Torno a recensire un testo dopo un lungo viaggio. Ripartiamo, proprio, da dove ci eravamo lasciati, l'ultimo articolo pubblicato su René Guenon, Agartha e il mistero del Re del Mondo. In questo articolo, avevo affrontato "Il Re del Mondo" di René Guenon, testo dove l'esoterista francese affronta, alla luce delle molteplici tradizioni, il mito di Agartha, città sotterranea leggendaria in cui vivrebbe una popolazione illuminata, guidata da un sovrano spirituale, il mitico Re del Mondo, qui occultatosi in attesa del suo ritorno sulla terra, per rivoluzionare la vita spirituale degli uomini e riportarli all'Età dell'Oro.
Come anticipato, l'analisi di Guenon partiva dal confronto tra due testi, Mission de L'Inde di Saint Yves e Bestie, uomini, dei di Ossendowski in cui entrambi gli autori, distanti sia come formazione culturale sia come obiettivi dei rispettivi libri, riportavano i racconti delle popolazioni orientali su questa terra sotterranea misteriosa.
Incuriosito dal testo di Guenon, ho deciso di leggere, per intero, Bestie, uomini, dei e mi sono trovato di fronte a un testo straordinario, molto più ricco di storie e spunti oltre al mito del Re del Mondo, unico motivo per il quale, spesso, viene citato.
Bestie, uomini, dei di Ossendowski è uno dei resoconti di viaggio più belli che mi sia mai capitato di leggere e, probabilmente, uno dei più suggestivi mai scritti.
Nato a Vitebsk nel 1871, Ferdinand Ossendowski fu un chimico, giornalista, rivoluzionario e scrittore polacco che, in seguito al fallimento del tentativo di indipendenza da parte Siberia Orientale nei confronti della Russia, dovette fuggire dai bolscevichi, per non cadere vittima dei loro rastrellamenti.
Il lungo viaggio, che lo porterà dalla Siberia a Pechino, cominciò "nella quiete profonda dell'inverno siberiano", nel 1920. Come le più grandi avventure, cominciò all'improvviso quando Ossendowski, mentre tornava da casa di un amico, ricevette la notizia che la sua abitazione era presidiata dai soldati bolscevichi, e che doveva immediatamente lasciare il paese per non essere imprigionato.
"Perciò" scrive Ossendowski nell'incipit del testo, "indossai in fretta una vecchia tenuta di caccia del mio amico, presi del denaro e mi affrettai a piedi lungo le viuezze della città, finché raggiunsi la strada principale fuori dall'abitato; qui assoldai un contadino che in quattro ore mi condusse con il suo carro tenta chilometri lontano" (Ossendowski, Bestie, uomini, dei, Edizioni Mediterranee, p. 25).
L'evento imprevisto lo trovò impreparato, e fin da subito Ossendowski fu costretto ad adattarsi a una vita completamente diversa, lontano dagli agi dell'esistenza domestica. Recuperando soltanto fucile, coltello, borraccia e qualche scorta di cibo, Ossendowski fugge tra le foreste, simile al Waldganger di jungheriana memoria. A metà tra Walden di Thoreu e il Richiamo della foresta di London, la prima parte di Bestie, uomini, dèi di Ossendowski narra la sua "regressione" a uomo del bosco, costretto a vivere dell'essenziale, a procacciarsi il cibo con la caccia, a sopravvivere alle condizioni estreme dell'inverno siberiano, a nascondersi dai soldati bolscevichi, ad affinare l'intuito sulle persone incontrate e capire, con pochi sguardi, di chi si poteva fidare e di chi no, perfino ad affrontare gli animali selvaggi delle foreste siberiane. Particolarmente suggestiva, a tal proposito, la battaglia con un orso che si aggirava nei pressi del suo accampamento, che risveglia nell'animo dell'autore gli istinti primordiali che, per millenni, hanno permesso all'uomo di sopravvivere alle condizioni più estreme, e che ormai giacciono latenti e inermi, ma non per questo completamente dimenticati, nell'animo di ciascun uomo.
Così, la prima parte del testo assume l'aspetto di un'incubazione iniziatica, in cui Ossendowsi risveglia le energie più profonde latenti nel suo animo. Come egli stesso scrive nel libro:
"In ogni individuo spiritualmente sano del nostro tempo, vi sono ancora tratti dell'uomo primitivo che possono riemergere in condizioni di estrema difficoltà, trasformandolo in cacciatore e guerriero, e lo aiutano a sopravvivere nella lotta con la Natura. E' una prerogativa dell'uomo dalla mente e dallo spirito temprati, mentre gli altri che non posseggono sufficienti conoscenza e forza di volontà sono destinati a soccombere. Ma il prezzo che l'uomo civilizzato deve pagare è che per lui non esiste nulla di più spaventoso della solitudine assoluta e della consapevolezza del completo isolamento dal consorzio umano e dalla cultura in cui s'è formato. Un passo falso, un momento di debolezza e la nera follia si impadronirà di lui, trascinandolo verso un'inevitabile distruzione. Avevo trascorso giorni terribili lottando contro il freddo e i morsi della fame, ma ne vissi di ancor più spaventosi lottando con la forza di volontà contro pensieri distruttivi, che mi indebolivano psicologicamente. [...] Inoltre, sono stato costretto a osservare che le cosiddette persone civilizzate attribuiscono scarsa importanza a quell'allenamento dello spirito e del corpo che è indispensabile all'uomo che si ritrova in condizioni primitive, nella spietata lotta per la sopravvivenza in una Natura ostile e selvaggia. E' questa la via per educare una nuova generazione di uomini sani, forti, di ferro, che conservino nello stesso tempo anime sensibili. La natura annienta i deboli ma tempra i forti, risvegliando nell'animo emozioni sopite nelle normali condizioni di vita dell'attuale civiltà" (Ossendowski, Bestie, uomini, dei, Edizioni mediterranee, p. 40)
Per scappare dall'avanzata Bolscevica, Ossendowski è costretto a inoltrarsi sempre di più nel profondo cuore dell'Asia, attraverso Mongolia e Tibet, spinto da tali energie ataviche e da una strenua volontà che lo tiene aggrappato alla vita anche nei momenti più difficili e pericolosi. Tra scontri a fuoco, compagni di viaggio incontrati e perduti, fughe e tradimenti, lo scrittore polacco varca la soglia di un'Asia dal grande fermento (e fervore) culturale, religioso, spirituale e politico. Più si addentra nelle terre d'oriente, più il viaggio si colma di credenze, folklore, superstizione, magia e meraviglia, attraverso le parole degli autoctoni e i loro racconti di demoni delle vette che presiedono passaggi, dèi del vento che scatenano tempeste, fantasmi e spiriti degli antenati che scrutano le vite degli uomini, indovini che preannunciano fortune e sfortune imminenti, il tutto riportato con uno stile oggettivo e giornalistico, ma non per questo arido e asciutto. Con la sua prosa, Ossendowski è in grado di non cadere mai nella sempliciotta credulità né nell'arido scetticismo, ma sempre oggettivo e distaccato riporta racconti ed eventi con una sorta di sguardo dall'alto, allo stesso tempo realistico e incantato.
Oltre a un grande racconto di viaggio, Bestie, uomini, dèi è una fonte importante sulla storia degli sconvolgimenti politici avvenuti tra Siberia, Mongolia e Tibet nella prima metà del '900. Tra le testimonianze più importanti, l'incontro di Ossendowski con il sanguinario Barone von Ungern, militare russo ma d'origine tedesca che tentò di fondare, in Mongolia, una monarchia teocratica lamaista, fondata sui principi mistici e spirituali di un buddhismo sincretico, che mischiava elementi nazionalisti ai principi del buddhismo di derivazione tibetana, con influssi cinesi e mongoli.
Memorabili le parole con cui Ossendowski descrive il suo primo incontro il Barone:
"Mentre varcavo la soglia un uomo vestito di una tunica mongola di seta rossa si avventò su di me con lo scatto d'una tigre, mi afferrò e strinse la mano frettolosamente e quindi si buttò sul letto sistemato lungo un lato della tenda. [...] In un istante mi resi conto del suo aspetto e del suo carattere. Una testa piccola su ampie spalle; capelli biondi spettinati; baffi rossicci a spazzola; un volto stanco ed emaciato come quelli delle antiche icone bizantine. Ma il tratto più caratteristico dei suoi lineamenti era la spaziosa fronte sporgente che sovrastava due occhi penetranti, dallo sguardo d'acciaio, che mi scrutavano come quelli di un animale in fondo a una caverna. Il mio esame durò un attimo, ma capii subito d'aver di fronte un uomo molto pericoloso, pronto a dare un ordine irrevocabile" (Ossendowski, Bestie, uomini, dei, pp.173-174).
Il militare/dittatore, dopo questo iniziale incontro in cui Ossendowski riuscirà ad attirarsi le sue simpatie, scorterà l'autore fino alla dimora del cosiddetto Buddha Vivente, la guida spirituale dell'autoproclamato stato lamaista e, ufficialmente, suo imperatore, che di fronte agli occhi di Oossendowski predice la morte del Barone Sanguinario, e la sua reincarnazione in uno spirito guerriero ancor più grande.
Agli occhi di Ossendowski, il Buddha Vivente, con le sue contraddizioni, la sua grandezza e le sue meschinità, diviene l'incarnazione perfetta della spiritualità lamaista, sempre in bilico tra cielo e terra, materia e spirito, ascetismo e sfarzosità. "Intelligente, penetrante, energico, egli indulge contemporaneamente al vizio del bere, che gli ha provocato la cecità [...]. Non smette mai di meditare sulla causa della sua Chiesa e della Mongolia e nello stesso tempo indulge a piccole manie. Ad esempio gli piace l'artiglieria [...]. Automobili, grammofoni, telefoni, cristalli, porcellane, quadri, profumi, strumenti musicali, animali e uccelli rari, elefanti, orsi himalayani, serpenti indiani e pappagalli... questo e altro ancora trovava posto nel palazzo del dio, ma era stato presto messo da parte e dimenticato. [...] Mi mostrò tutti i pezzi del museo, parlandomene a lungo con evidente piacere" (Ossensowski, Bestie, uomini, dèi, p. 208)
Ma sotto il velo superficiale e contingente degli sconvolgimenti politici, delle debolezze degli uomini, delle superstizioni, del sangue e delle atrocità, si nasconde lo spirito autentico di una sacralità atavica, che alberga nel cuore della Mongolia da millenni. "Avete mai visto le polverose ragnatele e le muffe nei sotterranei di qualche antico castello d'Italia, Francia o Inghilterra?" dice Ossendowski, "è la polvere dei secoli. Forse la stessa che ha sfiorato il volto, l'elmo e la spada di un imperatore romano, di San Luigi, del Grande Inquisitore, di Galileo o di re Riccardo. Il vostro cuore batte più in fretta e vi sentite pieni di rispetto per questa muta testimonianza di età lontane. Provai la stessa impressione a Ta Kure, ma forse con maggior intensità. Qui la vita scorre con lo stesso ritmo di otto secoli fa; qui gli uomini vivono immersi nel passato, e il mondo del passato non fa altro che complicare e intralciare la loro normale esistenza" (Ossendowski, Bestie, uomini, dèi, p. 213).
Testimonianza di questa spiritualità ancestrale, il Mistero dei Misteri, il mito del Re del Mondo. Più volte, durante il viaggio, Ossendowski testimonia di aver sentito raccontare, dalle bocce degli autoctoni, la leggenda di Agartha, del regno sotterraneo e del suo sovrano illuminato, ritiratosi nelle viscere della terra. Presenza costante ma sempre di sfondo, come un'ombra, il Re del Mondo sembra seguire Ossendowski con gli occhi della mente per tutto il viaggio, e ancor più delle parole del popolo e del Buddha Vivente, a meravigliare Ossendowski è un incontro silenzioso e intangibile con l'aurea mistica di tale leggendario sovrano:
"Avete visto, chiese il mongolo, come i nostri cammelli muovevano le orecchie per la paura? Come la mandria di cavalli sulla prateria si è fermata improvvisamente attenta e come le greggi di pecore e armenti si sono acquattate al suolo? Avete notato che gli uccelli hanno spesso di volare, le marmotte di correre e i cani di abbaiare? L'aria era percorsa da una sommessa vibrazione e portava da lontano la musica di un canto che andava dritto al cuore di uomini, animali e uccelli. La terra e il cielo trattenevano il respiro. Il vento non soffiava più e il sole era immobile. In simili momenti il lupo che si avvicina alle pecore arresta il suo strisciare furtivo; il branco di antilopi spaventate d'un tratto interrompe la sua corsa selvaggia; il coltello del pastore che sta per tagliare la gola della pecora gli cade di mano. Tutte le creature viventi, in preda a un misterioso timore, involontariamente cominciano a pregare, attendendo il loro destino. [...] E così è sempre stato ogni qual volta il Re del Mondo prega nel suo palazzo sotterraneo e vaglia il destino di tutti i popoli della Terra" (Ossendowski, Bestie, uomini, dei, p. 227).
Ossendowski, Bestie, uomini, dèi, Edizioni Mediterranee.
Daniele Palmieri
Nessun commento:
Posta un commento