sabato 12 febbraio 2022

Rudolf Steiner: I Sei Esercizi per lo sviluppo dell'anima

 

Proseguiamo l'approfondimento del pensiero di Rudolf Steiner con questo terzo articolo, che va a completare Introduzione alla lettura di Rudolf Steiner e Rudolf Steiner e La Soglia del Mondo Spirituale.
In entrambi gli articoli abbiamo parlato dell'approccio esperienziale al sovrasensibile tracciato da Rudolf Steiner. Un approccio che lo pone a metà strada tra il mistico e lo scienziato. La sua idea, infatti, era quella di applicare il metodo della scienza sperimentale al mondo sovrasensibile, senza abbandonarsi a esso in preda all'estasi ma cercando di mantenere il controllo della coscienza per poter esplorare e analizzare le visioni e coglierne il loro profondo significato. Un approccio che, come potete immaginare, attirò critiche da entrambi i fronti. Da quello scientifico, per ovvi motivi epistemologici, ma anche da quello esoterico e spirituale. A dir poco spietati, nei suoi confronti, furono Guenon ed Evola, ma anche un altro autore in bilico tra mondo scientifico e mondo spirituale come Gustav Jung, che nelle sue opere non riusciva a vedere altro che visioni personali senza alcuna "profondità archetipica".
Pur non condividendo le derive visionarie di molte opere di Steiner, ritengo tuttavia che il suo pensiero abbia qualcosa di misterioso e affascinante e che la sua esperienza spirituale, al pari di quella di uno Swedenborg, sia da studiare e da comprendere proprio per la sua eccentricità. 
Ciò che lo contraddistingue da altri autori simili, come Jakob Lorber, è il voler condividere come egli sia stato in grado di poter accedere a queste visioni. Le opere scritte di suo pugno sono testi essenzialmente pratici. Essi vogliono spiegare al lettore come immergersi in questi reami sovrasensibili. Da questo punto di vista, una agile introduzione è un breve libello redatto raccogliendo i molti cenni che lo stesso Steiner, in molte sue opere, fa in riferimento a Sei Esercizi Spirituali fondamentali per schiudere la Soglia del Mondo Spirituale. Questi esercizi, secondo l'autore, non hanno il compito di creare nuove forze ma di sviluppare quelle già esistenti nell'animo umano, poiché "da sole esse non si sviluppano, poiché trovano impedimenti interni ed esterni. Quelli esterni vengono rimossi con le regole di vita indicate qui; quelli interni grazie a particolari indicazioni sulla meditazione e la concentrazione" (Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, Editrice Antroposofica, p. 13).
In ordine progressivo, questi sei esercizi devono essere svolti per il periodo di un mese e sono così suddivisi:

1) L'esercizio del pensiero. "La prima condizione è l'acquisizione di un pensiero perfettamente chiaro. A tale scopo, sia pure per breve tempo, anche solo per cinque minuti al giorno, ci si deve rendere liberi dal confuso vagare dei pensieri. Bisogna divenire padroni del proprio mondo di pensiero. Non se ne è padroni se le condizioni esterne [...] determinano un nostro pensiero e il modo in cui si sviluppa" (Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, pp. 14-15). Un esercizio comune a molte scuole religiose, spirituali, filosofiche ed esoteriche, che consente alla coscienza di alienarsi dal mondo materiale per raccogliersi in se stessa e riscoprire ciò che ha davvero valore, in questa dimensione lontana dove non penetra il brusio della vita quotidiana che, quotidianamente, ci trascina verso il basso. Una sorta di "digiuno dell'anima", al quale, in seguito, deve subentrare la capacità di concentrarsi su un unico pensiero, a nostra scelta, senza mai distogliere lo sguardo interiore. Questo esercizio permette di sviluppare la "volontà del pensare", che consente all'animo di riprendere dominio sulla  sua facoltà più importante. L'esercizio deve essere concluso pensando di riversare il pensiero dal capo alla linea mediana della schiena. 
2) L'esercizio della iniziativa all'azione. "Si cerchi di immaginare un'azione qualsiasi che di certo non si compirebbe secondo le consuete abitudini di vita. Si trasformi questa azione i un dovere quotidiano" (Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, p. 15). Questo esercizio permette di espandere la volontà del pensiero sul corpo e, soprattutto, di infrangere gli automatismi che ci portano ad agire sempre nello stesso modo. Esso è in grado, allo stesso tempo, di rivelare la natura abitudinaria e automatica delle nostre azioni, ma anche di infrangerla con il potere della consapevolezza. Trascorsi un po' di giorni, occorre aggiungere una seconda azione alla prima, e poi una terza e così via, propria per evitare che subentri un nuovo automatismo e per abituare l'anima e il corpo a esperienze sempre nuove. Il tutto senza abbandonare il primo esercizio.
3) L'esercizio della superiorità nei confronti delle emozioni. "Si badi a non farsi trascinare da una gioia, o abbattere da un dolore, a non farsi trasportare dall'ira o alla collera smisurata da alcuna esperienza, a non farsi riempire d'angoscia o di paura da nessuna attesa, che nessuna situazione ti sconvolga e così via" (Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, p. 16). Questo esercizio non deve sfociare nell'aridità ma, oltre a estendere il dominio della volontà sulle emozioni, consente di veder sorgere nuovi sentimenti, purificati da un'anima non più in balìa degli eventi esterni ma che, al contrario, è in grado di gestire in maniera consapevole i propri moti interiori. Il sentimento che sorge deve essere irradiato in tutto il corpo, dalla testa ai piedi e almeno una volta al giorno si dovrà meditare su questa quiete interiore, come davanti a uno specchio.
4) L'esercizio della positività. "Consiste nel cercare ciò che vi è di buono, di eccellente, di bello, in tutte le esperienze, le entità e le cose" (Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, p. 16). Il mondo spirituale è un reame totalmente alieno rispetto al mondo materiale. Così, bisogna imparare a scorgere nel reale ciò che non si era mai stati in grado di notare prima, per sviluppare la capacità di stupirsi e, soprattutto, per riuscire a trovare la Soglia nascosta al mondo dello spirito. Esso inoltre permette di non farsi trascinare dalle catene della critica continua e di liberarsi dagli eccessivi giudizi nei confronti del mondo, ad accettare le cose che accadono distaccandosi da esse e usando la forza ascendente della positività. "Chi per un mese di seguito s'indirizza coscientemente in tutte le sue esperienze verso il positivo, osserverà a poco a poco che nella sua interiorità si insinua una sensazione come se tutta la sua pelle divenisse permeabile da ogni parte, come se la sua anima si aprisse ampiamente a tutti i processi sottili e occulti dell'ambiente che prima sfuggivano del tutto alla sua attenzione" (Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, p. 18)
5) L'esercizio della assenza dei pregiudizi. "Nel quinto mese si cerchi di educare in se stessi l'attitudine a porsi senza pregiudizi di fronte a ogni nuova esperienza. Il discepolo esoterico deve affrancarsi del tutto dal comune atteggiamento di chi dice, per ogni cosa appena vista o udita: Non l'ho mai udita, non l'ho mai vista, non ci credo, è un'illusione! Egli deve essere pronto in ogni momento ad affrontare esperienze completamente nuove" (Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, p. 18). Questo esercizio è strettamente collegato allo senso di stupore nei confronti del mondo dell'esercizio precedente ma consente anche di sviluppare quell'apertura, fondamentale, nei confronti delle realtà apparentemente incredibili del mondo spirituale. Esso consente il destarsi di un sentimento sottile, come se qualcosa di meraviglioso fosse sempre in agguato, come se tutto, in ogni momento, possa sempre accadere, come se non vi fosse nulla di impossibile, esattamente come nel mondo spirituale e nel suo divenire perpetuo di forme e visioni.
6) L'esercizio dell'equilibrio. "Nel sesto mese si deve tentare di intraprendere sistematicamente l'esecuzione di tutti e cinque gli esercizi, in regolare alternanza. Si formerà così, poco a poco un armonioso equilibrio dell'anima. Si noterà ad esempio come la scontentezza e l'insofferenza verso il manifestarsi e l'essere del mondo spariscano del tutto, per lasciare posto a una disposizione conciliante verso le esperienze. Non si tratta di indifferenza, ma di una nuova facoltà che ci rende capaci di lavorare nel mondo, migliorando e progredendo. Si schiude all'anima una calma comprensione di cose che prima erano del tutto celate" (Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, pp. 18-19).
Credo che, indipendentemente dal giudizio che si può formulare nei confronti della persona e dell'esperienza intellettuale di Steiner, questi sei esercizi si possano integrare facilmente a molti sentieri spirituali, senza dover necessariamente sposare l'intero sistema di pensiero dell'autore. Si trattano, infatti, di inviti all'azione piuttosto che di inviti all'idea, in grado di smuovere le medesime forze che, sempre secondo Steiner, sono in grado di far sbocciare il fiore di loto.

Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, Editrice Antroposofica

Fonte immagine: Pinterest

Daniele Palmieri

Rudolf Steiner: La Soglia del Mondo Spirituale

 

Con questo articolo tiro le fila di due discorsi. Il primo, legato all'approfondimento dei reami psichedelici di cui ci siamo occupati negli ultimi tre articoli del blog e il secondo legato a un autore che, pur non avendo alcun legame con la cultura psichedelica, ha lasciato in eredità una serie di descrizioni e visioni dei reami spirituali. Sto parlando del controverso Rudolf Steiner, al quale, ad agosto 2021, avevo dedicato una introduzione, con la promessa di proseguirla (mi riferisco all'articolo Introduzione alla lettura di Rudolf Steiner).
Questi due discorsi, a un livello superficiale, non hanno nulla in comune. Nessun autore psichedelico, almeno quelli di cui mi sono occupato, ha mai mostrato né simpatie né il minimo interesse per la figura di Rudolf Steiner; e lo stesso Rudolf Steiner era molto critico nei confronti di qualsiasi forma di "droga materiale", prediligendo le visioni indotte dalla sua "scienza dello spirito", che prevedeva lunghi esercizi di pensiero, concentrazione, meditazione, visualizzazione, educazione delle emozioni e via dicendo per risvegliare nell'uomo i sensi spirituali.
Eppure, mi trovo spesso, per i miei interessi, ad accostare letture apparentemente in antitesi tra di loro, salvo poi scoprire peculiari punti di contatto che, piuttosto che esacerbare il conflitto, non fanno altro che rivelare l'intrinseca unità di ogni forma di sapere (mi era già successo leggendo in parallelo Iniziazione all'Ermetica di Franz Bardon e La tecnica dell'autoipnosi di Ronald Shone).
Un aspetto peculiare delle esperienze psichedeliche è di mettere in contatto l'uomo con un reame spirituale che non solo sembra dotato di vita propria, ma che trasmette un senso di realtà superiore alla realtà stessa. Le visioni indotte dalle sostanze psicoattive hanno una ontologia a se stante, totalmente differente dai sogni e dalle allucinazioni. Quando sogniamo crediamo nel sogno finché vi siamo immersi; ma quando il sogno finisce, per quanto vivide potessero essere le visioni, cessiamo di credervi. Allo stesso modo l'allucinazione si rivela in quanto tale all'allucinato nel momento in cui cessa questo stato mentale alterato, sempre che avrà modo di ricordarselo. Tutto questo non avviene con le visioni psichedeliche. Esse immergono la coscienza umana in una realtà la cui veridicità non è messa in dubbio né prima né dopo l'esperienza. Lo stesso avviene durante le visioni spirituali indotte dalle pratiche di meditazione, ascesi e visualizzazione, come se nella coscienza si schiudesse una soglia, un varco verso un altro mondo. 
Ho trovato una descrizione perfetta di questo varco e delle sensazioni spirituali che contraddistinguono il passaggio proprio in un breve testo di Steiner: La soglia del mondo spirituale (Editrice Antroposofica), uno dei pochi testi scritti di suo pugno e che, dunque, come abbiamo visto nel precedente articolo, non peccano della ridondanza e della astrusità tipica dei suoi libri stenografati.
La soglia del mondo spirituale è un breve scritto che lo stesso Steiner aveva pensato come introduzione al suo pensiero. Ma ritengo che esso sia molto di più di una semplice introduzione. Nella sua linearità e concisione è in grado di descrivere in maniera magistrale le prime sensazioni che si provano quando si entra in contatto con "l'altro mondo", il reame che si nasconde al di là della materia, e qual è l'aspetto e la natura di questa soglia che si schiude solo a determinate condizioni. Gran parte delle descrizioni contenute in questo testo presentano molte affinità con le sensazioni del "passaggio" che si prova proprio all'insorgere dell'esperienza psichedelica, quando la coscienza abbandona i suoi orpelli contingenti e si abbandona alla totalità, entrando in contatto con un mondo dirompente. 
Questo senso di totalità, secondo Steiner, è il primo requisito da acquisire quando ancora si è "al di qua" della soglia, partendo dalle base stessa della coscienza: il pensare. "Il pensare" scrive Steiner "offre all'anima il conforto che le è necessario di fronte al sentimento di essere abbandonata dal mondo. [...] Che cosa sono io, nell'infinito flusso degli eventi universali, col mio sentire, col mio desiderare e volere, che hanno importanza solo per me? [...] Il pensare, che è connesso con quegli eventi del mondo, accoglie te insieme con la tua anima; tu vivi entro questi eventi, quando pensando ne accogli l'essenza. Ci si può sentire accolti dal mondo [...] non soltanto io penso, ma si pensa in me; il divenire del mondo si esprime in me; la mia anima offre soltanto il campo d'azione nel quale il mondo si esplica sotto forma di pensiero" (Rudolf Steiner, La soglia del mondo spirituale, Editrice Antroposofica, p. 11).
Questa "esperienza di picco" nel mondo materiale permette alla coscienza di iniziare a dilatarsi, di allargare i propri confini al di là di quelli del proprio cranio e a riconoscersi non soltanto come spettatrice passiva del mondo, ma come palcoscenico in cui il mondo stesso si riversa, un agente attivo con il mondo. Il pensare stesso, da questa prospettiva, diventa un "essere accolti" dal mondo, insinuarsi nel flusso del suo divenire partecipandovi con una peculiarità della specie umana unica e per molti aspetti ancora inspiegata, quella organizzazione della materia che gli ha permesso di poter essere consapevole del mondo. Ma si tratta di uno stato di coscienza differente dalle semplici sensazioni del mondo e dalle emozioni suscitate dal mondo. Il sentire e il patire sono movimenti con cui l'anima si immerge in se stessa. Ma il pensiero del mondo è un movimento che procede verso se stesso; un balzo con cui l'anima si libera da se stessa e si espande verso l'altro. Con questo movimento liberatorio comincia la sua emancipazione verso il mondo spirituale. Ha messo il primo piede di fronte alla Soglia del mondo invisibile.
Su questa soglia incontra il più grande ostacolo: il Guardiano della Soglia. Nelle tradizioni religiose e mitologiche, il Guardiano della Soglia è una figura archetipica. Egli è colui che veglia i luoghi segreti e i tesori nascosti; da un lato è un ostacolo, una figura di intralcio. Ma dall'altro è anche un alleato dell'eroe: con la sua funzione di ostacolo, infatti, impedisce all'iniziato di accedere a reami a quali non sarebbe spiritualmente pronto. Nel momento in cui l'iniziato lo sconfigge, il Guardiano ha terminato la sua funzione e si scansa confermando all'iniziato di essere pronto a varcare l'accesso alla dimensione che stava difendendo. 
Nel caso dei mondo soprasensibile, il primo e più importante guardiano della soglia siamo proprio noi stessi. Per Steiner, infatti, il nostro Guardiano è tutto ciò che compone la nostra coscienza egoica e contingente, che soffoca la coscienza cosmica impedendogli di accedere al mondo invisibile. La Soglia del Mondo Spirituale, infatti, è molto stretta ed è impossibile passarvi se prima non si è compiuto un lavoro di limatura su se stessi. Come scrive l'autore:
"Come in momenti particolari della vita ci si aggrappa a cari ricordi, così all'ingresso dei mondi soprasensibili vengono a galla necessariamente dalle profondità dell'anima tutte le inclinazioni di cui si è capaci. Ci si rende conto allora di quanto si sia in fondo attaccati alla vita che congiunge l'uomo col mondo dei sensi. Tale attaccamento si rivela allora nella sua piena verità, liberato da tutte le illusioni che di solito ci si fa in proposito. All'ingresso nel mondo soprasensibile [...] si realizza un frammento di autoconoscenza [...] e si rivela tutto ciò che bisogna abbandonare, se si vuole davvero penetrare con la conoscenza in quel mondo" (Rudolf Steiner, La soglia del mondo spirituale, Editrice Antroposofica, p. 47) e ancora: "Nell'uomo si annida un essere che vigila attentamente al confine che si deve superare, nel passaggio al mondo soprasensibile. Questa entità spirituale annidiata nell'uomo, questa entità che siamo noi stessi, ma che non possiamo riconoscere con la coscienza ordinaria [...] è il Guardiano della Soglia del mondo spirituale" (Rudolf Steiner, La soglia del mondo spirituale, Editrice Antroposofica, p. 48)
Ma quando si riesce a sgrossare tutto questo materiale in eccesso, la cui eliminazione risulta dolorosa, difficoltosa e paurosa, ecco che la Soglia si schiude (o, meglio, noi ci schiudiamo alla Soglia) e riusciamo a varcarla. Al momento dell'ingresso "Si scorge l'essere che si è sempre stati, ma ora non lo si vede dal mondo dei sensi, dal quale prima lo si era sempre osservato: lo si scorge senza illusioni, nella sua realtà, dal mondo spirituale. Lo si scorge, sentendosi pienamente compenetrati dalle forze di conoscenza che sono in grado di misurarne il valore spirituale" (Rudolf Steiner, La soglia del mondo spirituale, Editrice Antroposofica, p. 47)
Ecco che appaiono le visioni spirituali. Come per le visioni dell'esperienza psichedelica, le visioni di cui parla Steiner non sono mere allucinazioni. Sono immagini il cui valore, come per le lettere dell'alfabeto, non risiede nella loro forma, bensì nel loro significato.
Una medesima sensazione si verifica anche nell'esperienza psichedelica (o enteogena) quando la coscienza lentamente abbandona tutto ciò che le appartiene in quanto entità individuale, in un distacco doloroso che le permette però di espandersi. 
In questo processo, tuttavia, la memoria di una propria individualità deve essere conservata. L'esperienza del mondo dello spirito è possibile esclusivamente alla condizione che un "io osservante" permanga, scevro però da tutte le componenti che prima lo appesantivano. In particolare, il mondo materiale è una fucina spirituale che permette all'anima di costruire una propria autonomia che essa deve conservare nel mondo in cui varca la Soglia, altrimenti non potrà fare esperienze delle forme del mondo spirituale ma vivrà esclusivamente uno stato di unione mistica, in cui però la visione è come "preclusa", sperimentando, la coscienza, una totale coincidenza con la totalità. Si tratta dunque di vivere un'esperienza visionaria accompagnata dalla permanenza di sé - e, anche in questo caso, è ciò che accade con la maggior parte delle droghe enteogene, dove, abbandonate le strutture individuali, permane però sempre la memoria e una certa consapevolezza della propria unità. Come scrive Steiner "ogni esperienza consiste nel portarsi a coscienza quanto segue: adesso tu sei trasformato in questo modo particolare, dunque sei collegato in modo vivente con un essere il quale, per la sua natura, trasforma la tua in "questo modo". Questo trasformarsi, questo immergersi col sentimento in altre entità è la vita nei mondi soprasensibili" (Rudolf Steiner, La soglia del mondo spirituale, Editrice Antroposofica, p. 53).
Altro punto di contatto tra le esperienze visionarie di Steiner e le esperienze psichedeliche è l'ingresso, con questa coscienza dilatata, in un mondo popolato da entità senzienti, composte però da una materia sottile. Vi è una somiglianza sorprendente tra le testimonianze di incontri con entità riportate, ad esempio, da Strassman in DMT. La molecola dello spirito e gli elementali descritti da Steiner in questa e altre sue opere. In particolare, come scrive Steiner, sembra che la coscienza in questa dimensione "impara a conoscere esseri più o meno affini a lei stessa; si accorge però anche di trovare nel mondo soprasensibile degli esseri [...] con i quali deve confrontarsi per imparare a conoscere se stesse" (Rudolf Steiner, La soglia del mondo spirituale, Editrice Antroposofica, p. 64) e uno dei racconti ricorrenti nelle testimonianze riportate da Strassman, ma anche da psiconauti come Terence McKenna, è che le entità incontrate nel mondo spirituale, per quanto strane, aliene e sconosciute, siano spesso in grado di intessere lunghi colloqui esistenziali dai quali si ritorna come trasformati, con una coscienza di sé molto più profonda. La natura di queste entità è ancora molto discussa nell'ambiente psichedelico, benché sia quasi impossibile entrarvi in contatto senza provare la sensazione che esse esistano come esseri indipendenti. Da questo punto di vista, secondo Steiner, le entità del mondo sottile non sarebbero altro che esseri elementali: l'essenza stessa di cui è composto il reame sottile, così come la realtà materiale è composta, appunto, dalla materia, con la differenza che gli elementali sarebbero una sorta di "materia cosciente" del mondo spirituale. Ognuno di essi, dunque, possiede la propria individualità ma concorre anche a creare la realtà spirituale in cui sono immersi.
L'ultima, e più importante, coincidenza tra l'esperienza sovrasensibile di Steiner e le esperienze psichedeliche risiede nell'ontologia stessa dell'esperienza. Anche per Steiner la visione spirituale lascia l'uomo con la sensazione che essa veicoli un messaggio ancor più vero e reale di quello colto dai sensi e dalle emozioni nel mondo materiale, nel momento in cui si riesce a scorgere al di là delle immagini in sé: "Le esperienze spirituali si presentano certo, in un primo momento, come immagini: e come tali emergono dai sostrati dell'anima che si sia preparata. Esse hanno valore per la percezione soprasensibile solo se, per tutto il loro modo di presentarsi, non abbiano alcuna pretesa di essere considerate per se stesse [...]. Esse devono presentarsi come lettere dell'alfabeto che si abbiano davanti agli occhi: non si presta attenzione alla forma di questi caratteri, ma vi si legge ciò che per loro mezzo si esprime" (Rudolf Steiner, La soglia del mondo spirituale, Editrice Antroposofica, p. 17).
In conclusione, non voglio che questo articolo possa essere frainteso. Di certo non ho voluto intendere che Steiner facesse uso di sostanze psichedeliche, tantomeno che le esperienze psichedeliche siano di "natura steineriana". Anzi, l'aspetto sorprendente risiede proprio nel fatto che questi due filoni culturali paralleli siano in grado di condurre l'uomo a esperienze spirituali di natura molto simile come se il reale spirituale fosse un luogo a sé stante, la cui soglia, pur essendo unica, è tuttavia raggiungibile attraverso diverse vie.

Rudolf Steiner, La Soglia del Mondo Spirituale

Immagine: Rudolf Steiner, Sigillo dell'Apocalisse, Wikimedia Commons

Daniele Palmieri

mercoledì 9 febbraio 2022

Quando il tabacco era psicoattivo e la lattuga afrodisiaca: Droghe tribali di Giorgio Samorini

 



L'etnobotanica è una scienza, relativamente recente, che attraverso la botanica, l'antropologia e l'analisi incrociata delle tradizioni sciamaniche, magiche, religiose e folkloriche, studia il rapporto di simbiosi, a volte consapevole e altre inconsapevole, tra l'uomo e le specie vegetali.
Con il suo approccio interdisciplinare, in grado di integrare in maniera magistrale le scienze umane con le scienze "pure", nell'ultimo secolo l'etnobotanica si è fatta strada tra le diverse branche del sapere umano in maniera estremamente innovativa. La sua importanza, probabilmente, è ancora sottovalutata. Ma per chi si addentra nei meandri della materia è chiaro che essa sta rivoluzionando lo studio dell'uomo e della sua storia evolutiva, ambientale, sociale e religiosa, come se nel mondo vegetale - e nel rapporto dell'uomo con esso - si nascondesse la chiave di volta per comprendere molti misteri ancora insoluti.
Abbiamo già trattato, negli ultimi due articoli del blog (Rivoluzione psichedelica e Le Piante degli Dèi), parte della storia della riscoperta dell'uomo occidentale degli stati visionari di coscienza indotti da alcune sostanze vegetali e, per evitare di ripetermi, rimando il lettore a questi approfondimenti per inquadrare la questione nel suo sviluppo storico. 
Scrivo il presente articolo proprio per proseguire questa breve "trilogia", focalizzandomi sugli studi e i nomi "nostrani" in materia. Il lettore attento avrà infatti notati che i principali protagonisti sia della rivoluzione psichedelica sia degli studi etnobotanici citati nei precedenti articoli sono esclusivamente esteri. Ma l'Italia non è rimasta immune da questa rivoluzione del sapere e, anzi, ne ha anticipato alcuni aspetti, ad esempio con l'opera avveniristica di Paolo Mantegazza, scienziato, antropologo, viaggiatore e scrittore italiano del XIX secolo che, in anticipo con i tempi, intuì che una delle scienze del futuro sarebbe stata proprio la scienza delle droghe e del loro rapporto con l'azione e il pensiero umani. Egli stesso dedicò alle droghe, all'estasi e all'ebrezza diversi studi, tra cui Quadri della natura umana. Feste ed ebrezza (1871) e Le estasi umane (1887). Ma, cosa più importante per la storia dell'etnobotanica, fu uno dei primi scienziati ad approcciarsi alla materia in maniera "esperienziale", compiendo diversi viaggi in Sud America e studiando in loco la relazione tra l'uomo e le specie vegetali, come ad esempio la coca, di cui divenne un appassionato sostenitore.
Benché Mantegazza sia stato relegato ai margini del sapere dalla poco riconoscente cultura italiana, nonostante i suoi studi decisamente avveniristici, vi è chi, in Italia, ne ha preso a piene mani l'eredità. Sto parlando di Giorgio Samorini, il più importante etnobotanico italiano che, da molti anni, compie un lavoro di ricerca indipendente per diffondere, sia nel nostro paese sia all'estero, una diversa consapevolezza dello studio delle droghe e della relazione tra uomo e sostanze vegetali, mostrando un amore per il sapere estremamente raro e disinteressato per i nostri tempi, dato che egli stesso rende liberamente disponibili gran parte delle sue ricerche (e anche delle sue fonti) sul portale Giorgio Samorini Networkche negli anni è diventato un punto di riferimento imprescindibile per gli studiosi della materia. 
Come in Mantegazza, negli studi di Samorini le esperienze personali procedono di pari passo allo studio e all'analisi scientifica della materia trattata. Un approccio che permette di comprendere il fenomeno "droghe" in ogni sua sfaccettatura: quella scientifica, attraverso l'analisi chimica e botanica del perché certe droghe agiscono in un certo modo sul corpo e la mente umana, ma anche la componente fenomenologica, che permette di cogliere, attraverso l'esperienza soggettiva, quelle impressioni che non possono essere ridotte a puro dato scientifico e che richiedono, necessariamente, un'esperienza vissuta personale. Soltanto quest'ultimo aspetto consente di cogliere la materia anche nel suo sviluppo storico antropologico. E' un dato di fatto che la storia del rapporto tra l'uomo e le droghe sia la storia delle esperienze, siano esse mistiche, sciamaniche, visionarie o semplicemente voluttuarie, in ogni caso soggettive, che l'uomo ha avuto con le droghe, e l'analisi scientifica, nel senso moderno e "occidentale" del termine, che non tiene conto di questa componente non può che risultare monca.
Droghe tribali, pubblicato da Samorini con la Shake Edizioni, si sofferma proprio su questo rapporto atavico tra l'uomo e "l'esperienza del drogarsi", scardinando molti pregiudizi sul tema e, soprattutto, mostrando come l'uso autodistruttivo delle droghe sia figlio esclusivamente di una fetta della cultura umana: la moderna civiltà occidentale, che lo ha poi "esportato" anche in altre culture.
Droghe tribali è uno studio a tutto tondo sul rapporto tra l'uomo e le droghe nel corso dei secoli che, rispetto ai temi già affrontati negli ultimi articoli, espande il discorso soffermandosi non solo sulle droghe vegetali, ma anche sulle usanze apparentemente più "estreme" che hanno portato, e portano tutt'ora, alcune culture umane ad assumere droghe da fonti differenti: animali, insetti, escrementi e perfino altri esseri umani. 
"Ciò che mi spinge a rivolgere l'attenzione del lettore su queste bizzarre dimensioni dell'esperienza umana" scrive Samorini nell'introduzione "non è un mero gusto per il macabro o il ripugnante, bensì l'intenzione di non volermi fermare, nello studio dell'uso umano delle droghe, di fronte ai moralistici concetti di argomenti riprovevoli o inappropriati. Inappropriati lo siamo infinite volte noi, uomini di cultura occidentale, nell'interpretazione e nel giudizio dei comportamenti tribali. Le mie ricerche vanno ovunque ci siano le droghe e l'universalità dell'atto del drogarsi mi porta a studiare anche i comportamenti più estremi presenti nel sesso, nella guerra, nel crimine, nel suicidio, così come nella golosa ricerca di putrefazioni cadaveriche. C'è tanta umanità nei comportamenti estremi, c'è tanta inventiva, genialità fulminea, c'è tanta emozione e non solo sofferenza o fonte di ispirazione moralista, al punto che verrebbe da rivedere il nostro medesimo concetto di estremo(Droghe tribali, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, p. 10).
Abbiamo già visto, nei precedenti articoli, che la rimozione occidentale delle droghe sacre è avvenuta in concomitanza con l'avvento del cristianesimo e nei lunghi e travagliati secoli che ci hanno portato fino all'epoca moderna il "giudizio inquisitoriale" sul tema, preso in eredità dalla giurisprudenza laica, è pressoché rimasto immutato: la droga allucinogena e lo stato alterato di coscienza sono di per se stessi degli atti criminali, indipendentemente dal danno (reale, potenziale o presunto) che possono causare a se stessi o agli altri. Questo pregiudizio di tipo principalmente morale, piuttosto che scientifico o legislativo, si riverbera anche sugli studi storici, religiosi e antropologici, come sottolinea a più riprese Samorini sia in Droghe tribali sia in diverse sue conferenze. Ne consegue che per diversi secoli buona parte degli studi e delle scoperte archeologiche sono stati viziati, e continuano oggi a essere viziati, da questo moderno tabù per le droghe, che soltanto negli ultimi anni sta iniziando a dissiparsi, grazie all'opera di autori coraggiosi come lo stesso Samorini. 
Sradicando il pregiudizio moralistico nei confronti delle droghe, ecco che si rivela una nuova storia dell'umanità. Le droghe sono sempre state parte integrante della nostra cultura, per gli scopi più disparati - e anche in una società "drogofoba" come la nostra, le droghe legali sono un motore continuo: si pensi a tabacco, caffeina, teina, zucchero, solo per fare alcuni esempi. 
In Droghe tribali questo rapporto di simbiosi è sviscerato anche negli aspetti apparentemente più macabri. Con l'occhio analitico e imparziale dello scienziato, Samorini riesce a penetrare anche nelle usanze apparentemente più "primitive" che rivelano però una sofisticata conoscenza pratica dell'utilizzo dei principi attivi, siano essi vegetali, animali o perfino umani. 
Veniamo così a conoscenza di processi estremamente complessi per "domare" i principi attivi, in modo da limitare i danni e potenziare gli effetti psichedelici, come l'usanza, tra gli antichi Olmechi del Messico, di allevare il Bufo marinus, rospo le cui secrezioni ghiandolari possiedono proprietà allucinogene, che veniva dato in pasto alle anatre, uno dei pochi animali in grado di mangiare questa specie di rospo senza subire effetti collaterali, che ne metabolizzavano i principi attivi meno tossici ma più potenti, per poi essere sacrificate e mangiate nei i banchetti sacri, permettendo all'uomo di accedere a questi principi attivi senza avvelenarsi. La scoperta di questo meccanismo è avvenuta proprio riflettendo, senza pregiudizi, sulla costante riproduzione artistica, a scopi sacrali, dei rospi e delle anatre tra i ritrovamenti archeologici legati al popolo Olmeco, ed è probabile che se fosse persistito il tabù nei confronti delle droghe, queste immagini sarebbero state interpretate in maniera esclusivamente superficiale, senza penetrare nel loro significato "pratico", come fonti di estasi visionarie. E' molto probabile che numerose immagini sacre di popoli del passato assumerebbero un altro significato se si sviscerasse il l'effetto concreto sul corpo umano dei soggetti rappresentati e, da questo punto di vista, è molto significativa l'interpretazione di Samorini data alla famosa "coda di rospo" contenuta in molte ricette magiche della stregoneria medievale. Come sostiene l'etnobotanico, gran parte dei principi attivi psichedelici metabolizzati dal rospo si accumulano proprio nel grasso della coda, ed è probabile, dunque, che essa venisse aggiunta non soltanto per superstizione, ma per gli effetti psichedelici e visionari che essa causava.
Da questo punto di vista, uno degli aspetti più interessanti del testo è la capacità di mettere in luce come il rapporto tra l'uomo e le droghe nel corso dei secoli, se non addirittura dei millenni, è consistito in una perpetua oscillazione tra la scoperta di nuovi principi attivi da parte di alcune popolazioni e la dimenticanza, oppure il mutamento del loro uso, quando essi sono stati o repressi o adottati da nuove civiltà, a dimostrazione di come la conoscenza, sia essa scientifica, filosofica, botanica, spirituale, non proceda mai in linea retta, ma di come sia soggetta e continui balzi casuali, ora in avanti ora indietro. Ogni civiltà, in base alla sua "sovrastruttura" sociale, politica e religiosa, è in grado di instaurare rapporti diversi con la medesima droga, ottenendo effetti diametralmente opposti. 
I due esempi principali e curiosi sono quelli legati a due sostanze vegetali: la lattuga e il tabacco.
La lattuga selvatica (Lactuga Serriola) è stata per molti anni soggetto di una vera e propria contraddizione etnobotanica: in Europa veniva utilizzata come un sedativo anafrodisiaco mentre in Egitto come un potente afrodisiaco; essa era infatti associata al dio Min, che quando ne mangiava in grandi quantità il suo fallo si erigeva oltre misura, per punire i prigionieri di guerra. Grazie ai suoi studi e alle sue sperimentazioni individuali, Samorini è riuscito a districare questo paradosso:
"Tagliando i fusti di tutte le specie di lattughe [...] fuoriesce un lattice bianco dal sapore amaro, identificato nell'antico Egitto con lo sperma di dio Min. Allo stato fresco questo sperma divino è tossico, ma fatto seccare assume un aspetto simile all'hascisc e ha un odore simil-oppiaceo: si è così ottenuto il lattucario, un'antica medicina usata nel Medioevo europeo come sedativo, analgesico e anafrodisiaco  [...] mentre a dosaggi più elevati, subentrano componenti stimolanti o perfino allucinatorie. Questa relazione dose/effetto trova riscontro nella composizione chimico-farmacologica dei principi attivi presenti nella lattuga(Droghe tribali, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, pp. 64-68).
Tutto ciò a dimostrazione di come ogni vegetale, anche quello in apparenza più "semplice" come la lattuga selvatica, possa nascondere, oltre ad antichi e dimenticati usi storici, una farmacologia estremamente complessa, che spesso ha influito sulla storia stessa del rapporto tra l'uomo e queste specie vegetali. Come scrive Samorini, in maniera molto ironica: "Più volte, mangiando la lattuga da orto che mi osserva dalla mia comoda mensa, penso a quelle migliaia di prigionieri di guerra che hanno dovuto subire prolungate sodomizzazioni (l'effetto delle dosi egizie del lattucario dura 7-8 ore) per permettere agli antichi sodomizzatori, gli egiziani, di creare per selezione quella tenera e dolce insalata che passa oggi attraverso la mia bocca. I comportamenti umani a volte, oltre a essere strani, hanno conseguenze imprevedibili(Droghe tribali, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, p. 71).
La seconda storia, quella del tabacco, è ancora più interessante, poiché emblematica della capacità dell'uomo occidentale di profanare e trasformare le droghe sacre per i suoi usi voluttuari, svuotandole del loro significato ma anche della loro potenza sacrale. 
Prima della sua "scoperta" del tabacco, avvenuta sulla fine del XV secolo, il tabacco era usato dai nativi americani esclusivamente a scopi sciamanici e religiosi, come tramite per la comunicazione con gli spiriti. E anche in epoca presente il tabacco, perfino nella sua forma "trasmutata" dall'uomo occidentale, viene utilizzato come "supporto" nei rituali con l'Ayahuasca e la Jurema. In entrambi i casi, sia nell'uso storico sia in quello moderno, il tabacco viene utilizzato per suscitare visioni ed espandere la coscienza. Eppure, nella sua forma "volgarizzata" e "commercializzata" dall'uomo occidentale, questi aspetti visionari sono del tutto assenti e, anzi, questa droga pare essere tollerata e diffusa proprio perché in grado di integrarsi con lo stile di vita dell'uomo occidentale moderno e la sua coscienza "normalizzata" e "produttiva", alla stregua del caffè, del thé e dello zucchero. 
Da cosa deriva questo paradosso? Come per il lattucario, è solo una questione di dosaggi, o vi sono motivi più profondi alle spalle?
Una delle ipotesi principali è che sia avvenuta una sorta di "selezione artificiale" da parte dell'uomo occidentale, che con gli anni avrebbe selezionato soltanto le specie dagli effetti meno visionari, creando così il "tabacco moderno". Ma, secondo Samorini, a fronte degli esigui studi compiuti in materia, bisogna riconoscere in questa desacralizzazione del tabacco una componente anzitutto culturale. 
L'occidentale ha letteralmente stravolto il "set" e il "setting" tipici dell'assunzione sacrale del tabacco. La coscienza rivolta al divino e al sovrasensibile è stata sostituita dalla coscienza materialistica e "cittadina", e le cerimonie sacre e i luoghi rituali sono stati sostituiti dalle "pause relax" e dal momento edonistico fine a se stesso. Come scrive Samorini:  "Il modello che ho intravisto [...] si basa sul fatto che la trasformazione in droga sociale di una pianta sacramentale provoca (o completa) la disattivazione dei suoi effetti visionari. Ernst Junger parlava di un "elemento dionisiaco" dell'effetto delle droghe, che la cultura occidentale mano a mano perde nell'uso di queste droghe, e ipotizzava che un affine processo di "addomesticamento" fosse accaduto anche nel vino [...]. Si potrà pensare che sto parlando nient'altro di tolleranza di una droga [...] forse v'è chi amerebbe parlare di "tolleranza sociale" [...]. Forse sto parlando di altro, di un meccanismo fisiologico-sociale che resta tutto da verificare e studiare [...] Tornando al tabacco, come si suol dire, oltre alla beffa, il danno, poiché non solo ci siamo privati delle sue proprietà più propriamente "dionisiache", ma l'abbiamo pure trasformato in uno dei più diffusi veleni di cui, con qualche masochismo peculiare della nostra società, ci nutriamo. Ecco, dunque, fin dove può giungere il processo di disumanizzazione della macchina culturale in cui viviamo, tale da disattivare, in pochi secoli, umani e plurimillenari sacramenti, chiavi esistenziali fondanti il nostro divenire. Di quale vizioso processo di addomesticamento della molecola selvaggia ci stiamo corazzando! [...] Non è da escludere che gli effetti "dionisiaci" di una droga siano disattivati solamente nella loro percezione conscia e vengano comunque esperiti dal sistema mente/corpo. In pratica, noi non ci accorgeremmo più della componente visionaria-dionisiaca degli effetti del tabacco, del caffè e delle altre droghe sociali, ma li vivremmo in toto e continuamente; è come se facessero parte del rumore di fondo mentale, la cui percezione conscia è inibita dalla continua presenza. Ciò porterebbe di conseguenza a una rivisitazione dello stesso concetto di sobrietà, dell'"Io sobrio" [...]" (Droghe tribali, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, pp. 98-99)
Questo processo è esemplificativo del rapporto tra l'uomo occidentale moderno e le droghe. Citando una nota tesi dell'antropologo Graham Hancock, è come se in occidente fosse in corso, da secoli, una "guerra alla coscienza", volta a sradicare l'utilizzo delle sostanze enteogene, poiché inconciliabili con i dogmi religiosi, con la società gerarchica o, in epoca presente, con il sistema produttivo-capitalistico, e a privilegiare invece le droghe in grado o di renderlo produttivo, come il caffè, il thé, lo zucchero e il tabacco (nel suo uso desacralizzato) o che ne ottenebrano la coscienza (come l'alcool). D'altronde, come scrive lo stesso Samorini: "Non c'è uomo al mondo più profanatore di se stesso dell'uomo di cultura occidentale e il suo rapporto con i sacramenti è da secoli disastroso(Droghe tribali, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, p. 100).

Droghe tribali, Giorgio Samorini, Shake Edizioni
Immagine: Codex Mendoza

Daniele Palmieri