martedì 23 marzo 2021

Il fascino del libro proibito: grimori e testi magici nel XVI secolo


A circa un mese di distanza dalla pubblicazione dei primi due approfondimenti sulla realtà che si nasconde dietro la narrazione de Il gatto, il mago e l'inquisitore (mio ultimo romanzo uscito a Gennaio per Magazzini Salani), continuo ora la serie con un approfondimento su uno degli aspetti più importanti del romanzo: i libri di magia.

A più riprese, nel libro, Agrippa e Asmodeo si trovano a citare o a ricercare alcuni libri magici attribuiti a Salomone: La Chiave di Salomone, il Lemegeton, l'Ars Notoria, l'Ars Paulina, il Testamento di Salomone. Tutti i testi citati sono reali e figurano tra i libri di magia più diffusi e ricercati nel XVI secolo, da ogni fascia della società: studiosi, bibliofili, maghi, streghe, stregoni ma anche frati, preti, inquisitori e perfino mercanti, contadini, villici e analfabeti. Nessuno era immune dal "vizio" della magia e i cosiddetti libri proibiti esercitavano un fascino irresistibile, anche a fronte degli innumerevoli rischi che si correva nel possederli. Paradossalmente, è proprio il secolo dell'inasprirsi delle persecuzioni inquisitoriali a coincidere con la massima diffusione di questo tipo di testi. La cosa non deve sorprendere - l'inquisizione aveva creato un circolo vizioso per il quale un libro diveniva ancor più ricercato proprio poiché proibito. Come scrive Federico Barbierato nel saggio Nella stanza dei circoli, dedicato alla diffusione dei manoscritti magici nel mondo occidentale, l'edizione aggiornata dell'Indice dei Libri Proibiti era attesa non soltanto dagli inquisitori, ma soprattutto dai librai consapevoli che i nuovi testi messi all'indice sarebbero stati quelli più richiesti. 

D'altro canto, il XVI secolo è l'epoca in cui l'oggetto libro vive un momento di rinnovato splendore. E' in quest'epoca che iniziano a diffondersi le nuove tecnologie legate ai processi di stampa e, soprattutto, è in questo secolo che, grazie all'opera avveniristica di Aldo Manuzio, editore e stampatore veneziano, il libro assume la veste grafica e il formato con cui lo conosciamo oggi. E' infatti abbandonando i grandi manoscritti tipici della cultura medievale che Aldo Manuzio "inventa" il libro "portatile", antenato dei moderni tascabili, stimolando l'intera produzione europea a muoversi in questa direzione e rivoluzionando il desiderio di bibliofili, lettori e collezionisti, trasformando il libro in un vero e proprio oggetto di culto.

Il mercato dei libri magici non è immune a questo rinnovato interesse - benché esso, per una serie di proibizioni religiose e politiche, rimarrà per secoli relegato alla diffusione manoscritta. Non era vietato soltanto il possesso dei libri proibiti, ma anche la loro produzione a mezzo stampa - e gravi pene spettavano alle stamperie ree di aver prodotto libri proibiti. Tuttavia, questo divieto non fermerà la diffusione dei libri magici ma, anzi, stimolerà la fantasia e la creatività tanto dei librai quanto dei lettori, creando un vero e proprio mercato parallelo, ricco di espedienti geniali e creativi. Come racconta Federico Barbierato, spesso i libri proibiti venivano nascosti all'interno di altri testi, cambiando copertina, frontespizio e le prime e ultime pagine del testo (quelle più controllate da inquisitori e doganieri). Alcune librerie mettevano a disposizione a pochi, fedeli, lettori, la possibilità di ricopiare - previo pagamento - i manoscritti magici in loro possesso. I lettori potevano anche scegliere di ricopiare esclusivamente le parti a cui erano interessati, per ridurre le spese, e proprio questa forma di diffusione manoscritta diede vita a una molteplicità di testi magici che circolavano su tutto il territorio europeo, spesso anche all'interno di Monasteri, Chiese, Chiostri e Università. 

Ogni manoscritto era come un seme, che cresceva creando un reticolo di tronchi, radici e rami ad ogni nuova ricopiatura. Nuovi libri nascevano anche dalla fusione di differenti manoscritti. La possibilità di poter ricopiare soltanto una parte del testo dipendeva dal carattere stesso dei manoscritti magici e del loro contenuto di formule, riti, scongiuri, evocazioni, invocazioni volte alle più disparate finalità. Ciascun lettore si trovava a ricopiare, da più testi differenti, soltanto le parti a lui più funzionali. Nacquero così i cosiddetti "grimori", manoscritti magici, redatti dagli stessi studiosi di arti magiche, contenenti le formule e i riti scelti, scoperti e sperimentati dal mago. In questi scritti convivono due esigenze fondamentali: l'esigenza di descrivere, nel minimo dettaglio, ogni fase, elemento e componente del rituale, e la necessità di essere sintetici sia per moderare i costi, sia perché il grimorio doveva essere piccolo, portatile, tascabile, facilmente nascondibile. Spesso il grimorio stesso diventava un oggetto magico, come testimoniano numerosi processi inquisitoriali (si veda ad esempio il libro Streghe, maghi e sortileghi in terra d'Abruzzo, di Romano Canosa e Isabella Colonnello) in cui gli inquisiti erano stati trovati in possesso di piccoli libri o pergamene, contenenti orazioni, preghiere e scongiuri, portati addosso (al collo o in tasca) come veri e propri talismani. 

D'altronde, ne La Chiave di Salomone il grimorio viene descritto come uno degli strumenti più potenti del mago e la sua stessa produzione diviene un vero e proprio rituale magico. "Fai un piccolo Libro" si legge nel testo "che contenga le Orazioni e le Preghiere per tutte le Esperienze, i Nomi degli Angeli in forma di Litanie e i loro Sigilli e Caratteri. Fattolo, consacralo a Dio e agli Spiriti puri nel modo seguente. In luogo acconcio, disporrai un tavolo coperto d'un drappo di seta fine, sul quale disporrai il Libro aperto alla prima pagina, su cui avrai tracciato il Grande Pentacolo; e dopo aver accesa una lampada che sospenderai sul centro del tavolo anzidetto, circonderai il tavolo con una cortina bianca, come una tenda. Indosserai i sacri paramenti e, genuflesso, reciterai sul Libro, con grande umiltà, la seguente Orazione: ADONAI, ELOHIM, EL, EHEIEH ASHER EHEIEH, Principe dei Principi, Esistenza delle Esistenze, abbi pietà di me: volgi gli occhi al Tuo servo che Ti invoca devotissimamente e Ti supplica per il Tuo Santo e Tremendo Nome TETRAGRAMMATON perché Tu gli sia propizio e ordini ai Tuoi Angeli e Spiriti delle Stelle, o voi Angeli e Spiriti Elementali, o voi Spiriti presenti di fronte al Volto di Dio, io, Ministro e servo fedele dell'Altissimo vi invoco: che Dio stesso, Esistenza delle Esistenze, vi convochi in questo luogo a presenziare a questa operazione che io, con grande umiltà, ho intrapreso. Amen. Dopo di ciò, effonderai incenso dell'aroma appropriato al Giorno e all'ora del Pianeta. E richiuderai il Libro sul tavolo [...] badando che la lampada sia sempre accesa durante tutta l'operazione e chiuderai la cortina. Ripeterai il rito per sette giorni" (La Chiave di Salomone, a cura di Sebastiano Fusco, Venexia, pp. 217-218).


A fronte di questa consacrazione, il grimorio diviene per il mago un vero e proprio strumento teurgico e uno strumento cerimoniale di fondamentale importanza, alla stregua della spada, della bacchetta o del pugnale, che deve sempre accompagnare il praticante durante i suoi riti. Da ciò il fascino esercitato dai libri di magia che, presto, vengono ritenuti fonte di potere non solo per le informazioni in essi contenute, ma per le virtù magiche intrinseche all'oggetto in sé.

Come accennato in precedenza, questa "generazione spontanea" di manoscritti trascritti a partire da altri libri porterà a un corpus magico molto variegato, spesso contraddittorio, un vero e proprio incubo per i filologi ma allo stesso tempo un inno alla creatività umana. Tuttavia, alcuni testi erano ritenuti così importanti che, a fronte delle numerose variazioni, furono però tramandati e trascritti con una certa omogeneità. Da qui i testi magici più importanti della tradizione occidentale come La Chiave di Salomone, contenente la descrizione dell'armamentario del mago e dei riti per consacrarlo, nonché le immagini dei sigilli planetari; il Lemegeton, affascinante quanto tenebroso manoscritti magico contenente i nomi e i sigilli dei 72 demoni infernali; l'Ars Notoria, affine al Lemegeton, ma contenente anche i nomi e i sigilli degli Angeli; l'Ars Paulina e l'Artem Novem, i testi più ricercati dagli studenti, che contengono una serie di sigilli e orazioni per amplificare le proprie conoscenze di materie all'epoca universitarie come Matematica, Retorica, Geometria etc.; il Sesto e il Settimo libro di Mosé, trattato contenente i nomi e i sigilli degli Spiriti Elementali, nonché uno dei pochi manoscritti magici attribuiti a Mosé e non al più inflazionato Salomone; La magia sacra di Abramelin il Mago, testo di tradizione cabalistica; l'Arbatel, una delle più profonde testimonianze della magia cristiana, legato al potere dei Sette Spiriti Planetari.


Molti di questi testi passarono tra le mani dello stesso Agrippa e furono la fonte del suo De Occulta Philosophia, testo che potremmo in parte considerare come il grimorio personale di Agrippa ma che, a differenza di altri grimori, possiede anche un contenuto filosofico, teologico ed esoterico molto più profondo. Il De Occulta Philosophia fu un testo rivoluzionario nella vasta produzione letteraria di testi magici; Agrippa, infatti, non solo ebbe il coraggio di uscire dalla produzione manoscritta clandestina, dando il libro alle stampe anche a rischio di incorrere nell'ira dell'inquisizione (rischio poi concretizzato) ma, per la prima volta, compendiò le conoscenze magiche dall'antichità alla sua epoca in uno scritto unico e coerente, dando dignità filosofica alla produzione disomogenea di scritti magici. 

A differenza dei classici grimori, infatti, il De Occulta Philosophia possiede un impianto estremamente logico e filosofico. Non è una semplice miscellanea di conoscenze, ma un trattato che descrive un percorso iniziatico all'interno dell'arte magica che parte dalla magia naturale, legata agli elementi e al mondo terreno (primo libro), passa per la magia celeste, legata agli influssi astrologici dei pianeti e delle stelle fisse (secondo libro) e approda alla magia cerimoniale, legata alle entità mediane tra uomo e divino (terzo libro). Il tutto inserito in una cornice di pensiero che attinge alla filosofia neoplatonica, alla cabala, alla mistica cristiana ma anche al pensiero arabo/musulmano, a dimostrazione della vastità di conoscenze ma anche ampie vedute di pensiero di Agrippa.

Il grande impatto del testo all'interno del mondo magico è testimoniato dal fatto che, presto, il nome di Agrippa verrà legato, come quello di Salomone, a una serie di grimori apocrifi ispirati alla sua opera, già a pochi anni dalla sua scomparsa, nel 1535. E' già Wier, ad esempio, suo più grande e affezionato discepolo, a lamentarsi del fatto che i librai vendevano i tre libri della De Occulta Philosophia insieme a un presunto "quarto libro", attribuito ad Agrippa, ma in realtà redatto da qualche imitatore sull'onda del successo del mago tedesco.

A conclusione di questo lungo articolo, vorrei porre l'attenzione su un particolare spesso dimenticato della storia del libro. Spesso, quando si pensa ai libri proibiti e alla loro storia travagliata, vengono subito in mente i grandi roghi, i divieti, le proibizioni e le censure. Eppure, per una volta vorrei soffermarmi sul fatto che l'ampia varietà di libri proibiti giunti fino a noi dai secoli passati dimostra come le fiamme dell'inquisizioni e le forbici dei censori non furono mai in grado di fermare la curiosità del lettori e, a conti fatti, si sono dimostrate più numerose le persone volenterose di leggere e diffondere un libro, piuttosto che di bruciarlo.


Daniele Palmieri


Immagini: Libro di San Cipriano, Wikimedia Commons

De Occulta Philosophia, Internet Archive

domenica 14 marzo 2021

Marco Maculotti: Carcosa svelata. Esoterismo, filosofia e folklore in True Detective


Sono ormai passati 7 anni dalla data di uscita della prima stagione di True Detective, serie antologica ideata e creata da Nic Pizzolato, scrittore e sceneggiatore americano. Negli ultimi anni, con il boom della serialità televisiva, alcune opere sono state in grado di sfruttare a pieno le potenzialità di questo mezzo espressivo che, rispetto alla durata ristretta del film, permette di approfondire in maniera più dettagliata la vita e la psicologia dei personaggi, oltre a creare un universo narrativo decisamente più grande e complesso. A distanza di sette anni, reputo la prima stagione di True Detective non solo una delle serie tv, ma soprattutto una delle opere artistiche più profonde del XXI secolo. In essa Pizzolato è riuscito a fondere gli archetipi, la mistica e il folklore dei tempi antichi con la filosofia, il pessimismo e la civiltà del mondo contemporaneo, regalando così allo spettatore una storia che, pur essendo ambientata ai giorni nostri, è in grado di situarsi al di là del tempo e dello spazio, parlando alla parte dell'anima svincolata dal divenire storico - caratteristica dei più grandi classici. 
Anche chi è a digiuno di studi esoterici, religiosi e folklorici avrà colto i numerosi simbolismi, alcuni palesi e altri più nascosti, dietro alla prima stagione di True Detective; per chi volesse approfondire la questione, è finalmente uscito, in Italia, con le edizioni Mimesis, un libro che riesce a rendere merito alla profondità dell'opera di Pizzolato, con un'analisi critica altrettanto complessa: Carcosa svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective di Marco Maculotti, fondatore e rettore della rivista online Axis Mundi.
In Carcosa svelata, Marco Maculotti analizza le molteplici fonti a cui Nic Pizzolato ha attinto per creare l'universo narrativo e i protagonisti di True Detective, dal legame con analoghi casi di attualità, passando per il simbolismo panico, arcaico e sciamanico che pervade l'intera opera fino ad arrivare alla filosofia di Cioran, Ligotti, Nietzsche e alla letteratura di Lovecraft, Chambers e Machen di cui l'opera è imbevuta. Se già a una prima visione della serie non si può che rimanere toccati dalla profondità della storia, una volta approfondite le molteplici radici che ne hanno permesso lo sviluppo non si può che rimanere meravigliati dal modo in cui Pizzolato è riuscito a dar vita a così tante suggestioni. Ilrisultato è la consapevolezza di trovarsi di fronte a un'opera unica nel suo genere, il cui potere, come scrive Maculotti, risiede più nel non detto che in ciò che è esplicito, e nello "sfruttare più le atmosfere create e i simbolismi sapientemente velati che non quello che accade effettivamente, a livello di azione, nei suoi frangenti narrativi" (Marco Maculotti, Carcosa Svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective, Mimesis, p. 13).
La trama di base della storia è semplice; come, d'altronde, è semplice l'intreccio di ogni storia archetipica. Due detective, Rustin "Rust" Cohle (interpretato da un superbo Matthew MacConaughey) e Martin Hart (un altrettanto bravo Woody Harrelson) si trovano a indagare su una serie di omicidi rituali nelle atmosfere sinistre, degradate e decadenti della Louisiana; le loro indagini, a fronte dei numerosi tentativi di depistaggio, porteranno alla luce una setta, la cosiddetta "Setta della Palude", dedita a sacrifici rituali, atti di pedofilia e infanticidio, e cerimonie blasfeme del tutto affini al "Sabba" delle streghe, riuniti attorno al culto di una figura misteriosa, perturbante ed enigmatica chiamata Il Re Giallo.
Se la trama di per sé è abbastanza lineare, intricata è invece la narrazione. La perenne ricerca dei due detective avviene su due piani temporali distinti, il 1995 e il 2012, e a dar voce alla narrazione sono i due protagonisti della storia, con le loro differenti prospettive, Rust e Martin appunto, interrogati da due agenti di polizia che a loro volta si trovano a dover indagare su un caso che si pensava essere risolto. 
Come sottolinea Maculotti, la potenza della storia risiede nell'attingere all'immaginario collettivo sia dei simboli sia delle paure archetipiche dell'uomo, senza però mai cadere nel grottesco e nel banale proprio per la capacità di Pizzolato - affine a quella di Lovecraft e di altri maestri del gotico - di non mettere mai in mostra direttamente l'orrore, ma di celarlo e alludere a esso, rendendolo così ancora più inquietante.
Non potendo analizzare nell'articolo tutte le sfumature e i punti di forza di True Detective, nonché le numerose fonti che Maculotti riporta alla luce, ci focalizzeremo sui due protagonisti principali e sul simbolismo a essi correlato: Errol Childress (Glenn Fleshler) e Rust Cohle. Prima di iniziare la trattazione, si avvisa il lettore che le righe successive saranno ricche di spoiler sui dettagli principali della trama.
Errol Childress rappresenta "L'Orco" della storia - benché egli non sia l'unico "cattivo", come sottolinea Maculotti, egli incarna su di sé tutte le caratteristiche più nefaste del villain ma anche un simbolismo arcaico e panico, che lo riveste di una potente carica simbolica. E' probabile che egli non fosse realmente a capo della Setta della Palude, le cui influenze, come si intuisce nel corso della narrazione, si estendono fino ad alte cariche dello stato, della finanza e della chiesa; eppure, la sua inquietante "Carcosa", casa diroccata, abbandonata nel bosco, in mezzo a rovine di un antico forte forse di natura militare, che egli ha tramutato in un labirinto simile a quello di Cnosso, assume tutti gli aspetti di un templio fatto di "vecchie pietre nel bosco" in cui i membri si ritrovavano a "venerare il demonio" e la sua figura assurge a quella di ierofante, iniziatore e custode. Basti pensare ai minuti da brividi dell'ultima puntata della stagione, in cui Rust viene letteralmente guidato all'interno del templio/labirinto dalla voce profonda, inquietante, misteriosa ma anche affascinante (nel senso magico del termine) di Childress, fino ad arrivare al centro di esso, dove, di fronte all'idolo/fantoccio del Re Giallo avrà una vera e propria visione cosmica, preliminare allo scontro con lo stesso Childress - che assume tutti gli aspetti di una battaglia tra Teseo e il Minotauro. Benché, dunque, Childress sia uno spostato, psicopatico, senza alcuna influenza politica e sociale, egli tuttavia viene elevato a figura di spicco della Setta della Palude proprio in virtù della potente carica simbolica che egli emana e dal fatto che egli si trova ai margini della società - e dunque a stretto contatto con le forze primordiali, oscure e misteriose dell'essere.
Scrive Maculotti in Carcosa Svelata: "Il primo aspetto di interesse da menzionare riguardo a Childress è la notevole somiglianza che si può riscontrare tra il suo identikit e la simbologia tradizionale del Green Man, figura leggendaria della tradizione europea personificante la forza del potere germogliante vegetale e della natura selvaggia e panica. L'identikit di Childress lo ritrae esattamente come una copia funzionale di queste figure del mito e del folklore: orecchie verdi e foglie ne decorano il viso [...]. Tutto il suo volto appare come trasfigurato da una sorta di cascata vegetale, fiori o frutti sembrano ornare il suo capo, in ciò denotando anche una certa impronta dionisiaca [...]. L'aspetto fisico di Childress lo ricollega anche allo stereotipo morfologico dell'Uomo Selvatico" (Marco Maculotti, Carcosa Svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective, Mimesis, pp. 44-45).
Per certi versi, Childress rappresenta lo specchio nero in cui Rust vede riflessa la sua ombra. Benché sia apparentemente semplice delineare, all'interno della narrazione, la linea che separa i "buoni" dai "cattivi", uno degli aspetti più affascinanti della serie è che nessun personaggio è esente da ombre - ciascuna delle quali ne caratterizza la profondità psicologica. Rust stesso ne è consapevole quando, a un certo punto, dice a Hart che loro non sono altro che cattivi assoldati per fermare persone più cattive di loro. La perenne ricerca dell'Orco, nel corso dei 17 anni di indagine, diviene una metafora del continuo tentativo, da parte di Rust, di comprendere quella parte oscura, malefica e ctonia che si nasconde tanto nell'anima quanto nel cosmo. Mentre Hart rappresenta l'aiutante "sempliciotto" - ma non per questo inattaccabile dal medesimo male - che cerca di dominare o nascondere questa oscurità, Rust la persegue per lunghi anni di ricerca - per lui diviene una vera e propria ossessione che, proprio perché lucida e consapevole, lo porterà a essere emarginato sia dalla società sia dai suoi affetti. Egli ne è talmente affascinato che, nella parte centrale della storia, inizia a sorgere il dubbio, nello spettatore, che il tutto si risolverà con lo scontato colpo di scena - suggerito peraltro dai due detective che si trovano a indagare sui protagonisti - per il quale tutte le indagini siano state depistata da Rust, vero responsabili degli orrendi crimini che lo circondano. Alla fine, per fortuna, il cliché non viene seguito da Pizzolato, la cui genialità narrativa è tale da rendere il "mancato colpo di scena" il vero colpo di scena, poiché la realtà dietro il fascino morboso che Rust prova nei confronti dell'indagine è ancora più profonda. Come ben analizza Marco Maculotti in Carcosa Svelata, benché Rust si professi costantemente ateo, razionalista e realista/pessimista, egli è il personaggio più mistico e spirituale all'interno della storia. Il suo razionalismo, infatti, è molto simile al pessimismo di Cioran, una sorta di pessimismo spirituale che, da un lato, nega l'idea di una provvidenza e una sopravvivenza ultraterrena, così come critica ogni forma di dogmatismo religioso spicciolo e superficiale, ma dall'altro non trova alcuna consolazione nel mondo, il quale anzi suscita una volontà di voler fuggire da esso, come se non fosse altro che un'immensa trappola da cui però, una volta negata la possibilità di un'esistenza metafisica, sembra non esservi alcuna via di uscita. Da qui il sentimento costante, più spesso citato nei "sermoni" di Rust, di essere schiacciati dall'immensa macchina del Tempo, un mostro divoratore dei suoi figli, come Crono. "Il Tempo è un cerchio piatto" dice Rust in uno dei momenti più alti della narrazione "tutto quello che facciamo lo rifaremo ancora, e ancora, e ancora, per sempre"; e, ancora, in un altro passo: "La nostra vita si ripropone ciclicamente come dei kart su una pista. Tutto quello che è al di li fuori della nostra dimensione è eternità. L'eternità ci osserva dall'alto. Ora per noi è una sfera, ma per loro è un cerchio. Nell'eternità dove il tempo non esiste, niente può crescere, niente può divenire, niente cambia. Quindi la morte ha creato il tempo per far crescere le cose che lei ucciderà e ognuno poi rinasce ma sempre nella stessa vita in cui è vissuto in precedenza. Nessuno è in grado di ricordare la propria vita. Nessuno può cambiare la propria vita e questo è il terribile segreto della vita stessa. Siamo in trappola, come in incubo, dal quale continuiamo a svegliaci". 
Il suo pensiero, la sua concezione del tempo e dello spazio, lo rendono affine agli gnostici o ai contemplativi della cosiddetta "mistica tenebra", ma questa sua evoluzione spirituale è strettamente legata alla sua indagine e al suo studio, seppur dall'esterno, della Setta della Palude. Egli, nella storia, sembra assumere i tratti e le caratteristiche dello sciamano che, per conoscere la realtà, entra in contatto con tutto ciò che la società considera tabù, divenendo egli stesso un "tabù" per gli altri, per poi scendere nel regno degli inferi, non per unirsi con esso, ma per ricercare la luce nella tenebra. 
Rust si sente ingabbiato nella sua esistenza terrena, cerca una via di fuga dal degrado e dal male del mondo; eppure, è come se entrando in contatto con il Male della Setta della Palude abbia scorto, per un attimo, l'esistenza di uno squarcio verso l'eternità - che passa proprio attraverso la comprensione del Male Metafisico della setta.,
Il confronto a distanza tra Rust e Childress, con il quale peraltro egli entra in contatto solo due volte nel corso della storia - e solo nella seconda, alla fine della puntata, con la consapevolezza della sua reale identità - assume tutti gli aspetti del rapporto tra il mistico e il "Dio Ignoto". Non a caso, sempre nella scena iniziatica del conflitto finale tra Rust e Childress, questi lo chiama "piccolo prete", e gli sussurra, da lontano, che è un'esperienza terribile finire nelle mani del Dio Vivente.
Childress diviene dunque per Rust una figura ambivalente; da un lato è il suo guardiana della soglia, eterno nemico. Ma dall'altro, o forse proprio per questo, ne è anche lo psicopompo nel mondo infero, che, con la ferita quasi mortale che gli infligge, lo conduce nel mondo ctonio rivelandogli cosa si nasconde nell'al di là, al sussurro inquietante della frase: Take off your mask (citazione, tra l'altro, del Re Giallo di Chambers). "Questa rivelazione" scrive Maculotti "trova il suo compimento nella conclusiva ascesa da parte di Cohle al mondo atemporale: una volta risvegliatosi dal coma egli appare finalmente liberato, come se l'esperienza vissuta nell'Oltremondo cosmico ne abbia mutato il destino, liberandolo una volta per tutte dalle maledizioni croniche del mondo samsarico, in cui continua a vivere sebbene ontologicamente non ne faccia più parte, alla maniera dei risvegliati delle tradizioni orientali" (Marco Maculotti, Carcosa Svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective, Mimesis, p. 184).
In conclusione, consiglio la lettura di Carcosa Svelata non solo a tutti coloro che desiderano comprendere il profondo simbolismo che si nasconde dietro la narrazione dell'opera di Pizzolato, ma anche a coloro che, pur non avendo visto la serie, desiderano un'ampia e dettagliata panoramica sulla filosofia pessimistica di autori come Cioran e Ligotti, sulla letteratura gotica e fantastica di Chambers, Lovecraft, Machen e Bierce, nonché sulla mitologia "oscura" a essa connessa che, dai culti arcaici del mondo greco, passando per la simbologia del sabba medievale e rinascimentale, è giunta fino a noi in alcuni inquietanti casi di cronaca nera e politica tanto del '900 quanto dell'epoca contemporanea. Menzione d'onore anche alle splendide illustrazioni originali di Marco Sabbatani che corredano l'opera.

Marco Maculotti, Carcosa Svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective, Mimesis.

Daniele Palmieri

martedì 9 marzo 2021

Aivanhov: Le potenze del pensiero


Omraan Mikhael Aivanhov è stato un filosofo e maestro spirituale bulgaro, fondatosi alla scuola degli insegnamenti di Peter Deunov, principale esponente dell'ermetismo cristiano dell'est Europa. 

Aivanhov è stato un personaggio unico nel panorama esoterico novecentesco e può essere paragonato agli antichi filosofi greci itineranti, come Senofane o Diogene, poiché per tutto il corso della sua vita viaggiò per l'Europa per diffondere i suoi insegnamenti spirituali per via orale, senza mai scrivere nulla e lasciando ai suoi allievi il compito di stenografare il suo pensiero. In Italia è la casa editrice Prosveta a divulgare il ricco corpus di conferenze stenografate, raccolte in brevi ma densi libretti organizzati, un po' come le opere di Steiner, nelle principali aree tematiche di cui Aivanhov si occupò.

Nel suo pensiero, il maestro spirituale bulgaro compie un grande sincretismo tra il cristianesimo evangelico, la cabala e l'esoterismo ebraico e gli insegnamenti orientali di stampo teosofico, senza tuttavia dimenticare gli insegnamenti diretti tratti dal "libro simbolico della natura" e, soprattutto, dalle sue esperienze spirituali. Ne consegue che, leggendo le sue opere stenografate, sembra di trovarsi di fronte al maestro in carne e ossa, simile a un predicatore che dalla vetta di una collina trasmette i suoi insegnamenti spirituali con sentimento, vigore, allusioni, metafore, parabole, nonché esempi e citazioni tratte dai Vangeli e dai grandi filosofi del passato

Il testo di cui ci occuperemo oggi è Potenze del pensiero, un piccolo gioiello in cui Aivanhov discute di uno dei temi principali dell'esoterismo e del pensiero spirituale del novecento: il potere della mente umana.

Devo dire la verità, pur essendomi avvicinato al libro con una certa curiosità, non nutrivo aspettative troppo alte. Non che sottovalutassi il pensiero di Aivanhov, ma credevo di trovarmi di fronte ai soliti insegnamenti teosofici rielaborati in chiave divulgativa. Forse, proprio a causa di queste basse aspettative, la lettura di Potenze del pensiero si è invece rivelata una piacevole scoperta e uno dei libri più originali in materia che, per certi aspetti, si discosta molto dagli scritti di autori classici in materia, già affrontati nel blog, come Leadbeater, Atkinson, Crowley e Franz Bardon.

Pur riconoscendo una grande potenzialità latente nelle facoltà psichiche umane, Potenze del pensiero dosa in maniera oculata la giusta dose di ottimismo e pessimismo nei confronti dell'essere umano e, soprattutto, critica fortemente gli aspetti più volgari e triviali dello sviluppo delle potenze psichiche a scopi meramente materialistici e utilitaristici. 

Il discorso di Aivanhov parte dalla presa di coscienza del fatto che il 90% dei pensieri prodotti quotidianamente dall'uomo non siano altro che rifiuti.

"Tutti pensano, ma come pensano?" si domanda Aivanhov e, con una sagace metafora, si risponde "Ci si avvicina a un mucchio di immondizie, lo si smuove e ne fuoriesce un odore nauseabondo. Ebbene, spesso le persone pensano proprio in questo modo: smuovono immondizie, facendone scaturire un tanfo pestilenziale! Tutti pensano, non esiste uomo che non pensi; perfino i pigri, che non fanno nulla, pensano, ma il loro pensiero fluttua come una foglia al vento. Molti pensano a come poter ingannare, scassinare o assassinare. Gli esseri umani si servono del loro pensiero giorno e notte, ma non sapendo come servirsene, esso non porterà loro granché; e non solo non porterà loro granché, ma inoltre servirà solo a tormentarli e distruggerli" (Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta, p. 53).

Le persone disperdono il loro grande potenziale energetico, dissolvendo il loro pensiero in preoccupazioni futili, viziose se non addirittura dannose per se stessi e per gli altri. L'uomo usa il suo pensiero come un musicista inesperto userebbe uno strumento pregiato, producendo un rumore fastidioso anziché una dolce melodia e vanificando, se non addirittura rovinando, la cura con cui lo strumento è stato creato. E il danno non cade soltanto sul singolo, ma sull'intera collettività, soprattutto in città e negli ambienti densamente popolati, dove si crea un circolo vizioso per il quale il soggetto sfoga sul prossimo le proprie frustrazioni e i propri cattivi pensieri, amplificando così la propria onda psichica negativa che, a sua volta, verrà diffusa dai suoi vicini, creando una psicosfera stagnante, simile a una palude. Citando un passo molto evocativo di Aivanhov:

"I pensieri e i sentimenti impuri che gli esseri umani continuano a riversare intorno a sé trasformano l'atmosfera in un vero acquitrino. [...] Un luogo che nessuna acqua nuova viene mai a purificare, un luogo dove pullulano animaletti di ogni genere che lì trovano il proprio nutrimento; essi depositano i propri escrementi nella stessa acqua, cosicché gli uni assorbono i rifiuti degli altri. Ecco l'umanità: vermi, girini e rane in una palude, nell'atto di espellere le proprie immondizie e ingoiare quelle del vicino: la malattia, l'odio, la sensualità, la cattiveria, la gelosia, la cupidigia [...]. Lo si può sperimentare avvicinandosi a una città, dopo un soggiorno in montagna. Quando ci si è abituati alla purezza dei monti, dove vivono entità molto luminose, non si può non percepire, ridiscendendo, la presenza di tutte le nubi che gravano sopra una città. [...] Ci si lamenta sempre di più dell'inquinamento; gli scienziati sono in stato di allerta e scoprono che tutto è inquinato [...]. Anche nel mondo spirituale si propagano dei miasmi che stanno uccidendo l'umanità e se le persone fossero davvero sensibili, sentirebbero che l'atmosfera del mondo psichico è ancora più irrespirabile di quella del mondo fisico [...]. Si accusano le automobili, ma cosa rappresentano le automobili paragonate a cinque miliardi di creature ignoranti che non hanno mai imparato a controllare la propria vita interiore?" (Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta, pp. 56-57).

Le stesse caratteristiche negative si ritrovano anche nel mondo spirituale, laddove la meditazione e la concentrazione del pensiero non vengono adoperati per elevarsi al di sopra di tale condizione, ma per sguazzare nel fango e accaparrarsi il maggior numero di rifiuti materiali. Aivanhov critica, non troppo velatamente, una certa tendenza del Nuovo Pensiero americano, confluito ai giorni nostri in molti testi di self-help e di Pensiero Positivo, che porta l'uomo ad adoperare i poteri psichici per attirare esclusivamente ricchezze o per sviluppare presunte facoltà paranormali da utilizzare nel dominio della materia. Questo meccanismo perverso non fa altro che creare ulteriore frustrazione; sia perché il potere del pensiero viene così ulteriormente dissipato verso interessi futili, sia perché, spesso, queste pratiche non portano alcun risultato e, anzi, sviano le persone in sentieri estremamente complessi quando, per ottenere ciò che desideravano, avrebbero potuto intraprendere strade più semplici e concrete. Citando un esempio ironico, ma molto profondo, di Aivanhov:

"La natura ha stabilito delle leggi. Allora perché l'uomo dovrebbe sprecare tanto tempo e tante forze per infrangere quelle leggi? Se volete che una zolletta di zucchero passi direttamente dalla zuccheriera alla vostra bocca, potete concentrarvi quanto vi pare, ma la zolletta non si sposterà e voi rimarrete scoraggiati, delusi. Invece, guardate: prendete la zolletta con una mano, la mettete in bocca, ed ecco fatto senza tante storie! La natura ci ha provvisti di mani per consentirvi di afferrare gli oggetti [...]. Con il pensiero si possono realizzare cose molto più importanti; però occorre conoscere la sua natura, il suo meccanismo e sapere come lavora" (Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta, p. 82).

Per adoperare al meglio il potere del pensiero bisogna anzitutto conoscerne l'essenza - riconoscerne l'origine immateriale e, soprattutto, comprendere qual è il reale collegamento che lo unisce alla materia. Per Aivanhov, l'uomo occidentale ha ormai sviluppato anche nei confronti del pensiero un rapporto di "dominio" e di "possesso", esattamente come l'uomo occidentale pensa di possedere i propri beni materiali. Di conseguenza, gran parte dei percorsi spirituali spingono l'uomo a sviluppare il dominio, il possesso, il controllo nei confronti del pensiero - come se fosse un oggetto tra gli altri. Tuttavia, tale prospettiva svia il praticante spirituale fin dal principio. Il pensiero, nella sua essenza più pura, non è qualcosa che ci appartiene. Esso è simile a un elemento primordiale, come il fuoco, l'aria, l'acqua o la terra - un elemento impalpabile, come una scarica di corrente elettrica, che tuttavia è in grado di veicolare idee e verità provenienti da un mondo altro, che Platone aveva identificato con il mondo degli Archetipi. Dice Aivanhov: "Il pensiero è una forza, un'energia, ma è anche una materia estremamente sottile che lavora su un piano fisico. Prendiamo come esempio le antenne [...]. Occorre sempre un punto di partenza materiale per produrre delle onde, ma di per sé le onde non sono materiali. Dunque le antenne captano delle vibrazioni, captano certe lunghezze d'onda, per poi trasmettere ad apparecchi di ogni genere" (Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta, p. 83).

Ne consegue che l'uomo non è padrone del pensiero; semmai, in lui abita il pensiero e il suo scopo non è né quello di dominarlo né quello di farsi dominare, ma di incanalarlo costruendo degli argini che ne consentano il libero e naturale fluire, o delle antenne in grado di amplificarlo. In particolare, usando la metafora di Aivanhov, l'uomo deve essere in grado di costruire ponti tra il mondo sovrasensibile e il mondo terreno, affinché il pensiero possa fluire nella materia. Citando le sue parole: "Il pensiero passa attraverso muri e gli oggetti senza lasciare traccia e, affinché possa agire sulla materia, bisogna costruire ponti, ossia tutta una serie di intermediari. Fatelo passare per quegli intermediari e vedrete che è in grado di scuotere l'intero universo.  [...] Occorre sempre un intermediario, e il pensiero è potente e attivo solo a condizione che lo si faccia passare attraverso alcuni intermediari che gli permettano di scendere fin nella materia" (Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta, p. 86-87).

Da questa prospettiva si noterà quanto sono futili gli sforzi di coloro che cercano di veicolare il potere del pensiero soltanto per realizzare i propri interessi materiali. Nel mondo-altro, il mondo invisibile delle forme Archetipiche, non vi è nulla in cui i grezzi interessi umani possano riflettersi. Essi sono scorie nate nel mondo materiale e destinate a rimanervi. Allo stesso tempo, non basta avere degli ideali, per quanto puri, per vederli realizzati. Questo è l'altro grande inganno di alcune branche del Pensiero Positivo, per le quali basta pensare intensamente a una cosa per vederla realizzata. Sarebbe come voler attraversare un fiume impetuoso pensando intensamente a un ponte e sperando di poterlo percorrere solo grazie all'intensità del proprio pensiero. No, quel ponte deve prima essere visualizzato, in ogni minimo dettaglio, esso cioè deve essere tratto dal mondo archetipico; ma poi deve essere realizzato attraverso l'azione. Usando una metafora poetica, Aivanhov sostiene che bisogna essere in grado di "far scendere" le idee: "Voi avete delle idee, e sono meravigliose, se non addirittura divine, d'accordo, ma avete realmente dei risultati? No? Ciò dimostra che dovete ancora lavorare per far scendere quelle idee fino al piano fisico. Eh sì, questo è il punto; occorre farle scendere. Voi dite: Io ho delle idee. Bravi, benissimo, ma quelle idee vi faranno morire di fame e di sete se non sapete come concretizzarle mediante l'azione. Non basta avere delle idee. Molti ne hanno, ma vivono in maniera tale che non esiste mai comunicazione fra quelle idee e le loro azioni. Occorre un intermediario, un ponte, e quell'intermediario è il sentimento" (Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta, p. 87).

Il sentimento è ponte principale, a far da collante tra mondo delle idee e mondo materiale, attraverso il quale le idee possano "incarnarsi". Il sentimento è il motore che permette all'animo umano di impegnare le proprie energie per la realizzazione dell'idea. Senza questo motore, l'idea è destinata a dissolversi o a rimanere un oggetto di contemplazione. "Quando lo spirito agisce sul pensiero" dice Aivanhov "il pensiero a sua volta coinvolge il sentimento e il sentimento si getta sul corpo fisico per farlo correre, gesticolare e parlare. Dunque il corpo fisico si muove per effetto del sentimento, il sentimento viene risvegliato dal pensiero e il pensiero nasce sotto l'influsso dello spirito" (Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta, pp. 88-89).


Ne consegue che la produzione di pensieri futili, negativi e nefasti non farà altro che provocare sentimenti altrettanto dannosi, portando alla proliferazione del male e di quella atmosfera stagnante di cui le città, come paludi psichiche, sono ricoperte. Al contrario, idee nobili sono in grado di produrre sentimenti nobili e nel momento in cui l'uomo, mediante l'azione, cerca di realizzare questi progetti, la materia stessa ne viene innalzata. D'altronde, Aivanhov è lungi dal demonizzare la materia; per il pensatore bulgaro, non vi è nulla di negativo di per sé nell'esistenza materiale, poiché essa è la hyle primordiale nella quale si manifesta e realizza il piano divino.

Nella materia, tutto ciò che pensa, agisce, prova sensazioni e sentimenti e, non ultimo, possiede una forma, è frutto di un pensiero, "un'idea divina cristallizzata", così come la definisce Aivanhov. L'uomo, "antenna del divino", ha la possibilità di amplificare il raggio di frequenze che egli può ricevere e porsi come canale della divinità, per realizzare nella materia obiettivi più elevati rispetto ai suoi interessi individualistici. In questo dono risiede la più grande potenza del pensiero.


Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta Edizioni

Dipinto: Roerich, Mohammed on mount Hira

Daniele Palmieri