degna ricerca accademica.

Rivoluzione psichedelica, Mario Arturo Iannaccone, Ares Edizioni

Daniele Palmieri

giovedì 6 gennaio 2022

Le tavole iguvine: il più antico documento rituale dell'Italia arcaica

 


Gubbio, 1444. Nel borgo medievale divenuto noto per le predicazioni di san Francesco e per l'episodio della "addomesticazione del lupo" raccontata nei Fioretti, riemergono, nei pressi dell'antico teatro romano, sette misteriose tavole di bronzo, ossidate dai millenni fino ad assumere una colorazione verdastra. Nell'atto notarile datato 1456 con cui il comune acquisì la proprietà delle tavole, il ritrovamento viene attribuito a un'abitante locale, una certa Presentina. 
Già all'epoca gli studiosi e gli eruditi si accorsero di avere tra le mani un documento eccezionale. Le sette tavole, infatti, riportano incisi, sul fronte e sul retro, una lunga serie di caratteri antichi. Le frasi in lingua nota sono in latino arcaico. Ma affiancate al testo latino, ecco riaffiorare dal passato due antiche lingue dimenticate: l'etrusco e l'umbro, parlato nell'antica Ikuvium. 
Le tavole divengono presto un vero e proprio labirinto per i filologi e gli studiosi del pensiero classico. Gli stessi testi sono infatti incisi in alfabeti e lingue differenti. I medesimi passi possono cioè essere ritrovati in lingua latina con alfabeto latino, in lingua umbra con alfabeto umbro, in lingua umbra con alfabeto latino e in alfabeto etrusco.
Nonostante la chiave interpretativa fornita dal testo in latino, la traduzione dei passi in lingua umbra fu, per secoli, un vero e proprio rompicapo, complicato dal fatto che, fino in epoca recente, l'alfabeto e la lingua umbra non erano stati riconosciuti in quanto tali, ma erano stati erroneamente assimilati all'alfabeto e alla lingua etrusca. Soltanto Lepsius, circa 150 anni fa, ha dimostrato la presenza, nelle tavole, di una antica lingua italica fino ad allora dimenticata.
Tuttavia, l'eccezionalità delle tavole, come uno spaccato unico sulla ritualità dell'Italia arcaica, fu sempre riconosciuta. Bagnolo nel 1792 le riteneva un "documento sommamente prezioso, a cui altro simile fra tanti avanzi dell'antichità non è rimaso in tal genere, che ci presenti a disteso tutta l'intera serie e l'economia di quella sagra funzione" e Giovanni Devoto, studioso novecentesco delle tradizioni italiche, le definisce come il "più importante testo rituale di tutta l'antichità classica" (Bagnolo e Devoto, citati in Le tavole iguvine, Augusto Ancillotti, Romolo Cerri, Edizioni Jama Perugia, p 35).
Le tavole iguvine sono infatti il documento antico più esteso e dettagliato nel descrivere le usanze rituali delle popolazioni autoctone del suolo italico. 
Le tavole III e IV sono state datate al III secolo a.C., la I e la II al II secolo a.C., la V al II secolo a.C. e le più recenti, la VI e la VII, al I secolo a.C., ma, come spesso avviene per questi documenti epigrafici, la norme trascritte, ritenute di importanza capitale per la società e la religione, vengono impresse su materiali nobili e imperituri dopo una lunga trasmissione prima orale e poi su materiali deperibili. E' molto probabile, dunque, che l'origine dei riti descritti e delle divinità citate sia da rintracciare molto più in là nel tempo rispetto alla materialità delle tavole.
Come scrivono Augusto Ancillotti e Romolo Cerri ne Le tavole iguvine: "Le tavole sono state redatte in momenti diversi e da mani diverse, in genere con lo scopo di rendere indeperibili i testi originariamente stesi su materiale deperibile (come potevano essere la tela di lino o la pergamena). La presenza di fori per l'affissione dipende dal fatto che in un secondo momento (forse in epoca augustea) le tavole furono esposte, probabilmente per esaltare la nobiltà delle radici culturali di Iguvium. La composizione dei testi che troviamo scritti nel bronzo è dunque ben più antica della della fattura fisica delle tavole e la datazione è ben più incerta" (Le tavole iguvine, Augusto Ancillotti, Romolo Cerri, Edizioni Jama Perugia, p. 38).
Nelle tavole sono stati individuati nove testi principali, così riassunti da Ancillotti e Cerri: 
1) La cerimonia piaculare e lustrale
2) Una trascrizione breve delle due precedenti cerimonie
3) La cerimonia per auspicio avverso
4) Un sacrificio rituale del cane
5) La cerimoniia delle riunioni tributarie
6) Il cerimoniale delle Stentasie
7) Le norme sui compensi e sulle multe che regolano le funzioni dell'officiante
8)Le norme tributarie che regolano gli scambi tra le circoscrizioni e la confraternita. 
9) Doveri e multe del capo dei confratelli. 
Il grande interesse sia storico sia religioso di questi testi è che essi descrivono in maniera minuziosa ogni fase del rituale: le azioni, i luoghi sacri, i sacrifici (sia cruenti sia non cruenti), l'interpretazione augurale del volo degli uccelli, le preghiere e, soprattutto, le divinità dedicatarie. Considerati nel loro complesso, costituiscono un vero e proprio viaggio nel passato nella Ikuvinum arcaica e nelle descrizioni dell'antico perimetro sacro, delle danze e delle offerte sacrificali e della solennità delle preghiere sembra rivivere la potenza degli antichi numi.
Basti citare, a esempio, parte del rito della purificazione della città contenuto nella VI tavola, in cui vengono descritti nel dettaglio i confini sacri del paese e in cui viene invocata la potenza di Giove Grabovoio per innalzare una protezione metafisica:
"E questi sono i confini della città: a partire dal punto dei confini all'altezza delle rocce augurali nella direzione delle porte, al ponte, ai cortili di Norbio, alle curve del fiume, alla palude, al tetto della famiglia Miletina, fino al terzo dei terrapieni di prosciugamento. Sempre dal punto all'altezza delle rocce augurali, alla grotta del dio Vesticio, al loggiato di Rufro, al tetto della famiglia Nonia, al tetto di Salio, alla grotta del dio Hoio, al passaggio sacro alla divinità dei transiti. Al di sotto di codesti confini [...] si devono rilevare da destra un'upupa e una cornacchia; al di sopra di codesti confin i si devono rilecvare da sinistra un picchio e una gazza. Se i messaggi si saranno espressi a favore, sempre sedendo nel capanno, chiami per nome l'officiante e lo assicuri [...]" e a quel punto il sacerdote, compiuto il sacrificio, prosegue con questa preghiera dedicata a Giove Grabovoio: "Invoco Te come Giove Grabovoio con questa preghiera per la Rocca Fisia, per la città di Gubbio, per il nome di quella, per il nome di questa. Sii favorevole, sii propizio alla Rocca Fisia, in nome di quella, al nome di questa. Con questa formula ti rivolgo preghiera, come Giove Grabovoio, e proprio confidando nella formula rituale, ti rivolgo la mia preghiera come Giove Grabovoio. Mi rivolgo a te come Giove Grabovoio con questo bove maturo, come sacrificio espiatorio per la Rocca Fisia e per la Città di Gubbio; per il nome di quella e per il nome di questa. O Giove Graboboio, se nel corso della nota attività sacrificale il fuoco è stato acceso nella Rocca Fisia, o se nella Città di Gubbio sono state introdotte delle curie inaccettate, sia come non voluto. O Giove Grabovoio, se nella cerimonia a te sacra qualcosa è andato storto, è andato male, è stato differito, è stato antipatico, è andato perduto, se nella cerimonia a te sacra c'è un difetto che si vede o non si vede, o Giove Grabovoio, se poi è giusto che si sia purificati con questo bove maturo, come sacrificio espiatorio, allora, o Giove Grabovoio, purifica la Rocca Fisia, purifica la città di Gubbio [...] purifica i guerrieri, le curie, i capifamiglia, il bestiame, i poderi e le messi. Sii favorevole, sii propizio con la tua pace [...]".
Le divinità citate nelle preghiere, dedicatarie delle offerte rituali, mostrano l'originalità della religione italica e come essa non fu il semplice riflesso della religione greca. Queste divinità primordiali sembrano agire, nella descrizione dei rituali, non tanto quanto esseri antropomorfi, ma come "numi", appunto, "volontà", potenze primordiali che si manifestano con segnali e messaggi, come il volo degli uccelli, e che retrostanno alla forza degli elementi e degli eventi cosmici (senza però mai coincidere con essi). Di volta in volta questo "nume" prende un nome differente. Un nome in cui, però, non si esaurisce tutta la sua forza, ma che è solo un vano tentativo, da parte del sacerdote, di coglierne una parte, di incanalarla ora a protezione della città, ora nella forza dei soldati, ora nel portare giustizia sociale. Il nome rappresenta dunque un aspetto di una divinità che non si esaurisce in quell'epiteto. Come suggeriscono anche Ancillotti e Cerri nel chiarire una loro scelta di traduzione nelle invocazioni alle divinità: "Traduciamo "Invoco Te come Tefro Giovio" perché il nome della divinità chiamata non è in caso vocativo, ma si trova nello stesso caso dell'oggetto del verbo "invocare", cioè "Te"; tale nomee allora può essere inteso come complemento di denominazione, o apposizione se si vuole, ma non come complemento di invocazione. Perciò il teonimo non è la divinità, ma un appellativo della divinità. Come dire che il divino può presentarsi sotto diverse denominazioni (=funzioni)"(Le tavole iguvine, Augusto Ancillotti, Romolo Cerri, Edizioni Jama Perugia, p. 80).


Ancora oggi, le tavole dimorano nel luogo che gli diede i natali: Gubbio. Come custodi silenti, testimoni di un passato ormai trascorso ma, in realtà, sempre presente, sono esposte in eleganti cornici di legno nel Palazzo dei Consoli di Gubbio, e i loro caratteri misteriosi sussurrano i nomi e le potenze di divinità mai del tutto sopite.
Per chi volesse approfondirne la storia, consiglio il testo che ho utilizzato da base per il presente articolo: Le tavole iguvine, Augusto Ancillotti, Romolo Cerri, Edizioni Jama Perugia, oppure il loro lavoro maggiore: Le tavole di Gubbio e la civiltà degli umbri.

Daniele Palmieri