Giovanni Scoto Eriugena fu uno dei massimi ingegni della filosofia medievale e il suo Periphyseon (o, in latino, De divisione naturae) è uno dei capolavori della metafisica e spiritualità non solo medievale, ma di tutti i tempi.
Scoto fu un intelletto libero e la peculiarità del Periphyseon risiede nella sua capacità di avvalersi della filosofia, della teologia e dei simboli cristiani per dar vita a un pensiero del tutto originale, che infatti fu osteggiato e accusato di eresia. La maestria e l'innovazione filosofica dell'Eriugena deriva dalla sua predilezione del significato simbolico dei testi sacri rispetto a quello letterale; come egli stesso scrive nel Periphyseon:
"Esiste una molteplice ed infinita comprensione delle parole divine. Proprio come sulla penna di un pavone è possibile vedere una sola e medesima varietà meravigliosa e bella di innumerevoli colori all'interno dello stesso punto di una piccolissima parte di una sua penna" (Il cammino di ritorno a Dio. Periphyseon, Giovanni Scoto Eriugena, a cura di Vittorio Chietti).
La grandezza di Scoto fu tanto filosofica quanto teologica e letteraria; il Periphyseon è un'opera monumentale, suddivisa in cinque libri, in cui si intreccia ogni campo della Sapienza medievale. Immergersi in questo testo è come entrare in una cattedrale gotica; di fronte all'oscurità di certi concetti si prova, infatti, lo stesso senso di mistero che la penombra delle navate gotiche è in grado di suscitare; innanzi alla profondità della riflessione spirituale ci si sente illuminati come dalla luce variopinta delle vetrate che squarcia il buio; infine, i simboli e le immagini poetiche ricorrenti nel testo suscitano la medesima meraviglia delle decorazioni mostruose e degli affreschi nascosti nella penombra.
La costruzione teorica e metafisica di questo filosofo medievale condivide con le cattedrali gotiche una monumentale architettura, dalla perfetta sinfonia geometrica che sembra restituire allo sguardo una melodia divina.
Tema principale del testo, come sottolinea il titolo, è la "divisione della natura", ossia la descrizione della scala gerarchica che si protrae da Dio al mondo, in un unicum strettamente interconnesso e inseparabile. Ma la divisione di Eriugena penetra ancora più in profondità rispetto a quella di altri pensatori medievali che avevano tentato di descrivere l'intero Cosmo nelle loro pagine.
Scoto applica infatti una vera e propria divisione analitica per mostrare come, dall'unità inscindibile di Dio, concepito similmente all'Uno neoplatonico, il processo di Creazione dell'intero Cosmo si sia verificato attraverso una perpetua divisione dei gradi dell'Essere. L'originale suddivisione individuata di Eriugena consta di quattro gradi della Natura, che procedono non in senso verticale e statico, ma ciclico e dinamico.
La prima natura è la natura non creata e creatrice: Dio, il Creatore dell'infinità dell'essere e degli enti, che dà vita a ogni cosa ma trascende ogni cosa.
La seconda natura è la natura creata e creatrice: Lògos, ossia il Verbo e la Ragione divina che dà vita alle Idee eterne, il modello di tutte le cose.
La terza natura è la natura creata e non creatrice: il mondo metafisico (le schiere angeliche) e il mondo fisico (elementi naturali, minerali, vegetali, animali e uomo)
Infine, la quarta natura, la più originale e misteriosa, la natura non creata e non creatrice: siccome Dio è l'alfa e l'omega, persino quest'ultima natura rappresenta Dio, ma in questo caso non il Dio creatore, bensì il Dio motore immobile, fine ultimo verso il quale ogni evoluzione cosmica tende per tornare lì dove era stata generata, in una sorta di palingesi divina.
In tale prospettiva, ogni cosa nel Cosmo è una teofania, una manifestazione o rivelazione di Dio che, seppur trascenda la realtà, si manifesta in essa attraverso le sue creature.
Come scrive Eriugena:
"Dio è al di sopra di tutto e in tutto, poiché Egli è l'essenza di tutto, in quanto solo Lui esiste veramente ed è tutto in tutte le cose, e non cessa di esistere tutto al di fuori di tutto, tutto nel mondo, tutto intorno al mondo, tutto nella creatura sensibile, tutto in quella intellegibile, tutto crea l'universo, tutto è nell'universo, tuto nella totalità dell'universo, tutto nelle sue parti, poiché Egli è il tutto e la parte e anche il non-tutto e la non-parte" (p. 112)
Ogni creatura è dunque espressione di Dio, poiché rappresenta un gradino per risalire fino alla sua essenza; un Dio che tuttavia rimane impenetrabile. Egli, infatti, si nasconde dietro a tali immagini; esse ci parlano di lui, rivelandoci la sua presenza, ma allo stesso tempo lo nascondono. Ed è per questo che la sua conoscenza è possibile soltanto elevandosi prima al piano del simbolo, trascendendo la materialità, e poi negando il simbolo stesso, poiché gli attributi di Dio possono essere compresi soltanto negando tutto ciò che il mondo è. Le cose ci parlano di Dio nella misura di ciò che non ci dicono di lui. Non si può infatti comprendere l'estrema trascendenza se si rimane ancorati a immagini mentali prettamente terrene, che rappresentano soltanto un velo; per sua stessa natura la trascendenza va al di là di qualsiasi oggetto o concetto concepibile, ed è dunque immergendosi nel nulla, dopo l'estrema negazione del reale, che possiamo immergerci in una tenebra divina, esperienza mistica che permette all'uomo di avvicinarsi al Dio nascosto e di carpirne l'essenza.
Come accennato in precedenza, il cammino dell'uomo comincia dalla terza natura, la natura creata e non creatrice; egli risiedeva, in un passato senza tempo, insieme alle schiere angeliche, ma a causa del peccato originale è decaduto fino al mondo della materialità. Tuttavia, Eriugena non sposa una visione pessimista della natura umana. Si è detto che la sua visione non è soltanto discendente e gerarchica, ma circolare; in tale prospettiva, la terza natura non può essere considerata "inferiore" alle altre e, sebbene la materia imprigioni l'uomo, essa brulica di vita spirituale esattamente come le nature precedenti. Ciò si evince sia dalle mirabili descrizioni con cui Eriugena esalta il creato e gli esseri viventi che lo compongono, sia dalla ripresa del concetto neoplatonico di anima mundi. Persino nella terza natura tutto è animato dallo spirito divino, l'anima del mondo comune a ogni essere vivente che infonde in essi vita ed energia. Nei fenomeni naturali, attraverso il loro perpetuo divenire e nelle creature attraverso la "vita brulicante" infusa in esse, che le rende partecipi di un ciclo vitale in continuo mutamento, espressione della maestosa potenza creatrice e vivificante del soffio divino.
In tale contesto, Eriugena riprende la suddivisione aristotelica e, a partire da quest'anima mundi generale, individua tre anime particolari proprie delle diverse specie viventi: l'anima vegetativa, posseduta dalle piante e preposta alle funzioni vitali di base; l'anima sensitiva, posseduta dagli animali e preposta a senso, movimento ed emozioni; l'anima intellettiva, prerogativa dell'uomo, composta da ragione (razionalità) e intelletto (sede delle intuizioni divine). Sempre in linea con la tripartizione di Aristotele, anche Scoto sostiene che l'intrinseca connessione evolutiva delle tre anime, laddove le anime superiori non potrebbero manifestarsi senza lo sviluppo di quelle inferiori. Ma da ciò Eriugena deriva una concezione peculiare del posto dell'uomo nel Cosmo. L'uomo, dice Eriugena, è la creatura più perfetta, non solo nel mondo ma anche nelle schiere angeliche superiori, poiché egli è un concentrato di tutte le nature.
"La natura umana è tutta nella totalità di tutta quanta la natura creata, poiché in essa è stata costituita ogni creatura e ad essa è stata unita ed in Lui ritornerà e per mezzo di Lui dovrà essere salvata" (p. 113).
Nella Genesi si legge che l'uomo fu fatto a immagine e somiglianza di Dio perché in sé condensa tutte le nature: la natura minerale, nella composizione delle ossa; la natura vegetale, nell'anima vegetativa; la natura animale, nell'anima sensitiva; e infine la natura che lo rende allo stesso tempo umano e angelico, l'anima intellettiva, laddove la ragione si presenta come facoltà umana di dare una logica e un senso (una ratio) tanto alle cose del mondo esteriore tanto agli eventi del mondo interiore, mentre l'intelletto rappresenta la facoltà angelica che lo collega al mondo divino e che gli permette di intuire e intravedere il mondo sovrasensibile, per aspirare e tendere a esso. E' grazie all'intelletto che l'uomo riconosce il mondo come la teofania divina di cui si parlava prima, e sempre l'intelletto è l'artefice della "teologia negativa" che a partire dalla negazione intellettuale delle cose e dei concetti prettamente terreni, è in grado di elevarsi al di là delle sfere celesti per tornare all'Uno, Dio.
Abbandonando il cupo pessimismo agostiniano, Eriugena delinea un'antropologia spirituale positiva. E' vero, l'uomo si è macchiato del peccato originale; ma ciò anzitutto gli ha permesso di conoscere una natura che altrimenti gli sarebbe stata preclusa, e secondariamente egli serba in sé la scintilla divina per ascendere e recuperare l'albero della vita.
Scrive a tal proposito Eriugena, con una originale interpretazione dei versetti che narrano la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso:
"Ma, dopo aver commiserato l'uomo, la stessa divina clemenza, quasi intenta a consolare sé stessa e le gerarchie celesti, promette il ritorno dell'uomo in paradiso con una locuzione di valore dubitativo e interrogativo. Dice infatti: Ora dunque egli non stenderà la sua mano e prenderà dall'albero della vita e mangerà e vivrà in eterno? Quasi volesse dire: Non è necessario dolersi della morte dell'uomo e piangere sulla sua caduta dal paradiso. Infatti la speranza del ritorno non gli è stata del tutto negata. Che stenda forse un giorno la sua mano (cioè estenda lo sforzo del suo buon operare nella virtù) affinché possa cogliere i frutti dell'albero della vita (cioè i doni spirituali del Verbo di Dio) e che mangi pure il cibo della pura contemplazione grazie alla quale vivrà in eterno, senza mai rivolgersi indietro alla miseria delle realtà terrene che moriranno del tutto insieme al mondo, ma, al contrario, che possa passare interamente a Dio, e diventare un'unica cosa con lui?" (p. 134).
Per concludere, si può dunque definire il Periphyseon un lungo poema epico-filosofico che narra l'epopea dell'uomo nel suo cammino di ritorno verso Dio. Un testo visionario, enciclopedico, sicuramente una delle vette raggiunte dalla spiritualità e dalla filosofia occidentale.
Periphyseon, De divisione naturae, Giovanni Scoto Eriugena (le citazioni sono tratte da Il cammino di ritorno a Dio a cura di Vittorio Chietti, edito da Mimesis Edizioni, valida introduzione all'opera che ne presenta un dettagliato riassunto e una notevole selezione di testi. L'opera completa è stata invece ripubblicata, in cinque volume, dalla Lorenzo Valla Editore).
Daniele Palmieri
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