Ci sono libri difficili da leggere e digerire, che hanno lo stesso impatto di un pugno nello stomaco e che, proprio per questo, vanno affrontati, compresi, commentati.
La cospirazione contro la razza umana di Thomas Ligotti è uno di quei libri.
Thomas Ligotti è uno scrittore italo-americano, dalla presenza a dir poco sfuggevole visto che, come i migliori scrittori e pensatori, preferisce comunicare esclusivamente con i propri libri, piuttosto che con la sua immagine pubblica.
Diventato autore di culto nel mondo editoriale underground americano tra gli anni '80 e '90, ha riscosso l'interesse del pubblico "non specialistico" grazie alla serie televisiva True detective (altrettanto cupa e altrettanto profonda), il cui creatore e sceneggiatore, Nic Pizzolatto, ha attinto a piene mani alla filosofia e alle pagine de La cospirazione contro la razza umana per delineare il personaggio e i dialoghi del detective Rust Cohle (interpretato da Matthew Mcconaughey).
La cospirazione contro la razza umana è un saggio, a metà tra la filosofia e la letteratura, che espone una visione pessimista della vita, sulla scia di filosofi meno noti, come Zapffe, Mainlander, Metzinger, Michalstaeder e altri maggiormente trattati come Schopenhauer e Leopardi, insieme a grandi della letteratura horror/gotica come Poe, Blackwood e Lovecraft.
Ligotti accompagna il lettore in un cupo tour filosofico e letterario tra i teorici di una visione pessimista della vita, esponendo le loro visioni ma non in maniera manualistica e arida, ma condendo il tutto con il suo evocativo talento letterario e con le proprie riflessioni personali che fanno da collante per tutta la trattazione, e che rendono l'insieme maggiore della somma delle parti.
In questo tour del macabro, Ligotti appare proprio come il cercatore solitario che egli stesso descrive in un breve passo del testo:
"Se quel che cerchi è la verità, una vita esaminata ti condurrà soltanto a un lungo viaggio verso i limiti della solitudine e ti scaricherà sul ciglio della strada e nient'altro".
Questo perché la sua filosofia non è idilliaca e rassicurante, ma si inserisce nella lunga e minoritaria tradizione di pensatori che non hanno mai tentato di fare "un'apologia della vita" e che, anzi, hanno intravisto tra le pieghe del reale un'essenza maligna che sembra muovere l'intero cosmo.
In particolare, secondo Ligotti quest'essenza maligna, descritta soprattutto nei racconti soprannaturali di Lovecraft e Poe, non esiste tanto di per sé, ma è propria della prospettiva dalla quale non possiamo fare a meno di osservare la realtà: la prospettiva della nostra coscienza. La coscienza si trascina dietro, fin dagli albori della sua nascita, il peccato originale di essere nata con l'uomo, tingendo così di nero l'intera sua esistenza.
Riallacciandosi a Zapffe, anche secondo Ligotti la coscienza umana è un fatale errore dell'evoluzione. Essa ha enormemente incrementato le sofferenze della nostra specie, poiché ci ha reso coscienti dei nostri dolori, del nostro futuro, della vanità delle nostre speranze, ci ha fatto scoprire che l'esistenza altro non è che una folle corsa, senza alcun senso, che termina quando ci schiantiamo contro l'invalicabile muro della morte.
Utilizzando l'immagine di Ligotti, siamo come marionette le quali, dacché erano controllate dai fili invisibili di un ignoto marionettista, hanno preso coscienza di loro stesse rimanendo, però, nient'altro che marionette, con la consapevolezza che, non appena il timido lume della coscienza svanirà, torneremo gettati come corpi inermi nel baule del marionettista. Tale consapevolezza dà vita all'esperienza del "perturbante", una sensazione di straniamento di fronte a qualcosa, come un automa, che si trova in bilico tra l'essere un oggetto inerme ed essere un soggetto vivente, e che in entrambi i casi risulta disturbante, poiché in esso vediamo riflessa la nostra condizione.
Riprendendo la filosofia di Zapffe, secondo Ligotti tutti gli uomini sono soffocati dalla tenaglia del perturbante e sono consapevoli dell'insensatezza della vita, ma per non cadere nell'orrore cosmico di doversi trascinare ogni giorno in un'esistenza senza significato, attuano quattro strategie adattative, una sorta di versione perversa del quadrifarmaco di Epicuro:
1) L'isolamento: tentiamo di sminuire il dolore dell'esistenza isolando gli eventi terribili della nostra vita, rimuovendoli in una sorta di scantinato della nostra mente che li nasconde alla nostra vista.
2) L'ancoraggio: per trovare un'illusoria stabilità, ci ancoriamo a ideali astratti e metafisici, come Dio, Moralità, Patria, Famiglia, Religione, che ci fanno sentire autentici e colmano la nostra vita di significati fittizi, che non fanno che rimandare o attenuare la nostra agonia.
3) Distrazione: per non riflettere sugli orrori del mondo, ci abbandoniamo a un'esistenza fatta di frivolezze, distrazioni senza alcuna profondità (ciò che Pascal chiamava "divertissment".
4) Sublimazione: mettiamo in scena tutti questi orrori in opere di finzione, che hanno un effetto catartico nel loro farci credere che i "mostri" non esistono, che sono opera di fantasia e che, in ogni caso, possono essere sconfitti.
Questi quattro meccanismi psicologici vengono appunto definiti come "la cospirazione contro la razza umana", poiché non fanno che ingabbiare l'uomo in questa esistenza di sofferenze, convincendolo inoltre a propagare la propria specie dando luce ad altri figli che vivranno le medesime sofferenze.
Da quest'ultimo punto di vista, secondo Ligotti dar vita a nuovi figli è un atto immorale, perché si sta consapevolmente strappando dal "nulla" (dunque, da una condizione senza turbamenti) delle esistenze destinate, fino in partenza, a una vita in cui i dolori supereranno di gran lunga i piaceri; in altri termini, si sta condannando consapevolmente degli esseri senzienti a una vita di sofferenze, e questo non può che essere ritenuto un atto immorale.
Scrive Ligotti:
"L'orrore che noi abbiamo ricevuto sarà ricevuto da altri in uno scandaloso passaggio di eredità. Essere vivi: per decenni svegliarsi all'ora giusta, e poi trascinarsi lungo l'ennesimo giro di umori, sensazioni, pensieri, voglie - l'intero spettro delle agitazioni - e infine crollare a letto a sudare nel buio delle fantasmagorie che molestano la mente in sogno".
Con ciò Ligotti non auspica al suicidio, benché fu una strada percorsa da molti autori da lui citati, ma, similmente a Schopenhauer, tenta di portare alla luce il meccanismo irrazionale della Volontà che spinge la vita a propagare se stessa, senza alcun motivo, anche contro i propri stessi interessi. Similmente ai Catari, sfiora l'idea di una estinzione di massa a partire da questa consapevolezza, in modo che cessi il perverso meccanismo di rinascite e morti, di dolori e sofferenze, per abbracciare invece l'atavico e rincuorante abbraccio del Nulla eterno, in cui non vi sono né gioie né dolori.
Per aggiungere una breve chiosa personale, in conclusione, non condivido la visione così cupa della vita come quella delineata da Ligotti. Penso, come lui, che la vita non possieda un senso intrinseco e che, tuttavia, come ho scritto in Autarchia spirituale, proprio questo non-senso dovrebbe farci sentire sollevati, grazie alla consapevolezza di non dover seguire tutti il medesimo senso e il medesimo copione. Che la morte infranga tutti i nostri progetti, è un dato di fatto; ma, paradossalmente, proprio una vita eterna sarebbe una condizione ancor più terribile della fugacità della nostra esistenza, poiché ci ingabbierebbe in una vita senza uscita, senza alternative, stabile, mentre l'intensità e anche la bellezza della mortalità risiede nel suo essere un perpetuo pendolo tra gioie e dolori dove, è vero, i travagli sono molti ma soltanto una faccia della medaglia. Senza focalizzarsi esclusivamente su essa, credo che ci si debba godere il viaggio fino all'ultimo giorno, con la consapevolezza liberatoria che nessun dolore sarà mai troppo grande, né travaglio troppo insopportabile, proprio perché la morte ci attende con il suo abbraccio liberatorio.
Daniele Palmieri
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