Pochi giorni fa è morto un poeta. Ma non sentirete questa notizia ai telegiornali, né la leggerete sulle principali testate nazionali. I media e il pubblico sono interessati soltanto alle bruttezze della vita, non c’è più spazio per la Bellezza, e in questo mondo il poeta non può che morire in silenzio. Ma meglio così. Il silenzio è dei saggi, il brusio degli stolti.
Ho conosciuto Giuseppe d’Ambrosio Angelillo circa due anni fa, prima ancora che divenisse conosciuto grazie al servizio de Le Iene. Ero a Milano, in piazza Duomo, una delle piazze più emblematiche della città. Tanta Bellezza da ogni lato, eppure così tante persone insensibili a essa, che passano rapide, con il passo svelto e la testa bassa, troppo annebbiate dai loro impegni. Io sono uno dei pochi milanesi che appena si accorge che sta correndo troppo, tenta di rallentare.
Il giorno in cui ho conosciuto Giuseppe stavo proprio correndo, di ritorno dall’Università Statale, e a farmi accorgere della frenesia metropolitana non fu, come di consueto, il Duomo, ma la sua bancarella di libri, di fronte alla Mondadori.
Mi saltarono subito all’occhio le copertine bianche, dipinte in acquerello, e la figura di Giuseppe alto e immobile come una statua, dalla barba e i capelli lunghi e incolti, un misto tra Marx e Tolstoj. L’intera scena emanava una singolare Bellezza; non quella maestosa delle vetrate e delle guglie del Duomo, ma quella semplice e silenziosa, che soltanto una profonda umanità può trasmettere.
Stavo per passare oltre ma, come anticipato prima, la Bellezza della scena mi rallentò, mi risvegliò e fui costretto a fermarmi. Iniziai a sfogliare i libri sulla bancarella. Grandi titoli e bellissime copertine, che trasparivano l’antica arte tradizionale e artigianale dell’editoria, quella ancora animata dall’amore per la qualità e non della quantità. Letteratura, saggistica, poesia. Basho, Dostoevskj, Alda Merini, Einstein, Leonardo da Vinci. E, tra loro, Giuseppe d’Ambrosio Angelillo. Notai subito i numerosi libri pubblicati sotto quel nome, e compresi che dietro alla bancarella si nascondeva proprio il corpo e lo spirito dello scrittore. Non potei evitare di investigare e di chiedergli di raccontarmi la sua storia. Il suo parlato profondo e calmo mi trasmise subito profonda saggezza. Mi parlò del suo amore per la cultura e per i libri. Mi raccontò che Acquaviva, nome della casa editrice, deriva dal nome della sua terra natale, in Puglia, piccolo paese dallo spirito contadino, che a partire dal nome trasmette però la stessa forza e lo stesso magnetismo delle sue pubblicazioni. Uno spirito autentico e artigianale. Mi disse che per i suoi libri aveva sacrificato tutta la sua vita e che, anche se si trovava in condizioni economiche per nulla favorevoli, con molte bocche da sfamare, i libri e la cultura erano sempre stati la sua ancora di salvezza, poiché, come dicevano gli antichi Greci, se il poeta non è in grado di procacciarsi il pane, saranno gli déi a sfamarlo. Mi raccontò dei suoi studi. Aveva passato molti anni alla Statale di Milano, facendo l’assistente di un professore e scrivendo un’opera monumentale su Dostoevskij che, tuttavia non andò mai giù al pubblico accademico proprio perché non era una delle solite opere di mera erudizione. E così, abbandonò l’Università, i cui paletti spesso ingabbiano gli spiriti più liberi. Mi raccontò anche dei suoi rapporti con Alda Merini, della Milano ormai sparita in cui lui e lei avevano vissuto insieme, da scrittori e poeti, svelandomi i torbidi retroscena del mondo editoriale e di come la stessa Alda si infuriò quando una grande casa editrice tentò di impedire a Giuseppe di pubblicare alcune sue raccolte, esigendo il monopolio sull’intera opera. Monopolio che Alda non concesse, perché nessuno può ingabbiare la poesia, né ridurla a un oggetto di mercato.
Tornato a casa, rimasi molto colpito da quell’incontro e ne parlai con molti amici. Purtroppo non avevo soldi dietro e non potei comprare i suoi libri, ma fu anche una fortuna perché così potei rincontrare Giuseppe, vicino a casa sua, in una piovosa giornata invernale.
Eravamo io, lui e una mia vecchia fiamma, in un bar di cinesi. I libri che avevo prenotato, che serbo ancora con amore reverenziale, sono una silloge di pensieri tratti dal Talmud, La scopata di Manganelli di Alda Merini e una breve raccolta di poesie, sempre sue, che regalai alla mia ormai ex-ragazza; infine, il suo capolavoro, Milan Blus Ban, uno scritto imponente che racconta la Milano dei suoi anni con Alda Merini, un mix tra beat generation, Céline e l’inconfondibile tocco letterario di Giuseppe.
Ricordo che quel giorno passammo insieme oltre tre ore, in cui Giuseppe spaziò tra i più disparati argomenti, raccontandoci ancora della sua vita, dei suoi libri, della cultura, e dell’importanza della poesia, animato e irrefrenabile come Diogene, un “Socrate impazzito” (nel senso positivo del termine), e quando ci salutammo e la mia ex ragazza mi fece notare la sua parlantina irrefrenabile e il suo carattere bizzarro, le dissi che Giuseppe era un poeta, e che lo si doveva considerare secondo i canoni della poesia.
Quella fu l’ultima volta in cui lo vidi di persona. Mi chiamò, qualche giorno dopo, entusiasta per essere stato contattato da Nina Palmieri de Le Iene, grazie a una lettera mandata dal suo figlio più piccolo. Il servizio andò in onda poche settimane dopo e fu uno di quei pochi casi in cui la cultura e la poesia undergrond, ossia la vera cultura e la vera poesia, riuscirono a ottenere un ottimo risalto mediatico. Da lì in poi sempre più persone conobbero Giuseppe d'Ambrosio Angelillo e iniziarono ad appassionarsi ai suoi libri, alla sua storia, alla sua vicenda familiare, che trasmettevano e trasmettono ancora una purezza e un'autenticità illibata.
Purtroppo, Giuseppe d'Ambrosio Angelillo ci ha lasciato pochi giorni fa, a causa di un'improvvisa emorragia cerebrale. Ma se, come diceva sempre lui, se il poeta non è in grado di procacciarsi il pane allora saranno gli déi a sfamarlo, si può anche dire che il poeta non muore, ma che sono gli déi a volerlo alla propria corte, per ospitarlo e godere della Bellezza della sua poesia eternamente.
E anche noi possiamo godere eternamente della Bellezza della sua arte, continuando a leggere i suoi libri e aiutando così la sua famiglia.
Per chi volesse approfondire la sua arte, tutti i suoi libri sono disponibili su Google Books:
Il giorno in cui ho conosciuto Giuseppe stavo proprio correndo, di ritorno dall’Università Statale, e a farmi accorgere della frenesia metropolitana non fu, come di consueto, il Duomo, ma la sua bancarella di libri, di fronte alla Mondadori.
Mi saltarono subito all’occhio le copertine bianche, dipinte in acquerello, e la figura di Giuseppe alto e immobile come una statua, dalla barba e i capelli lunghi e incolti, un misto tra Marx e Tolstoj. L’intera scena emanava una singolare Bellezza; non quella maestosa delle vetrate e delle guglie del Duomo, ma quella semplice e silenziosa, che soltanto una profonda umanità può trasmettere.
Stavo per passare oltre ma, come anticipato prima, la Bellezza della scena mi rallentò, mi risvegliò e fui costretto a fermarmi. Iniziai a sfogliare i libri sulla bancarella. Grandi titoli e bellissime copertine, che trasparivano l’antica arte tradizionale e artigianale dell’editoria, quella ancora animata dall’amore per la qualità e non della quantità. Letteratura, saggistica, poesia. Basho, Dostoevskj, Alda Merini, Einstein, Leonardo da Vinci. E, tra loro, Giuseppe d’Ambrosio Angelillo. Notai subito i numerosi libri pubblicati sotto quel nome, e compresi che dietro alla bancarella si nascondeva proprio il corpo e lo spirito dello scrittore. Non potei evitare di investigare e di chiedergli di raccontarmi la sua storia. Il suo parlato profondo e calmo mi trasmise subito profonda saggezza. Mi parlò del suo amore per la cultura e per i libri. Mi raccontò che Acquaviva, nome della casa editrice, deriva dal nome della sua terra natale, in Puglia, piccolo paese dallo spirito contadino, che a partire dal nome trasmette però la stessa forza e lo stesso magnetismo delle sue pubblicazioni. Uno spirito autentico e artigianale. Mi disse che per i suoi libri aveva sacrificato tutta la sua vita e che, anche se si trovava in condizioni economiche per nulla favorevoli, con molte bocche da sfamare, i libri e la cultura erano sempre stati la sua ancora di salvezza, poiché, come dicevano gli antichi Greci, se il poeta non è in grado di procacciarsi il pane, saranno gli déi a sfamarlo. Mi raccontò dei suoi studi. Aveva passato molti anni alla Statale di Milano, facendo l’assistente di un professore e scrivendo un’opera monumentale su Dostoevskij che, tuttavia non andò mai giù al pubblico accademico proprio perché non era una delle solite opere di mera erudizione. E così, abbandonò l’Università, i cui paletti spesso ingabbiano gli spiriti più liberi. Mi raccontò anche dei suoi rapporti con Alda Merini, della Milano ormai sparita in cui lui e lei avevano vissuto insieme, da scrittori e poeti, svelandomi i torbidi retroscena del mondo editoriale e di come la stessa Alda si infuriò quando una grande casa editrice tentò di impedire a Giuseppe di pubblicare alcune sue raccolte, esigendo il monopolio sull’intera opera. Monopolio che Alda non concesse, perché nessuno può ingabbiare la poesia, né ridurla a un oggetto di mercato.
Tornato a casa, rimasi molto colpito da quell’incontro e ne parlai con molti amici. Purtroppo non avevo soldi dietro e non potei comprare i suoi libri, ma fu anche una fortuna perché così potei rincontrare Giuseppe, vicino a casa sua, in una piovosa giornata invernale.
Eravamo io, lui e una mia vecchia fiamma, in un bar di cinesi. I libri che avevo prenotato, che serbo ancora con amore reverenziale, sono una silloge di pensieri tratti dal Talmud, La scopata di Manganelli di Alda Merini e una breve raccolta di poesie, sempre sue, che regalai alla mia ormai ex-ragazza; infine, il suo capolavoro, Milan Blus Ban, uno scritto imponente che racconta la Milano dei suoi anni con Alda Merini, un mix tra beat generation, Céline e l’inconfondibile tocco letterario di Giuseppe.
Ricordo che quel giorno passammo insieme oltre tre ore, in cui Giuseppe spaziò tra i più disparati argomenti, raccontandoci ancora della sua vita, dei suoi libri, della cultura, e dell’importanza della poesia, animato e irrefrenabile come Diogene, un “Socrate impazzito” (nel senso positivo del termine), e quando ci salutammo e la mia ex ragazza mi fece notare la sua parlantina irrefrenabile e il suo carattere bizzarro, le dissi che Giuseppe era un poeta, e che lo si doveva considerare secondo i canoni della poesia.
Quella fu l’ultima volta in cui lo vidi di persona. Mi chiamò, qualche giorno dopo, entusiasta per essere stato contattato da Nina Palmieri de Le Iene, grazie a una lettera mandata dal suo figlio più piccolo. Il servizio andò in onda poche settimane dopo e fu uno di quei pochi casi in cui la cultura e la poesia undergrond, ossia la vera cultura e la vera poesia, riuscirono a ottenere un ottimo risalto mediatico. Da lì in poi sempre più persone conobbero Giuseppe d'Ambrosio Angelillo e iniziarono ad appassionarsi ai suoi libri, alla sua storia, alla sua vicenda familiare, che trasmettevano e trasmettono ancora una purezza e un'autenticità illibata.
Purtroppo, Giuseppe d'Ambrosio Angelillo ci ha lasciato pochi giorni fa, a causa di un'improvvisa emorragia cerebrale. Ma se, come diceva sempre lui, se il poeta non è in grado di procacciarsi il pane allora saranno gli déi a sfamarlo, si può anche dire che il poeta non muore, ma che sono gli déi a volerlo alla propria corte, per ospitarlo e godere della Bellezza della sua poesia eternamente.
E anche noi possiamo godere eternamente della Bellezza della sua arte, continuando a leggere i suoi libri e aiutando così la sua famiglia.
Per chi volesse approfondire la sua arte, tutti i suoi libri sono disponibili su Google Books:
Daniele Palmieri
Egr. Daniele Palmieri, io invece ho conosciuto Giuseppe dopo il servizio delle "Iene". Lo contattai su fb e gli dissi che avrei voluto conoscerlo appena di passaggio a Milano.(Sono friulano). Arrivatoci due mesi dopo,lo chiamai ma la giornata era festiva e stava a casa per cui ci demmo appuntamento proprio al bar cinese all'angolo di Via Palmieri! Lo abbracciai e passai quasi due ore parlando di diverse cose, dalla Merini al basket, come se ci fossimo conosciuti da sempre.Mi è rimasto un vuoto dentro e sgomento, anche se è vero che i poeti non muoiono mai! Un pensiero mi va giornalmente alla famiglia: Ho il Suo numero di cellulare: proverò a chiamare.... Alessandro Sabot Manzano (Ud)
RispondiEliminaConosco Giuseppe dai tempi dell'università abbiamo studiato filosofia insieme ho saputo da poco della sua morte sono sconvolta una conoscenza di più di trent'anni lo avevo chiamato per gli auguri del compleanno così ho saputo anch'io scrivo ho appena pubblicato un libro volevo dirglielo farglielo vedere sono distrutta dal dolore un' amica di sempre
EliminaLa morte di Giuseppe nel 2017 ci ha colpiti tutti, noi piccola associazione di Acquaviva delle Fonti "L'Incontro Onlus" abbiamo deciso che il sogno di Giuseppe non poteva morire, per questo facciamo veicolare ancora oggi il suo nome e le sue opere attraverso un premio nazionale di Poesia e Narrativa dedicato ed intitolato proprio a Giuseppe D'Ambrosio Angelillo. La sua casa editrice Acquaviva continua a vivere sui nostri sogni proprio come faceva "Peppino"
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