Quando il finale sfocia nella farsa e nella tragedia
Quante volte abbiamo sentito parlare della morte eroica di Socrate, che senza battere ciglio affronta il suo destino e beve la fatale cicuta?
Una dipartita che rappresenta l'intera vita del filosofo, che quasi ne è il coronamento perfetto, che gli ha permesso di tradurre in atto le sue teorie e di dare la lezione più profonda di tutta la sua vita.
Tuttavia, non sempre la morte di un filosofo si addice al suo statuto morale e intellettuale.
Anzi, non sono poche le volte in cui la triste mietitrice ha preferito giocare brutti scherzi e regalare alla storia morti così assurde che molti manuali preferiscono tacere, per non sminuire figure che hanno fatto la storia del pensiero. Certo, non sempre sono "brutti scherzi"; anzi, come potrete vedere, molti se la sono cercata.
Ed è proprio di queste morti tragicomiche che parlo nel video; sette filosofi, sette morti assurde. Perché soltanto se sei un filosofo puoi permetterti di morire spalmato di merda o per un pollo congelato.
Gli opposti di Eraclito e Lao-tze e la fisica moderna
Il premio Nobel per la fisica Eisenberg, nel testo "Fisica e filosofia" (già citato in questo articolo), ritiene che la visione eraclitea di universo come "Fuoco" è la più vicina dell'antichità alla visione che la fisica moderna ha del cosmo.
"Se sostituiamo la parola fuoco con la parola energia possiamo ripetere le sue affermazioni parola per parola dal nostro moderno punto di vista".
Affermazione molto pregnanteche mette in luce, ancora una volta, la straordinaria capacità intuitiva dei greci.
Ma non è su questo testo che voglio soffermarmi, bensì su un altro notissimo capolavoro che tenta di compiere un sincretismo tra filosofia orientale e fisica moderna.
Sto parlando de Il Tao della fisica di Fritjof Capra.
In particolare, intendo analizzare la questione che più accomuna i due filosofi della lezione (Eraclito e Lao-Tze), ossia la questione degli opposti e della loro unificazione.
Sia Lao-tze sia Eraclito riconoscono l'esistenza di forze opposte, ma lungi dal cadere nelle stereotipo comune della loro semplice contrapposizione, elevano la propria coscienza a uno stato superiore per avere una visione d'insieme e riconoscere come gli opposti siano in realtà una cosa sola, due facce della stessa medaglia.
Nel capitolo 11 de Il tao della fisica, Fritjof Capra descrive come nella fisica moderna a livello subatomico si trovino esempi di unificazione di concetti opposti; particelle distruttibili e indistruttibili, materia continua e discontinua, forza e materia che si mostrano come due aspetti differenti della stessa realtà.
In tutto ciò, gioca un ruolo fondamentale la teoria della Relatività, che più di tutte ha messo in crisi la dicotomia più profondamente radicata nella mente dell'uomo, ossia quella dello spazio e del tempo, ormai unificati e inscindibili.
"Come avviene per l'unità degli opposti di cui fanno esperienza i mistici, essa si verifica a un livello superiore, cioè con una ulteriore dimensione, e si presenta come un'unità dinamica, perché lo spazio-tempo relativistico è una realtà intrinsecamente dinamica nella quale gli oggetti sono anche processi e tutte le forme sono configurazioni dinamiche".
Il fisico sottolinea sia l'unità sia la dinamicità degli opposti; il loro apparente conflitto fa parte in realtà di un Tutto strutturato in continuo divenire, il cui principio fondante è il divenire stesso, che può essere colto allargando lo sguardo ed evadendo dalla percezione quotidiana che abbiamo del mondo.
Usando le parole di Eraclito:
"Negli stessi fiumi entriamo e non entriamo, siamo e non siamo"
A cui Lao-tze risponde dicendo:
"Le diecimila creature che sono sotto il cielo/hanno vita dall'essere/l'essere ha vita dal non essere".
Ed è proprio quest'ultimo concetto quello più innovativo e sorprendente delle teorie di Eraclito e di Lao-tze. Difatti, nei secoli successivi prenderà il sopravvento la teoria di Parmenide secondo la quale "l'essere è e il non essere non è" e la concezione di Eraclito verrà abbandonata, in quanto paradossale. Ma come sottolinea Fritjof Capra, la fisica quantistica sta riscoprendo quella che è, a tutti gli effetti, una realtà paradossale. A livello subatomico non è mai possibile stabilire se una particella è o non è, poiché ciò che muta non è lo stato della particella nei rigidi termini opposti di "essere e non-essere", bensì la distribuzione di probabilità. In un certo punto dello spazio la particella non è né presente né assente; ciò che è possibile riscontrare è soltanto la tendenza che essa ha ad esistere in dati luoghi, la probabilità che essa ha di trovarsi in un luogo piuttosto che nell'altro. Ed è proprio da questo paradosso che prende vita la nostra esistenza, apparentemente semplice ma che nasconde, ad ogni piano di realtà che percorriamo, misteri sempre più oscuri e incomprensibili se si rimane ancorati alle leggi dell'apparenza. Testi di riferimento: Il tao della fisica - Fritjof Capra (Download) Dell'Origine - Eraclito Tao te ching - Lao Tze (Download) Daniele Palmieri
Nascita e sviluppo di un progetto culturale attraverso le parole dei protagonisti
Puntare sul mondo
del teatro nella nostra epoca è già, di per sé, una scelta audace; ma se il
teatro approda su Youtube adottando nuove tecniche sceniche, la scelta si fa
ancora più innovativa e la posta in gioco aumenta.
Nasce, così, la
Webseries “Il necessario e l’impossibile – I monologhi del destino”, che
andiamo ad approfondire con le parole degli ideatori.
1)Iniziamo dalle presentazioni; sceneggiatori, regista e
attori. Nomi, cognomi, ruoli e due parole per descrivervi.
Salve, Nero d'inchiostro, e grazie per averci dato la
possibilità di farci conoscere attraverso quest'intervista! Veniamo tutti da
Napoli, dove, malgrado i problemi, cerchiamo di credere nelle potenzialità che
il territorio ci offre, specialmente in ambito culturale, impegnandoci nella
stesura e nella realizzazione di opere teatrali e letterarie.
Ma passiamo alle presentazioni!
Gli sceneggiatori ed ideatori del progetto sono Alessandro Autore ed Emilio
Bologna, neolaureati in Lingue e Letterature Straniere, lettori accanitissimi
col “vizio” della scrittura!
Il regista è Massimo Cerullo, quasi diplomatosi alla Scuola di Cinema
Pigrecoemme, eterno sognatore sempre pronto ad assecondare i “capricci” della
sua creatività!
Francesco Passero, nel ruolo di Prometeo, è un Titano, nel vero senso della
parola, un mix esplosivo di simpatia, eleganza e raffinatezza.
Antonio Gentile, nel ruolo di Orfeo è probabilmente la persona più volenterosa
del team: testardo, caparbio, energico, non sa arrendersi e abbattersi dinanzi
nessuna difficoltà.
Flora Epifania è la piú vivace del gruppo, ma la sua
Euridice è invece muta e inerme, come la voce di chi non appartiene più a
questo mondo.
Emilio Bologna (ebbene sì!), oltre ad aver scritto i monologhi, si è anche
prestato a interpretare Turno, l'antieroe dell'Eneide e si è occupato di
rifinire il montaggio audio e video insieme al regista.
Rosa Rubino, fra le attrici più esperte del team, nel ruolo
della profetessa Cassandra, ha offerto un'interpretazione magistrale, frutto di
una professionalità ed un'abnegazione senza eguali.
E infine Crispino Truglio, il più teatrale fra tutti (incredibile ma vero:
sembra recitare anche quando non lo sta facendo!), al quale non a caso è stato
affidato il ruolo di Dioniso, il dio dell'ebbrezza e dell'irrazionale. 2)Com’è nata questa collaborazione e, soprattutto, com’è
nata l’idea del progetto?
Tutti noi (eccetto Rosa) facciamo parte di una compagnia di
teatro amatoriale, che si chiama “Antro della Sibilla” e attualmente stiamo
lavorando all'adattamento del celebre romanzo di John Steinbeck “Uomini e
Topi”, pertanto ci conosciamo da tempo. L'idea dei “Monologhi del destino”,
invece, è stata folgorante e improvvisa. Guardandoci attorno ci siamo resi
conto dell'immensità del patrimonio artistico, culturale ma soprattutto mitologico
della nostra terra e tanto Alessandro, quanto Emilio, meditavano da tempo di
provare a valorizzarlo. Così, un po' per caso e in un solo pomeriggio, nacque
il monologo di Prometeo che già offriva parecchi spunti di riflessione e che,
almeno a livello tematico, prometteva lo sviluppo di un lavoro continuativo e
più esaustivo. Perciò da Prometeo, da quelle che erano le peculiarità del
personaggio che il monologo raccontava, non è stato difficile rintracciare
altri personaggi che potessero essere accomunati dal tema del destino, del
Fato.
3)“Il necessario e l’impossibile” è senza dubbio un
progetto controcorrente nel panorama di Youtube, dove abbondano canali con un
alto numero di scritti ma un basso livello di contenuti. Cosa vi ha spinto a
puntare sulla cultura?
La profonda convinzione che la cultura, in particolare
quella umanistica, è l'unico patrimonio sul quale investire energie e idee,
malgrado vi siano dati poco rassicuranti. Ci duole, infatti, constatare che
oggi a fare audience sono il gossip, il banale e il futile,
specialmente su piattaforme mondiali come YouTube.
Esistono canali di un certo spessore culturale su YouTube, ma purtroppo sono
pochi e la maggior parte di essi non ha il seguito che meriterebbe.
Ebbene sentiamo di essere stanchi della monotonia e del piattume che offre
questa piattaforma ed è per questo che ci proponiamo, nel nostro piccolo, di
dare il nostro contributo, invertire la tendenza, di offrire un prodotto di
qualità che possa, in un certo qual modo, risvegliare gli animi e dimostrare
che al giorno d'oggi credere nella cultura è doveroso e imprescindibile. È
inoltre doveroso offrire una valida alternativa a chi cerca un certo tipo di
intrattenimento su YouTube. Portare il teatro su una piattaforma digitale non
assicura certamente il successo, ma di soddisfazioni personali, sì, ce ne
aspettiamo tante.
4)Addentriamoci, ora, nello spirito del progetto, a
partire dal titolo; “necessario” e “impossibile”, termini, soprattutto il
primo, che hanno avuto grande importanza nella mitologia greca. Com’è nata la
scelta di questo titolo e cosa lega le due parole?
Abbiamo
riflettuto sul significato più profondo del mito in quanto generatore di verità
e domande universali, ossia concetti senza tempo che risultano comprensibili in
qualsiasi epoca.
In
fondo, la bellezza del mito risiede proprio nella sua immediatezza, nella sua
incredibile capacità di veicolare significati e idee, diremmo, primitive,
naturali. Recenti ricerche hanno dimostrato, ad esempio, quanto la spiritualità
celtica possa essere paragonata a quella dei Nativi Americani, quanto certe
credenze di questi due popoli, distanti secoli e continenti, siano in realtà
molto simili, omogenee.
Pertanto,
il mito ci è sembrato essere “necessario” in quanto imprescindibile, innato,
profondamente radicato nell'interiorità di ognuno ed “impossibile”, perché,
seppur chiaro nella sua chiave allegorica, offre spunti di riflessione e
diverse chiavi interpretative. Dilemmi che, malgrado lo scorrere del tempo,
restano e resteranno sempre irrisolti o quantomeno verificabili.
5)Passando
ai protagonisti della webseries: Prometeo, Orfeo, Euridice, Turno, Cassandra e
Dioniso. Qual è il filo d’Arianna (per rimanere in tema) che lega questi
personaggi?
Ognuno
di questi personaggi affronta il Fato e il suo dominio in maniera diversa, pur
essendone in qualche modo sopraffatto: Prometeo sfida gli Dei e il destino in
un atto di estrema ribellione; Orfeo decide dignitosamente di non assecondare
quello che il Fato aveva in serbo per lui; Turno dal suo canto, accetta in
maniera quasi epicurea la fine preannunciatagli, pur non disdegnando false
speranze; Cassandra, infine, tenta di abiurare il dono della premonizione, così
da poter vivere la sua vita nell'ignoranza, nella non-conoscenza del futuro.
Soltanto
Dioniso, il Folle Errante, colui che sta al di là del Fato e del suo concetto,
è in grado di rispondere ai loro quesiti, alle loro ribellioni. Si tratta di un
Dioniso che abbiamo rappresentato in modo del tutto originale rispetto a ciò
che ci tramanda la tradizione, come avrete modo di vedere.
6)Quali
sono i testi di riferimento a cui vi siete ispirati per trarre le informazioni
sui personaggi?
Il testo di riferimento principale sono “I dialoghi con Leucò” di Cesare
Pavese, un'opera fantastica che propone dialoghi filosofici fra esseri umani e
divini su tematiche esistenzialiste. Altri testi che abbiamo consultato sono
naturalmente quelli classici: L'Iliade, L'Odissea, l'Eneide, L'Alessandra, ma è
naturale che si senta fortissima l'influenza di autori e filosofi moderni. Sono
state volutamente lasciate delle tracce di Edgar Allan Poe nel monologo di
Cassandra, mentre l'opera di Nietzsche risuona violentemente nel monologo di
Dioniso, a chiusura dell'opera.
Inoltre
ci siamo affidati all'iconografia artistica per ciò che concerne i costumi le
sembianze stesse dei personaggi.
7)Il
mondo della mitologia greca e latina abbonda di déi ed eroi; cosa vi ha spinto
a scegliere questi protagonisti?
Questi
protagonisti, con le loro storie e le loro diatribe, ci sono sembrati più
idonei a rappresentare ciò che avevamo in mente perché si prestavano più
facilmente ad una reinterpretazione. Ciascun personaggio, infatti, mantiene
gran parte delle sue caratteristiche originali e consultabili grazie ai miti e
ai testi di riferimento, ma ci siamo sforzati di “attualizzarlo”, anche in
vista di problematiche sociali attuali.
Ecco
perché, per fare qualche esempio, il Prometeo che presenteremo allo spettatore
non è soltanto un ribelle nel senso più comune del termine, ma è un vero e proprio
personaggio assetato di vendetta a difesa di una razza, quella dei Titani,
brutalmente sterminata dagli Olimpii; la libertà è la sua irraggiungibile
chimera, una menzogna ricercata dallo spettatore stesso.
Ecco
perché Turno, l'antagonista dell'Eneide, non è più semplicemente il nemico di
Enea ma il portavoce di un nuovo messaggio, il redentore di un popolo, illuso
profeta e martire che si augura di poter salvare il mondo intero con il suo
sacrificio. Capirete, quindi, quanto questi personaggi si svincolino dal loro
ambito e cerchino di dialogare anche col presente.
8) Considerando l’aspetto tecnico, da quante puntate sarà
composta la serie?
Saranno 5 puntate. Non mancheranno altri video di
approfondimento dove contiamo di poter rispondere alle domande poste dal
pubblico o da chiunque voglia intervistarci, sulle singole puntate o
sull'intera opera. Intendiamo motivare le nostre scelte tanto in ambito tecnico
(regia, costumi, musiche e montaggio) quanto in quello più spiccatamente
ideologico, testuale e interpretativo.
9) Quanti minuti durerà ogni puntata?
Trattandosi di monologhi, e dunque di una tecnica
prettamente teatrale, le puntate oscilleranno dai 7 ai 13 minuti circa.
10) Con che cadenza saranno pubblicate?
Verranno pubblicate con cadenza settimanale, ogni sabato pomeriggio a partire
dal 30 maggio.
11)Per concludere: il mito greco, storie antiche di
millenni che ci affascinano ancora oggi. Qual è o quali sono i messaggi più
importanti che i miti greci possono tramandare al mondo moderno?
Ogni mito si fa portavoce non solo di un insegnamento morale
ma anche, come abbiamo detto, di verità e dubbi universali. In particolare,
crediamo che i miti greci siano estremamente attuali nel rappresentare la
natura umana in tutte le sue sfaccettature, nello sforzo di propendersi verso
la ricerca dell'essenza più intima, attraverso la descrizione di sentimenti
fugaci, esperienze e scoperte che tanto déi quanto uomini sperimentano in egual
modo. I Greci furono forse fra i più abili a raccontare la vita e a concepire
il mito non soltanto come un qualcosa di sacro ed etereo, bensì materiale,
tangibile. La leggenda diviene racconto della realtà, la realtà diviene
pensiero. È questa l'attualità della mitologia greca.
13)Domanda da un milione di euro: descrivete il vostro
progetto con una parola.
Con questa terza lezione di Storia della filosofia ci addentriamo nel pensiero filosofico vero e proprio; lo facciamo affrontando le teorie dei primi tre filosofi della storia: Talete, Anassimandro e Anassimene.
Pionieri di una filosofia e una scienza ancora in stato embrionale, le loro intuizioni influenzeranno non solo la filosofia antica, ma tutto il pensiero occidentale.
In questo breve approfondimento voglio focalizzare l'attenzione su un testo di Werner Heisenberg e sul filo ininterrotto che collega le intuizioni dei filosofi naturalisti con la fisica moderna.
Heisenberg è stato uno dei più importanti fisici del Novecento, nonché premio Nobel nel 1932 per la creazione della Meccanica Quantistica.
Nel suo libro, Fisica e filosofia, analizza l'importanza che i concetti filosofici hanno avuto per l'evoluzione della scienza e, allo stesso tempo, come le nuove scoperte fisiche stanno influenzando i concetti filosofici.
Nel capitolo L'interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta, Heisenberg si sofferma sui filosofi naturalisti, esponendo le loro teorie con un veloce e puntuale excursus.
In particolare, rileva come ogni intuizione di questi filosofi sia tesa a risolvere due problemi fondamentali: il rilevamento della sostanzia primaria e se essa sia una sostanza conosciuta o qualcosa di completamente diverso.
La stessa cosa avviene nella fisica atomica moderna.
"I fisici cercano oggi di trovare per la materia una legge fondamentale del movimento da cui possano derivarsi matematicamente tutte le particelle elementari e le loro proprietà."
E questa ricerca può condurre a due risultati; l'equazione può riferirsi o a onde di tipo noto (di protoni e mesoni), o a onde di carattere completamente diverso, che non hanno nulla a che fare con le particelle elementari. Stando a quanto riporta Heisenberg, la seconda opzione è quella seguita dai ricercatori, che ha come conseguenza la riduzione di tutte le particelle elementari ad un principio (un arché, utilizzando la terminologia greca)che può essere chiamato "energia" o "materia", ma che non preferirebbe una particella elementare piuttosto di un'altra. Da questo punto di vista, il primo a intuire un principio di questo genere è proprio Anassimandro, con la teoria dell'apeiron che vi invito ad approfondire nella terza lezione di Storia della filosofia. Al contrario, Talete e Anassimene si inserirebbero nella prima linea di ricerca. L'analisi di Heisenberg continua poi con l'esposizione delle dottrine di Eraclito, il filosofo antico che più di tutti si avvicina all'ideale del cosmo così come delineato dalla scienza, ma che sarà argomento della prossima lezione. Testo di riferimento: Fisica e filosofia - Werner Heisenberg Daniele Palmieri
Nietzsche, Colli, Reale e la Sapienza dell'Antica Grecia.
La seconda lezione di Storia della Filosofia è dedicata a quello che è stato il terreno fertile per la nascita del pensiero filosofico greco; sto parlando dei Misteri di Eleusi e dei Misteri Orfici.
Culti misterici di certo più vicini alla Religione che alla Filosofia; nonostante ciò, proprio le intuizioni di questi culti religiosi introducono qualcosa di nuovo, introducono idee che faranno la storia della Filosofia ed è impossibile ignorarli se si vuole comprendere lo spirito della Filosofia Antica.
I tre filosofi che più hanno sottolineato l'importanza della Sapienza Greca Arcaica sono stati Nietzsche, Giorgio Colli e Giovanni Reale, anche se in modi diversi.
Nietzsche ne La nascita della tragedia ritiene che questa Sapienza incarni il vertice più alto della cultura greca; in particolare, la fa coincidere con quello che egli chiama lo spirito dionisiaco.
Tale Sapienza è marcata da un profondo pessimismo nei confronti della vita e gli antichi culti orfici, tramite i loro riti orgiastici, lasciando libero sfogo agli istinti irrazionali umani permettono all'uomo di guardare direttamente in questo abisso e innalzare il proprio inno alla vita.
In tale prospettiva, la Filosofia affermatasi da Socrate in poi sarebbe in realtà espressione di una decadenza; una filosofia che intende riportare ordine alle cose, che intende frenare lo spirito dionisiaco e imporre quello che egli chiama lo spirito apollineo.
Giorgio Colli si rifà, in parte, alla tradizione nietzschiana ma nel breve e intenso saggio La nascita della filosofia sottolinea come il dio Apollo non possa essere accostato alla mera razionalità, come fa Nietzsche.
Apollo è espressione, oltre che della Bellezza e dell'Ordine, anche della distruzione, della ferocia, delle potenze telluriche.
La Sapienza greca e i culti misterici nascono dall'ispirazione di entrambi gli déi, Apollo e Dioniso.
La Filosofia sorge in risposta a queste forze primordiali, nel tentativo di disinnescarle, e in questo senso è espressione di una decadenza che tenta di abbandonare quella che è la vera Sapienza greca.
Giovanni Reale fa parte di una tradizione diametralmente opposta a quella di Colli e di Nietzsche, ossia della tradizione Cristiano/cattolica che sottolinea la continuità tra pensiero greco e cristianità.
Per quanto riguarda i misteri orfici, nel primo volume della sua Storia della filosofia Antica edita da Bompiani, Reale rileva un filo conduttore tra Sapienza Arcaica e Filosofia.
In particolare, i concetti di anima personale e di purificazione morale introdotti dall'orfismo avrebbero spianato la strada alla filosofia socratica e platonica, che ne avrebbero sviluppato a pieno le potenzialità.
Per maggiori informazioni sull'importanza dei misteri Eleusini e dei Misteri Orfici, il video della seconda Lezione di Storia della filosofia girato da Nero d'inchiostro.
Un viaggio attraverso i filosofi e le idee che hanno fatto la storia della materia
Con questo primo video, alquanto impacciato e amatoriale, inauguro una serie di lezioni di Storia della Filosofia Occidentale.
E' una lezione introduttiva in cui cerco di sfatare i luoghi comuni che solitamente vengono attribuiti alla Filosofia e con cui tento di trasmettere lo spirito con il quale vivo la materia.
Nelle successive lezioni comincerò la trattazione storico/filosofica vera e propria, senza la pretesa di fornire una ricostruzione esaustiva ma nella speranza di incoraggiare chi è a digiuno della materia ad approfondire gli argomenti trattati.
L'idea nasce infatti con l'intento di promuovere la cultura filosofica all'infuori del ristretto ambito universitario, poiché ritengo che la Filosofia sia una materia fondamentale per sviluppare il giudizio critico necessario per muoversi nel mondo e diventare soggetti attivi consapevoli.
Questo amore nei confronti della materia nasce grazie a un grande professore di Filosofia che ho avuto alle superiori, il quale a sua volta si era innamorato della materia grazie a un suo professore.
Mi sento dunque parte di questa linea di discendenza filosofica e percepisco dentro di me il dovere morale di tramandare tale lascito, nei limiti delle mie possibilità.
Consigli, pareri, domande, opinioni sono più che ben accette.
"Foglie d'Erba", un lungo inno ai sensi e alla vita
Sono pochi i poeti in grado di trasformare in poesia ogni cosa che sfiorano; Walt Whitman è uno di quelli.
E con "ogni cosa" non intendo soltanto fenomeni naturali (albe, notti e tramonti) o emozioni (amore, odio, gelosia, paura) di cui la letteratura abbonda; Walt Whitman canta la vita, dell'uomo e del mondo, e tutto ciò che questa vita comprende:
"Il vapore del mio alito/gli echi, increspature, sussurri brulicanti, radice d'amore, filo di seta, innesti, vitigni/ la mia respirazione e inspirazione, il battito del mio cuore, il passaggio del sangue e dell'aria attraverso i polmoni./inalare foglie verdi e foglie secche, e la spiaggia e le rocce marine dal colore scuro, e il fieno nei fienili/ il suono delle parole eruttate dalla mia voce, parole che si liberano al turbinio del vento,/ alcuni baci leggeri, alcuni abbracci, braccia che si cingono/[...] il senso di benessere, il tocco a mezzodì, il canto di me che mi alzo dal letto e vado incontro al sole." (Poesia di Walt Whitman, un americano)
Una vita che è soprattutto e prima di tutto vita individuale, vita del singolo uomo; "Io canto me stesso" è il verso con il quale inizia Foglie d'Erba, sua prima e unica raccolta, alla quale ha lavorato fino alla morte. L'uomo è il punto di partenza imprescindibile per qualsiasi discorso; dietro ogni parola e ogni esperienza si nasconde necessariamente un individuo. Tuttavia, quella di Whitman non è una visione né egoistica né egocentrica, poiché "ogni atomo che appartiene a me appartiene anche a te". La vita che il poeta racconta è sì la vita vista e narrata con gli occhi di Walt Whitman, nato in America nel 1819; ma proprio perché è stato un uomo come noi, fatto della stessa carne, possiamo comprendere tutto ciò che egli ha vissuto e scoprire che tra lui e noi non c'è alcuna distanza, che l'io che egli canta è l'io di tutti quanti noi. L'io che il poeta descrive è come una foglia soffiata dal vento in un mondo in continuo divenire; tutto scorre, il fiume della vita procede incessante e noi dobbiamo lasciarci trasportare da esso per scoprire dove ci porta. Uno scorrere rappresentato dallo stile stesso delle poesie; i versi di Whitman sono lunghi, prolissi, come i Salmi della Bibbia di King James. Il lettore viene trascinato da una serie di descrizioni, ripetizioni, suoni, odori, sapori e impressioni visive che evocano il mondo lontano del poeta e che ci fanno immergere in esso. Quella di Walt è una vera e propria estasi mistica, che non nasce dall'ascesi e dall'allontanamento dai sensi, bensì dalla totale immersione nel mondo della materia. La materia è l'unica fonte certa dell'esistenza; la vita nasce dalle stagioni, dai fiumi, dai laghi, dall'erba e dalla terra così come dalla distruzione, dal fuoco e dalle tempeste. E' il ciclo naturale della materia nel quale l'uomo è inserito e, se davvero vuole comprenderlo, non deve allontanarsene ma ricordarsi che egli ne fa parte, come tutte le cose che lo circondano. In tal modo, Whitman ci ricorda che vivere a pieno la vita significa accettare tutto ciò che essa ci porta, assaporare ogni singola impressione sensibile, perché soltanto così potrà risuonare il nostro "barbarico yawp sopra i tetti del mondo". Daniele Palmieri Le citazioni sono tratte da Walt Whitman - Foglie d'Erba, Newton Compton Edizioni
Breve elogio della Filosofia attraverso le sue idee
Come sostiene Karel Kosik in "Dialettica del concreto", ogni grande idea filosofica o scientifica è una lunga e sudata conquista che, una volta diffusasi tra il popolo, comincia ad essere tramandata come un'ovvietà, ignorando lo sforzo intellettuale che ha portato alla sua scoperta. Riscopriamo, allora, alcuni meriti dimenticati della Filosofia, tramite un breve e non certo esaustivo excursus tra le sue idee e i suoi protagonisti. Aprite un qualsiasi manuale, scientifico e non; in tutti, dalla biologia, alla medicina, all'economia, alla fisica, troverete citati i nomi di Platone e Aristotele come fondatori di tale scienza; per non parlare di Pitagora e della sua scuola, i primi pionieri della Matematica che erano, innanzitutto, Filosofi. Democrito e Leucippo sono stati i primi a formulare la teoria atomistica; certo, diversa dalla teoria attuale ma il nucleo centrale è lo stesso: la materia è composta da milioni di minuscole particelle. Teofrasto, scolarca del Liceo succeduto ad Aristotele, ha scritto importanti trattati di botanica ed è considerato, ancora oggi, il fondatore della tassonomia. Se non crediamo che il mondo sia mosso da forze magiche e se le scienze hanno continuato - seppur in forma embrionale - a progredire anche dopo il crollo dell'Impero Romano occorre ringraziare filosofi come Alberto Magno, Robert Greathead, i Maestri della scuola di Chartres. Se il metodo scientifico vero e proprio ha cominciato ad affermarsi bisogna ringraziare il filosofo Francis Bacon. Per la ripresa dello studio scientifico dell'anatomia umana (con tutto ciò che ne deriva) e per la ripresa dello studio laico e meccanicistico della fisica bisogna ringraziare Cartesio. Se non crediamo ancora nel sistema geocentrico dobbiamo ringraziare filosofi e scienziati come Copernico, Giordano Bruno e Galilei. Se possiamo votare alle elezioni, se possiamo esprimere liberamente il nostro pensiero, se possediamo diritti politici e civili dobbiamo ringraziare i filosofi dell'epoca dei Lumi, da Rousseau a Voltaire, da Montesquieu a Diderot e D'Alambert. Se ora state leggendo questo articolo su qualsiasi dispositivo elettronico dovete ringraziare Leibniz che, studiando l'I:ching (che non è un dispositivo della Apple ma un antichissimo libro divinatorio cinese), ha inventato il codice binario. Per l'emancipazione della donna bisogna ringraziare il lavoro teorico di filosofi come John Stuart Mill e Mary Wollstonecraft. Se il mondo de lavoro è tutelato dai sindacati e dai diritti dei lavoratori si deve ringraziare Marx (e indirettamente Hegel, che ha influenzato il pensiero marxista). Einstein, di certo non l'ultimo dei cretini, ha sempre riconosciuto l'importanza di Spinoza per l'influenza che ha avuto sul suo pensiero e sulle sue teorie. Infine (ma potrei dilungarmi oltre), qualsiasi materia scientifica si basa su procedimenti logici nati nel ventre della speculazione filosofica. Questi sono solo alcuni dei geni filosofici che dobbiamo ringraziare per il contributo importante che hanno apportato al mondo della cultura e mi scuso con tutte le grandi personalità che non ho inserito (Schopenhauer, Kant, Nietzsche, Vico, Erasmo etc. etc.). Volente o nolente, il mondo delle idee è progredito grazie al lavoro dei filosofi, di ogni secolo. Anche i detrattori della filosofia non possono trovare via di uscita da questo paradosso, enunciato per la prima volta da Aristotele: chi dice che la filosofia è inutile, motivando la sua risposta, sta argomentando e dunque sta facendo filosofia. Daniele Palmieri
Viviamo in un'epoca in cui la libertà è considerata un diritto inalienabile; almeno sulla carta, tutti gli uomini godono (o, dovrebbero godere) di diritti imprescindibili, sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e il primo di questi è proprio il diritto alla libertà.
Essa è considerata un habitus, qualcosa che riveste l'uomo; tuttavia, tale concezione trasforma la libertà in un'abitudine e l'abitudine è in netta antitesi con la libertà, giacché un'azione abituale è un'azione meccanica, che non necessita di uno sforzo cognitivo per essere portata a termine.
Non è possibile degradare la libertà a qualcosa di così vuoto.
La libertà è perduta proprio nel momento in cui cominciamo a darla per scontata; non basta un pezzo di carta per definirla un diritto imprescindibile e lo dimostra la terribile facilità con cui ogni giorno viene calpestata.
Questo perché la libertà non è un ideale; la libertà è innanzitutto azione e lo dimostra la principale modalità con cui gli uomini privano altri uomini della loro libertà: impedendogli fisicamente di agire, di muoversi.
Tale è la prospettiva adottata da Jan Patocka, filosofo ceco, maestro di Karel Kosik, morto per difendere la libertà in seguito a spossanti interrogatori della polizia governativa.
"L'esperienza della libertà è l'esperienza della conquista, del conseguimento della libertà e non del suo placido possesso".
Paradossalmente, chi accetta in modo passivo la condizione di uomo libero sta in realtà forgiando le proprie catene. A ciò Patocka oppone l'uomo realmente libero; l'uomo in grado di muoversi senza vincoli nel mondo dello spazio e, soprattutto, nel mondo delle idee. L'uomo di spirito, così definito da Patocka, è un individuo solitario poiché con il suo corpo e la sua anima nuota controcorrente e mette perennemente a repentaglio la sua vita. Perciò la libertà non è un habitus, ma un rischio; il rischio di chi ha il coraggio di difendere le proprie azioni e le proprie idee. Utilizzando la suggestiva metafora patockiana, la sfida più grande che l'uomo di spirito si pone è quella di nuotare sotto la superficie, alla scoperta dei valori notturni, il vero substrato delle cose. Questo tipo di uomo è da sempre osteggiato, poiché ha il coraggio di affrontare problemi che le masse evitano, come il problema della morte. In questo senso, la libertà si trasforma da habitus a conatus, il continuo sforzo di liberazione teso a conquistarla. E' una concezione fortemente negativa della libertà; negativa poiché necessita di un tortuoso viaggio che passa attraverso l'assoggettamento, la privazione di diritti e, non ultimo, il fango della trincea. Soprattutto su quest'ultimo aspetto Patocka concentra la sua analisi, riflettendo sulle due guerre mondiali appena trascorse e, in generale, sul significato della guerra. Siamo soliti considerare la guerra da quello che Patocka chiama il punto di vista della pace; in questa prospettiva, essa è un'interruzione violenta, qualcosa di estraneo al percorso storico che è, essenzialmente, l'instaurarsi di un ordine pacifico. Ma questa concezione, definita diurna, ignora le forze motrici che generano il conflitto; forze oscure, che si trovano sotto la superficie e che il filosofo ceco definisce forze notturne. Dal punto di vista della notte, la guerra diventa un fenomeno psichico, individuale; un'atroce sofferenza in cui il soggetto si trova invischiato, senza via d'uscita. Ma è proprio nel sangue e nel fango della trincea che si fa spazio il barlume della conoscenza; sceso sotto la superficie, lontano dalle forze diurne, l'uomo scosso dalle atrocità ritrova la propria libertà, poiché ne assapora l'importanza. Si fa spazio allora una nuova consapevolezza; una nuova guerra interiore che diventa la guerra contro la guerra, che trova la sua espressione più alta nell'empatia che si comincia a provare nei confronti del nemico. Il fronte opposto, visto dalla prospettiva notturna, non è più composto da individui da uccidere, ma da uomini come noi, in preda agli stessi tormenti, scossi nel profondo, che desiderano soltanto riappropriarsi della propria libertà di vivere. In tale sofferenza, in tale desiderio la libertà trova il suo significato più alto e, per quanto lontana e irraggiungibile, riusciamo quasi a sfiorarla. Daniele Palmieri Fonte principale per la stesura dell'articolo: Il rischio della libertà - Francesco Tava
Lezioni di dissenso pacifico da un intellettuale del XIX secolo
Era il 1846 quando Henry David Thoreau fu incarcerato dal governo Americano.
Il suo crimine?
Non voler finanziare una guerra ingiusta; l'invasione del territorio messicano da parte degli Stati Uniti.
Quella di Thoreau non è stata un'azione eclatante; non ha sfasciato vetrine, non ha bruciato macchine o imbrattato pareti.
Thoreau si è limitato a fare una cosa molto semplice: si è rifiutato di pagare la poll-tax, una tassa decretata dal governo per supportare economicamente la guerra.
L'intellettuale americano ha dovuto scontare questa ribellione pacifica con il carcere; la prigionia è durata poco, una sola notte, poiché Raplh W. Emerson ha pagato la cauzione contro la sua volontà.
Ma durante quella intensa notte le mura della prigione non hanno potuto contenere i suoi pensieri; ed è qui che è nato il suo testo più famoso: La disobbedienza civile.
Il pamphlet è breve ma intenso e delinea un ideale di resistenza civile e pacifica che ha influenzato alcune delle personalità più importanti nella storia dei diritti dell'uomo, come Gandhi e Martin Luther King.
Un ideale che si dimostra quantomai attuale in un momento di crisi come questo, dove ogni manifestazione sembra sfociare necessariamente nella violenza.
Thoreau parte da un presupposto importante: in Democrazia una legge, anche se votata dalla maggioranza degli individui, non è necessariamente giusta.
V'è una legge superiore rispetto alla legge civile ed è la legge della coscienza.
Se la legge della nostra coscienza ci sussurra che la giustizia civile è in realtà un'ingiustizia, è dovere morale esprimere il proprio dissenso.
"Pochissimi, come gli eroi, i patrioti, i martiri, i
riformatori in senso elevato, e gli uomini, servono lo Stato anche
con la propria coscienza, e dunque per la maggior parte necessariamente gli si
oppongono; e sono comunemente trattati da esso
come nemici."
Come ribellarsi alla legge ingiusta? Non basta attendere il voto; anzi, spesso il voto è soltanto qualcosa con cui ci laviamo la coscienza.
Ogni votazione è una sorta di gioco d'azzardo, come la
dama o il "backgammon", con una lieve sfumatura morale, un gioco con il giusto e l'ingiusto, con le questioni morali; e naturalmente le scommesse lo accompagnano.
Il buon nome dei votanti non è in discussione. Può darsi che io dia il mio voto
in base a ciò che considero giusto; ma non è per me vitale che il giusto prevalga.
Sono disponibile a lasciare ciò alla maggioranza. L'impegno del voto, dunque, non
va mai oltre quello della convenienza. Persino votare per il giusto è un non
fare niente per esso. Significa solo manifestare debolmente
agli uomini il desiderio che il giusto debba prevalere.
L'impegno politico, civile e morale si deve dimostrare nella vita di tutti i giorni.
Il dissenso può essere un dissenso silenzioso ma non per questo meno efficace.
E il dissenso che ha in mente Thoreau è lo stesso che lo ha spinto a non pagare la poll-tass.
Se si ritiene che una legge non rispetti i diritti fondamentali dell'uomo, bisogna ignorare quella legge; chi è consapevole dell'ingiustizia, chi a parole dimostra il proprio dissenso ma nei fatti continua a seguire la legge per paura delle sanzioni, ebbene costui è il principale responsabile dei soprusi commessi da tale legge. Non si può aspettare che una maggioranza decreti il giusto affinché il giusto prevalga; occorre agire, subito, seguendo la propria coscienza.
"Se mille uomini non pagassero quest'anno le tasse, ciò non sarebbe una misura tanto
violenta e sanguinaria quanto lo sarebbe pagarle e permettere allo Stato di
commettere violenza e di versare del sangue innocente. Questa è, di fatto, la definizione
di una rivoluzione pacifica, [...] Se l'esattore
delle tasse, od ogni altro pubblico ufficiale, mi chiede, come uno ha fatto, "Ma cosa
devo fare?" la mia risposta è, "Se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le
dimissioni". Quando il suddito si è rifiutato di obbedire, e l'ufficiale ha rassegnato le proprie
dimissioni dall'incarico, allora la rivoluzione è compiuta."
Una rivoluzione semplice, che parte dal basso. Una rivoluzione civile che ha origine nella coscienza individuale, valida per ogni genere di sopruso. Una rivoluzione che non richiede violenza, distruzione o versamenti di sangue. Una rivoluzione necessaria, poiché:
"Non vi sarà mai uno Stato realmente libero ed illuminato, finché lo Stato non
giunga a riconoscere l'individuo come un potere più elevato ed indipendente, dal quale
derivino tutto il suo potere e la sua autorità, e finché
esso non lo tratti di conseguenza."
Edgar Allan Poe è stato uno dei maestri indiscussi della
novellistica non solo ottocentesca, ma di tutti i tempi.
La sua produzione ha ispirato due tra i principali filoni
della narrativa (e della cinematografia) contemporanea, ossia l’horror/gotico e
il poliziesco.
Nelle raccolte di racconti a lui dedicate gli editori sono
soliti inserire le novelle più note come Il pozzo e il pendolo, La maschera
della morte rossa, Il gatto nero, Discesa nel Maelstrom e via dicendo.
Tuttavia, c’è una piccola perla che spesso viene ignorata e
che quasi nessuno conosce, eccetto i lettori più fedeli.
Si tratta de “Il demone della perversità” (o, in altre
traduzioni, “Il genio della perversione”), un terrificante racconto breve che
in poche pagine sonda uno degli abissi più oscuri e profondi dell’animo umano.
La novella in questione ha in apparenza una trama molto
semplice, che per di più viene narrata soltanto nella parte finale del
racconto.
Il protagonista, nonché voce narrante, uccide un’anziana
signora per mezzo di una candela avvelenata, i cui vapori la soffocano nel
sonno; la morte sopraggiunta nella notte viene scambiata per morte naturale ed
egli eredita, impunito, tutti i beni della vecchia.
Passano gli anni e il crimine non viene a galla; l’uomo
trascorre tranquillo la sua vita, senza rimorsi, pensando tra sé e sé: “sono
salvo”.
Finché un giorno, mentre cammina per strada, la litania che
si ripete quotidianamente gli balena per la testa con un minuscola aggiunta.
“Sono salvo. Sì, sono salvo; se non sarò così sciocco da
confessare”.
Improvvisamente, il pensiero di confessare il proprio
crimine inizia ad angustiarlo, ad ossessionarlo e ad opprimerlo sino a
togliergli il fiato.
Tenta di non far trapelare la propria agitazione, per non
destare sospetti nella folla che lo circonda; ma questo impulso che lo spinge a
confessare si fa sempre più forte, sempre più pressante, finché l’uomo non
comincia a scappare, nella speranza di fuggire da tale pensiero.
La polizia, insospettita, lo rincorre e lo bracca e nel
momento stesso in cui viene catturato egli confessa.
“Il segreto per tanto tempo tenuto prigioniero scoppiò fuori
dalla mia anima”.
A una prima lettura superficiale si potrebbe pensare che il
protagonista abbia agito in questo modo poiché perseguitato dal senso di colpa.
Tuttavia, questa interpretazione è errata; per comprendere
il racconto, occorre soffermarsi sulla prima parte, di cui ancora non ho
parlato.
Come ho accennato in precedenza, la storia che ho riassunto
viene narrata nelle poche righe finali, ma il vero racconto non è composto da
questo semplice intreccio, bensì dalla lunga digressione filosofica con la
quale Poe inizia la novella e che ne occupa quasi i due terzi.
In essa ci viene descritto quello che Poe definisce il Demone
della Perversità.
Questo demone è l’impulso, il desiderio di autodistruzione
che alberga, latente, in ciascuno di noi.
Le sue manifestazioni sono molteplici; dalle più semplici,
come il voler posporre lo svolgimento di un impegno importante sino all’ultimo
momento – con il rischio di non portarlo a termine –fino alla distruzione
psicofisica di se stessi.
“Siamo sull'orlo di un precipizio. Vi gettiamo dentro
un'occhiata, e malessere e vertigini ci colgono. Il nostro primo impulso è di
tirarci via dal pericolo. Nondimeno, inesplicabilmente, restiamo. A poco a poco
il nostro malessere, la vertigine, l'orrore sfumano dentro la nuvola di una
sensazione ineffabile. A gradi ancora più impercettibili questa nuvola assume
una forma, come il vapore di quella bottiglia dalla quale usci un genio, nelle Mille
e una Notte. Ma questa nostra nuvola sull'orlo del precipizio si condensa in
una forma assai più terribile di qualsiasi genio o demonio da racconto, in
nient'altro che un'idea, ma paurosa idea, in un'idea che ci agghiaccia il
midollo delle ossa con la feroce voluttà del suo orrore. Ed è semplicemente
l'idea delle sensazioni che proveremmo durante il rovinoso precipitare di una
caduta da simile altezza. Questa caduta e l'annientamento fulmineo che ne
conseguirebbe, noi cominciamo a desiderarla ardentemente; e perché?”
Non è possibile fornire una spiegazione razionale di tale
desiderio; è un istinto, come la fame, la sete, il desiderio sessuale. Un
istinto, però, che rema in direzione opposta; un istinto che mira
all’autodistruzione, un istinto che brama l’oblio e la sofferenza e che non ha
altro scopo se non l’annientamento dell’individuo.
Ed è un istinto irrefrenabile poiché “non c’è passione più
infernale e compulsiva di quella per la quale uno, pur rabbrividendo sull’orlo
di un precipizio, medita di gettarvisi”.
L’unico modo per tenerla a bada è sperare che qualcuno ci
afferri prima di compiere il tuffo fatale; ma chi ci assicura che il nostro
salvatore non lanci un fuggevole sguardo sull’abisso e che, anch’egli, non ne
resti ipnotizzato?
Il Demone della perversità potrebbe sembrare una finzione
letteraria astratta, poco credibile, ma nel concreto
questo impulso sembra essere il motore delle azioni più terribili dell’uomo,
come la guerra.
Facciamo la guerra per avere la pace è il motto di Aristotele
spesso citato; ma questo moto tenta di dare una spiegazione razionalistica di
un fenomeno che di razionale non ha nulla.
La guerra, il totale annientamento di tutto ciò che ci
circonda, fino ad arrivare a noi stessi, sembra in realtà la manifestazione più
potente e spaventosa del Demone della Perversità, che dagli oscuri meandri del
nostro animo ci scruta, sussurra, sogghigna, e attende con primordiale pazienza
il momento di venire a galla.
Nel video in sovrimpressione potete trovare l'audioracconto de Il demone della perversità, prodotto dalla casa indipendente di audiolibri: Menestrandise. Daniele Palmieri