La morte di Ivan Il'ic, uno dei racconti lunghi più noti di Tolstoj, ha una trama apparentemente semplice.
Ivan Il'ic è un uomo per bene, che ha sempre avuto una vita impeccabile.
La sua dedizione gli ha permesso di raggiungere le posizioni gerarchiche più elevate all'interno della complessa burocrazia statale russa e sembra che la vita gli abbia dato tutto ciò che un uomo (o, perlomeno, un uomo russo del 1800) possa desiderare: una moglie, una bella casa, un dignitoso impiego statale e uno stile di vita agiato, tra i salotti della vita borghese dell'alta società.
Un giorno, tuttavia, Ivan Il'ic contrae una malattia cronica e tutto il castello che si era costruito fino ad allora crolla; il misterioso morbo lo mangia dall'interno e lentamente ma inesorabilmente lo conduce alla morte.
Come accennato in precedenza, La morte di Ivan Il'ic ha una trama lineare, senza intrecci complessi e senza alcun colpo di scena. Tuttavia, proprio le trame semplici sono le più difficili da narrare; l'autore, infatti, deve essere abile ad imprimere il proprio marchio sul racconto rendendolo così unico e inimitabile.
Il marchio di un grande autore come Tolstoj è il profondo messaggio filosofico che egli è in grado di inserire tra le righe dei racconti, e La morte di Ivan Il'ic non fa eccezione.
La trama, dunque, passa in secondo piano; ciò che conta non è la storia in sé, ma il modo in cui essa è narrata e il messaggio che vuole trasmettere.
Quest'ultimo risiede nella diversa prospettiva che la morte imminente apre nella mente di Ivan Il'ic e nel travaglio interiore che lo accompagnerà per tutta la seconda metà del racconto.
Il punto di svolta è proprio la presa di coscienza, da parte di Ivan, dell'ineluttabilità del suo destino. La malattia, insinuatasi tra le sue certezze come un lieve crepa, diventa un baratro quando essa si trasforma nella consapevolezza di una morte imminente. Tuttavia, più che la morte in sé, a tormentarlo è una domanda sollevatasi da questo abisso oscuro: posso essere soddisfatto della vita che ho vissuto?
A una prima lettura superficiale si potrebbe pensare che Ivan Il'ic non abbia nulla di cui lamentarsi; in fin dei conti, ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, ha avuto lavori e stipendi dignitosi, si è sposato e ha messo su famiglia. Eppure, voltandosi indietro e tirando le somme della propria esistenza, Ivan Il'ic si accorge che non riesce a essere soddisfatto di come ha vissuto. La morte ha sfilato un velo rivelando una verità che egli stesso aveva sempre nascosto: tutta la sua vita non è stata che una grande menzogna. Egli non è mai stato padrone della sua esistenza, poiché ha sempre vissuto assecondando gli stereotipi della società. Ivan Il'ic non ha scalato la gerarchia della burocrazia statale perché pensava che uno stipendio elevato e un posto prestigioso potessero renderlo felice, ma solamente perché la società pensa che i soldi e un posto in vista facciano la felicità. Egli non ha preso moglie perché amava quella donna, né perché fosse intimamente convinto dell'importanza del matrimonio, ma soltanto perché la società vuole che raggiunta una certa età si prenda moglie e si metta su famiglia. Egli non frequentava i salotti dell'alta borghesia perché si dilettava all'interno di quell'ambiente raffinato, ma perché secondo la società le "persone dabbene" devono frequentare quei luoghi. In poche parole, Ivan Il'ic ha sempre posto la propria vita nelle mani della società; lui non ha mai vissuto, poiché la società ha vissuto al posto suo. Di conseguenza, egli ha sprecato la sua vita.
La morte diventa un'amara rivelazione e lo stesso Ivan Il'ic diventa un'incarnazione di tale rivelazione. A testimoniarlo, l'ostracismo con cui lo trattano la moglie, gli "amici", il dottore e, in generale, tutte le persone a lui attorno, che condividevano la medesima finzione sociale e che, trovandosi di fronte a un evento che mette in mostra la fragilità di tutta la menzogna, tentano in ogni modo di negare l'evidenza. La parola "morte" diventa tabù, nessuno osa pronunciarla; fino all'ultimo si nega l'ineluttabilità della malattia cronica e tutti, in primis la moglie, cercano di convincere Ivan che quel male passerà presto. Allo stesso tempo, però, tutti iniziano a evitarlo, quasi corressero il rischio di essere contagiati; sanno che la morte è in grado di far crollare tutto il loro castello di carte con un solo soffio e proprio per questo la negano, continuando a vivere nella menzogna e tenendola distante.
Tuttavia, è proprio in questo lento morire che Ivan scopre il vivere autentico, rappresentato dalla figura di Gerasim, un ragazzo di origine contadine che lo accudisce durante la malattia.
Benché Gerasim sia povero, abbia un lavoro umile e non possieda tutti i privilegi di Ivan, egli è sempre allegro, positivo e il suo sorriso è sempre genuino. Non c'è nulla di "falso" nella sua semplice vita e nel suo atteggiamento, e questo perché, benché egli non sia ricco materialmente, ha però un bene molto più prezioso: la libertà interiore. Non vive seguendo le etichette della società, di conseguenza non deve trascinarsi dietro le pesanti catene dell'apparenza; il suo animo è libero di sollevarsi.
Non a caso Gerasim è l'unico ad accettare la verità della morte e a chiamarla per nome, anche e soprattutto di fronte al diretto interessato; non a caso, è soltanto nell'autenticità di quel rapporto che Ivan riesce a trovar sollievo, anche se momentaneo, alle sue pene; ed è forse grazie a questo barlume di verità, anche se colto soltanto alla fine della vita, che sul letto di morte egli è in grado di vedere la luce, pochi istanti dopo l'ultimo respiro.
Lev Tolstoj - La morte di Ivan Il'ic
Daniele Palmieri
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