Ho già trattato di Ernst Junger qualche giorno fa, parlando del suo Trattato del Ribelle. Oggi mi occuperò di un altro suo testo, forse ancora più brillante: La battaglia come esperienza interiore.
A metà tra discorso filosofico, diario di guerra e testo letterario, La battaglia come esperienza interiore è un libro difficilmente catalogabile secondo i criteri classici.
In esso Ernst Junger narra la sua esperienza in trincea durante gli anni della prima guerra mondiale. E lo fa in maniera cruda e realistica ma, allo stesso tempo, onirica e poetica, con una prosa incalzante ed evocativa in grado di trascinare il lettore al suo fianco sul campo di battaglia.
Proprio questo è l'intento dell'autore: far vivere al lettore la guerra in prima persona, senza parlare degli eventi storici che ha vissuto ma limitandosi al resoconto interiore di essi. Il discorso infatti si sviluppa in una serie di capitoli incisivi, simili a brevi flussi di coscienza, fatti di suoni, sensazioni, pensieri, odori, sentimenti, immagini. Leggere questo testo è come vivere un incubo nitido, sembra di sguazzare nel fango della trincea, di essere sfiorati da una carica di proiettili, di percepire l'odore del sangue e della decomposizione e di essere assordati dal boato delle granate.
Senza farsi influenzare né dal romanticismo d'acciaio futurista che esaltava il conflitto, il suono delle mitragliatrici e delle bombe, né dal pacifismo che vedeva la guerra come qualcosa di "innaturale", ne La battaglia come esperienza interiore Junger si pone al di là del bene e del male, descrive la guerra in maniera lucida, realistica, disincantata, con un discorso che non è né morale né immorale ma amorale e che, proprio astenendosi da ogni giudizio, riesce a coglierne la vera essenza.
Svincolata da qualsiasi motivazione logica, la guerra non è causata dagli stati, dai trattati non rispettati o dalle alleanze internazionali, tantomeno essa ha un fine. La guerra esiste poiché esiste l'uomo e l'unico fine della guerra è la guerra stessa. Il conflitto armato è l'espressione delle pulsioni primitive che la società vorrebbe estirpare ma che, profondamente radicate in noi, riesce soltanto a reprimere, respingendole nei meandri bui della nostra anima. Pulsioni violente che, a forza di essere represse, si accumulano fino a esplodere e la guerra altro non è che la manifestazione del nostro lato selvaggio che, per quanto possa essere rinnegato, fa sempre parte di noi. Da questa prospettiva, ogni giustificazione o motivazione della guerra è soltanto a posteriori, ciò che cambia col passare dei secoli è soltanto il progresso tecnologico e, di conseguenza, le diverse modalità con cui l'uomo si affronta in battaglia. Ma se il nemico viene ucciso a mani nude, con una pietra, con una lancia, con una spada, con un fucile o con una bomba il risultato non cambia, così come non cambia la motivazione più profonda che spinge il soldato a uccidere per non essere ucciso.
Il circolo vizioso della guerra è in continuo divenire e le pause tra un conflitto e l'altro sancite dai trattati di pace sono soltanto momentanee, così come sono momentanei i momenti di quiete sul campo di battaglia prima dell'infuriare delle mitragliatrici.
Come l'oltreuomo nietzschiano, consapevole della morte di Dio, deve essere in grado di oltrepassare la linea al di là del bene e del male per trovare un proprio senso alla vita, il soldato idealizzato da Junger, consapevole dell'ineluttabilità della guerra, deve riuscire ad andare oltre la guerra per poter sopravvivere. Il soldato jungeriano diventa colui che è in grado di assaporare ancora più a fondo la vita proprio perché si trova, ogni giorno, di fronte all'orrore, al polemos metafisico che fa girare la ruota dell'esistenza. In questo scenario devastante i piccoli momenti di quiete della vita, anche (anzi, soprattutto) quelli più semplici vanno gustati e goduti a piccoli sorsi poiché, seppur brevi, riescono a dare un senso all'orrore prima che la guerra, con il suo canto da sirena, richiami a combattere.
Ernst Junger, La battaglia come esperienza interiore, edito in Italia da Piano B Edizioni.
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Daniele Palmieri
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