venerdì 23 novembre 2018

Le cinque specie di prigionia secondo Taulero

Giovanni Taulero è stato un mistico tedesco, vissuto nel XIV secolo, principale discepolo di Meister Eckhart. Insieme a Suso, Taulero è stato in grado di divulgare e mantenere viva la mistica del maestro, rendendola fruibile anche al pubblico meno "specialistico", con un linguaggio più semplice e diretto rispetto al sofisticato pensiero eckhartiano, senza tuttavia perdere in complessità teologica. 
I suoi Sermoni, pubblicati in Italia dalle Edizioni Paoline, sono un vivido esempio del sentire religioso della mistica tedesca del XIII e XIV, nonché un compendio delle principali tematiche della mistica di reniana: la tenebra divina, il distacco, la rinuncia alla volontà personale e soggettiva in nome di una Volontà divina, l'unione con Dio, la preminenza dell'azione e della contemplazione rispetto alla conoscenza razionale e teorica. 
Uno dei discorsi più interessanti tramandatici dai manoscritti medievali è un sermone intitolato: Le cinque specie di prigionia; testo che non solo compendia il pensiero di Taulero e di Eckhart, ma che può essere considerato, ancora oggi, una valida guida per orientarsi e districarsi nel complicato mondo della spiritualità contemporanea.
Come suggerisce il titolo del sermone, Taulero si focalizza su cinque tipologie di prigioni in cui l'uomo, più o meno consapevolmente e più o meno volontariamente, rischia di trovarsi intrappolato. Cinque insidiose sbarre che ostacolano il suo cammino e che gli impediscono di vivere una vita libera e autentica.
Partendo dalla prima di queste sbarre:

"Ecco la prima: quando l'uomo non ama Dio nelle creature, è fatto prigioniero dell'amore delle creature, siano morte o vive, e particolarmente dall'amore umano che è così profondo nella natura per la somiglianza degli uomini" (Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 235).

Il primo ostacolo a insidiare l'uomo è l'amore smodato nei confronti delle creature. Taulero non vuole qui negare l'importanza della spinta amorosa nei confronti dell'universo circostante; anzi, sottolinea come le creature si debbano amare, amando in esse Dio, ossia il principio divino che le anima; l'amore che si deve combattere e che rende schiavi è ciò che Epitteto definirebbe la "dipendenza dai beni esteriori"; quel tipo di dipendenza nei confronti degli oggetti esterni che porta l'uomo a porre il proprio fondamento in ciò che lo circonda, dimenticandosi così dei suoi beni interiori, gli unici che non sono sottoposti al dominio della fortuna e gli unici che mai potranno esserci strappati. Questa forma di prigionia rende l'uomo schiavo poiché lega indissolubilmente i moti interiori della sua anima ai moti esteriori del mondo, nei confronti dei quali non può avere alcun controllo.
Come sottolinea Taulero, si tratta di una forma di prigionia insidiosa, poiché colpisce anche persone apparentemente "pure e libere"; in particolare, rende schiavi coloro che credono di essere buoni, liberi, puri attraverso le loro opere nei confronti degli altri e del mondo esterno, ma che in realtà sono schiavi della loro vanagloria, poiché in tutte le loro azioni permane il desiderio egoistico di fondo di voler eccellere, di voler primeggiare su prossimo e di voler ostentare la propria purezza. Come scrive Taulero:

"Molte persone, sentendosi libere nella loro dannosa prigionia, sono del tutto sorde e cieche in essa [...]. Compiono molte opere buone, cantano, leggono, sanno tacere, pregano molto, ma tutto questo per poter esprimere ancor meglio la loro propria volontà" Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 236).

E così, questo genere di prigionia sfocia inevitabilmente nella seconda specie:

"La seconda prigionia consiste in questo: molte persone, appena liberate dalla prima prigionia, dall'amore delle creature nelle cose esteriori, cadono nell'amore di se stesse" (Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 236).

Egoismo ed egocentrismo sono le catene più difficili da spezzare e allo stesso tempo quelle che più appesantiscono l'uomo nel suo cammino verso la perfezione spirituale. Quel tipo di bramosia che acceca l'uomo e che lo porta ad amare il mondo circostante non perché riconosce in esso qualcosa di divino, ma perché vede in ciò che lo circonda soltanto degli oggetti atti a soddisfare le sue passioni edonistiche e soggettive. L'amore autentico nei confronti dell'universo è un amore disinteressato, che nasce da un puro sentimento del divino che porta a vedere in ogni elemento del creato una "teofania", una manifestazione di Dio nel mondo, incarnazione di una potenza divina da venerare e rispettare. Al contrario, la bramosia insaziabile ed egoistica nei confronti del mondo porta l'uomo a considerare ogni cosa in termini utilitaristici, ed egli diviene così schiavo delle proprie passioni, non è in grado di elevarsi al di là della passione carnale e sensibile e rimane così invischiato nella terra, prigioniero dei suoi moti interiori, a loro volta dipendenti dagli eventi esterni.
Si tratta di un modo utilitaristico di vedere il mondo, che sfocia inevitabilmente nel terzo tipo di prigionia:

"La terza è la prigionia della ragione. Certe persone vi cadono molto pesantemente, perché tutto ciò che potrebbe nascere nello spirito queste persone lo guastano per il fatto che si gonfiano nella loro ragione, si tratti di insegnamento o di verità, di qualunque genere sia, perché la comprendono, ne sanno parlare, si mettono in mostra e vengono considerati, ma non arrivano a operarla né a viverla" (Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 237).

La ragione è una delle prigioni di massima sicurezza dalla quale è quasi impossibile evadere. Benché sia fondamentale sviluppare la ragione intesa come senso critico nei confronti del mondo, delle azioni, delle idee, degli eventi, la ragione che Taulero contesta è la ragione tronfia, limitata e limitante, che mai potrà comprendere il misteri del cosmo e dell'anima, ma che si ottenebra e si crogiola nel tiepido lume della propria ignoranza. Si tratta della "ratio" comune, portata a dare un ordine logico al mondo e al far rientrare ogni cosa in questo ordine costruito ad hoc a misura d'uomo, anche a costo di forzare le idee, le cose e gli eventi per farli rientrare nella propria prospettiva, distorcendo così l'immagine del mondo. Una ragione che limita e imprigiona l'uomo proprio perché gli impedisce di andare al di là dei suoi limiti e del comune modo di pensare e vedere le cose, e che di conseguenza non può che ostacolarlo nel cammino verso Dio, giacché Dio è per definizione una realtà che trascende i limiti della ragione.
Questo tipo di ragione ostacola l'uomo anche quando questi pensa di essere arrivato a destinazione; ed è qui che compare la quarta sbarra:

"La quarta prigionia è la dolcezza dello spirito. Molti uomini fatti per l'eternità si sono smarriti perché l'hanno seguita troppo, vi si sono abbandonati disordinatamente, l'hanno ricercata troppo e vi si sono fermati: che grande bene sembra abbandonarvisi e possederla con piacere! Ma è allora che la natura trattiene la sua parte, e si coglie il piacere dove si crede di cogliere Dio" Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 238-239).

Anche quando si crede di essere realizzati, di aver raggiunto l'unione mistica con Dio, ecco che compare lo spirito edonistico ed egoistico della ragione pratica, che porta l'uomo a considerare la realizzazione spirituale alla stregua di un "piacere carnale", da vivere "per stare bene". E' uno dei più grandi problemi della spiritualità contemporanea, che vede nel percorso spirituale un mero strumento per aumentare il proprio benessere, per stare in forma, per diventare ricchi, per vivere una vita agiata, in sostanza per raggiungere degli scopi pratici, concreti e materiali, che hanno a che fare con la nostra esistenza temporale. Nulla di tutto ciò si accompagna alla vera realizzazione, da perseguire non per scopi soggettivi ed egoistici, ma da ricercare come una forma di gnosi (conoscenza) liberatoria, che costringe l'uomo proprio nella direzione opposta rispetto a quelli che sono i suoi interessi soggettivi. In tutto ciò, il "benessere" non deve essere il fine, tanto meno l'estasi dell'unione mistica può essere paragonata al piacere sensoriale, poiché in essa l'uomo si dissolve, torna a coincidere con il Dio-Uno primigenio e a perdere ogni individualità, come una goccia d'acqua ritornata alla fonte.
In questo aspetto risiede l'ultima serratura da forzare, quella della volontà individuale:

"La quinta prigionia è quella della propria volontà, cioè quando l'uomo vuole conservare la sua volontà anche nelle cose divine e in Dio stesso" Giovanni Taulero, Le cinque specie i prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 239).


Come già accennato nell'articolo dedicato a Meister Eckhart, per ritornare alla fonte l'uomo deve abdicare alla propria volontà soggettiva e personale per lasciarsi colmare dalla Volontà divina, in modo che ogni sua azione e ogni suo pensiero venga elevato ai ranghi delle azioni e del pensiero di Dio.
Non si tratta di sottomettersi passivamente a Dio, di farsi il "lavaggio del cervello" e divenire un burattino inerme. Al contrario, si tratta di elevarsi, ascendere al rango di Dio, fino a compiere l'azione paradossale, secondo le spregiudicate parole di Meister Eckhart, di uccidere Dio per divenire Dio stesso ed eliminare qualsiasi differenza. A questo punto, giunti a coincidere con la fonte stessa della vita, ogni evento diverrà una manifestazione, una teofania, della propria Volontà divina. Nulla potrà scalfire l'uomo realizzato poiché è come se tutto fosse frutto del suo Volere divino. Come scrive Taulero:

"egli perverrà a un raccoglimento, un'immersione, una fusione nel puro, divino, semplice bene interiore, dove la novile scintilla interiore ha un eguale ritorno e un eguale riflusso alla sua origine da cui è sprizzata. Dove questo riflusso alla sua origine avviene perfettamente, ogni debito è interamente saldato, fosse anche grande come quello di tutti gli uomini che fossero mai stati debitori dal principio del mondo. Ecco, a quel punto viene infusa ogni grazia e ogni felicità, e l'uomo diventa uomo divino" (Giovanni Taulero, Le cinque specie di prigionia, Sermoni, Edizioni Paoline, p. 241).

Per approfondire l'argomento, è disponibile il mio ultimo libro: Pratiche di contemplazione. L'arte della meditazione occidentale: https://www.ibs.it/pratiche-di-contemplazione-arte-della-libro-daniele-palmieri-palmieri-daniele/e/9788827846926


Giovanni Taulero, Le cinque specie di prigionia, Sermoni, Edizoni Paoline

Daniele Palmieri

mercoledì 7 novembre 2018

Carlo Pascal: Da déi a demoni. Il paganesimo morente

Come scrisse Cioran in uno dei suoi aforismi, due sono i momenti più intensi dell'epopea di una civiltà: la nascita, accompagnata dall'ascesa, e la decadenza, accompagnata dal lento declino, dagli ultimi sussulti simili a quelli di un organismo morente.
L'ascesa e il declino di Roma è uno dei casi più emblematici; leggendone la storia, non si può che rimanere ammaliati di fronte alla forza inarrestabile che, per centinaia di anni, ne trainò l'espansione e, allo stesso tempo, non si può che provare un senso di turbamento, di compassione, dinanzi agli ultimi secoli della sua storia, nei quali sembra di vedere il riflesso di un declino fatalistico, inesorabile quanto difficilmente comprensibile.
L'epoca della decadenza, che viene generalmente identificata con i secoli che vanno dal III al V secolo d.C., è un'epoca storica estremamente conflittuale. Tanto è morente l'Impero Romano, quanto sono potenti le forze e i conflitti che si verificano all'interno delle sue membra, a tal punto che pensatori come Spengler lessero il tramonto dell'Impero come la fine di una civiltà in declino e l'ascesa di una nuova civiltà, spinta da forze apparentemente contrapposte ma che presto andranno ad unirsi, quella dei popoli "barbari" e della nuova religione cristiana.
Già a partire dal II secolo d.C. i costumi romani erano scossi da un profondo sentimento religioso, al confine con il magico e la superstizione. I culti orientali, penetrati a Roma dall'Egitto e dall'Oriente, stimolano la fantasia delle classi più o meno agiate che cercano un rifugio spirituale di fronte ai turbamenti civili e culturali.
Il Cristianesimo può essere annoverato tra gli stessi culti orientali che, con una azione silenziosa e costante nei primi secoli, e poi sempre più tumultuosa e violenta in quelli successivi, ha conquistato l'animo dei cittadini, dei funzionari e degli Imperatori dell'Urbe con un culto e una serie di pratiche religiose fino ad allora aliene al modo di sentire romano.
Questo tortuoso momento di passaggio è tra i più affascinanti della storia del pensiero, poiché è quello che plasmerà la psiche dell'uomo occidentale dei secoli a venire attraverso la narrazione di nuovi miti e di nuovi modi di vedere il mondo e il cosmo.
Carlo Pascal, latinista attivo tra la fine del 1800 e l'inizio del '900, si focalizza su questo "passaggio di consegne forzato" in una bellissima raccolta di saggi intitolata Dèi e diavoli. Saggio sul paganesimo morente.
Filo conduttore dei diversi saggi è la "transizione divina" avvenuta tra tra IV e V secolo d.C. dalle morenti divinità pagane al nuovo senso del divino cristiano; in particolare, la trasmutazione effettuata dai primi pensatori e apologeti cristiani, come Lattanzio, Agostino, Tertulliano, Gerolamo, che lungi dal limitarsi a negare l'effettiva realtà delle divinità pagane, effettuarono un'azione molto più subdola e sottile: le trasformarono da déi a demoni.
Si tratta di un'operazione senza precedenti nel mondo romano e che, come anticipato, segnerà profondamente l'inconscio collettivo dell'uomo occidentale. Fino ad allora, Roma aveva sempre mostrato una spiritualità cosmopolita e quasi "vorace"; tutto ciò che era divino, veniva inglobato all'interno del vasto pantheon Romano, che prevedeva la pacifica convivenza delle molteplici divinità non solo per ragioni di stato e di pace, ma per il principio spirituale secondo il quale ogni terra possiede i propri dèi, manifestazione, appunto, di quella terra e di quel popolo. Profanarli significherebbe inimicarsi non solo la popolazione assoggettata, ma soprattutto le forze divine che vegliano sui territori e che, in fondo, sono la manifestazione di un "Nume" spirituale più ampio. Una forza intrinseca nella natura che si rivela sotto molteplici forme in base al luogo e ai popoli, ma legata da un'unità spirituale di fondo.
Con il Cristianesimo, e in particolare con i pensatori citati in precedenza, si verifica un'operazione di rimozione totalmente nuova. Il Cristianesimo, infatti, non si limitò a perseguitare gli antichi culti dimostrandone la falsità, tutt'altro. Vi era di fondo un problema teologico molto più sottile: come mai il "Vero Dio" che noi cristiani veneriamo non si è mai manifestato, prima di oggi, al più vasto impero del mondo? Come ha potuto abbandonare una popolazione così vasta in balìa di dèi inesistenti?
La risposta dei primi apologeti è tanto geniale quanto devastante per i culti pagani. I dèi pagani esistono e, nel corso dei millenni, hanno preso sempre più forza attraverso la venerazione loro tributatagli. Ma sotto si nasconde un grande inganno; coloro che i pagani hanno sempre venerato come dèi, non sono altro che demoni. Sono falsi dèi non perché inesistenti; ma, al contrario, poiché hanno convinto gli uomini della loro divinità, quando altro non sono che demoni controllati dal demonio. Demoni giunti come sulla terra? Giunti quando, come si narra nell'Antico Testamento, Dio inviò sulla sfera terrestre alcuni angeli per vegliare sugli uomini, che tuttavia si ribellarono e si unirono alle donne dando così vita a una stirpe di giganti/demoni, che iniziarono a essere venerati come entità divine nonostante la loro natura meticcia, nata da una grande infrazione dell'ordine cosmico. Proprio nelle credenze neoplatoniche i Cristiani trovarono man forte; il concetto di daimon, infatti, inteso come essere a metà tra umano e divino, era proprio della cultura classica; ma nell'antichità il daimon, o demone, poteva essere sia positivo e benevolo sia negativo e malevolo, simile ai djin, i Geni, delle novelle orientali. Il Cristianesimo avvalorò la sua interpretazione facendo coincidere i daimon con il termine "demone" e con l'accezione esclusivamente negativa del termine, e per riferirsi alle entità intermediare tra uomo e Dio cominciò a utilizzare il termine "Angelo".
Così, per fare un esempio concreto, la gerarchia pagana rimase immutata; Giove è ancora a capo della sua schiera di dèi, ma nell'ottica Cristiana viene reinterpretato come il più potente tra i demoni a capo del suo esercito infernale.
Una fine triste e impietosa per culti remoti, in parte dovuta alla stessa crisi sociale che richiedeva nuovi paradigmi del mondo, ma di fronte alla quale non si può che provare un senso di sconforto o tristezza. Citando le parole di Carlo Pascal:
"A poco a poco l'umanità si chiude angosciosa nelle trepidanze dell'oltretomba: ov'era sorriso di arte, ov'erano ville e città fiorenti, fu squallore e deserto. E sulla rovina immensa della civiltà e dell'arte antica trionfò, grandioso e terribile, il cristianesimo: trionfò come furia che irrompe e invade, come forza che domina e vince. Ma gli dèi antichi non morirono. Distrutti i loro simulacri e i loro templi, vagarono ancora per il mondo: gli dèi della giovinezza e dell'amore, gli dèi giocondi del lavoro e della vita, divenuti ormai demoni, turbarono di terrori e di angosce l'umanità trepidante: rosseggiarono tra lingue di fuoco, urlarono sopra cime arroventate, flagellarono con ghigno feroce e tra grida selvagge i peccatori maledetti, essi, che composti a dignità maestosa e solenne avevano ispirato le concezioni più serene dell'arte antica, avevano accompagnato Roma vittoriosa su tutte le vie della civiltà e della gloria" (Carlo Pascal, Dei e diavoli. Saggio sul paganesimo morente, Edizioni PiZeta p. 90).
Carlo Pascal, Dei e diavoli. Saggio sul paganesimo morente, Edizioni PiZeta
Daniele Palmieri

lunedì 5 novembre 2018

Giordano Bruno e l'arte della magia

Giordano Bruno è stato, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi geni della storia del pensiero umano; non un semplice spartiacque tra pensiero magico rinascimentale e pensiero scientifico seicentesco, ma un intelletto geniale in grado di attingere a ogni campo del sapere e unificare l'intera conoscenza magica, filosofica, scientifica, religiosa e logica del suo tempo.
Dato il suo involontario ruolo di "martire" del pensiero libero, viene spesso ricordato e conosciuto più per la sua vicenda personale che per le sue parole e molto vi è ancora da esplorare e comprendere delle sue opere.
Un intero universo si nasconde nei suoi scritti dedicati all'arte magica, in cui rifulge la fiamma immaginativa del suo intelletto in grado di aprire squarci inaspettati sul velo dell'essere. Tra esse, spiccano il De magia e il De vinculis in genere, editi in italiano dalla Mimesis sotto il titolo di La magia e le ligature, ideali per andare al nocciolo del pensiero magico e filosofico bruniano e per comprendere quali siano i fondamenti dell'arte magica in generale.
Per Bruno esistono diversi generi di magia:
La magia naturale, che agisce sui legami materiali delle cose attraverso la conoscenza delle leggi fisiche;
La magia prestigiatoria, che opera attraverso lo stupore indotto nel prossimo mediante l'apparenza e l'impiego di forze superiori, vere o presunte;
La necromanzia, magia oscura che impiega l'evocazione delle anime dei morti;
La magia matematica e la filosofia occulta, che impiega caratteri, formule, simboli, sigilli, numeri sacri;
La magia dei disperati, praticata da coloro che invocano demoni e forze occulte per ottenere ciò che vogliono a prezzo dell'anima;
La teurgia, l'evocazione di demoni o angeli mediante l'utilizzo di simulacri, talismani o altri oggetti sacralizzati, che si fanno veicolo della divinità;
La profezia, che può essere praticata per mezzo di diversi strumenti divinatori.
Infine, vi è la forma più alta di magia, la Magia propriamente detta: la Sapienza. La vera Magia è infatti la perfetta e compiuta conoscenza della realtà e dei nessi materiali e spirituali che ne regolano il divenire.
Tutti i precedenti generi di magia possono essere raccolti in tre principali categorie:
 
La magia divina, che opera mediante le forze spirituali superiori;
La magia fisica, che agisce sugli elementi materiali;
La magia matematica, che liga a sé le forze superiori o inferiori attraverso rituali, parole magiche, sigilli, caratteri e formule sacre.
 
Alle tre categorie di magia corrispondono tre mondi:
 
L'archetipo, il mondo delle forme, concepito da bruno similmente a il mondo delle Idee platonico ma, in tal caso, immanente alla realtà e dominato da amicizia e contesa tra le cose.
il fisico, il mondo materiale, il cui divenire è regolato da fuoco e acqua, intesi come forze elementali in grado di aggregare e disgregare le cose e dalle quali nascono tutti gli elementi.
infine il razionale, il Nous, l'Intelletto universale in cui ad agire sono la luce e tenebra, principi cosmici che incarnano la passività/malleabilità della materia grezza e l'attività/creatività dello spirito creatore.
 
Tre mondi strettamente interconnessi, poiché secondo le parole di Bruno:
 
"Luce e tenebre discendono verso il secondo [il mondo fisico], il primo [l'archetipo] produce il terzo [il razionale] e il terzo [il razionale] attraverso il secondo [il fisico] si specchia nel primo [l'archetipo]" (Giordano Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, p. 41).
 
La sofisticata idea di Bruno rielabora in maniera creativa, in chiave panteista, l'altrettanto complessa gerarchia dell'esistenza propria sia della filosofia neoplatonica sia di alcune correnti della filosofia medievale, come quella di Scoto Eriugena. Da Dio al più basso e abietto degli esseri, ogni cosa è collegata. Il vuoto, per Bruno, non esiste; esiste la materia che, seppur separata nello spazio, è unita nello spirito, l'anima mundi, l'intelletto divino che tutto colma e che, come un'invisibile ragnatela, unifica l'intero universo.
Da qui la possibilità, attraverso l'arte magica, di agire sugli oggetti, le persone, le cose, perfino gli spiriti e gli angeli. Il suo segreto risiede nella conoscenza di quelle che Bruno chiama "ligature", le connessioni nascoste tra le cose, i fili invisibili che collegano il tutto e che il mago è in grado di far vibrare a proprio piacimento. 
Tale connessione si dispiega attraverso una scala gerarchica che, simile alla gerarchia neoplatonica, si dispiega dall'Uno/Dio originario che si frammenta creando una molteplicità che, tuttavia, reca in sé l'archetipo primordiale. Ogni aspetto della scala gerarchica non è altro che un frattale della totalità. Come scrive Bruno:

"Per giungere a cose particolari, assioma dei maghi è che in ogni operazione occorre avere sotto gli occhi che Dio influisce sugli Dei, gli Dei sugli astri, che sono numi corporei; gli astri influiscono su demoni, che reggono ed abitano gli astri, i demoni influiscono sugli elementi, gli elementi sui misti, i misti sui sensi, i sensi sull'animo, l'animo sull'intero essere animato; questa è la scala in discesa" (Giordano Bruno, La magia e le ligature, p. 39).

Una gerarchia discendente che, tuttavia, l'anima può risalire, come la scala di Giacobbe che unisce sensibile al sovrasensibile. L'uomo può dunque ascendere, con la conoscenza magica, per ricongiungersi al Dio originario; aprire la propria mente ai segreti del cosmo e tornare, in vita, parte dell'unica mente divina. Sempre citando le parole di Bruno:

"Da Dio vi è così una discesa mediane il mondo all'essere animato, e dall'essere animato v'è un'ascesa mediante il mondo fino a Dio; egli è all'apice della scala, atto puro e potenza attiva, purissima luce, mentre alla radice della scala vi sono materia, tenebre, pura potenza passiva, che dal fondo può divenire ogni cosa, come egli dall'alto può fare ogni cosa" (Giordano Bruno, La magia e le ligature, p. 39-41).

L'infinità possibilità della materia incontra così l'infinita creatività di Dio; si tratta dell'eterno rapporto aristotelico tra materia e forma, laddove quest'ultima plasma ogni cosa che esiste attraverso il "Verbo" ordinatore mentre la prima, proprio perché inerme e informe, permette al Verbo di dar vita all'ordine e a ogni cosa che esiste. In un cosmo siffatto, ogni oggetto è animato dallo spirito divino che permea e vivifica tutte le cose e che genera l'eterno divenire dell'universo. Usando le parole di Bruno:

"Alcuni spiriti abitano corpi umani, altri quelli di altri viventi, alcuni piante, altri pietre e minerali: nulla è del tutto privo di spirito e di intelletto, e da nessuna parte lo spirito attinge l'eterna sede a lui stabilita, ma la materia fluisce dall'uno all'altro spirito e fluisce lo spirito dall'una all'altra materia: questo è il diventar-altro, il mutamento, la passione e infine la corruzione, vale a dire la scissione di determinate parti da altre e l'unificazione con altre; morte altro non è che separazione. Ma spirito alcuno né corpo alcuno vanno in perdizione; v'è solo una perpetua mutazione di aggregazioni e di attuazioni. [...] Ogni cosa brama persistere nel proprio essere e non comprende, o fraintende, uno stato nuovo, diverso dal proprio, poiché v'è una certa ligatura amorosa dell'anima verso il proprio corpo, e, a modo suo, del corpo verso la propria anima" (Giordano Bruno, La magia e le ligature,  Mimesis).
Magia è compiuta e perfetta conoscenza di tale gerarchia e di tale spirito divino, volta trasformare la contemplazione passiva in arte attiva. A fare da collante conoscenza contemplativa e trasmutazione attiva della realtà vi è la Parola, il Verbo.
L'uomo, luogo d'incontro tra le nature dell'universo, possiede la facoltà di ligare a sé le cose mediante l'intelletto e la parola. L'intelletto è in grado di comprendere i legami, palesi o occulti, che connettono ogni parte della gerarchia e il verbo, riflettendo la molteplicità delle realtà, si pone come strumento mediatore in grado di creare, manipolare, legare e slegare la realtà materiale, umana, spirituale a suo piacimento. Mediante il Verbo l'uomo si fa demiurgo della realtà, ma solo nella misura in cui egli è in grado di accedere al vero Verbo, il "pensiero di Dio" soggiacente alla realtà. Come scrive nel De Magia:
 
"Le occulte intelligenze non prestano orecchio o intendimento a ogni idioma: le voci interne alle umane istituzioni non sono intese come le voci naturali. [...] Così non tutte le scritture hanno l'importanza che possiedono quei caratteri che, per taluni aspetti e raffigurazioni, accennano alle cose stesse; di conseguenza esistono certi segni che si rimandano l'un l'altro, che si guardano l'un l'altro, si abbracciano, obbligando all'amore; altri che si oppongono l'un l'altro, scissi verso odio e divorzio, altri ancora spezzati, carenti, rotti a rovina; nodi per ligare, caratteri intesi allo scioglimento. E non possiedono una forma definita e certa, ma ognuno ispirato dal furore o dalla pulsione del suo spirito, esperisce specifiche energie, che non percepirebbe con nessun stile né con eloquio o scrittura elaborati e, in una specie di furia del proprio spirito, designando a se stesso e al nume, quasi fosse presente, la cosa stessa mediante nodi" (Giordano Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, p. 49).
 
Per Bruno, caratteri simili erano i geroglifici degli antichi egizi, la cui sacralità e potenza magica derivava dall'essere ispirati dal dio Thot non come semplici segni convenzionali, bensì come sigilli in grado di riflettere l'essenza stessa delle cose, di "ligarle", appunto, come nodi, all'uomo stesso e permettergli così di esercitare su di esse il proprio influsso magico attraverso la volontà.
In Bruno risiede la prima, grande, scoperta della magia intesa come Volontà, idea cardine dei sistemi magici ottocenteschi e novecenteschi di Eliphas Levi, della Golden Dawn e di Crowley.
Uomo, Volontà e Natura divengono un tutt'uno mediante la Parola, il Verbo:
 
"Perciò, imitando gli Egizi, oggi i Maghi, fabbricate immagini, descritti caratteri e cerimonie consistenti in specifici gesti e riti, esprimono i loro voti quasi con determinati cenni, perché vengano intesi, e si tratta di quella lingua degli dei che permane uguale, mentre tutte le altre ogni giorno e mille volte cambiano; eguale come la specie della natura. Per la stessa ragione i numi si rivolgono a noi attraverso visioni, sogni che noi nominiamo enigmi per mancanza di esperienza, ignoranza e incapacità delle nostre facoltà" (Giordano Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, p. 49).
 
La potenza magica della parola viene sviscerata nel secondo trattato, il De vinculis, in cui Bruno, per la prima volta nella storia del pensiero, analizza la magia come atto psichico.
Con grande finezza psicologica, Bruno fu il primo ad accorgersi che tale forma di magia permea l'intera realtà, in primis quella dei rapporti umani.
Elencando le diverse ligature, molte sono quelle che riguardano proprio le relazioni interpersonali d'amore, amicizia, odio, potere, servitù e simili. La Bellezza, ad esempio, seppur nella sua molteplicità, viene individuata come una delle ligature più potenti, in grado di influire in maniera sottile sull'anima degli uomini, di legarla a sé e trasmutare così la loro psiche. Un mirabile esempio di questa sottile operazione è la capacità degli artisti di stupire l'uomo con le loro opere, in grado di surclassare in stupore finanche le opere ancor maggiori della natura:
 
"Liga con arte l'artefice: il bello dell'artefice è arte. Stupito e sconcertato guarderà il bello delle cose di natura e d'arte chi quasi non scorga e ammiri l'ingegno che tutte le ha effettuate. A lui le stelle non raccontano la gloria di Dio; e così non Dio, ma ciò che da Dio proviene, con anima da bestia bacerà" (Giordano Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, p. 97).
 
Quante capita di ammirare con stupore e ammirazione un quadro e di ignorare, invece, la bellezza ancor maggior di un cielo stellato? In tal caso, l'artista ha effettuato una vera e propria opera magica, influendo sulla psiche dell'osservatore attraverso la Bellezza, incarnata nei suoi dipinti che, in tal caso, divengono dei veri e propri sigilli magici in grado di ligare a sé l'anima umana. Perciò insieme al Bello, Odio e Amore sono considerate, fin dai tempi di Empedocle, le forze magiche ataviche della natura, poiché anche una sola goccia d'odio o d'amore sconvolge gli equilibri sussistenti, aggrega o dissolve quanto è disgiunto o unito, tanto nella materia quanto nella mente e nello spirito.
Nell'uomo, la porta privilegiata attraverso la quale agiscono le molteplici ligature sono i sensi e ognuno di essi possiede la sua chiave di accesso. Come scrive Bruno:
 
"Le porte per cui si scagliano le ligature sono i sensi, massimo e più degno dei quali è la vista; più idonei possono essere i rimanenti per la varietà degli oggetti e delle loro possibilità: il tatto è ligato dalla plasticità della carne, l'udito dalle sfumature della voce, l'olfatto dal respiro soave, l'animo dall'adeguatezza dei costumi, l'intelletto dall'evidenza delle dimostrazioni. Ligature diverse penetrano per diverse finestre e sono più efficaci nell'uno che nell'altro" (Giordano Bruno, La magia e le ligature, p. 137).
 
Il mago più sapiente, e dunque più pericoloso, è colui in grado di riconoscere la porta psicologica più debole da varcare attraverso la giusta chiave per ligare a sé l'oggetto del suo atto magico. Sempre citando le parole di Bruno:
 
"Tanti sono i generi e le diversità del belo, tanti, si intende,. sono i generi e le diversità delle ligature. Tali differenze non paiono minori di quante siano le cose precipue [...]. Chi ha fame è ligato dal cibo, chi ha sete dal bere, da Venere chi è gonfio di seme; costui dai sensi, colui dall'intelligenza; dal naturale l'uno, dall'artificiale l'altro; dalle astrazioni il matematico, dalle cose concrete il pratico  [...] sono ligature diverse per ogni diverso di qualsiasi genere; peraltro, non ogni ligatura reca con sé eguale virtù" (Giordano Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, p. 137).

In conclusione, il De Magia e il De Vinculis sono due trattati sorprendenti, in grado di svelare i meccanismi psicologici soggiacenti, ancora oggi, al pensiero e all'azione dell'uomo. Per fare un esempio, leggendo i passi in cui Bruno parla della "brama materiale e sessuale" come una delle ligature più potenti, sembra di vedere descritti gli abili pubblicitari dei tempi odierni che fanno leva proprio sulla sessualità per legare gli spettatori agli oggetti pubblicizzati, instillando nella mente desideri inconsci che agiscono proprio come sortilegi magici.
Ma le due opere di Bruno sono anche uno squarcio sui segreti più reconditi del cosmo e sulle forze occulte che regolano il perpetuo divenire delle cose; un dipinto teorico in grado di ammaliare con la sua Bellezza e, sempre per rimanere in tema, di ligare a sé il lettore con la sua mirabile descrizione dell'universo.
 
Giordano Bruno, La magia e le ligature, Mimesis Edizioni.
 
Daniele Palmieri