"Non senza qualche logica amarezza/penso che le parole più essenziali/che mi esprimono stiano nelle pagine/che non sanno chi sono, non in quelle/che ho scritto" recitano alcuni versi di una poesia di Borges, I miei libri, contenuta ne La rosa profonda.
Ieri notte ho letto un racconto, proprio di Borges, che mi ha particolarmente toccato perché sembrava descrivermi.
Si tratta di L'altro, all'interno de Il libro di Sabbia. E' un racconto di poche pagine, dal linguaggio semplice, ma ogni parola è soppesata e se, come recita il detto, Dio si nasconde nei dettagli, questo breve racconto è così ricco di dettagli da possedere qualcosa di divino.
Protagonista del racconto è lo stesso Borges, seduto su una panchina davanti a un fiume a Cambridge. Sembra un giorno come un altro quando, improvvisamente, ode a qualche panchina poco lontana da lui un fischiettio e un tono di voce a lui conosciuto. Incuriosito, si alza e raggiunge la persona sulla panchina e, con immenso stupore, si trova catapultato in una situazione surreale: la persona sulla panchina è lui stesso, ma ringiovanito di oltre sessant'anni.
Il Borges anziano, dopo aver fatto alcune domande al Borges giovane, rivela la sua identità e la dimostra descrivendo i particolari della casa a Ginevra in cui, teoricamente, il Borges giovane ora si trova. Sospesa l'incredulità, entrambi sono costretti a considerare reale quell'incontro e inizia tra i due un dialogo il cui punto di partenza, inevitabile, è il racconto di alcune vicende che il Borges giovane vivrà, ma che soltanto il Borges anziano conosce.
Il Borges anziano rivela al Borges giovane alcune delle cose che gli accadranno, finché non sorge un dubbio: come è possibile che il Borges vecchio non si ricordi di quell'incontro, visto che in teoria l'ha già vissuto? Sono costretti però a passare oltre a questo enigma, che come gli altri verrà risolto soltanto in seguito.
La discussione verte dunque, inevitabilmente, sui libri; il giovane scrittore è curioso di sapere come andranno le sue pubblicazioni, e il Borges vecchio, con una certa sfumatura di nostalgia, risponde:
"Non so quanti libri scriverai, ma so che sono troppi. Scriverai poesie che ti daranno un piacere non condiviso, e racconti di carattere fantastico. Insegnerai anche, come tuo padre e come tanti altri del nostro sangue.
Fui felice che non mi chiedesse niente del fallimento o del successo dei libri".
Prosegue poi raccontandogli gli eventi storici che si verificheranno, ma essendo Borges che incontra Borges, la conversazione non può che tornare sulla letteratura e sui libri.
Iniziano a discutere delle loro letture; Borges giovane è estasiato da Dostoevskj, Borges anziano riconosce il tipico fervore giovanile verso l'autore russo, che in lui ha però fatto il suo tempo, a tal punto da non ricordarsi nemmeno il romanzo. Dimenticanza che fa quasi infuriare il Borges giovane, che non può comprendere come ci si possa dimenticare un autore simile. Cosa che, evidentemente, comprendere soltanto anni dopo.
Dai libri letti, passano poi a quelli scritti. Borges vecchio chiede a Borges giovane che libro sta scrivendo, e la risposta del secondo è una raccolta di poesie dal titolo Gli inni rossi.
Questo passo mi ha particolarmente toccato, rievocandomi i versi dello stesso Borges citati a inizio articolo. Mi sono immaginato in là con gli anni, a volgere lo sguardo all'uomo, allo scrittore, al giovane che sono adesso, a scrutinare i sogni, le speranze, gli ideali della gioventù ormai dal punto di vista del crepuscolo, facendo i conti con quanto si è realizzato e quanto invece non è mai avvenuto, a ricordarmi con un pizzico di malinconia l'enfasi delle letture e degli scritti giovanili, attorno ai quali ora ruota la mia vita, ma che presto potrebbero diventare cenere, passato.
Lo scarto generazionale inizia a farsi sentire, e a questo punto il Borges vecchio matura quanto la sua personalità sia cambiata nel corso degli anni, tanto da far sembrare i due "se stesso" due personalità simili ma allo stesso tempo distinte, due caricature del medesimo soggetto:
"Il mio alter ego credeva nell'invenzione o nella scoperta di nuove metafore; io, in quelle che corrispondono ad affinità intime e ben note, già accettate dalla nostra immaginazione. La vecchiaia degli uomini e il tramonto, il sogno e la vita, lo scorrere del tempo e dell'acqua. Gli esposi questa opinione, che lui avrebbe esposto anni dopo in un libro [...] Mezzo secolo non passa invano. Attraverso quella conversazione fra persone dalle letture miscellanee e dai gusti differenti, capii che non potevamo intenderci. Eravamo troppo diversi e troppo simili. Non potevamo ingannarci, e questo rende difficile il dialogo. Ciascuno era la copia caricaturale dell'altro. La situazione era troppo anomala per durare a lungo".
Così, i due decidono di salutarsi, cercando tuttavia di dare concretezza a quell'incontro, di trovare qualcosa che possa lasciarne una traccia. Borges vecchio decide dunque di dare a Borges giovane una banconota americana, con su impressa la data 1964, mentre Borges giovane dà a Borges vecchio una moneta francese. Ma entrambi decidono poi di gettare quella traccia.
Si lasciano soltanto con la promessa di incontrarsi ancora, il giorno dopo, nel medesimo posto, ma con la reciproca consapevolezza che entrambi avrebbero disatteso la promessa. Incontrare se stessi tutti i giorni ogni mattino non è semplice, figuriamoci incontrare il noi passato o il noi futuro, rendersi conto di quanto siamo impermanenti e di come gli anni ci trasformino, non solo fisicamente ma soprattutto interiormente.
Meditando sull'incontro destabilizzante, il Borges vecchio giunge alla soluzione dell'enigma proprio grazie alla banconota egli aveva consegnato al Borges giovane.
Essa ha sopra una data, ma le banconote non hanno data. Così, l'unica soluzione possibile è questa: il Borges giovane ha sognato quell'incontro, molti anni prima, per poi dimenticarselo. Un sogno così vivido da diventare reale, ma pur sempre un sogno, come testimonia quella piccola imperfezione. Per questo se ne è poi dimenticato. Il Borges vecchio, al contrario, ha vissuto realmente quell'esperienza, ha incontrato realmente il Borges giovane in una sorta di frattura spazio-temporale a metà tra il sogno e la realtà, e dunque a metà tra un sogno e un altro sogno. Come aveva detto lo stesso Borges vecchio al suo doppio del passato: "Il mio sogno dura ormai da settant'anni. In fin dei conti, al risveglio, non c'è nessuno che non incontri se stesso. E' quello che ci sta accadendo ora, solo che siamo in due".
Daniele Palmieri
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