martedì 26 luglio 2016

Robert Michels: Democrazia e Oligarchia

Democrazia e Oligarchia del sociologo tedesco Robert Michels, edito dalla casa editrice Ar, raccoglie tre brevi saggi che toccano uno dei nervi dolenti del sistema democratico: i partiti politici.
Filo conduttore dell'analisi di Michels, come suggerisce il titolo della raccolta, è il rapporto tra democrazia e oligarchia, con particolare riferimento a una dinamica interna ai partiti politici che introduce, nel sistema democratico, contraddizioni di certo non irrilevanti.
L'analisi di Michels prende avvio dai fondamenti teorici del marxismo e dalla teorie delle élite di Pareto; ogni periodo storico è contraddistinto da lotte di classe, che vedono contrapporsi fondamentalmente tre strati differenti delle società: le élite al potere (pochi uomini in possesso della maggior parte delle ricchezze), il proletariato (lo strato più povero della società il cui unico bene sicuro è, appunto, la prole) e, nel mezzo, le forze politiche che aspirano a soverchiare le élite dominanti per assumerne il posto. In gran parte delle rivoluzioni, questo ultimo strato ha spesso fatto leva sul proletariato, mostrandosi come portatore di libertà contro il giogo degli oppressori, salvo poi conquistarne il trono a rivoluzione conclusa.
Il sistema democratico nasce, in teoria, per contrastare la perenne oligarchia che ha contraddistinto ogni epoca storica. La democrazia, infatti, con il concetto di "popolo sovrano" dovrebbe permettere a ogni cittadino di avere il medesimo peso nelle decisioni politiche, indipendentemente dalle sue ricchezze e dalla sua condizione sociale.
La democrazia ideale è la democrazia diretta, in cui ogni singolo cittadino partecipa, tramite il proprio voto, alle decisioni importanti che riguardano lui e l'intero paese. Tuttavia, una forma di democrazia simile è praticabile soltanto in comunità con un numero ristretto di persone e risulta invece irrealizzabile all'interno di stati nazionali. Per ovviare a questo problema è nata la cosiddetta democrazia rappresentativa. Benché il popolo non possa prendere parte direttamente alle decisioni politiche, può tuttavia eleggere con il proprio voto dei rappresentanti, che porteranno la loro voce e la loro posizione nel dibattito parlamentare. I seggi assegnati in base alle percentuali di voti ricevuti assicurano che ogni posizione politica, di una certa rilevanza, sia rappresentata in parlamento.
Già a partire da questo punto Michels rileva i primi problemi della democrazia; come è possibile parlare di "governo del popolo" se ad avere effettivo potere decisionale sono soltanto un numero esiguo di persone? Non è questa, a tutti gli effetti, una oligarchia?
Si potrebbe controbattere che, a differenza dell'oligarchia, in democrazia il potere dei rappresentanti è molto più limitato rispetto a quello degli oligarchi, poiché legato agli interessi del loro elettorato che, se non vede rispettate le promesse fatte, può decidere, tramite il voto successivo, di destituirli dal loro compito.
Tuttavia, Michels dimostra che quest'ultimo processo non è così semplice da attuare, poiché ogni partito politico tende, per sua stessa natura e per la naturale propensione al dominio dell'essere umano, a trasformarsi in una oligarchia e, di conseguenza, a trasformare la democrazia stessa in una forma mascherata di potere oligarchico.
I saggi di Michels risalgono ai primi del '900 e le forze politiche da lui prese in esame sono il partito conservatore e il partito socialista, tuttavia la sua analisi potrebbe benissimo adattarsi ai partiti politici dei giorni nostri e, anzi, colpisce proprio per la sua stringente attualità, nonostante siano passati più di cento anni.
Per quanto riguarda i partiti conservatori, non sorprende trovare in essi tendenze oligarchiche; essi infatti rappresentano le élite del paese che, per adattarsi al sistema democratico, sono costrette a mostrare i propri interessi economici e finanziari come fossero quelli del popolo per ottenere il loro voto, visto in realtà come uno strumento per ottenere e confermare il proprio potere.
Paradossalmente, Michels rileva una tendenza oligarchica molto più pericolosa all'interno del partito socialista (benché egli stessi si sia formato all'interno del socialismo). Difatti, mentre quest'ultimo si fa portatore degli interessi del popolo e si pone come un movimento rivoluzionario, in realtà non riesce a sfuggire all'inesorabile conformazione oligarchica che assumono tutte le forme di potere, indipendentemente dagli ideali alle spalle.
Questo movimento di assestamento gerarchico e oligarchico può essere riassunto come segue.
Alla nascita del partito vige una sostanziale uguaglianza tra i membri dello stesso, uguaglianza alimentata anche dal numero esiguo di membri. Tuttavia, sin dai primi tempi vi sono alcuni individui che, per possibilità economiche e, soprattutto, per intelligenza e capacità oratorie spiccano sugli altri. A questo punto si crea un rapporto circolare: il gruppo di persone ha bisogno di un leader, che solitamente risponde alle caratteristiche elencate in precedenza e, allo stesso tempo, le persone con queste caratteristiche tendono ad affermarsi sulla folla come leader. Queste persone diventano porta voci del partito e, anche grazie alla loro capacità, quest'ultimo è in grado di ingrossare le proprie fila. Maggiore è il numero di membri, maggiore è la richiesta di una burocratizzazione e di una gerarchia che sia in grado di distinguere i membri più capaci e più anziani rispetto a quelli più giovani e inesperti, fermo restando che al vertice tenderà a prevalere sempre il leader di riferimento.
Raggiunta l'agognata elezione in parlamento, il processo con cui il partito si trasforma in oligarchia accelera ulteriormente. Da un lato, infatti, aumentano gli introiti delle persone elette e dunque anche i loro privilegi e, prendendo il caso del partito socialista, benché continueranno a farsi porta voci del popolo in realtà si saranno distaccati da esso e i loro stessi figli non vivranno le condizioni di vita proletarie, formando così una casta a sé; dall'altro, l'ingresso in parlamento coincide con un ulteriore processo di burocratizzazione e aumentano, all'interno del partito, i funzionari mantenuti con i soldi pubblici, sottoposti alle direttive del leader centrare.
Quest'ultimo, per mascherare il proprio potere, tenderà a mostrare come la propria volontà coincida con quella del partito, quando in realtà il movimento è l'inverso: nel caso di conflitto tra volontà del leader e volontà del partito, sarà il primo a imporre la sua sia con il proprio carisma sia con minacce indirette, come quella di dimettersi, con il pericolo di causare uno scandalo generale che inevitabilmente avrebbe impatto sull'opinione pubblica e causerebbe effetti negativi su tutto il partito.
Dati questi presupposti e inserendo i partiti nelle dinamiche del parlamento, con il tempo l'interesse principale di ciascuno di essi non sarà più la difesa e la diffusione dei propri ideali, bensì la difesa della propria poltrona, dei propri privilegi e del proprio potere. Dati alla mano, lo stesso Michels mostra come, all'epoca, molti membri dei principali partiti fossero stati al potere molto più a lungo di sovrani e aristocrazie del passato. Lo scontro politico, infatti, si trasforma presto in una lotta per il potere fine a se stesso.
 
Come anticipato in precedenza, le pagine di Democrazia e Oligarchia sono così attuali che durante la lettura è impossibile non pensare a tutti quei volti presenti sulla nostra scena politica da oltre vent'anni.
E' un testo che tutti dovrebbero leggere, giacché il sistema democratico è entrato a far parte delle nostre vite in maniera così profonda che spesso lo assumiamo come un'ovvietà, concentrandoci soprattutto sui suoi punti di forza e molto meno sulle sue debolezze e contraddizioni.
Tuttavia, mantenere vivo il dibattito sulle carenze di un sistema politico è necessario per evitare che lo stesso decadi; i difetti, infatti, si moltiplicano e trovano terreno fertile lì dove i problemi vengono ignorati e, allo stato attuale delle cose, è difficile non vedere la progressiva decadenza che sta colpendo le istituzioni democratiche.
 
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Daniele Palmieri

mercoledì 6 luglio 2016

Stirner: L'unico e la sua proprietà. La liberazione portata all'estremo

Citando la morte di Dio e la volontà di potenza il primo filosofo a cui si pensa, generalmente, è Friedrich Nietzsche, visto che spesso, semplicisticamente, il pensatore tedesco viene ridotto a questi due concetti.
Pochi sanno che le due idee per le quali Nietzsche è conosciuto (almeno superficialmente) sono in realtà di un altro pensatore, da cui Nietzsche ha attinto a piene mani senza citare la fonte: Max Stirner.
Figura evanescente, di cui si sa poco della vita personale e di cui non possediamo nemmeno un ritratto fedele (a tal punto che viene spesso accompagnato, erroneamente, dalla foto di Rudolf Steiner), Max Stirner ha praticato, secondo Roberto Calasso, "la vera filosofia del martello, che Nietzsche non sarebbe mai riuscito a praticare perché troppo irrimediabilmente educato".
Calasso non esagera. L'opera principale di Stirner, L'unico e la sua proprietà, spinge il Nichilismo lì dove nemmeno Nietzsche aveva osato portarlo e credo che nel dissolvere ogni principio morale sia secondo soltanto al marchese De Sade.
L'opera di Stirner dissezione l'anima umana fino a metterne in luce, sotto la viva carne, il suo cuore più profondo: l'egoismo, e anziché rifiutare questo nocciolo nero il filosofo tedesco lo eleva a unica ragione che dovrebbe guidare l'azione dell'uomo, contro ogni volontà impostagli dall'esterno.
Sin dalle prime pagine, infatti, Stirner svela una realtà difficilmente confutabile: quando una realtà terza, sia essa quella della famiglia, della chiesa, dello stato, tenta di farmi agire in un certo modo, non sta facendo altro che impormi la sua volontà a discapito della mia. Qualsiasi pensiero altro-da-me che ha la pretesa di indirizzare il mio agire sta traendo fuori da me il baricentro della mia azione; utilizzando le parole di Stirner, sta facendo in modo di impossessarsi della mia causa.
Dio, lo Stato, la Morale non sono altro che "Spiriti", fantasmi partoriti dalla mente umana per spogliare il singolo della causa del proprio agire e sono altrettanto egoisti quanto l'uomo che tentano di raddrizzare. Difatti, l'egoista altro non è che colui che agisce seguendo la propria causa e che differenza c'è tra il singolo individuo egoista e uno Stato, un Dio, una Morale quando anche questi Spiriti non fanno altro che imporre la propria volontà e, dunque, il proprio egoismo?
In tale prospettiva, ogni movimento della vita umana altro non è che l'imposizione di una volontà di potenza. La differenza tra una persona che agisce moralmente e l'egoista è che la prima sta mascherando una forma più sottile di egoismo, che rimane nascosto soltanto perché questa persona si è spogliata della propria volontà e l'ha proiettata su uno "Spirito" esterno (lo Stato, il Cristianesimo etc.), mentre l'egoista ha tenuto ben stretto la causa del proprio agire. Per fare un esempio concreto, il cristiano che agisce moralmente non appare egoista soltanto perché la volontà che impone non è la sua, ma quella del cristianesimo. Tuttavia, sempre di una forma di egoismo si tratta poiché la sostanza è sempre la stessa: di fronte a volontà contrapposte, il Cristianesimo tenta di imporre la propria attraverso il cristiano spogliato della propria causa.
Quest'opera di indottrinamento avviene fin dall'infanzia, il momento in cui iniziano a inculcarci ciò che dobbiamo desiderare, ciò che dobbiamo credere, ciò che dobbiamo volere, in modo che le nostre azioni si adeguino a quelle della società. In altre parole, non ci è permesso di provare i sentimenti che vorremmo provare e ci viene prescritto ciò che dobbiamo sentire e pensare.
Di fronte a tale indottrinamento, "l'egoista è colui che dissolve lo spirito nel suo nulla", che si sbarazza di ogni imposizione esterna riappropriandosi della sua volontà e del suo pensiero. Egli si accorge che non ha senso parlare di valori morali universali, di leggi, di contratti. L'unica legge, secondo Stirner, dovrebbe essere quella dell'egoismo, ossia: tu hai il diritto di essere ciò che hai il potere di essere. Affinché questo accada, bisogna rigettare ogni "Spirito" e ogni forma di valore sociale astratto.
L'utopia/distopia di Stirner è una non-comunità, senza premi e punizioni, di uomini liberi da ogni vincolo, che agiscono seguendo soltanto il proprio volere e le proprie ragioni, senza altra causa oltre loro stessi, ossia il nulla: 

"Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo il tutto".

Spontaneamente sorge la domanda: è auspicabile una comunità del genere? Io non credo e, contrariamente a Stirner, non credo nemmeno che assecondando in maniera sfrenata il proprio egoismo l'uomo possa essere realmente felice. Il filosofo tedesco dimentica la nostra fondamentale natura di animali sociali. Per quanto le norme sociali possano limitare la nostra esistenza, soprattutto se fossilizzate o accettate acriticamente dai più, senza la comunità non saremmo nulla, se non nudi animali dispersi nella foresta. Lo stesso Aristotele diceva che per vivere fuori dalla polis puoi essere soltanto o un folle o un dio. 
Ciò non toglie che l'opera di Stirner compie un importante movimento di liberazione, e credo che l'importanza de L'unico e la sua proprietà risieda proprio nella sua radicalità. Ogni movimento di liberazione, infatti, può avvenire soltanto se si conduce il pensiero agli estremi, facendo tabula rasa di tutto ciò che abbiamo sempre dato per scontato.
Recuperare la propria essenza più profonda, spogliata da tutte le volontà esterne, è uno di quei movimenti che ogni persona dovrebbe fare nella vita per recuperare il vero sé e divenire realmente consapevole delle proprie azioni, per smettere di agire come un automa. Tuttavia, a questo movimento deve seguirne uno speculare e contrario per tornare al prossimo, poiché l'egoismo sfrenato conduce soltanto alla distruzione quanto degli altri quanto di se stessi.

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Daniele Palmieri