martedì 20 settembre 2022

Amanita Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno, Giorgio Samorini

E' settembre inoltrato. I raggi del Sole ancora scaldano le foglie degli alberi, i fiori, i cespugli, e i campi verdi sopravvissuti alla calura dell'estate, ma il vento freddo e le prime piogge, come ambasciatori dell'autunno, annunciano l'arrivo della nuova stagione. 
Mentre i primi "cacciatori di funghi" iniziano a popolare le coste umide e ombrose di valli e montagne, un inconfondibile "frutto della terra" inizia a fare capolino sotto abeti e betulle. Il rosso acceso del suo cappello, sia ancora un ovulo o già un tamburo, salta subito all'occhio, così come le sue verruche bianche che a volte vengono lavate dalle piogge. E' il fungo per eccellenza, lo si ritrova in tutte le illustrazioni fiabesche che riguardano i boschi e il loro popolo, visibile e non, e spesso è la dimora di gnomi e folletti nell'arte, nella scultura, perfino nei più economici e dozzinali dei souvenir. 
Eppure, la sua diffusione capillare e la sua dimora costante e archetipica nell'immaginario collettivo non basta a salvarlo dagli sguardi di orrore, paura, perfino sdegno di camminatori e fungaioli che, se accompagnati da adulti o bambini, presto si sentiranno in dovere dal metterli in guardia dallo stare alla larga da quel fungo mortale, di non toccarne nemmeno l'ammaliante cappello e, nei casi più estremi, perfino di spappolarlo con il bastone per evitare che qualche incauto curioso osi avvicinarvisi troppo. D'altronde, tutti i manuali di riconoscimento e raccolta dei funghi parlano chiaro: l'Amanita Muscaria è velenosa, come testimonia il sogghigno del teschio grigio su sfondo nero. 
Ma è davvero così? O la situazione è, forse, più complessa?
Per approfondire la questione, occorre andare al di là dei semplici manuali commerciali per la raccolta e il riconoscimento dei funghi, che spesso si trascinano dietro stereotipi e informazioni vetuste - ma anche giustificate cautele per evitare che persone inesperte possano cadere vittime della loro leggerezza.
Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno, di Giorgio Samorini (Youcanprint) è una monografia interamente dedicata all'Amanita Muscaria che permette di addentrarsi nello studio di uno dei funghi più conosciuti ma allo stesso tempo più incompresi, sfatando molti miti e addentrandosi nella sua storia affascinante e misteriosa. 
In questo saggio etnobotanico, Samorini illustra il rapporto complesso e estremamente variegato che l'uomo ha intessuto con l'Amanita Muscaria nel corso dei millenni. Un rapporto che passa dagli usi sciamanici, a quelli eduli, perfino alla creazione di "vini inebrianti" a base di Muscaria fino ad arrivare alla demonizzazione.
Ma partiamo dalle basi, dalle nude e pure informazioni sull'Amanita Muscaria presa di per sé.
Come scrive Samorini: "Le caratteristiche macroscopiche che permettono di individuare a prima vista l'agarico muscario sono: il cappello rosso cosparso di macchie bianche; la presenza di un anello nel gambo; la nascita di questo fungo da un ovulo che, prima di dischiudersi, ha l'aspetto di un vero e proprio uovo [da qui il soprannome di ovolo malefico, ndR] [...]. Questo fungo, come tutte le specie del genere Amanita, intrattiene relazioni ectomicorrize con diverse specie di alberi, principalmente, e forse originalmente, betulle, larici e altre conifere. [...] Per quanto riguarda i principi attivi dell'Amanita Muscaria [...] il primo composto a essere identificato nell'agarico muscario fu la muscarina, molecola che prese il nome da quello di questo fungo, e sebbene gli studi successivi abbiano evidenziato che questa molecola è presente in basse concentrazioni, per quasi un secolo si ritenne che fosse la muscarina responsabile degli effetti psicoattivi. [...] Fu solamente verso la metà degli anni '60 che vennero isolati e identificati i veri principi attivi dell'agarico muscario, gli alcaloidi acido ibotenico e muscimolo. L'acido ibotenico tende a trasformarsi in muscimolo, e questo processo viene facilitato durante il processo di essiccazione del fungo. Il composto più propriamente visionario è il muscimolo e ciò spiega la diffusa pratica presso etnie siberiane di seccare l'agarico muscario prima di ingerirlo, poiché in tal modo acquista maggiori proprietà visionarie. La parte del fungo più ricca di principi attivi è il cappello, mentre il gambo ne contiene basse concentrazioni [...]. La concentrazione dei principi attivi varia anche nelle diverse fasi di crescita del fungo. La concentrazione massima di alcaloidi si presenta solitamente nella fase in cui il fungo è nato da poco e il cappello è ancora chiuso" (Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno, Giorgio Samorini, Youcanprint, pp. 7-13).
Potrebbe non essere un caso che, perfino nel mondo odierno, in cui la lunga storia dell'Amanita Muscaria è stata eclissata dall'amplificazione della sua velenosità, questo fungo continui a essere associato alle rappresentazioni, anche triviali, delle entità invisibili che popolano il bosco. Come abbiamo accennato, infatti, l'Amanita Muscaria fu usata per millenni nelle pratiche sciamaniche e visionarie.
Una delle testi più note è quella del micologo Wasson, che nel suo Soma. Divine mushroom of immortality, avanzò l'ipotesi che il mitico Soma, cantato dai Rishi negli inni vedici, fosse una bevanda psicoattiva contenente proprio l'Amanita Muscaria. Ma, mentre le affascinanti congetture di Wasson si muovono nel mondo delle ipotesi, uno degli utilizzi attestati più importanti dell'Amanita Muscaria nell'indurre visioni è quello degli sciamani siberiani, a cui Samorini dedica gran parte del testo.
La "sacralizzazione" dei funghi in territorio siberiano è estremamente antica. Alcune rappresentazioni rupestri di oltre 4000 anni fa ritraggono uomini dalle fattezze fungine; ma rappresentazioni più antiche risalgono addirittura a 10-11 mila anni fa, come testimoniano le ricerche dall'archeologo russo Nikolay Dikov, che ha riportato alla luce accampamenti paleolitici sulle rive dal lago Ushokovo dall'inconfondibile aspetto fungino.
Come scrive Samorini: "Presso le culture siberiane che fanno uso di Amanita muscaria v'è una tendenza ad antropomorfizzare il fungo simbolicamente e artisticamente. Gli stessi effetti inebrianti del fungo parrebbero produrre visioni dei manichini, gli spiriti delle amanite, dall'aspetto fortemente antropomorfizzato [...]. Dikov ha sottolineato come le rappresentazioni di uomini fungo o di funghi antropomorfizzati, e le associate conoscenze e utilizzi di funghi psicoattivi, siano un filo conduttore che attraversa tutta l'Asia centrale e settentrionale e ciò sarebbe evidenza di un sostrato Palo-Eurasiatico di migrazioni etniche e culturali [...] in tale filo conduttore fungino rientrerebbero anche le immagini di uomini fungo dell'Età della Pietra ritrovate nella Penisola Iberica, così come le origini del Soma vedico e, addirittura, le conoscenze e antropomorfizzazioni di funghi psicoattivi presso le culture precolombiane del Messico e dell'America Centrale" (Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno, Giorgio Samorini, Youcanprint, pp. 70-71). Un'ipotesi affascinante sulla quale, tuttavia, Samorini mette in guardia. Occorre infatti ricordare che conoscenze molto simili, circa l'utilizzo di sostanze psicoattive, possano sorgere anche in culture differenti e mai entrate in contatto tra loro. 

In Occidente, l'utilizzo visionario dell'Amanita Muscaria fu riscoperto soltanto in quella che Samorini chiama la fase pre-sovietica, quando cominciarono a filtrare le prime informazioni di quelle terre lontane dai diari dei viaggiatori o dei prigionieiri di guerra che entrarono in contatto con le popolazioni autoctone, che ancora tramandavano usi e riti antichi di secoli tra cui, appunto, l'utilizzo visionario dell'Amanita Muscaria, mangiata essiccata, sotto forma di bevanda inebriante o, addirittura, assunta per via indiretta attraverso l'urina delle renne o di sciamani che si erano precedentemente cibati delle cappelle di Amanita. Il principio attivo del fungo, infatti, possiede la peculiarità di rendere psicoattiva anche l'urina, addirittura in diversi cicli di ingestione ed espulsione, e secondo le tradizioni locali l'urina della renna o dello sciamano era perfino più potente del fungo ingerito.
L'ultima, triste, fase dell'uso sciamanico dell'Amanita Muscaria tra le popolazioni siberiane è legata alla severa repressione del periodo sovietico, durante la quale gli sciamani, additati nel migliore dei casi come retrogradi e nel peggiore come truffatori, vennero aspramente perseguitati dal regime sovietico, che sradicò l'utilizzo delle sostanze visionarie condannando perfino al gulag gli sciamani colpevoli di perpetrare le antiche tradizioni e ottenendo, come effetto collaterale, la sostituzione dell'Amanita Muscaria con la vodka, mentre il regime di Stalin condannava all'oblio millenni di cultura e tradizioni.
La persecuzione degli sciamani e, indirettamente, dell'Amanita Muscaria, da parte del regime sovietico, sembra riflettere la "muscariafobia" della letteratura recente, scientifica e non. 
L'aspetto più curioso riportato alla luce dalla storia della Amanita Muscaria redatta da Samorini è che nemmeno l'utilizzo culinario di questo fungo, in condizioni di emergenza, è riuscito a sottrargli l'aria mortifera che lo attanaglia. Anche in Italia, durante periodi di guerra e carestie, l'Amanita Muscaria veniva consumata previa molteplici processi di cottura atti a eliminarne i principi attivi venefici, ma il caso più eclatante è quello avvenuto nel XIX secolo, quando, a causa di un parassita che aveva fatto morire diversi vigneti con conseguente inflazione del prezzo del vino, un medico di Como aveva messo a punto una bevanda inebriante a base proprio di Amanita Muscaria, per colmare la richiesta di mercato e le botti rimaste vuote.
Nonostante, come riporta Samorini nel libro, la casistica di decessi direttamente attribuibili all'Amanita Muscaria sia estremamente bassa e, spesso, legata a informazioni parziali e contraddittorie, la povera Amanita continua a essere additata come il fungo velenoso per eccellenza e, anche quando razionalmente ne ridimensioniamo la pericolosità, permane in noi un timore e un sospetto inconscio.
Per descrivere questo timore e comportamento ambivalente, Samorini ha coniato l'espressione Trauma di Verbnikov. Verbnikov, soprannominato il Poeta degli Urali, è stato uno scrittore russo che ha avuto diverse esperienze con l'Amanita Muscaria, dedicandogli perfino un testo: Nonno Amanita e ragazzo banana, o raccoglitore di funghi. Come scrive Samorini: "In questo testo Verbnikov si dilunga per diverse pagine sul comportamento della distruzione nei boschi dell'agartico muscario, proponendo un'arguta e plausibile interpretazione psicologica. Le persone che si scagliano rabbiosamente contro questo fungo, non è tanto perché lo considerino velenoso, quindi agendo come atto di difesa personale e per gli altri, ma v'è un motivo più recondito che origina quando, da bambini, siamo vittime di un comportamento contraddittorio degli adulti. Nelle culture occidentali il mondo infantile viene inondato di immagini di amanite muscarie, diventando uno dei simboli dell'affetto e del calore, dell'innocenza e della sicurezza dei bambini; un valore affettivo che viene brutalmente distrutto il giorno in cui, quando la famiglia si trova nel bosco a raccogliere funghi, un evento frequente in Russia, con gesti e parole intimidatorie gli adulti bloccano l'ignaro infante mentre sta per raccogliere questo fungo, vietandogli di fare ciò non solo in quel momento ma per il resto della sua vita. In quel momento il bambino interpreta questo comportamento degli adulti come un tradimento, con conseguente delusione. Verbnikov osserva che, per coerenza, la famiglia da quel momento dovrebbe distruggere o eliminare qualunque immagine dell'agarico muscario presente nella camera da letto del bambino, ma un uomo civilizzato moderno, essendo uno schizofrenico coerente, non lo fa. Quando il bambino, ormai divenuto adulto, si aggirerà per i boschi e incontrerà l'agarico muscario, gli scaglierà contro tutta la sua rabbia inconscia per quel tradimento dei tempi dell'infanzia. [...] Si potrebbe ritenere che noi tutti, persone di cultura occidentale, abbiamo sofferto da bambini in vario grado del trauma di Verbnikov, ce lo portiamo dentro inconsciamente e reagiamo alla vista o anche solo al pensiero dell'agarico muscario [...] in base alla profondità di questo trauma infantile. La delusione per il tradimento del valore affettivo del fungo con il cappello rosso cosparso di puntini bianchi che ha accompagnato la prima infanzia dei bambini, avviene anche in coloro che non esperiscono l'evento delusorio in un bosco, ma che acquisiscono i valori di pericolosità e velenosità del fungo in altri modi, mediante la lettura o la semplice comunicazione verbale" (Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno, Giorgio Samorini, Youcanprint, pp. 44-45).
Muscaria. Etongrafia di un fungo allucinogeno di Giorgio Samorini è il libro ideale per iniziare a superare questo trauma infantile e riappacificarsi con la bellezza del rosso cappello di questo fungo che, con la sua appariscenza e il suo aspetto di fuoco, annuncia l'arrivo di una nuova stagione e nasconde, silente, spiriti antichi che parlarono agli uomini in tempi immemori.


Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno, Giorgio Samorini, Youcanprint

Daniele Palmieri