venerdì 20 dicembre 2019

Pauwels e Bergier: Il mattino dei maghi. Un viaggio nel realismo fantastico

Non capita spesso che uno scienziato, esoterista e cellula dei servizi segreti incontri un giornalista, scrittore e discepolo di uno dei più grandi e controversi maestri spirituali del XX secolo. L'unica cosa certa è che quando si verificano incontri di questo genere, non possono che nascere grandi cose.
Questo righe potrebbero sembrare l'incipit di un libro; e, di fatti, da tale incontro nacque uno dei libri più importanti dell'esoterismo novecentesco, benché ora sia stato dimenticato dall'editoria italiana. Il libro di cui sto parlando è Il mattino dei maghi e i due protagonisti, non come personaggi della storia bensì come autori, sono Jacques Bergier e Louis Pauwels.
Stilare una recensione, un riassunto o una descrizione de Il mattino dei maghi è una follia destinata a fallire in partenza. Sarebbe come voler recensire, riassumere o descrivere il contenuto di una enciclopedia; nel farlo, si cadrebbe nella conseguenza paradossale - o, meglio, borgesiana - di stilare una seconda enciclopedia, duplicato della prima.
De Il mattino dei maghi si può parlare soltanto per allusioni e per impressioni. Grandissima enciclopedia dell'immaginario, l'opera di Pauwels e Bergier frantuma lo specchio opaco del reale, permettendo al lettore di intravedere cosa si nasconde dietro l'illusorio riflesso.
Lo stesso Pauwels fatica a definire la natura del testo entro limiti predefiniti. Scrive l'autore nella prefazione: "Questo libro non è un romanzo, benché il proposito sia romanzesco. Non appartiene alla fantascienza, benché vi si costeggino miti che ispirano quel genere. Non è una raccolta di fatti bizzarri, benché l'Angelo del Bizzarro vi si trovi a suo agio. Non è neanche un contributo scientifico, il veicolo di un insegnamento ignoto, una testimonianza, un documentario o materia per un romanzo. E' il racconto, a volte trasfigurato e a volte esatto, di un primo viaggio nei campi della conoscenza ancora poco esplorati. Come nei quaderni dei navigatori del Rinascimento, vi si mescolano il magico e il vero" (Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, Mondadori, p. 34).
Ciò che Il mattino dei maghi offre sono affreschi, schizzi e suggestioni sul mondo del fantastico. Fantastico che, è bene precisare, agli occhi degli autori non coincide con l'immaginario. Mentre l'immaginazione è relegata all'universo interiore della fantasia, di ombre illusorie - per quanto colorate - il fantastico è una realtà tangibile, che può essere scoperta e indagata da coloro che sono in grado di proiettare la forza dell'immaginario anche verso l'esterno. "Abbiamo battezzato la scuola da noi seguita: scuola del realismo fantastico" scrivono gli autori, "noi pensiamo che proprio al centro della realtà l'intelligenza, per poco che sia iperattivata, scopre il fantastico. Un fantastico che non invita all'evasione, ma piuttosto ad una più profonda adesione. E' per difetto di fantasia che letterati e artisti cercano il fantastico fuori della realtà, nelle nuvole. [...] Il fantastico deve essere estratto dalle viscere della terra, dal reale. [...] Il fantastico è come una manifestazione delle leggi naturali, un effetto del contatto con la realtà quando essa viene percepita direttamente e non filtrata attraverso il velo del sonno intellettuale, attraverso le abitudini, i pregiudizi, i conformismi" (Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, Mondadori, p. 31).
Per stilare una prima topografia del fantastico, Pauwels e Bergier applicano l'immaginario alle all'epoca a loro più vicina, l'ultima metà del 1800 e la prima del 1900. Un secolo teatro di grandi sconvolgimenti politici, economici, culturali, sociali e di grandi forze contraddittorie, che vide da un lato il sorgere del positivismo scientifico applicato a ogni campo del sapere e, dall'altro, un revival, se non addirittura la prima teorizzazione precisa, del sapere occulto. Mentre le forze positive, per loro stessa natura, ebbero il desiderio non solo di "portare luce" ma, soprattutto, di risplendere e operare alla luce del giorno, le correnti occulte si relegarono ai canali sotterranei della storia. Immergendosi volutamente nell'oscurità, tra le faglie del reale che il positivismo ignorava, tali correnti esoteriche non solo scoprirono dimensioni altre, ancora ignote ai più, ma soprattutto ebbero un impatto sulla storia dell'occidente estremamente sottovalutato e, per i più, ignoto.
Analizzando diversi campi del sapere umano, dalla scienza, alla politica, alla letteratura, all'archeologia, alla biologia, Pauwels e Bergier portano per la prima volta all'attenzione del grande pubblico le idee esoteriche che, da una parte all'altra del globo, hanno intessuto i loro fili invisibili, provocando silenziose rivoluzioni, in un racconto alternativo della storia occidentale dove scienza e fantastico si fondono dando luogo a una realtà magica, né più vera né più falsa di quella a cui siamo abituati ma, semplicemente, alternativa.
Come accennato in precedenza, non è possibile condensare in un articolo il lavoro titanico e certosino compiuto da Pauwels e Bergier nel districare il groviglio di questi fili. Posso però portare un esempio della loro capacità di mettere insieme i pezzi del grande puzzle, per mostrare quanti buchi erano stati lasciati dall'insieme omettendo dalla storia non solo i fatti inspiegabili, ma anche l'azione delle correnti e delle società segrete di cui era certa l'esistenza.
Da questo punto di vista, il grande conflitto mondiale assume, nella descrizione degli autori, l'aspetto di una immensa battaglia magica tra diverse visioni esoteriche del cosmo, e i gli atroci crimini commessi sarebbero il risultato di una momentanea collisione tra la nostra realtà e un Male metafisico.
Era la seconda metà del XIX secolo quando Edward Bulwer Lytton, scrittore, politico e Rosacroce britannico, noto per il romanzo esoterico Zanoni e per Gli ultimi giorni di Pompei, pubblicò un testo destinato, involontariamente, a dare la prima scossa a uno di questi fili invisibili della storia, con la pubblicazione di La razza che ci soppianterà. In questo libro, Lytton descrivere una razza di uomini che hanno sviluppato poteri psichici, un dominio interiore e una vita spirituale molto più evoluta della nostra. Essi per ora vivono celati, abitando caverne al centro della Terra, ma attendono il momento adatto per uscire allo scoperto e dare vita a una nuova epoca. Quelle di Lytton, in realtà, sono idee molto più antiche, che sembrano descrivere l'antica razza degli Iperborei dell'ultima Thule, esseri leggendari su cui già fantasticavano - nell'accezione più elevata del termine - gli antichi greci. Lytton sembrava non essere l'unico veicolo di miti antichi che andavano risvegliandosi; parole molto simili si leggeranno, negli anni a seguire, in Viaggio nell'india misteriosa di Saint Yves, in Bestie, uomini e dèi di Ossendowski, ne Il Re del Mondo di Guenon e, soprattutto, nelle parole dei Teosofi che parleranno di una Grande Loggia Bianca, o Grande Loggia Luminosa, nascosta nel favoloso regno di Agartha/Shambala al servizio del Re del Mondo, guida spirituale dell'umanità, dormiente nel sottosuolo in attesa di dare inizio a una nuova epoca. Dal dottor Willy Ley, massimo esperto del mondo missilistico, Bergier e Pauwels hanno appreso che a Berlino, negli anni precedenti al nazismo, esisteva una piccola comunità segreta chiamata, per l'appunto, La Loggia Luminosa che oltre a credere nelle tesi di Lytton, sosteneva di conoscere una serie di pratiche per risvegliare il Vril, un'energia "enorme di cui non utilizziamo che una infima parte nella vita ordinaria, il nerbo della nostra possibile divinità. Colui che diviene padtrone del vril, diviene padrone di se stesso, degli altri e del mondo" (Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, Mondadori, p. 290). Tali teorie si svilupparono, infine, nella Società Thule, una organizzazione creata nel 1910 da Felix Nieder in cui alle credenze sovra accennate si univa una sorta di "misticismo nero" che metteva insieme gli antichi miti nordici, le saghe spirituale epiche cavalleresche, la ricerca del Graal e dei cimeli sacri come la Lancia di Longino, l'antico odio nei confronti degli ebrei e la credenza, affine all'antropogenesi teosofica, in antiche razze umane superiori scomparse insieme a grandi continenti come Atlantide e Lemuria, ma destinate a riprendere il possesso del pianeta. Di questa società fecero parte, tra gli altri, Rudolf Hess, Alfred Rosenberg e Heinrich Himmler che, pochi anni dopo, vedremo al comando sotto il controllo di un altro iniziato della Società Thule: Adolf Hitler. Gran parte delle teorie pseudo-scientifiche e razziste che influenzarono le scellerate scelte politiche del Nazismo affondavano le loro radici in questo humus occulto. E lo stesso Himmler si fece finanziatore, attraversi la Ahnerbe, di ricerche fanta-archeologiche strettamente legate al mondo esoterico, come diverse spedizioni in Tibet per scoprire il fantastico regno di Agartha e per rintracciare le origini della razza ariana, o in Europa per trovare il Sacro Graal e la Lancia di Longino.
Contemporaneamente, dall'altro lato dell'Europa, in Gran Bretagna, sempre a partire dall'ordine Rosacrociano di cui aveva fatto parte Lytton, sorgeva un'altra diramazione esoterica dell'ordine: quella della Golden Dawn. Fondata da Westcott, Liddell e Mathers, la Golden Dawn, come suggerisce il nome, si auspicava una nuova alba dorata della spiritualità umana. Anch'essa si immaginava una nuova razza ventura ma, anziché rifarsi alla spiritualità iperborea e alle nuove correnti filo-orientali/filo-ariane, si rivolse invece alle pratiche della magia cerimoniale occidentale e al sentiero della mistica ebraica, soprattutto quella branca esoterica di essa che prende il nome di Qabalah. L'impatto della Golden Dawn sulla cultura e la politica occidentale è ancora estremamente sottovalutato, perfino negli anni successivi alla pubblicazione de Il mattino dei maghi. Essa creò una fitta rete di iniziati, molti dei quali divennero, negli anni a seguire, nomi celebri della letteratura e dell'occultismo, come Algernon Blackwood, Arthur Machen, Bram Stoker, Conan Doyle, Gustav Meyrink, Aleister Crowley e Dion fortune. In tutte le opere dei precedenti autori si trovano motivi iniziatici strettamente legati alle conoscenze esoteriche della Golden Dawn e per analizzare la fitta rete di rimandi e di connessioni tra loro occorrerebbe un'intera opera. Basterà citare, ai fini del presente articolo, che Aleister Crowley, oltre a rivoluzionare l'ordine della Golden Dawn, fu invischiato tra la prima e la seconda guerra mondiale in diversi casi di spionaggio. Nel 1915 entrò in contatto con Viereck, nazista sotto copertura negli Stati Uniti inviato per sabotare le fabbriche americane. Crowley scriveva sul suo giornale, Fatherland, articoli di meschina propaganda filonazista. Negli anni a seguire, Crowley si giustificherà dicendo di aver voluto contro-sabotare il giornale, scrivendo articoli così estremi da risultare assurdi. Ma, non solo, come scrive Peter Lavenda in Satana e la svastica, Crowley sarebbe stato un agente sotto copertura dell'intelligenze britannica e americana, assoldato per passare informazioni su Viereck. Questa battaglia sottile tre ordini ermetici non si combatteva, tuttavia, soltanto da un punto di vista politico. Anche Dion Fortune, una volta uscita dalla Golden Dawn, tentò di contrastare l'ascesa al potere del nazismo imbandendo con la Inner light, movimento spirituale da lei fondato, una "battaglia magica" per contrastare psichicamente l'operato degli "esoteristi neri" oltreoceano, come testimonia il carteggio dell'autrice pubblicato da Tre Editori ne La battaglia magica di Inghilterra.
"Noi pensiamo che queste società, grandi o piccole, ramificate o no, collegate o no" scrivono Pauwels e Bergier ne Il mattino dei maghi, "sono le manifestazioni più o meno chiare, più o meno importanti di un mondo diverso da quello in cui viviamo. Diciamo che è il mondo del Male nel senso in cui lo intendeva Machen. Ma non abbiamo una maggior conoscenza del mondo del Bene. Viviamo tra due mondi, prendendo questo no man's land per il pianeta stesso, tutto intero. Il nazismo è stato uno di quei rari momenti, nella storia della nostra civiltà, in cui si è aperta una porta su un'altra cosa, in modo clamoroso e visibile. E' molto singolare che gli uomini fingano di non aver visto e sentito niente, tranne gli spettacoli e i rumori ordinari del disordine bellico e politico"  (Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, Mondadori, pp. 294-295).
La matassa di relazioni è così intricata che, a un certo punto, si teme di cadere nel complottismo becero. Ma a differenza delle correnti complottiste che, negli anni a seguire, saranno influenzate proprio dalla capacità de Il mattino dei maghi di mettere in relazioni fatti, azioni, testi, scritti e personaggi apparentemente separati, nelle ricostruzioni di Pauwels e Bergier non vi è mai il tentativo di giungere a una verità certa, bensì la volontà di porre l'attenzione su quei fatti solitamente relegati all'oblio della storia, poiché considerati o inaccettabili o inspiegabili.
"Noi non crediamo a tutto" scrivono gli autori, "ma crediamo che tutto debba essere esaminato. Talvolta è l'esame dei fatti dubbi che porta i fatti veri alla loro più ampia espressione. Non è con la pratica e l'omissione che si giunge alla completezza. [...] Noi ci sforziamo di riparare ad un certo numero di omissioni, e affrontiamo la nostra parte del rischio di passare per aberranti" (Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, Mondadori, p. 184).
Il mattino dei maghi non è pensato per essere la conclusione delle titaniche ricerche bibliografiche e storiche compiute dagli autori, bensì come punto di inizio delle innumerevoli faglie e incrinature di cui è costellata la descrizione ordinaria e razionale della nostra realtà. "Io non ho oggi nessuna certezza assoluta" scrive Pauwels a conclusione del testo, "la mia sola conquista è che porto in me, ormai inestirpabile, l'amore del vivente, e in questo mondo e nell'infinità dei mondi. Per onorare ed esprimere questo amore potente, complesso, Bergier ed io [...] non ci siamo limitati al metodo scientifico, come esigeva la prudenza. [...] I nostri metodi sono stati quelli degli scienziati, ma anche dei teologi, dei poeti, degli stregoni, dei maghi e dei bambini. Insomma, ci siamo comportati da barbari, preferendo l'invasione all'evasione. [...] Noi siamo dalla parte degli invasori, dalla parte della vita che viene, dalla parte del mutamento di tempo e del mutamento di pensiero. [...] Una vita d'uomo non si giustifica se non con lo sforzo, anche sfortunato, tendente a capire meglio. E capire meglio è aderire meglio. Più capisco, più amo, perché tutto ciò che è capito è bene" (Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, Mondadori, pp. 509-510).
Con Il mattino dei maghi, Pauwels e Bergier ebbero molti meriti. Quello di far conoscere a un'ampia fascia di pubblico autori, come Lovecraft, Blackwood, Meyrink e Machen, che rischiavano di cadere nell'oblio; sottolinearono l'importanza di studiare gli aspetti meno conosciuti e più oscuri della storia politica e culturale dell'occidente; ma, soprattutto, auspicarono l'aurora di una nuova forma di sapienza, affine alla conoscenza degli antichi, una sapienza architettonica per la quale lo sviluppo del sapere scientifico deve procedere di pari passo all'approfondimento della sapienza spirituale. Sono la materia e lo spirito, infatti, a creare la perpetua danza magica della realtà.
Per questo mi auspico che la Mondadori ripubblichi, in versione aggiornata e ampliata, una nuova edizione di un'opera di cui la nostra epoca avrebbe grande bisogno per fronteggiare la progressiva e arida specializzazione dei saperi, ma che manca sugli scaffali delle librerie da troppo tempo.
 
 
Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, Mondadori.
 
Daniele Palmieri

venerdì 13 dicembre 2019

Algernon Blackwood: I salici. La paura dell'ignoto oltre il velo della natura

"Il sentimento più forte e più antico dell'animo umano è la paura, e la paura più grande è quella dell'ignoto" scrisse H. P. Lovecraft nel celebre saggio L'orrore sovrannaturale nella letteratura. Maestro dell'orrore cosmico, Lovecraft fu in grado, con la sua penna, di generare un pantheon alieno e malefico che ancora oggi influenza non solo la letteratura, ma anche alcune branche dell'esoterismo, della magia e perfino di folli teorie complottiste. Questo perché Lovecraft riuscì abilmente a far leva sulla paura ancestrale nei confronti dello sconosciuto, dell'ignoto, di ciò che si nasconde nella penombra, in grado di terrorizzarci proprio perché fuggevole da ogni forma precisa.
Un abile scrittore come Lovecraft, tuttavia, non nasce dal nulla; come scrisse Borges, gli autori più grandi sono tali poiché in grado di crearsi i propri predecessori, e fu lo stesso Lovecraft a individuare, sempre ne L'orrore sovrannaturale nella letteratura, non solo il suo maestro ma, soprattutto, il racconto che stimolò in lui le orrorifiche fantasie cosmiche.
Si tratta de I Salici di Algernon Blackwood, che Lovecraft definì "il miglior racconto sovrannaturale di tutta la letteratura inglese".
Nato nel 1869 a Londra, Algernon Blackwood fu un giramondo e scrittore inglese e, insieme a Poe, colonna portante, sebbene meno conosciuta, della letteratura gotica e sovrannaturale. Tuttavia, rispetto al più noto scrittore americano che presto avrebbe preso piede in Francia grazie a Baudelaire e agli scrittori maledetti europei, Algernon Blackwood fu relegato alla medesima ombra oscura dalla quale proveniva l'orrore dei suoi racconti.
Difatti, mentre Poe sviscerò nelle sue opere la paura, le ossessioni, le perversioni, i crimini e l'orrore dell'animo umano, Blackwood fu, come il suo erede Lovecraft, il primo topografo dell'orrore metafisico - in grado, sì, di risvegliare le paure umane, ma in questo caso paure ataviche derivanti dall'esistenza oggettiva, e non soggettiva, di entità sovra-umane e sovra-naturali che si nascondono negli anfratti più reconditi della natura selvaggia.
I Salici, novella appena ripubblicata in Italia da Abeditore nella stupenda collana Piccoli mondi (della quale avevo già recensito Il testamento di Magdalen Blair di Crowley) è il miglior esempio non solo della produzione di Blackwood, ma dell'intera letteratura, di questa forma di timore universale.
Protagonisti della novella, due avventurieri che si imbarcano sul Danubio su una semplice canoa partendo da Vienna, alla volta di Budapest. Presto, l'ambiente civilizzato e borghese, fatto di ponti, persone, canali e negozi lascia il posto alla natura selvaggia, attraverso "un'area particolarmente solitaria e desolata, dove le acque si estendono da tutti i lati incuranti di un canale principale, e dove la terra diventa una palude per miglia e miglia, ricoperta da un vasto mare di basse siepi e salici" (Algernon Blackwood, I Salici, Abeditore, p. 7).
Il distacco rispetto al mondo civilizzato sembra ridare vita agli elementi naturali, liberi di sprigionarsi dalle catene della mondanità e dagli argini artificiali. Il Danubio stesso, svincolato dal gioco umano, sembra risvegliarsi e affermarsi sul resto del territorio come un'entità autonoma, dotata di vita, coscienza, volontà e, soprattutto, potenza. "Il Danubio" narra il protagonista "ci aveva colpito sin dall'inizio per la sua carica vitale. A partire dal suo piccolissimo ingresso gorgogliante nel mondo delle pinete [...] fino al momento in cui cominciava a giocare al grande gioco del fiume di perdersi tra le paludi deserte, incontrollato, inosservato, ci era sembrato di seguire la crescita di una creatura vivente. Assonnato all'inizio, ma che aveva poi sviluppato desideri violenti una volta diventato cosciente della sua anima, si snodava come un enorme essere fluido attraverso tutti i paesi che avevamo superato [...] finché col tempo non eravamo arrivati inevitabilmente a considerarlo come un Grande Personaggio" (Algernon Blackwood, I Salici, Abeditore, pp. 13-14).
Ma il Danubio non è l'unico spirito naturale a risvegliarsi durante la loro discesa (o ascesa?) attraverso la natura selvaggia. Presto diventa lo sfondo di un'entità onnipresente, bisbigliante, apparentemente immobile eppure sempre in movimento: i salici. Con la loro fitta rete di spesse radici, che ora si inabissano e ora riaffiorano dalla superficie delle acque, simili a silenti predatori, i salici mangiano e corrodono le sponde del Danubio, incanalandolo ora da una parte, ora dall'altra, dando vita a una miriade di isolotti destinati a svanire al sorgere della Luna, con l'innalzarsi della marea.
Con l'arrivo del tramonto, i due protagonisti sono costretti a fermarsi e si arenano proprio su una di queste isole fragili, circondata da una fitta selva di salici nodosi e contorti. Piantata la tenda, calata la notte, in balia del vento, dei rumori e dei fruscii che sembravano dotati di una propria volontà, presto la mente razionale del protagonista viene infranta da sentimenti nuovi ma, allo stesso tempo, antichi, che erano sempre rimasti sopiti a causa della zona di benessere creata dalla civiltà. Scrive Blackwood:
 
"Si trattava di un sentimento di angoscia così vago che era impossibile risalire alla sua fonte e gestirlo di conseguenza, anche se ero in qualche modo conscio che aveva a che vedere cin la consapevolezza della nostra totale insignificanza di fronte al potere incontrollato degli elementi che mi circondavano. [...] La mia emozione, da quello che capivo, sembrava collegata in modo particolare alle siepi di salici, a questi acri e acri di salici, che si ammassavano e crescevano così fittamente, che ricoprivano tutto a perdita d'occhio, spingendo sul fiume come per soffocarlo, in una formazione compatta per miglia e miglia sotto il cielo, a guardare, aspettare e ascoltare. [...] I salici avevano un collegamento sottile alla mia inquietudine perché attaccavano la mente in modo insidioso a causa del loro numero, riuscendo a rappresentare per l'immaginazione una forza nuova e potente, una forza, inoltre, non amichevole" (Algernon Blackwood, I Salici, Abeditore, pp. 24-25).
 
I salici, che sussurrano alla penombra della Luna, nel cuore della notte, si insinuano come un virus nella mente del protagonista, che per di più si sente imprigionato nel proprio terrore, non volendo né svegliare né parlare delle sue paure con il compagno, temendo che esse possano infettarlo, come un morbo contagioso, risvegliando in lui i medesimi sentimenti. Intanto i salici: "Emanavano un'essenza che tormentava il cuore. Risvegliavano un sentimento di timore, è vero, ma di timore con una punta di vago terrore. I loro ranghi serrati, che diventavano sempre più bui intorno a me mentre le ombre si addensavano, si muovevano furiosamente ma anche dolcemente nel vento, procurandomi la sensazione curiosa e sgradita che avessimo sconfinato in un mondo alieno, un mondo dove non eravamo voluti e inviati a restare - dove forse correvamo grandi rischi" (Algernon Blackwood, I Salici, Abeditore, p. 25).
 
La paura cosmica aumenta quanto, uscendo dalla tenda per controllare la situazione, il protagonista si accorge che, nella notte, le fronde dei salici sembrano assumere forme sempre diverse e che sembrano farsi sempre più vicine, quasi fossero dotate di un'oscura volontà e di una incomprensibile capacità di muoversi e di prepararsi a un agguato fatale. La situazione non migliora, il giorno a seguire, quando il protagonista evince, dal volto del compagno, che anch'egli è stato tormentato dalle medesime paure, anche se nessuno ha il coraggio di dirlo all'altro. Ma un altro elemento perturbante contribuisce all'escalation di terrore: qualcosa ha squarciato il fondo della canoa e i due protagonisti sono costretti, per ripararla, a passare un altro giorno sull'isolotto, che intanto si fa sempre più piccolo a causa della corrente.
Anche in questo caso, Blackwood si dimostra un narratore estremamente abile nel sollevare timori attraverso il non-detto e i dubbi, piuttosto che con l'esplicito e le certezze. La barca sembra squarciata da un agente dotato di volontà, la lama del loro coltello sembra essersi rovinata, eppure sull'isola non ci sono segni di passi, ad eccezione di strani e piccoli fori circolari. Nessuno dei due protagonisti vuole ammettere esplicitamente i suoi dubbi e, alla fine, lo squarcio viene ricondotto a una secca che potrebbero non aver notato prima di approdare. Costretti sull'isola, iniziano a lavorare in silenzio per riparare la fenditura, sperando di riuscire a ripararla in tempo per partire ma consapevoli che avrebbero dovuto passare in quel luogo sovrannaturale un'altra notte insonne.
 
"Ero posseduto da un senso di stupore e meraviglia che non avevo mai provato prima" dice il protagonista "Mi sembrava di avere davanti la personificazione degli elementi della natura di questa regione infestata e primordiale. La nostra intrusione aveva rimesso in moto i poteri del luogo. Eravamo noi la causa dell'interferenza, e il mio cervello si riempì di storie e leggende di divinità e spiriti che erano stati riconosciuti e venerati da uomini di tutte le epoche nella storia del mondo" (Algernon Blackwood, I Salici, Abeditore, p. 51).
 
 
Nemmeno i raggi del Sole sono in grado di scacciare la paura in quel posto alieno; presto, calato il vento, per l'intera palude sembra risuonare un suono sconosciuto, simile al vibrare di un gong o delle campane tibetane.
 
"Un suono non-umano, un suono che va oltre l'umanità" lo definisce il compagno del protagonista, cercando di dargli una connotazione. I due si accorgono che questo suono sembra provenire dai salici, dagli acri e acri di salici che avvinghiano tutto il territorio. Alla fine, la pressione psicologica esplode e il protagonista rompe il muro di silenzio. "Non posso più nasconderlo" dice, "non mi piace questo posto, con l'oscurità e i rumori e le terribili sensazioni che mi provoca" e il suo compagno, che fino ad allora aveva dissimulato un atteggiamento razionale, gli risponde impallidito, rivelandogli che "Non si tratta di una condizione fisica da cui potremmo scappare via [...]. Dobbiamo stringere i denti e aspettare. Ci sono forze, qui, che potrebbero uccidere un'orda di elefanti in un secondo nello stesso modo in cui tu o io potremmo schiacciare una mosca. L'unica nostra possibilità è restare perfettamente immobili. Forse la nostra irrilevanza ci salverà" (Algernon Blackwood, I Salici, Abeditore, p. 103-104).
L'acqua, il vento, la sabbia, il Dabubio, perfino gli stessi Salici si scoprono essere soltanto lo scenario, il portale, di una condizione ignota, che va al di là non soltanto della natura, ma del sovrannaturale stesso. "Tu pensi che si tratti dello spirito degli elementi" dice il compagno del protagonista, "e io pensavo che forse potessero essere gli dei. Ma ora ti dico che non è nessuna delle due. Queste sarebbero entità comprensibili, perché hanno relazioni con gli uomini, che sia per venerazione o per i sacrifici, mentre questi esseri che sono con noi ora non hanno assolutamente nulla a che fare con la specie umana, ed è pura casualità che il loro spazio venga in contatto con il nostro in questo posto" (Algernon Blackwood, I Salici, Abeditore, p. 105).
Né il Danubio né i Salici in quanto entità fisiche o sovrannaturali sono coloro che li stanno tormentando, ma entità-altre, ancor più metafisiche, inconcepibili dalla mente umana, che nei salici hanno trovato rifugio donandogli quella vita perversa che, ora, sembra agognare un sacrificio.
Le entità sovra-sovrannaturali di cui parla Blackwood sono inconcepibili per la mente umana e si possono comprendere solo parlando dell'appartenenza, da parte dell'autore, alla setta esoterica della Golden Dawn. Fondata da Mathers, la Golden Dawn fu il crogiuolo dell'esoterismo novecentesco, congrega iniziatica in cui si formarono Waite, Crowley, Yeats, Bram Stoker e, appunto, lo stesso Blackwood. Al centro degli insegnamenti iniziatici della Golden Dawn vi era la pratica della magia cerimoniale, basata sugli antichi grimori medievali come il Libro di Abramelin, Le Chiavi di Salomone, il Drago rosso, testi che promettono di far entrare il mago in contatto con entità angeliche e demoniache che, spesso, sono descritte con simboli e fattezze totalmente alieni rispetto al linguaggio e alle conoscenze comuni. Non è dunque azzardato ipotizzare che, nel descrivere tale orrore metafisico e queste zone di confine, in cui mondo materiale e sovrannaturale si compenetrano, Blackwood si sia ispirato non solo alle dottrine di tali grimori, ma a esperienze da lui vissute in prima persona durante i riti celebrati dalla Golden Dawn. In uno o più di questi riti, Blackwood potrebbe aver percepito il medesimo terrore cosmico, descritto ne I Salici, di trovarsi vicini a entità eteree, in grado di intaccare la materia e la mente umana, utilizzandole allo stesso tempo come portali e vittime cerimoniali.
Non a caso, la soluzione che il compagno del protagonista propone per liberarsi di Loro è quella di un sacrificio. Ma la reazione scomposta del protagonista, che per un momento cerca di liberarsi di queste paure apparentemente irrazionali, attira l'attenzione delle entità e presto si trovano braccati da ombre sfuggevoli, che emettono il perpetuo ronzio, e che li circondano fino a possedere la mente del protagonista.
"Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo. Ero consapevole solo di un'avvolgente e agghiacciante sensazione di paura che liberava i miei nervi dalla loro protezione di carne, che li torceva da una parte e poi dall'altra e li rimpiazzava tremando. Avevo gli occhi chiusi, qualcosa in gola mi stava strozzando; la sensazione che la mia coscienza si stesse espandendo, estendendosi nello spazio, lasciò lentamente posto alla sensazione che stessi perdendo tutto, che stessi per morire" scrive Blackwood, descrivendo sensazioni estremamente simili a quanto descritto non solo da coloro che hanno vissuto paralisi notturne o viaggi fuori dal corpo, ma soprattutto dagli "invasati dalle divinità" durante le funzioni di magia cerimoniale.
Alla fine, tuttavia, il protagonista riesce a sfuggire, per un soffio, all'atroce destino di essere risucchiato da entità para-naturali. Svenendo, sottrae loro il nutrimento dei suoi pensieri e viene recuperato dai salici dalle braccia del suo compagno. Quando il pericolo sembra passato, anche il suo compagno subisce la medesima possessione e questa volta è il protagonista a salvarlo mentre questi, come ipnotizzato, si stava immergendo tra le acque del Danubio dicendo "di voler andare da Loro e prendere la strada dell'acqua e del vento".
Con il sorgere dell'alba la piena sembra essersi abbassata e il varco spaziotemporale tra le due dimensioni sembra essere venuto meno. I due protagonisti, riparata la barca e sopravvissuti alla terribile esperienza, si preparano a prendere il largo. Ma, prima di lasciarsi alle spalle il terrore cosmico, che probabilmente li tormenterà per tutta l'esistenza, scoprono il sacrificio versato grazie al quale si sono salvati: il corpo morto di un contadino, ghermito dalle radici dei salici, che presto fu trascinato via dalla corrente, simile a un involucro vuoto la cui anima era stata risucchiata da un'entità più grande.
 
Algernon Blackwood, I Salici, Abeditore
 
Daniele Palmieri
 
 

mercoledì 11 dicembre 2019

McKenna: Il cibo degli dei. Le droghe sacre e lo sviluppo della coscienza umana

Terence McKenna è stato uno dei pionieri della controcultura occidentale della seconda metà del XX secolo. Scrittore, filosofo, etnobotanico e, soprattutto, "mistico psichedelico", approfondendì tanto nella scrittura quanto nella pratica le tesi di Huxley, Hofmann e Junger, e studiò l'importanza e gli effetti delle cosiddette "droghe sacre" sulla mente umana. Dopo aver sperimentato ayahuasca, mescalina, peyote, LSD e altri allucinogeni sia naturali sia sintetici, individuò nella DMT, una triptammina presente in molte piante e funghi e perfino nel corpo umano, la "droga spirituale" per eccellenza o, come la definirà Strassman, "la molecola dello spirito". Peculiarità della DMT è, anzitutto, quella di essere una molecola endemica del cervello umano e, soprattutto, quella di "aprire le porte della percezione" in maniera ancora più sorprendente rispetto all'LSD.
McKenna racconta di aver vissuto, attraverso la DMT, esperienze difficilmente descrivibili a parole, in cui il mondo sembrava trasmutarsi lentamente in una nuova dimensione abitata da elfi, folletti e figure eteriche in cui la linea di confine tra la materia e il linguaggio era estremamente labile - a tal proposito, da notare l'incredibile somiglianza con le esperienze fuori dal corpo descritte da Monroe che descrive un mondo in cui pensiero, azione e linguaggio sono una cosa sola.
Ma la cosa più sorprendente è che questo squarcio dietro al velo della materia ha la durata di pochi minuti, dai 7 ai 10, e che presto svanisce come un sogno, senza lasciare alcun effetto collaterale se non il senso di straniamento, la percezione di aver vissuto qualcosa di più rispetto a una semplice allucinazione, di aver varcato la soglia verso un'altra dimensione.
A fronte dei suoi studi e delle sue esperienze con gli stati alterati di coscienza, McKenna si domandò se il loro influsso sullo sviluppo e sulla storia della coscienza, della società e della religiosità umana non sia stato sottovalutato se non volontariamente nascosto, nel corso dei secoli. Il cibo degli dei, recentemente edito da Piano B edizioni, fu scritto da McKenna proprio per fornire una risposta a questi dubbi e per descrivere una versione alternativa della storia umana.
Per sviluppare le sue intuizioni, McKenna parte da uno degli aspetti dell'evoluzione umana più difficili da spiegare con lente mutazioni casuali: i grandi salti avanti nell'albero evolutivo che portarono i primi ominidi a diventare "l'uomo moderno", l'homo sapiens sapiens, in un lasso di tempo relativamente breve e con la comparsa di caratteristiche estremamente complesse, come il linguaggio verbale, ancor più difficile da spiegare nell'ottica delle mutazioni casuali.
Secondo McKenna, il grande anello mancante dell'evoluzione umana non risiede in un ominide, nostro predecessore, ancora sconosciuto, bensì in un "anello vegetale" che, in concomitanza con le variazioni ambientali e la capacità di adattamento dei nostri antenati, ha permesso il sorgere della coscienza umana.
"La mia ipotesi" scrive McKenna "è che i composti chimici mutageni e psicoattivi presenti nella dieta dei primi umani esercitarono un'influenza diretta sulla rapida riorganizzazione della capacità del cervello di elaborare le informazioni. Gli alcaloidi vegetali, e in particolare i composti allucinogeni come la psilocibina, la dimetiltriptammina (DMT) e l'armalina, potrebbero essere stati i fattori chimici presenti nella dieta protoumana che catalizzarono l'emergere dell'autocoscienza umana. L'azione degli allucinogeni presenti in molte piante comuni migliorò le nostre capacità di elaborare le informazioni - la nostra sensibilità ambientale - contribuendo così all'improvvisa espansione della massa celebrale. In una fase successiva di questo processo, gli allucinogeni agirono come catalizzatori nello sviluppo dell'immaginazione, alimentando la creazione di stratagemmi interiori e di speranze, che potrebbero aver sinergizzato con la nascita del linguaggio e della religione" (Terence McKenna, Il cibo degli dei, Piano B edizioni, p. 58).
I grandi cambiamenti climatici a cui furono sottoposti i nostri antenati li costrinsero a dover variare la loro dieta e, di conseguenza, a sperimentare nuovi gusti e nuove sostanze. Casualmente, entrarono in contatto con vegetali contenenti diverse dosi di psilocibina tra i cui effetti, in basse quantità, vi è quello di un aumento della concentrazione, delle facoltà percettive e della capacità di rielaborare le informazioni, caratteristiche che, in un ambiente naturale, possono rivelarsi estremamente utili ai fini della sopravvivenza.
Tale involontaria scoperta portò i nostri antenati a preferire questi cibi, mettendo in moto la macchina della selezione naturale che cominciò a "selezionare" coloro in grado sia di trovarli e consumarli sia di metabolizzarli.
A quello che McKenna definisce "secondo livello di utilizzo", a cui corrisponde un aumento delle dosi di psilocibina, si verifica una maggiore stimolazione del sistema nervoso centrale, che a sua volta innesca una maggiore irrequietezza ed eccitazione sessuale, con il conseguente aumentare delle attività sociali del gruppo e l'instaurarsi di relazioni sempre più complesse, tanto per l'accoppiamento quanto per la ricerca del cibo. A fronte di questo aumento delle relazioni sociali potrebbero essere nate le prime forme di interazione linguistica, soprattutto considerando che la psilocibina possiede un ruolo rilevante come stimolatore delle abilità linguistiche e, come accennato in precedenza, le visioni mistiche vissute dall'autore dopo l'assunzione di DMT possiedono una stretta correlazione con la scoperta di una nuova forma di linguaggio, in cui le parole assumono forme proprie, quasi fossero dotate di vita. Le dosi di tale sostanza aumentarono finché non raggiunsero una quantità tale da risvegliare i primi bagliori della coscienza: l'estasi sciamanica.
Per McKenna, questa rivelazione corrisponde alla terza fase, quando i nostri antenati, dopo il lungo processo di selezione naturale, giunsero a sopportare dosi più elevate di psilocibina, contenenti in funghi potenzialmente velenosi che, allo stesso tempo, possono indurre stati alterati di coscienza che permettono di varcare la soglia verso l'altra dimensione. Bisogna immaginarsi il sorgere della religiosità umana come la scoperta delle estasi mistiche indotte da particolari piante o funghi che, per la prima volta, dispiegarono ai nostri antenati le immagini di un mondo totalmente alieno, popolato da creature eteriche e da forze sconosciute. L'assunzione di tali sostanze divenne, con il tempo, prerogativa di alcuni individui all'interno della società, gli sciamani, appunto, individui in grado non solo di metabolizzare dosi più alte senza avvelenarsi, ma soprattutto di vivere l'esperienza estatica e di tornare poi al mondo comune per narrare agli altri quanto visto e vissuto.
Non a caso, in molti miti e religioni, ricorre l'idea del viaggio dell'eroe, dello sciamano, del mistico o del santo, che è rapito in altri cieli, o che è addirittura sopravvissuto alla morte, per poi far ritorno al mondo comune per raccontare cosa si nasconde dietro il velo della materia.
Queste arcaiche forme di religiosità, strettamente connesse secondo McKenna con la fase lunare e matriarcale della società umana, divennero con il tempo sempre più ritualizzate e strutturate, fino a sfociare in culti religiosi. Non è un caso, secondo l'autore, che al centro degli inni sacri di una delle religioni più antiche della razza umana, la religione Vedica, si trovi il Soma, una bevanda sacra della quale è andata perduta la formula e che, secondo McKenna, consentiva ai bramani di aprire il terzo occhio e vedere la potenza, la vita, la nascita e il perpetuo ciclo delle divinità lodate negli inni vedici.
Non solo in India, ma anche in Europa sostanze psicotrope furono al centro di culti agrari dalla durata millenaria, come i misteri di Eleusi, di fondamentale importanza prima per il mondo Greco e, in seguito, perfino per quello Romano.
Al centro del culto di Eleusi vi erano due figure femminili, quella di Demetra e della figlia Persefone, rapita da Ade e costretta a passare sei mesi nel mondo dei morti e sei mesi in quello dei vivi, sancendo così il passare delle stagioni. La scansioni dei riti e delle cerimonie di Eleuisi non seguiva soltanto il ciclo delle semine e del tempo, ma era anche strettamente connessa all'assunzione, da parte degli iniziati, del citeone, bevanda sacra che permetteva la scoperta dei misteri di Eleuisi. "Nessuno conoscerà mai i misteri di Eleusi" recita un vecchio detto, poiché il culto di Eleusi fu uno dei pochi culti della storia che riuscì a nascondere da orecchie indiscrete i propri segreti. Studiosi come Hofmann, inventore dell'LSD, sostengono che il mistero di Eleusi risieda proprio nella ricetta del citeone, della quale abbiamo soltanto qualche frammento testuale e alcuni indizi grafici.
Secondo McKenna, nel citeone risiederebbe il mistero della nascita della coscienza umana e del culto religioso. Tra i principi attivi, come sostenne Hofmann, potrebbe esserci stato un estratto del fungo della segale cornuta, dagli effetti psicotropi in grado, insieme alla suggestione dell'atto cerimoniale, di suscitare visioni sacre, mai narrate poiché inesprimibili a parole.
L'importanza delle droghe sacre nella comunità umana, tuttavia, andò con il tempo a decadere; non per un disinteresse generale, ma per il sorgere di un nuovo tipo di civiltà. Riprendendo le idee di Bachofen, che vedeva l'evoluzione della società umana come un perenne scontro tra forze lunari, femminee, matriarcali e solari, mascoline e patriarcali, McKenna sostiene che a un certo punto della storia le forze solari e patriarcali presero il sopravvento e, essendo la volontà di dominio, di potenza, di razionalizzazione e di controllo al centro dell'indole solare, presto le droghe sacre furono bandite, perseguitate e dimenticate.
Con l'avvento del controllo gerarchico e di una spiritualità dogmatica, tutto ciò che era associato all'estasi e alla dissociazione di sé assunse tratti demonici, come i voli di streghe del medioevo che, non a caso, venivano accusate di ungersi il corpo con sostanze venefiche in grado condurle, in stato di trance, agli oscuri Sabba nei boschi a cavallo di bestie selvatiche.
Paradossalmente, nella società del dominio che, con il passare dei secoli, si trasformò nella società del dominio economico e commerciale, le droghe sacre e spirituali furono sostituite da droghe edonistiche e commerciabili, come lo zucchero, il caffé, il fumo e l'alcool che possiedono le caratteristiche adatte alla società della produttività: mantenere l'uomo sveglio, attivo, energico per lavorare, salvo poi alienarlo nella propria depressione, intorpidendo i suoi sensi e le sue facoltà mentali attraverso la nicotina e gli alcolici.
McKenna si dimostra molto critico perfino con il tentativo della rivoluzione psichedelica degli anni 60 e 70, a cui egli stesso assistette, decennio che vide tornare in auge le droghe antiche ma riadattate per gli interessi edonistici del secolo precedente (e perfino del nostro) e, di conseguenza, snaturate dalla loro originaria funzione e dalle infinite possibilità che potrebbero offrire allo sviluppo spirituale dell'uomo.
"Se verrà privato della via di fuga nel regno del trascendente e del transpersonale offerta dagli allucinogeni indolici vegetali" scrive McKenna nelle pagine conclusive de Il cibo degli dei, "il futuro dell'umanità sarà desolante. Abbiamo perduto la capacità di essere influenzati dal potere dei miti, e basta dare un'occhiata alla nostra storia per convincerci della fallacità di ogni dogma. Ciò di cui abbiamo bisogno è una nuova dimensione dell'esperienza personale che autentichi, collettivamente e individualmente, le forme sociali democratiche e il nostro ruolo di custodi di questa piccola parte di universo [...]. In un modo o in un altro la storia della scimmia folle è quasi terminata, per sempre. Il nostro destino è di voltare le spalle senza rimpianti a ciò che è stato e di affrontare noi stessi [...] è tempo di prendere i nostri attrezzi, i nostri animali e i nostri sogni e partire verso il paesaggio visionario di una comprensione più profonda. E lì, dove siamo sempre stati più a nostro agio, potremo sperare di trovar gloria e trionfo nella ricerca del significato nella vita infinita dell'immaginazione, e giocare infine nei prati di un Eden ritrovato" (Terence McKenna, Il cibo degli dei, Piano B edizioni, pp. 351-354).
 
Terence McKenna, Il cibo degli dei. Alla ricerca del vero Albero della Conoscenza, Piano B Edizioni
 
Daniele Palmieri

venerdì 6 dicembre 2019

Robert Monroe: I miei viaggi fuori dal corpo

Robert Monroe era un semplice uomo d'affari americano, noto in America soprattutto come autore e regista, che aveva fatto carriera nel mondo dello spettacolo prima fondando la propria società di programmi radio e poi la propria TV via cavo. Un'esistenza apparentemente semplice e triviale, volta al benessere in questo mondo, finché non fu "l'altro mondo" a fargli visita.
Era una domenica pomeriggio del 1958. Robert Monroe era solo, in casa, mentre la sua famiglia si trovava in chiesa. Approfittando della solitudine, Monroe era steso sul letto, nel limbo tra il sonno e la veglia, quando improvvisamente: "un raggio o un fascio di raggi sembrò uscire dal cielo [...] fu come essere colpiti da una luce calda [...]. Dapprima pensai che fosse la luce del sole [...]. L'effetto che il raggio ebbe sul mio corpo, quando lo colpì, fu di farlo scuotere violentemente o vibrare. Non potevo assolutamente muovermi; era come se fossi serrato in una morsa" (R. Monroe, I miei viaggi fuori dal corpo, Meb, p. 23). Alla fine riuscì a liberarsi dalla stretta, senza alcuna apparente ripercussione psicofisica, ma nelle sei settimane a seguire il fenomeno si ripresentò per altre nove volte, sempre con le medesime caratteristiche: nel dormiveglia, la sensazione di imprigionamento e di forti vibrazioni che scuotevano il suo corpo.
Preoccupato per la sua condizione fisica, Monroe si fece visitare da un medico che, tuttavia, non trovò nulla di inconsueto. Il fenomeno sembrava non avere alcuna ragione fisica. Liberatosi dalla paura di una grave malattia, Monroe poté iniziare a osservare il fenomeno senza preoccupazione. A parte l'apparizione di uno strano anello di energia sopra la sua testa, che spesso si presentava insieme alle vibrazioni corporee, sembrava tuttavia che esse non conducessero a nulla, finché, una notte, mentre giaceva nel letto con un braccio che penzolava sfiorando le coperte, tentò qualcosa che non aveva mai fatto in precedenza: muoversi durante la manifestazione del fenomeno vibratorio. "Senza pensare né rendermi conto che riuscivo a muovere le dita durante la vibrazione, spinsi le punte delle dita contro la coperta. Dopo un attimo di resistenza ebbi la sensazione che le mie dita penetrassero nella coperta e toccassero il pavimento sottostante. [...] Spinsi la mano ancora più in basso. Le dita attraversarono il pavimento e sentii la superficie ruvida del soffitto della stanza sottostante" (R. Monroe, I miei viaggi fuori dal corpo, Meb, p. 26).
Monroe si rese conto di essere cosciente; non era una visione, né un sogno lucido. Era sveglio, nella sua stanza e nella sua casa, della quale riusciva a vedere ogni particolare. Eppure, pur essendo sveglio e nella sua casa, era come se il suo braccio non si trovasse più nel suo corpo. Spaventato, ritrasse il braccio per paura di perderlo una volta terminate le vibrazioni. Ma questi strani fenomeni non erano destinati a cessare finché una notte, inconsapevolmente, Monroe si ritrovò a fluttuare vicino al soffitto, potendo vedere non solo il corpo di sua moglie, ma anche il suo, addormentati sul letto.
Superato il timore di morire o di essere morto, una volta compresa la possibilità di poter uscire e rientrare dal suo corpo a suo piacimento ogni volta che si manifestava quel curioso fenomeno vibratorio, Monroe diede il via a una nuova esplorazione: l'esplorazione dei viaggi fuori dal corpo, di cui I miei viaggi fuori dal corpo, edito nell'ormai introvabile edizione MEB, è un lucido e razionale resoconto.
Di primo impatto si potrebbe pensare a fenomeni allucinatori, a visioni o a semplici sogni lucidi. Ma leggendo il testo di Monroe ci si trova di fronte a un'analisi talmente dettagliata e disinteressata della sua esperienza che nulla porta a credere che egli stia mentendo, soprattutto a fronte delle centinaia di testimonianze di persone che ritengono di aver vissuto esattamente le stesse esperienze di "distacco" dal corpo, sempre scandite dai medesimi fenomeni ricorrenti.
L'opera di Monroe ricorda i diari di viaggio dei primi esploratori nelle Americhe e nel Pacifico; sembra di trovarsi di fronte a territori così alieni, meravigliosi, inquietanti e perturbanti da essere incredibili, ma con la consapevolezza che questi viaggiatori, seppur hanno ingigantito i loro racconti, hanno visitato terre che tuttavia esistono e che forse sono ancora più belle e magiche di quanto le loro parole possano testimoniare. E, come i viaggiatori di un tempo, ne I miei viaggi fuori dal corpo Monroe cerca di raccontare non solo quello che ha visto, vissuto e provato, ma tenta di tracciare una topografia tanto del corpo quanto dei territori invisibili, che egli definisce Secondo Corpo e Secondo Stato, tentando di ricondurre a un'analisi razionale ciò che apparentemente sembra fuggire alla ragione.
Da questo punto di vista, rispetto ad altri testi sul tema, Monroe possiede una finezza analitica degna di uno psicologo; utilizzando come "fonte di studio" il suo diario personale, in cui ha descritto le principali esperienze vissute fuori dal corpo, Monroe cerca di trarre da esse degli elementi ricorrenti che siano in grado di inquadrare il fenomeno del viaggio fuori dal corpo (o del viaggio astrale) come un'esperienza non solo possibile, ma tangibile, concreta e alla portata di chiunque voglia farne esperienza, che non possiede nulla di miracoloso ma che, anzi, rappresenta una realtà soggetta ad analisi "scientifica" quanto il mondo materiale.
Come accennato, i concetti cardini della teoria del viaggio astrale di Monroe sono due: quello del Secondo Corpo e quello del Secondo Stato.
Il Secondo Corpo non è un semplice duplicato del corpo fisico. Lo è solo in apparenza, durante i primi viaggi astrali, poiché esso si trascina dietro la forma del corpo fisico a causa dell'idea che abbiamo di noi stessi. Così, il nostro inconscio lavora sul Secondo Corpo anche quando esso si è astratto dal mondo materiale e, siccome pensiamo di essere ancora "l'Io" che agisce nella vita quotidiana, ecco che il pensiero plasma un feticcio a immagine e somiglianza del nostro "Io materiale". Eppure, nel Secondo Stato il pensiero possiede una forza creatrice; o, meglio, il Pensiero è la materia del Secondo Stato e, di conseguenza, il Secondo Corpo assume la forma che pensiamo o vogliamo avere. Di conseguenza, la sua manifestazione "pura" è più simile a quella di un amorfo globo di luce.
Secondariamente, il Secondo Corpo non è immateriale. Esso, seppur composto di una materia sottile e rarefatta, a densità così bassa da poter passare attraverso le pareti, ha tuttavia un peso ed è soggetto ad attrazione gravitazionale. Ne consegue che, nel momento in cui esso irradia o è irradiato da luce nello spettro conosciuto, esso risulta visibile dal prossimo anche in stato di veglia e anche nel mondo materiale. Da ciò potrebbero derivare gli antichi miti legati alla bilocazione, ai viaggi spaziotemporali e ai fenomeni inspiegabili di apparizione.
Anche i sensi, dunque, sono simili a quelli del mondo materiale, soprattutto quello del tatto.
In terzo luogo, collegare il corpo fisico al Secondo Corpo vi è un cordone argentato, testimonianza non solo del legame tra i due aspetti dell'Io, quello materiale e quello eterico, ma probabilmente canale di comunicazione attraverso il quale il corpo fisico può interagire con il Secondo Corpo per comunicargli segnali di pericolo durante il viaggio astrale.
Nel Secondo Stato, che tra poco andremo ad analizzare, il Secondo Corpo opera come l'io cosciente nella vita quotidiana materiale; in altri termini, a differenza di quanto avviene nel sogno e nelle allucinazioni, fenomeni in cui il nostro io è ridotto a una marionetta passiva in balia di quanto accade, durante i viaggi astrali nel Secondo Stato il Secondo Corpo è inserito in un contesto continuo, del quale ha consapevolezza, in cui può prendere decisioni, provare emozioni, esplorare l'ambiente in maniera creativa e non automatica, sviluppare degli eventi in sequenza senza che si verifichino, come nei sogni, loop temporali o continue metamorfosi. Tuttavia, nelle prime esperienze vissute fuori dal corpo, complice l'inesperienza e la difficoltà di padroneggiare questo nuovo stato, ci si sente travolti dalle pulsioni soggettive primordiali, quali la paura, l'amore, il sesso e, forse perché disabituati a espandere la propria volontà in questi nuovi territori, occorre uno sforzo per riconquistare la libertà cosciente nei confronti delle proprie azioni.
Altra differenza tra il corpo materiale e il Secondo Corpo è l'inesistenza della differenza tra pensiero e azione; nel Secondo Corpo, pensare è agire, poiché nel Secondo Stato tutto è permeato dal pensiero e il pensiero stesso è la forza motrice di quanto avviene.
Il Secondo Stato è un luogo metafisico che, tuttavia, come il Secondo Corpo, non è frutto di un sogno o di una allucinazione, ma è una realtà concreta come il mondo materiale che, insieme ad essa, sembra formare un Multiverso in perpetuo divenire, più ricco di quanto possiamo sospettare.
A tal proposito, Monroe suddivide il Secondo Stato in tre Localizzazioni, ossia tre "universi" nel quale ci si può ritrovare a seguito del viaggio astrale, ciascuno con le proprie caratteristiche.
La Localizzazione 1 è una versione eterica del nostro mondo. Non vi è nulla di estremamente nuovo e sorprendente; i luoghi sono quelli a noi familiari, soltanto più evanescenti e permeati dal pensiero che permette di trascendere i limiti spaziali e temporali. La novità risiede dunque nel diverso modo di approcciarsi alla proiezione astrale del mondo familiare, in cui siamo in possesso di un Secondo Corpo che, a differenza del corpo fisico, può allungarsi, prendere il volo, passare attraverso le pareti, comunicare senza parlare. Come sostiene Buhlman, altro "viaggiatore astrale" autore de Avventure fuori dal corpo (Macro Edizioni), è probabile che questa Localizzazione 1 altro non sia che una proiezione collettiva creata nella dimensione astrale dal pensiero degli uomini, esattamente come il pensiero plasma il simulacro del nostro corpo durante le prime esperienze al di fuori di esso. Resta tuttavia la possibilità ad ora inspiegabile, di cui Monroe porta diverse testimonianze, di potersi materializzare nel mondo materiale a persone terze durante un viaggio fuori dal corpo, come se ci fosse un effettivo collegamento tra il mondo materiale e la Localizzazione 1.

Mentre la Localizzazione 1 rappresenta un ambiente familiare e a nostra portata, con la Localizzazione 2 ci addentriamo in un territorio del tutto alieno. Stando a quanto scrive Monroe: "La Localizzazione 2 è un ambiente immateriale, dove le leggi del movimento e della materia sono collegate a quelle del mondo fisico solo in modo molto remoto. E' un'immensità dai confini sconosciuti, la cui profondità e dimensioni sono incomprensibili per la mente cosciente, delimitata. In questa vastità stanno tutti gli aspetti che attribuiamo al paradiso e all'inferno [...]. Essa è abitata da entità fornite di gradi di intelligenza diversi, con cui è possibile comunicare. [...] Il tempo così come viene inteso nel mondo fisico non esiste. C'è una successione di eventi, un passato e un futuro, ma nessuna suddivisione ciclica. Il passato e il futuro continuano a esistere contemporaneamente al presente. Le unità di misura [...] sono inutili" (R. Monroe, I miei viaggi fuori dal corpo, Meb, p. 63). In questo territorio metafisico, del tutto affine alle visioni descritte dai mistici delle grandi religioni (come non pensare alla concezione del tempo di Agostino d'Ippona), il pensiero è la fonte di tutto; esso è "la forza che soddisfa ogni necessità o desiderio". Nella Localizzazione 2, ogni cosa sembra provenire da tre fonti: il prodotto del pensiero di coloro che vivono o che vissero nel mondo fisico; le emozioni o ciò che suscitava emozioni in coloro che vivono o che vissero nel mondo fisico; l'influenza di intelligenze altre, non umane, che sembrano rendere coerente il tutto in modo da amalgamarlo in una realtà-pensiero simile, come già sosteneva Monroe, a un unico inferno-purgatorio-paradiso, ma spogliato da qualsiasi accezione religiosa o morale. La Localizzazione 2 sembra quasi un territorio intermedio in cui, come nella Localizzazione 1, ci si trova di fronte al feticcio della vita quotidiana, ma reso ancora più astratto e metafisico, come se la materia fosse stata sostituita dalla fluidità del pensiero e delle emozioni. Secondo Monroe, la Localizzazione 2 è il luogo naturale del Secondo Corpo, quasi fosse caduto nel corpo fisico da esso. Anche in questa intuizione di Monroe sembrano riecheggiare teorie antiche, come quelle dei neoplatonici (Plotino, Porfirio, Proclo, Giamblico) per i quali l'anima umana altro non era che un'intelligenza caduta da sfere più elevate. Correggendo quanto sostiene Monroe, si potrebbe dunque sostenere che la Localizzazione 2 altro non sia che un territorio temporaneo per il Secondo Corpo, fatto a immagine e somiglianza di quanto sperimentato nel mondo fisico per rendere meno traumatico il distacco. Un territorio di purificazione, nel quale ci si porta dietro le emozioni, i pensieri e le impurità del mondo materiale per liberarsi da esse, in una realtà fittizia, un artificio del pensiero, per poi librarsi verso vette più elevate. Tant'è che all'interno della Localizzazione 2 Monroe descrive sia luoghi idilliaci, del tutto simili ai campi elisi o al paradiso dantesco, quanto esseri e regioni spaventose e "infernali", crogiuolo di istinti carnali in cui i Secondi Corpi più materiali sembrano essersi raggruppati, non del tutto intenzionali a lasciarsi alle spalle il mondo fisico.
Monroe descrive, infine, la Localizzazione 3 che, contrariamente a quanto si possa pensare, non è un territorio ancora più "alto" e "trascendente" rispetto ai precedenti, ma una sorta di universo parallelo, forse uno tra l'infinità di universi di cui è composta la realtà. Monroe dice di esserci pervenuto attraverso "un foro" che gli era possibile vedere girando di 180° il Secondo Corpo all'interno del corpo fisico; un vero e proprio "passaggio segreto" astrale, passaggio verso un'altra dimensione. "La Localizzazione 3" scrive Monroe "si rivelò essere un mondo di materia fisica quasi identico al nostro. L'ambiente naturale è lo stesso. Ci sono alberi, case, città, gente, costruzioni e tutti gli altri elementi propri di una civiltà civilizzata [...]. [Tuttavia] lo sviluppo scientifico è trascurabile. Non ci sono apparecchi elettrici di alcun tipo [...]. Viene usata energia meccanica [...]. Le usanze e le abitudini non sono come le nostre. Quel poco che ho visto indica che ci sono precedenti storici con avvenimenti, luoghi e date diversi. Mentre il grado di evoluzione dell'uomo sembra essere identico, l'evoluzione tecnica e sociale non è del tutto uguale alla nostra" (R. Monroe, I miei viaggi fuori dal corpo, Meb, p. 79-80). All'interno della Localizzazione 3 Monroe trovò perfino un proprio doppio, nel quale parve "incarnarsi" dando luogo a curiosi fraintendimenti con i conoscenti del suo "io" nella Localizzazione 3.
Come accennato in precedenza, dunque, mentre la Localizzazione 1 e la Localizzazione 2 sembrano ascendere verso realtà sempre più metafisiche, la Localizzazione 3 altro non sarebbe che una realtà parallela del nostro mondo, una tra le infinite possibili che Monroe potrebbe aver visitato attraverso il "passaggio stretto". A suggerire l'esistenza di altre Localizzazioni più alte, in grado di ascendere verso territori più elevati al di là della Localizzazione 1 e 2, una barriera invalicabile che lo stesso Monroe sostiene di aver incontrato all'interno della Localizzazione 2. Che si tratti di una barriera valicabile una volta lasciato il mondo fisico? O forse una Localizzazione accessibile soltanto a coloro che hanno intrapreso determinati percorsi spirituali? Dal racconto di Monroe, nulla ci è dato sapere, se non il fatto che ad egli non era concesso superare tale ostacolo.
A conclusione di questa lunga disamina sul testo di Monroe, dato che, secondo l'autore, a chiunque è dato poter vivere tali esperienze, ci soffermeremo dunque sulle tecniche di separazione per poter accedere a questi mondi invisibili.
Il primo grosso ostacolo da superare è quello della paura. Dato che siamo abituati, dalla nascita, a convivere con il nostro corpo, uscire da esso potrebbe sembrare traumatico. Ma, a tal proposito, Monroe rassicura; non ci sono pericoli nel viaggio astrale e, al minimo segnale di pericolo, sia esso materiale o astrale, il nostro Secondo Corpo si proietterà immediatamente nel corpo fisico.
Secondariamente, occorre indurre uno stato di assoluto rilassamento. Occorre liberarsi dal senso di urgenza; non si deve avere fretta, si deve liberare la mente da tutte le preoccupazioni, gli impegni, i pensieri sul passato e sul futuro. Per immergersi in un luogo senza tempo, occorre trascendere il limitato tempo quotidiano. Attraverso il controllo del respiro e il rilassamento del proprio corpo, si deve poi accedere allo stato di dormiveglia, quando i pensieri iniziano a defluire liberamente trascinandoci nel sonno e nel sogno. Questo è il momento più difficile, in cui i pensieri cercheranno di trascinare nel sonno la coscienza. Ma questa deve rimanere "aggrappata" alla testa, deve lasciare che il corpo si addormenti da solo, e con esso tutti i pensieri. Scrive Monroe: "coricatevi, preferibilmente quando siete stanchi e assonnati. Man mano che vi rilassate e cominciate a scivolare nel sonno, fissate la vostra attenzione mentale su qualcosa, a occhi chiusi. Quando sarete in grado di mantenervi in stato di dormiveglia indefinitamente senza addormentarvi, avrete superato il primo stadio" (R. Monroe, I miei viaggi fuori dal corpo, Meb, p. 162). Arrivati a questo stadio, bisogna riuscire anche ad abbandonare l'ultimo pensiero sul quale abbiamo fissato la nostra concentrazione, rimanendo sospesi tra il sonno e la veglia senza pensare a nulla. Bisogna guardare, a occhi chiusi, l'oscurità dinnanzi a noi, seguendo il libero sgorgare dei disegni luminosi e delle figure mentali. A questo punto "Guardate nel buio verso un punto. trenta centimetri dalla vostra fronte, poi spostate questo punto di concentrazione a circa novanta centimetri e poi a centoottanta. Fermatevi un istante. Di qui spostate il punto a 90° verso l'alto, su una linea parallela all'asse del corpo e che si prolunga sopra la vostra testa. In quel punto esatto cercate le vibrazioni. Quando le avrete trovate richiamatele mentalmente dentro alla testa" (R. Monroe, I miei viaggi fuori dal corpo, Meb, p. 165). A questo punto il viso, o tutto il corpo, dovrebbe essere investito da vibrazioni, simili a scosse elettriche che pervadono ogni muscolo. Bisogna riuscire a non farsi intimorire e lasciare che esse fluiscano, rimanendo calmi e rilassati e, anzi, favorendo il loro reflusso lungo tutto il corpo.
In stato vibrazionale, bisogna infine tentare di muoversi, partendo dai singoli arti. Si pensi di muovere il braccio o la mano in direzione di qualcosa, per tastarla e toccarne i particolari. Si sentirà la sensazione di distacco dell'arto e si percepirà la possibilità non solo di poterlo allungare a piacimento, ma perfino di poter toccare e allo stesso tempo attraversare gli oggetti. Dopo questi primi esercizi sarà poi possibile distaccarsi per intero, inizialmente pensando di fluttuare sopra al proprio corpo fisico, poi provando ad alzarsi con il Secondo Corpo, lasciando il corpo fisico nel letto, per esplorare la casa o la stanza, oppure ruotando di 90 o 180° con il Secondo Corpo rispetto al corpo fisico. Presa, infine, familiarità con questa nuova dimensione, sarà possibile spaziare negli infiniti meandri di questa nuova realtà fatta di puro pensiero.
 
Roberto Monroe Monroe, I miei viaggi fuori dal corpo, Meb
Daniele Palmieri