Siamo nell'VIII secolo d. C. quando Carlo Magno, rex francorum e, da poco tempo, anche rex longobardorum, chiede a Paolo Diacono, monaco, storico e poeta, di redarre una storia di quel misterioso popolo che egli ha appena soggiogato sotto il suo dominio: i Longobardi.
Nasce così la Storia dei Longobardi, testo fondamentale per molteplici ragioni.
Anzitutto, come poc'anzi accennato, è uno dei pochi resoconti organici della storia del popolo longobardo, a partire dalle sue origini mitiche in Scandinavia fino al regno di Liutprando (agli inizi dell'VIII secolo, prima della conquista di Carlo Magno); secondariamente, è uno spaccato sulla nascita di una nuova conformazione politica: l'Italia. Proprio i Longobardi, infatti, che dominarono su gran parte territori italiani dal Nord al Sud, influenzando fortemente la cultura delle popolazioni native, possono essere considerati gli antenati sia del nostro popolo sia dell'Italia così come la conosciamo oggi.
Infine, è una storia del popolo longobardo visto dall'interno; visione di parte, certamente, che rischia di inficiarne l'attendibilità storica. Eppure, una voce contrastante rispetto alla maggior parte delle altre fonti storiche coeve, in cui il popolo Longobardo è sempre visto come il grande nemico e, dunque, ammantato di caratteristiche negative.
Passando al testo di Paolo Diacono, è impossibile riassumere o anche solo recensire la Storia dei Longobardi senza sminuirne il valore storico e letterario. Si tratta di un testo complesso, dalla prosa semplice e asciutta ma, allo stesso tempo, con sbalzi epico-cavallereschi. Paolo Diacono è un cattolico, per di più "collaborazionista" con la corte di Carlo Magno, eppure, anche quando bolla le antiche leggende pagane come storie di poco conto, traspare sempre l'amore per i costumi del suo popolo a tal punto che il suo cristianesimo sembra soltanto una crosta, sotto la quale ribolle ancora il vivo magma del paganesimo longobardo. D'altronde, anche quando il popolo si convertì alla religione cristiana, non furono dimenticate le antiche virtù guerriere tanto che basta visitare il Tempietto Longobardo a Cividale del Friuli per vedere gli affreschi di santi che reggono tra le mani la spada longobarda, oggetto sacro per gli Arimanni (gli uomini liberi e in armi).
Essendo impossibile parlare dettagliatamente dell'intero testo, visto che gli eventi storici narrati da Paolo Diacono si susseguono molto velocemente, mi soffermerò solo su un episodio che narra l'origine mitica del popolo prima ancora che discendesse in Italia.
Il mito ha a che fare l'etimologia stessa del nome Longobardi e la genealogia di tale popolo il quale, quando ancora abitava la regione settentrionale che "quanto più è lontana dal calore del sole e gelida per il freddo della neve, tanto più è salubre per i corpi degli uomini e adatta alla propagazione delle stirpi", si chiamava popolo dei Winili.
I Winili, come la maggior parte dei popoli nordici, era un "esercito di popolo" che viveva prevalentemente di nomadismo, migrando di anno in anno in cerca di territori più favorevoli e di risorse. Usciti dalla Scandinavia guidati dai due capi-tribù Ibore e Aione, e arrivati in una regione chiamata Scoringa, si stabilirono qui per alcuni anni fino a quando non furono minacciati dai Vandali, all'epoca condotti da Ambri e Assi. Quest'ultimi opprimevano tutte le popolazioni del luogo, schiacciandole con le loro richieste di tributi e le loro minacce di guerra. Ricevuti i messaggeri dei Vandali che volevano costringere anche il popolo dei Winili a piegarsi, "Ibore e Aione, spinti dalla madre Gambara, decidono che è meglio difendere con le armi la libertà piuttosto che disonorarla col pagamento di tributi. Mandano ambasciatori ai Vandali dicendo che combatteranno ma non si sottometteranno".
I Winili sono dunque rappresentati, fin da subito, come un popolo fiero e guerriero; tuttavia, vi era tra di loro un grave problema: "Certo, i Winili erano allora nel fiore della giovinezza, ma esigui di numero, in quanto erano solo la terza parte della popolazione di un'isola non particolarmente estesa".
A questo punto, Paolo Diacono narra quella che, da cattolico, definisce "favola ridicola" ma della quale, evidentemente, da Longobardo era troppo affascinato per non riportarla: "I Vandali Sarebbero andati da Godan [Odino] per chiedere la vittoria sui Winili, e il dio rispose che avrebbe dato la vittoria al popolo che per primo avesse visto al sorgere del sole. Allora Gambara andò da Frea, moglie di Godan, per chiedere la vittoria per i Winili. Frea diede questo consiglio: le donne dei Winili, sciolti i capelli, dovevano aggiustarli sul viso come fosse barba e di primo mattino dovevano unirsi agli uomini e disporsi in modo da essere viste da Godan nel luogo in cui egli era solito guardare da una finestra verso oriente. Così fecero. Godan vedendole al sorgere del sole, disse: "Chi sono quelle lunghe barbe [lang-bard]?". Allora Frea suggerì di concedere la vittoria a coloro cui aveva dato un nome. Così Godan diede la vittoria ai Winili. [...] I Longobardi, dapprima chiamati Winili, in seguito furono così chiamati per la lunghezza della barba mai toccata da ferro. Infatti nella loro lingua lang significa lunga e bard significa barba. [....] Pertanto i Winili, detti anche Longobardi, attaccata battaglia con i Vandali, combattendo alacremente per la gloria della libertà, ottengono la vittoria".
Paolo Diacono - Storia dei Longobardi, citazioni tratte dall'edizione San Paolo
Daniele Palmieri
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