domenica 23 ottobre 2016

Lo Schelling esoterico di "Clara": Natura, immortalità e mondo degli spiriti

Nello scegliere le mie letture ho la predilezione per i libri più improbabili, che difficilmente si trovano negli scaffali delle librerie e che soltanto il Libraccio è in grado di regalarmi. Penso, infatti, che per far circolare nuove idee sia essenziale rivolgersi soprattutto a quei libri poco letti e poco commentati, dove grandi intuizioni potrebbero attendere, nascoste, che qualcuno le riporti a galla.
Schelling non è certo un filosofo poco noto, sebbene nel campo dell'idealismo siano maggiormente studiati Fichte ed Hegel, almeno in Italia; tuttavia, tra i suoi scritti più pubblicati, letti e tradotti non compare di certo la breve opera incompiuta di cui intendo parlare (anch'essa riesumata da uno scaffale polveroso del Libraccio).
Si tratta di Clara, ovvero sulla connessione della natura con il mondo degli spiriti, un titolo che sembra addirsi più all'opera di un medium come Kardec che a un filosofo idealista. In effetti, i collegamenti con il mondo esoterico sono numerosi e la genesi stessa dell'opera è datata durante una profonda crisi emotiva dell'autore.
Siamo tra il 1809 e il 1810, periodo in cui Schelling vive un travagliato lutto a causa della perdita della moglie; una sofferenza così acuta che lo porterà a dire, nelle conferenze di Stoccarda: "Ci sono dei casi in cui l'intelletto non può più dominare la follia che sonnecchia nelle profondità del nostro essere. Così l'intelletto non può offrire consolazione a un certo dolore".
In tale clima spirituale e intellettuale si situa Clara, un'opera consolatoria rimasta incompiuta che in molti tratti riflette un'altra opera classica, strettamente legata alla consolazione dalla morte, ossia il Fedone di Platone.
Clara è un testo incompiuto che nelle volontà dell'autore non sarebbe dovuto nemmeno essere pubblicato (ma, per fortuna, raramente si rispettano le ultime volontà degli autori circa i loro scritti) e che, inizialmente, era stato pensato come un insieme di quattro lunghi dialoghi, ciascuno ambientato durante una diversa stagione dell'anno, di cui Schelling ha però completato solamente l'autunno e l'inverno, lasciandoci soltanto un frammento della primavera e alcune note circa punti che avrebbe dovuto sviluppare.
Protagonisti dei dialoghi sono principalmente il narratore, che riporta quanto vissuto in prima persona, un medico e, soprattutto, Clara, che dà il titolo al testo. A margine si inseriscono, a seconda dei contesti, figure secondarie come il monaco del primo dialogo o la pellegrina dell'ultimo.
Tema che fa da filo conduttore di tutti i dialoghi è la morte. Clara, amica del narratore, viene da lui raggiunta per trovare consolazione dall'inaspettata morte del marito Albert.
Fin dal principio è proprio la morte a regnare sovrana. Il primo dialogo è infatti ambientato durante il Giorno dei Morti e, mostrandosi abile narratore oltre che grande filosofo, Schelling descrive con toni toccanti il rituale cattolico con cui si commemorano i defunti, mostrando quanto sia atavico e inscindibile il legame che ci lega ai nostri cari, tale da superare i limiti del terreno. "Com'è commovente questo costume" commenta il compagno del narratore che, assieme a lui, era andato a rincuorare Clara, "e come è ricco di significato questo ornamento di fiori tardivi sulle tombe. Non è forse giusto dedicare i fiori dell'autunno ai morti che in primavera, dai loro angusti loculi, ci fanno poi dono di fiori più gioiosi, a testimonianza della vita perenne e della resurrezione eterna?".
Dopo aver contemplato il rito, il narratore e il suo compagno, che in quel momento stavano attraversando un cimitero, proseguono il cammino per raggiungere Clara presso un monastero benedettino. Mi soffermo su questi particolari perché le ambientazioni dei dialoghi non sono fine a se stesse, ma vi è un'intrinseca connessione tra la natura circostante, gli uomini e i loro discorsi filosofici. Leggere Clara è come trovarsi catapultati all'interno di un quadro di Friedrich o in un racconto gotico di Hoffman. I dialoghi sono intervallati da pregiate descrizioni di una natura allo stesso tempo maestosa e terrificante, Sublime, che è in grado di proiettare i pensieri di chi si ferma a contemplarla verso mete metafisiche più elevate. "Trovammo la città vuota e desolata; ci fermammo per qualche tempo a rinfrescarci un poco e poi cominciammo a salire verso il maestoso monastero. Appena giunti ci condussero nella biblioteca dove ci attendeva un monaco giovane e colto che [...] ci raccontò che il principe, recentemente scomparso, lo aveva inviato in viaggio e che ora era il custode di quella biblioteca [...]. Ci mostrò delle rarità affidate alle sue cure, ma più di quei tesori morti ci attirava la meravigliosa vista che oltre la vetrata spaziava sulla pianura lontana: fino ai piedi dell'altura dove ci trovavamo, essa era disseminata di città e borghi, e attraversata da un fiume impetuoso che a tratti appariva qua e là, come uno stretto nastro argentato".
All'interno del monastero fa la sua prima apparizione Clara, che fin dalle prime battute mostra tutto il suo struggimento per la morte del marito ed è proprio dalla sua profonda sofferenza che si sviluppa il discorso filosofico.
Ogni elemento, in questa situazione, è scelto dettagliatamente da Schelling; l'autunno, nella simbologia esoterica, rappresenta metaforicamente il momento della discesa verso gli inferi, punto di partenza del viaggio iniziatico che comincia, necessariamente, con la scossa di una sofferenza profonda, che sradica tutte le certezze dell'iniziato, costringendoli così a mettersi alla ricerca di nuove verità. Ed è proprio questo lo stato d'animo di Clara che, a causa della morte del marito, si sente sradicata e dà avvio a una compulsiva ricerca filosofica che possa lenire il suo dolore.
"Il dolore suscitato dal passato si trasformò in un'inesprimibile aspirazione verso il futuro. Al tempo stesso, v'era una sorta di violenza nel suo sforzo per oltrepassare la natura e il reale. L'idea di forze naturali oscure e nascoste di cui ella si era già nutrita nella casa paterna [...] tutto ciò aveva dovuto riempirla del sentimento della presenza, nella natura, di una forza terrificante e senza nome, verso la quale si sentiva tanto attirata da un desiderio fremente quanto respinta".
La verità filosofica di cui i dialoganti trattano ha sempre questo aspetto tetro e inquietante; ha l'aspetto di un abisso oscuro che si apre nelle viscere del terreno, in fondo al quale alberga l'eterno segreto della realtà che può essere raggiunto soltanto tuffandosi nel vuoto, senza sapere quanto profondo sarà il nostro salto.
La spaccatura nel terreno di cui i dialoganti vanno alla ricerca è quella in grado di collegare il mondo terreno al mondo degli spiriti; ammessa l'esistenza di un mondo materiale e ammessa l'esistenza di una realtà spirituale, deve esistere una realtà mediana in grado di collegare un mondo all'altro, sia per quanto riguarda la realtà esterna sia per quanto riguarda l'uomo, composto di spirito e corpo così come la realtà è composta di spirito e materia.
Il collante che tiene insieme i due opposti è l'anima, un elemento sostanziale, immutabile e immortale. Il corpo diventa dunque la polarità oggettiva e reale, lo spirito la polarità soggettiva e ideale, mentre l'anima è la coscienza unificante in grado di conciliare i due opposti, ossia di aggiungere un principio materiale al principio spirituale e un principio spirituale a quello materiale ed è proprio questa connessione triadica a conferire all'uomo l'immortalità. "Possiamo affermare che uno soltanto dei tre elementi sia in modo esclusivo il legame di tutti gli altri? Non è forse ciascuno a sua volta un mezzo di unione per l'altro? Lo spirito passa nel corpo attraverso l'anima, ma attraverso l'anima il corpo è a sua volta elevato allo spirito. L'anima non si rapporta allo spirito se in questo stesso non esiste un corpo, ed essa non si rapporto al corpo, se in esso non vi è insieme uno spirito; infatti, se l'uno dei due viene meno, essa non può essere presente come unità, ovvero come anima. Considerato nella sua interezza l'uomo sembra dunque essere una sorta di circuito vivente, in cui ogni termine scorre continuamente nell'altro e in cui nessun elemento può separarsi dall'altro". Come sintesi dei due opposti l'anima ha però la preminenza, poiché in grado di contenerli entrambi e di perpetrare così il ciclo vitale.
In tutto ciò, la morte è proprio quella fenditura che, come un processo alchemico, permette all'uomo di portare alla luce la sua intima essenza più profonda: l'anima, che per fiorire necessita di essere incubata tra spirito e corpo ma che, per nascere, necessita di essere distillata per essere separata proprio dai due elementi in cui si trova dissolta. La morte non è dunque una fine, ma proprio quel ponte di collegamento che si andava cercando tra questo e l'altro mondo; un varco che, una volta attraversato, permette di far ritorno nell'Assoluto (il Dio/Natura di Schelling) come una goccia che cade nell'oceano ma che, allo stesso tempo, è in grado di preservare la propria singolarità, proprio perché essa si porta dietro sia il principio del corpo sia quello dello spirito, e, di conseguenza, la sua volontà e la sua libertà (ed è in questo modo che Schelling giustifica l'esistenza degli spiriti, "pure volontà" in grado di agire ancora attivamente nel mondo della materia).
Fine individuale che rispecchia anche il fine dell'intero cosmo, che tende a una suprema perfezione che coincide con la liberazione delle sue forze spirituali e il ricongiungimento degli opposti; da questo punto di vista, dunque, si stabilisce una connessione tra destino individuale e destino cosmico, altra concezione di carattere esoterico che si rifà all'idea dell'uomo come microcosmo e dell'universo come macroantropo.
"Noi esseri organici possiamo morire perché ciascuno di noi è un Tutto. Ma le altre cose non sono che parti di un Tutto superiore, la terra, e possono certamente, all'interno di questo Tutto, essere mescolate e modificate in mille modi, secondo quanto esige lo sviluppo del pianeta; per loro, tuttavia, il beneficio della morte, ovvero di una totale liberazione della forma spirituale della loro vita, non si verifica fintantoché il pianeta non pervenga alla sua meta stabilita e finché sia morto esso stesso".
Queste e altre concezioni filosofiche sono in grado di risollevare l'anima di Clara dal dolore del lutto e di condurla, una volta attraversato l'inferno, lungo la strada che ascendo verso la fine del viaggio iniziatico interiore che coincide con il paradiso, da intendere, in senso metaforico, come lo stato interiore di quiete e illuminazione derivante dalla conoscenza della verità. Purtroppo, come accennato in precedenza, del percorso di Clara successivo all'autunno e all'inverno possediamo soltanto un frammento della primavera, ma già da esso è possibile evincere la diversa propensione spirituale della protagonista, più simile a un germoglio in fiore che a una foglia appassita: "La primavera ha suscitato in me questa fioritura di pensieri e di speranza; mi è nuovamente apparso con chiarezza nell'intimo che siamo figli della natura, che le apparteniamo secondo la nostra prima nascita e non possiamo mai separarci interamente da essa; se non appartenesse a Dio, nemmeno noi potremmo appartenerGli, e se essa non potesse divenire una con Dio, anche la nostra unione con Lui dovrebbe essere imperfetta e persino impossibile. No, non siamo soli! Anche l'intera Natura anela a Dio, dal quale è stata assunta come cominciamento. [...] Il fuoco divino, che ora riposa rinchiuso in essa, prenderà un giorno il sopravvento e allora consumerà tutto ciò che è entrato nella natura solo facendo violenza alla vera interiorità, ritornando così nello stadio iniziale, essa non sarà più l'opera delle sue sole forze che custodivano, prigioniere in sé, le forze divine. Lo spirituale e il divino si uniranno liberamente all'essere purificato".
 
Schelling - Clara, ovvero sulla connessione della natura con il mondo degli spiriti, Guerini e Associati Edizioni.

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Daniele Palmieri

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