Nato a Filadelfia nel 1824, Charles Leland è stato un antropologo e folclorista statunitense. Fin dall'infanzia si trovò immerso nella cultura magica, proveniente da tradizioni diverse che, tuttavia, si incontrarono negli Stati Uniti creando grandi fermenti culturali sotterranei. Da un lato, il sapere magico delle sue badanti Irlandesi, che lo fecero avvicinare al folklore Europeo e, dall'altro, i movimenti spiritisti nati proprio negli Stati Uniti, che stavano risvegliando l'interesse per il mondo occulto. L'interesse precoce di Leland nei confronti dell'occultismo sfociò nei suoi studi presso la Princenton University, dove approfondì le correnti esoteriche europee, come kabbala, neoplatonismo ed ermetismo rinascimentale. Ma questa preliminare preparazione teorica fiorì definitivamente una volta trasferitosi in Europa. Viaggiando attraverso Francia, Inghilterra e Italia si avvicinò al folklore dei popoli, anticipando di mezzo secolo gli studi antropologici di studiosi come De Martino, che allo studio delle tradizioni sui libri preferirono lo studio a contatto diretto con le fasce della popolazione che ancora vivevano gli antichi culti, riti e superstizioni tramandate.
A "stregarlo" fu proprio l'Italia e quel bacino di tradizioni sotterranee che fondeva antiche conoscenze pagane, provenienti dal mondo etrusco e greco-romano, alle credenze cristiane medievali.
Tra le sue opere principali, dedicate alle credenze magiche italiane riportate alla luce interrogando le persone del luogo, vi furono "Sopravvivenze etrusche e romane nelle tradizioni popolari" e "Leggende di Firenze collezionate dalle persone". Nella sua riscoperta delle leggende popolari Leland era mosso dalla convinzione che, spesso, fiabe, storie e folklore del passato possono trasmetterci una conoscenza del passato molto più vicina alle antiche credenze rispetto ai testi della cultura "alta". Quest'ultima, infatti, è spesso filtrata da un substrato teorico posseduto solo dalle élite istruite, molto più dinamico rispetto alle conoscenze delle popolazioni rurali che, invece, sono come immerse in un tempo al di fuori della storia, spesso impermeabile alle grandi rivoluzioni filosofiche, teologiche e teoriche proprio della nobiltà o della borghesia.
Benché Leland fosse un anarchico e un egalitario, riteneva che, paradossalmente, proprio il progresso e l'omologazione culturale stessero sradicando tali antiche culture popolari, che perfino il Cristianesimo era riuscito soltanto a nascondere sotto un velo, inglobando le leggende e le conoscenze magiche nelle storie di santi e miracoli e riconoscendo, pur come nemico, il fenomeno della cosiddetta stregoneria.
L'antropologo statunitense si sentiva dunque investito di un ruolo fondamentale: salvare tali conoscenze popolari dall'oblio della cultura borghese e dalla noncuranza degli accademici universitari.
Fu nel 1889 che suscitò un grande dibattito con la pubblicazione di un terzo e breve libro: Aradia. Il Vangelo delle streghe. Il libro proseguiva sulla stessa scia delle opere precedenti e, anzi, a ben vedere era meno ricco di leggende e riferimenti culturali volti ad accostare la conoscenza popolare alla cultura classica. Eppure è, tutt'oggi, il suo testo più tradotto e conosciuto.
La fortuna del libro è dovuta all'alone di leggenda che lo circonda. Stando a quanto racconta lo stesso Leland, sia nella prefazione sia nella postfazione del testo, durante i suoi studi sul territorio toscano si accorse di come in Italia, più che in qualsiasi altro territorio europeo, sembravano sopravvivere conoscenze magiche ancora fortemente radicate tra la popolazione. Come scrive Leland:
"In Italia, ancora oggi, ci sono un gran numero di streghe, indovine o maghe, che predicono il futuro attraverso le carte, compiono strane cerimonie nel corso delle quali si invocano gli spiriti, fabbricano e vendono amuleti e si comportano come, generalmente, ci si aspetta da persone come loro, siano esse sacerdotesse Voodoo in America o streghe in ogni altra parte del mondo. Ma la strega italiana è, sotto alcuni aspetti, diversa da quest'ultime. Spesso proviene da una famiglia nella quale la stregoneria viene praticata da moltissime generazioni. Non ho dubbi che vi siano dei casi in cui queste antiche pratiche risalgano ad epoca medievale o addirittura al periodo romano o etrusco. Il risultato è stato naturalmente l'accumularsi, in queste famiglie, di una vastissima tradizione" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 9).
Cercando di approfondire questa antica tradizione, Leland racconta di essere entrato in contatto con una strega soprannominata "Maddalena", viva testimonianza di questo filo ininterrotto con il passato. Maddalena fu una delle testimoni principali delle leggende e delle usanze magiche trascritte da Leland anche se ella, nonostante l'insistenza dell'antropologo statunitense, sembrava voler mantenere segrete le sue fonti. Soltanto dopo una lunga opera di convincimento fu in grado di ottenere da lei un testo scritto, che da allora passò alla storia come Il vangelo delle streghe, da Leland trascritto, tradotto e commentato. Nella sua versione originale, il manoscritto su cui Leland lavorò era composto da un insieme di fogli sui quali Maddalena aveva trascritto, in prosa e in poesia, un insieme di storie e incantesimi dedicati alla dea Diana, divinità venerata dalla streghe non solo nel medioevo, ma anche nel mondo antico. Furono due particolari a colpirlo e a convincerlo di trovarsi di fronte a un testo unico: da un lato, la peculiare alternanza di poesia e prosa, redatte in un italiano antico, non più parlato dalla popolazione locale; dall'altro, il trovarsi di fronte a leggende e tradizioni che aveva già incontrato interrogando fonti diverse.
Per lungo tempo si è dibattuto sulla veridicità del manoscritto che Leland dice di riportare. Gli studiosi si sono divisi tra i detrattori, che ritengono il testo una pura invenzione letteraria dell'antropologo statunitense o un'invenzione della "fattucchiera" Maddalena, creata ad arte per ingannarlo, e coloro che invece ne sostengono l'autenticità, ritenendo lo scritto riportato da Leland come un autentico manoscritto antico, tramandato nei secoli da una congrega segreta di Streghe.
Come spetto accade, ritengo che la verità risieda nel mezzo; e, in questo caso, il dibattito è scaturito da un fraintendimento circa le origini del testo che lo stesso Leland avrebbe fugato se si fosse letto tra le righe della sua postfazione al libro. Sulla veridicità storica di tale documento Leland non si sbilancia. Anzi, egli stesso sembra considerare il testo di Maddalena non come un vangelo "canonico" e segreto, giunto a noi intatto da un'epoca remota e facente parte di una congrega di streghe unite da un culto omogeneo, ma come la trascrizione di una conoscenza orale, tramandata di generazione in generazione e della quale ci rimangono ormai solo sporadici frammenti. Come scrive nell'appendice:
"L'esistenza di una religione presuppone ovviamente una scrittura e, in questo caso, bisogna ammettere, anche senza bisogno di accurate verifiche, che il Vangelo delle Streghe è un'opera davvero molto antica. Quando una tradizione viene tramandata oralmente, le donne si ritrovano a ripetere parole o frasi estratte da interi capitoli dei quali non comprendono a pieno il significato, ma che hanno saputo ascoltare e assimilare" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 115).
Un simile vangelo potrebbe essere esistito, ma lo stesso Leland è consapevole che i fogli manoscritti a lui consegnati da Maddalena ne sono ormai solo un'eco lontano, che ne mantiene lo spirito e forse qualche passaggio originale, ma che ormai sopravvive solo nel folklore e nelle credenze nascoste degli strati più bassi della popolazione. Bassi, s'intende, non in senso dispregiativo, ma anzi non contaminati dalla cultura "alta borghese" e, per questo, veicolo di conoscenze antiche non sradicate dall'omologazione culturale.
"Non so se questa donna abbia attinto una parte di queste informazioni da fonti scritte o da una tradizione orale" scrive nella prefazione, "anche se sarei più propenso a pensare che lo abbia fatto principalmente attingendo da quest'ultima. Tuttavia sono oltremodo certo che esistono alcune streghe che sono solite riprodurre o conservare scritti relativi alla pratica della loro arte" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 12).
Ci troviamo dunque di fronte a un fenomeno frammentato e nascosto, veicolato dalle conoscenze residue di ciò che è rimasto a fronte delle persecuzioni imperversate dal Medioevo più remoto fino ai primi decenni del XIX secolo.
Fulcro del culto stregonico, come accennato il precedenza, è la dea Diana, conosciuta anche con il nome di Tana. Una dea dai mille volti, che nel mondo classico rappresentava la dea degli animali, della caccia e dei boschi e che, proprio per questo suo lato selvaggio, viene elevata dal culto stregonico alla della Natura, principio cosmico femmineo che incarna le forze irrazionali, indomabili, oscure e segrete del cosmo.
Diana è dunque da intendersi come la Notte primordiale, che ingloba in sé ogni luce; la notte del ventre materno dal quale emerge la vita.
"Diana fu la prima ad essere create, prima ancora dell'intera creazione. In lei erano tutte le cose. Da Lei scaturirono le prime tenebre, poi Ella divise se stessa in luce e in tenebre. Lucifero, suo fratello e figlio, emanazione di Diana stessa, fu luce" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 27). si legge nel Vangelo delle streghe.
Da notare come Lucifero entri nella teogonia stregonica non tanto nell'accezione negativa propria del cristianesimo ma, al contrario, nel senso originale del suo nome: ossia come portatore di Luce. La sua caduta viene paradossalmente ribaltata nel mito stregonico non come lo sprofondamento delle Luce nelle Tenebre ma, al contrario, come una fuga della Luce dalle Tenebre. Come racconta il mito raccontato dal Vangelo delle streghe:
"Quando Diana vide che la luce emanata da suo fratello lucifero era così bella, fu colta da una grande bramosia e desiderò accogliere ancora quella luce nella sua oscurità.- Diana fremeva dal desiderio e quel desiderio fu l'Alba. Ma Lucifero, la luce, non volle acconsentire a soddisfare le sue brame e così fugì da lei, Egli era come la luce che cerca rifugio nelle più remote regioni del cielo, come un topo fugge di fronte a un gatto" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 27).
Spinta dalla sua passione irrefrenabile, Diana segue Lucifero sulla terra. Questi era solito dormire con una gatta e, per riuscire a unirsi a lui, prese le sue fattezze per intrufolarsi nel letto e giacere col fratello. Quando questi scoprì l'inganno e che "la luce era stata conquistata dalle tenebre, si adirò tremendamente", ma Diana fece il suo primo incantesimo, mormorando una canzone. Lucifero si innamorò di lei e da quella nazione nacque il popolo di Diana: "Le streghe, gli spiriti, le fate e gli elfi che vivono nelle regioni più deserte e i goblins" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 29).
Presto, tuttavia, uomini malvagi presero il controllo del mondo. "In quel tempo vi erano sulla terra pochi uomini ricchi e molti uomini poveri. E i ricchi resero schiavi tutti i poveri. In quel tempo vi erano dunque molti schiavi che venivano trattati in modo veramente crudele: in ogni palazzo regnava la tortura, in ogni castello vi erano numerosi prigionieri. Molti schiavi fuggirono e si diedero alla macchia diventando ladri e malfattori. La notte, invece di dormire, essi complottavano evasioni e uccidevano i loro padroni per derubarli. Queste persone trovarono rifugio tra i monti e nelle foreste e furono costrette a vivere come banditi e assassini per fuggire alla schiavitù" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 18).
In una sorta di redenzione universale ribaltata, Diana decide di aiutare questa popolazione di diseredati incarnandosi in una figlia: Aradia/Erodiade, dalla quale prende il nome il vangelo. Aradia fu la prima grande sacerdotessa, incaricata di diffondere le arti magiche al poveri e ai diseredati per ribellarsi al giogo dei sovrani.
"Tu sarai sempre la prima strega/La prima strega divenuta nel mondo/tu insegnerai l'arte di avvelenare/Di avvelenare tutti i signori/Di farli morire nei loro palazzi/di legare lo spirito dell'oppressore [...]" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 19).
Diana e Aradia rappresentano le divinità femminee e lunari speculari a Dio e a Cristo, divinità maschili e solari. Come Cristo, Aradia è un'incarnazione divina scesa sulla terra a liberare gli uomini; a liberarli, tuttavia, non dalla carne, ma da coloro che gli impediscono di godere della carne, opprimendoli con la schiavitù.
Una teologia rivoluzionaria, che ribalta le forze in gioco dando preminenza allo spirito lunare e femmineo. Come scrive Leland nella postfazione del testo:
"In tutte le Scritture d'ogni civiltà è il maschio a creare l'universo; nella stregoneria il principio attivo è quello femminile. Nel corso della Storia, ogni volta che ricorre un periodo di radicale ribellione intellettuale nei confronti di un conservatorismo o una gerarchia da lungo tempo dominanti, si ripresenta il tentativo di considerare la donna su un piano di uguaglianze, se non anche di superiorità. [...] Si può osservare che anche durante il Medio Evo, così come all'epoca degli intensi fermenti che animarono ugonotti, giansenisti e anabattisti, la donna emerge con preminenza o si ritrova a giocare un ruolo più importante che mai nella vita politica o sociale" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 111).
Leland individua una peculiare somiglianza tra i casi di stregoneria Medievali, corrispettivi ai tumulti sociali da parte di sette ereticali contro il potere costituito, e i medesimi culti "lunari" legati a forze ctonie che stavano nascendo nel suo secolo, come il movimento spiritista nato in concomitanza ai fenomeni medianici delle sorelle Fox e, potremmo aggiungere, anche il movimento Teosofico della Madame Blavatsky, in cui lo spirito lunare e femmineo ebbe un ruolo rilevante.
"La donna parrebbe essere come quei pesci che si mostrano dove le acque sono più agitate" scrive Leland, come se, appunto, ai tumulti sociali provenienti dal basso si accompagnasse un risveglio delle rispettive forze ctonie e lunari, in grado di risvegliare gli archetipi più profondi e nascosti dell'animo umano, legati a una libertà radicale che, nel Medioevo, fu trasmutata nell'immagine del Sabba.
Sabba che ritorna anche nel Vangelo delle streghe, come celebrazione della dea Diana e della figlia Erodiade, portatrici di una liberazione che passa attraverso la Luna, la notte e l'estasi dei sensi. Il Sabba è la messa speculare all'eucarestia, in cui sono esaltati i piaceri dei sensi e la gioia nei confronti della vita e della terra.
"Non cuocio né il pane né il sale/Non cuocio né il vino né il miele/Cuocio il corpo, il sangue e l'anima di Diana/ [...] La cena in tua lode in molti faremo,/mangeremo, berremo/balleremo, salteremo/ su questa grazia che ti ho chiesta tu mi farai/ nel tempo che balliamo/il lume spegnerai/così l'amore liberamente noi faremo" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 24).
E, ancora, nel proseguo in prosa, descrizione della fase cerimoniale conseguente
all'invocazione/preghiera in versi: "Tutti i convenuti, uomini e donne, sederanno al desco completamente nudi e terminato il banchetto essi danzeranno, canteranno, e faranno musica, quindi, quando tutte le luci saranno spente, si ameranno nel buio. Poiché sarà lo spirito di Diana a estinguerle, essi danzeranno e faranno musica in suo onore" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 24).
all'invocazione/preghiera in versi: "Tutti i convenuti, uomini e donne, sederanno al desco completamente nudi e terminato il banchetto essi danzeranno, canteranno, e faranno musica, quindi, quando tutte le luci saranno spente, si ameranno nel buio. Poiché sarà lo spirito di Diana a estinguerle, essi danzeranno e faranno musica in suo onore" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, p. 24).
Come Cristo, anche Erodiade, nel mito, torna alla madre Diana quando il suo tempo sulla terra è finito; non perché sconfitti tutti i padroni, ma poiché ha ormai diffuso il suo culto e le sue arti magiche, dando alle streghe e agli stregoni le conoscenze per connettersi in ogni momento con la dea.
"A quanti lo meritavano ella avrebbe accordato i suoi favori. E così dovrà essere invocata:
Io ti cerco, Aradia, Aradia, Aradia!
A mezzanotte, a mezzanotte in punto
Vado in mezzo a un campo
e con me reco acqua vino e sale,
e il mio talismano, il mio talismano
il mio talismano
e una piccola borsa rossa
che terrò sempre nella mano,
con dentro il sale, con dentro il sale.
Con acqua e vino io mi benedico
con devozione io mi benedico
E imploro i favori di Aradia!" (Charles Leland, Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni, pp. 26-27).
Benché, come anticipato in precedenza, i detrattori del testo di Leland abbiano cercato di bollarlo come una mera fantasia dell'autore, occorre sottolineare come studi più recenti stiano riportando alla luce le vestigia di un antico culto pagano, diffuso in tutta Europa, dedicato alla dea Diana. Tra gli studiosi più seri e affidabili, anche da un punto di vista filologico, merita di essere citato in questa sede Carlo Ginzburg, che nella sua monumentale Storia notturna. Una decifrazione del Sabba sembra avvalorare le tesi e il racconto di Leland. Studiando i documenti inquisitoriali dell'Europa, dal Medioevo al tardo 1600, lo storico e antropologo italiano si accorse di diverse ricorrenze nelle descrizioni degli "indagati" che non potevano provenire esclusivamente dal tentativo degli inquisitori di ricondurre le loro accuse a registri noti. Nelle testimonianze degli inquisiti nei processi di stregoneria o licantropia d'Italia, Germania, Francia e Inghilterra ricorrevano spesso descrizioni di culti, riti e cerimonie troppo simili. Tra essi, nel capitolo intitolato Al seguito della dea (Carlo Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, pp. 73-97) Carlo Ginzburg individua un antico culto femmineo dedicato proprio alla dea Diana/Erodiade, una dea dai mille volti che, oltre all'immagine classica della donna selvaggia armata di arco e frecce, assumeva anche il nome di "Regina delle Fate", accompagnata dal marito Lucifero, di "Oriente", dea dispensatrice di cibi, bevande e piaceri, di Epona, dea celtica protettrice della Natura e accompagnata da una folta schiera di bestie o spiriti infernali.
"Donne che credono e dicono di andare di notte al seguito di Diana in groppa ad animali percorrendo grandi distanze, obbedendo agli ordini della dea come a una padrona, servendola in notti determinate: tutti questi elementi ricorrono nelle confessioni di Sibillia e Pierina [due donne accusate di stregoneria, i cui casi sono analizzati da Ginzburg n.d.R.]. [...] Aveva dunque ragione il prete Giovanni de Matociis [...] nell'affermare in un passo delle sue Historiae Imperiale che: molti laici credevano in una società notturna guidata da una regina: Diana o Erodiade. [...] A questo punto anche i tentativi di preti, canonisti e inquisitori di tradurre i molteplici nomi della dea notturna ci appaiono in una luce diversa [...]. Diana e Erodiade fornivano ai chierici un filo per orientarsi nel labirinto delle credenze locali. In questo modo un'eco fioca e alterata di quelle voci di donne è giunta fino a noi" (Carlo Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Adelphi edizioni, pp. 78-79).
Charles Leland, I canti di Aradia. Il vangelo delle streghe, Aradia Edizioni
Per approfondire, Il grimorio di Aradia, a cura di Dragon Rouge, Aradia Edizioni
Carlo Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del Sabba, Adelphi
Daniele Palmieri
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