Il Principe di Machiavelli è la prima, grande, opera di realismo politico occidentale. Letto e commentato in ogni epoca storica, al giorno d'oggi molti lo citano ma in pochi lo hanno letto veramente; per lo più risulta filtrato dagli stereotipi che circolano ed è noto più per il famoso concetto del fine che giustifica i mezzi.
Uno degli aspetti che ha reso così famoso il testo di Machiavelli è, come già accennato, il realismo politico e il disincanto con cui l'autore fiorentino guarda le dinamiche umane. Ed è a partire da una concezione piuttosto negativa dell'antropologia umana che delinea quelle che dovrebbero essere le virtù politiche del perfetto principe, con il quale egli sarà in grado di conquistare e mantenere il potere.
Per quanto riguarda le azioni del principe per mantenere il proprio potere, è importante che questi agisca non in base a ciò che si dovrebbe fare, ma in base a ciò che deve essere fatto. Non è possibile, infatti, che un uomo buono sia in grado di reggere con l’onestà e la correttezza un regno in un mondo in cui la maggior parte degli uomini non sono né buoni né corretti. E’ necessario, per un principe, imparare a poter essere "non buono" (come scrive lo stesso Machiavelli) e a utilizzare e a non utilizzare i mezzi sporchi secondo necessità.
Le qualità e i vizi generalmente attribuiti a un principe sono: donatore o rapace, pietoso o crudele, fedele o traditore, pusillanime o effemminato, animoso o feroce, umano o superbo, casto o lascivo, intero o astuto, facile o duro, leggiero o grave, ateo o religioso. In un mondo ideale è chiaro che sarebbe auspicabile per il principe possedere tutte le virtù positive; ma viviamo in un mondo imperfetto, composto da uomini imperfetti, e di conseguenza sarà tanto meglio seguire un vizio in grado di farci mantenere il potere piuttosto che una virtù che lo metterebbe a repentaglio.
Bisogna dunque abbandonare la semplicistica dicotomia virtù e vizio; virtù sarà ciò che permette al principe di mantenere il potere e vizio ciò che lo mette a rischio.
Le virtù politiche che il principe deve possedere sono:
1) La liberalità e la parsimonia: “Et intra tutte le cose di che uno principe si debba guardare, è lo essere contennendo et odioso; e la liberalità all’una e all’altra cosa ti conduce. Per tanto, è più sapienza tenersi el nome del misero, che partorisce un’infamia sanza odio, che, per volere el nome del liberale, essere necessitato incorrere nel nome di rapace, che partorisce un’infamia con odio” (pp. 63).
Per quanto riguarda la liberalità, ossia la donazione di ricchezze o la tassazione sui sudditi, è meglio essere considerato misero, che partorisce un’infamia senza odio, piuttosto che scialacquare senza ritegno le proprie ricchezze per ottenere il favore del popolo, che condurrà a impoverirsi e dunque poi a diventare rapaci e dunque a partorire tra il popolo un’infamia con odio.
2) La crudeltà e la pietà: “Ciascuno principe debbe desiderare di esser tenuto pietoso e non crudele: non di manco debbe avvertire di non usare male questa pietà. […] Debbe per tanto uno principe non si curare della infamia di crudele, per tenere e’ sudditi uniti et in fede; perché con pochissimi esempi sarà più pietoso che quelli e’ quali, per troppa pietà, lasciano seguire e’ disordini, di che ne nasca occisioni o di rapine: perché queste sogliono offendere una universalità intera, e quelle esecuzioni che vengono dal principe offendono uno particulare” (pp. 64).
Il principe deve essere in grado di dosare pietà e crudeltà alla giusta maniera; è meglio essere considerati pietosi, ciò non di meno non bisogna incedere troppo nella pietà nel momento in cui essa mette a repentaglio la stabilità dello stato e occorre mostrarsi crudele con chi ne mette a repentaglio l’ordine o ne infrange oltre misura le leggi. In questo modo, infatti, si perpetrerà un male particolare ma si preserverà l’integrità dell’universale.
3) Amore e odio: “Che la trioppa confidenzia non lo facci incauto e la troppa diffidenzia non lo renda intollerabile. Nasce da questo una disputa: s’elli è meglio essere amato che temuto, o converso. Respondesi, che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma, perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno d’ dua. Perché delli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori, fuggitori d’ pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, offeronti el sangue, la roba, la vita, e’ figliuoli, come di sopra dissi, quando el bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano. E quel principe che si è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina […] E li uomini hanno meno respetto ad offendere uno che si facci amare, che uno che si facci temere; perché l’amore è tenuto da un vinculo di obbligo, il quale, per essere li uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai. Debbe non di manco el principe farsi temere in modo, che, se non si acquista lo amore, che fugga l’odio; perché può molto bene stare insieme esser temuto e non odiato; il che farà sempre, quando si astenga dalla roba de’ sua cittadini e de’ sua sudditi, e dalle donne loro: e quando pure li bisognassi procedere contro al sangue di alcuno, farlo quando vi sia iustificazione conveniente e causa manifesta; uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio” (pp. 65).
E’ meglio essere temuti che amati, poiché il timore è stabile in ogni condizione mentre l’amore produce falsità e piaggeria, e gli uomini che in buona sorte ti amano per avere una fetta della torta, alla prima avversità voltano le spalle allontanandosi da te. Che il timore però non sia accompagnato dall’odio; un uomo, infatti, può essere temuto senza essere odiato, nel momento in cui le sue scelte e le sue decisioni non danneggiano arbitrariamente i sottoposti e non intacchino i loro beni più personali, come la proprietà.
4) La legge e la bestia: “Dovete adunque sapere come sono dua generazione di combattere: l’una con le leggi, l’altro con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo delle bestie: perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Per tanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e l’uomo. […] Sendo adunque uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la volpe et il lione; perché il lione non si difende da’ lacci, la volpe non si difende da’ lupi. Bisogna dunque essere volpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano” (pp. 67).
E’ peculiare degli uomini il governo della legge, mentre delle bestie il governo della forza bruta. Tuttavia, per affermare il governo della legge è spesso necessario il governo della forza bruta. Il principe saprà dunque saper usare entrambi i tipi di forza, quella bestiale e quella umana. Sarà dunque forte come un leone e astuto come una volpe. La forza bruta deve essere dosata dall’intelligenza per non essere cieca e l’intelligenza deve avere il supporto della forza bruta per imporsi.
5) Simulazione e dissimulazione: “E’ necessario questa natura saperla ben colorire, et essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare. […] A uno principe, adunque, non è necessario avere tutte le sopradescritte qualità, ma è bene e necessario parere di averle. Anzi, dirò di questo, che avendole et osservandole sempre, sono dannose, e parendo di averle, sono utile: come parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso, et essere; ma stare in modo edificato con l’animo, che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario. Et hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali li uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che elli abbia un animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti e le variazioni della fortuna li comandono […]. Debbe dunque avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto religione. E non è cosa più necessaria a parere di avere, che questa ultima qualità. E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu s’e’; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti” (pp. 69).
Il principe deve essere in grado di simulare virtù, senza essere necessariamente virtuoso, e allo stesso tempo deve essere in grado di dissimulare il vizio. Gli uomini, infatti, si basano soprattutto sull’apparenza e non è necessario essere necessariamente virtuosi se si è in grado di simularsi tali.
Le qualità e i vizi generalmente attribuiti a un principe sono: donatore o rapace, pietoso o crudele, fedele o traditore, pusillanime o effemminato, animoso o feroce, umano o superbo, casto o lascivo, intero o astuto, facile o duro, leggiero o grave, ateo o religioso. In un mondo ideale è chiaro che sarebbe auspicabile per il principe possedere tutte le virtù positive; ma viviamo in un mondo imperfetto, composto da uomini imperfetti, e di conseguenza sarà tanto meglio seguire un vizio in grado di farci mantenere il potere piuttosto che una virtù che lo metterebbe a repentaglio.
Bisogna dunque abbandonare la semplicistica dicotomia virtù e vizio; virtù sarà ciò che permette al principe di mantenere il potere e vizio ciò che lo mette a rischio.
Le virtù politiche che il principe deve possedere sono:
1) La liberalità e la parsimonia: “Et intra tutte le cose di che uno principe si debba guardare, è lo essere contennendo et odioso; e la liberalità all’una e all’altra cosa ti conduce. Per tanto, è più sapienza tenersi el nome del misero, che partorisce un’infamia sanza odio, che, per volere el nome del liberale, essere necessitato incorrere nel nome di rapace, che partorisce un’infamia con odio” (pp. 63).
Per quanto riguarda la liberalità, ossia la donazione di ricchezze o la tassazione sui sudditi, è meglio essere considerato misero, che partorisce un’infamia senza odio, piuttosto che scialacquare senza ritegno le proprie ricchezze per ottenere il favore del popolo, che condurrà a impoverirsi e dunque poi a diventare rapaci e dunque a partorire tra il popolo un’infamia con odio.
2) La crudeltà e la pietà: “Ciascuno principe debbe desiderare di esser tenuto pietoso e non crudele: non di manco debbe avvertire di non usare male questa pietà. […] Debbe per tanto uno principe non si curare della infamia di crudele, per tenere e’ sudditi uniti et in fede; perché con pochissimi esempi sarà più pietoso che quelli e’ quali, per troppa pietà, lasciano seguire e’ disordini, di che ne nasca occisioni o di rapine: perché queste sogliono offendere una universalità intera, e quelle esecuzioni che vengono dal principe offendono uno particulare” (pp. 64).
Il principe deve essere in grado di dosare pietà e crudeltà alla giusta maniera; è meglio essere considerati pietosi, ciò non di meno non bisogna incedere troppo nella pietà nel momento in cui essa mette a repentaglio la stabilità dello stato e occorre mostrarsi crudele con chi ne mette a repentaglio l’ordine o ne infrange oltre misura le leggi. In questo modo, infatti, si perpetrerà un male particolare ma si preserverà l’integrità dell’universale.
3) Amore e odio: “Che la trioppa confidenzia non lo facci incauto e la troppa diffidenzia non lo renda intollerabile. Nasce da questo una disputa: s’elli è meglio essere amato che temuto, o converso. Respondesi, che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma, perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno d’ dua. Perché delli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori, fuggitori d’ pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, offeronti el sangue, la roba, la vita, e’ figliuoli, come di sopra dissi, quando el bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano. E quel principe che si è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina […] E li uomini hanno meno respetto ad offendere uno che si facci amare, che uno che si facci temere; perché l’amore è tenuto da un vinculo di obbligo, il quale, per essere li uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai. Debbe non di manco el principe farsi temere in modo, che, se non si acquista lo amore, che fugga l’odio; perché può molto bene stare insieme esser temuto e non odiato; il che farà sempre, quando si astenga dalla roba de’ sua cittadini e de’ sua sudditi, e dalle donne loro: e quando pure li bisognassi procedere contro al sangue di alcuno, farlo quando vi sia iustificazione conveniente e causa manifesta; uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio” (pp. 65).
E’ meglio essere temuti che amati, poiché il timore è stabile in ogni condizione mentre l’amore produce falsità e piaggeria, e gli uomini che in buona sorte ti amano per avere una fetta della torta, alla prima avversità voltano le spalle allontanandosi da te. Che il timore però non sia accompagnato dall’odio; un uomo, infatti, può essere temuto senza essere odiato, nel momento in cui le sue scelte e le sue decisioni non danneggiano arbitrariamente i sottoposti e non intacchino i loro beni più personali, come la proprietà.
4) La legge e la bestia: “Dovete adunque sapere come sono dua generazione di combattere: l’una con le leggi, l’altro con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo delle bestie: perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Per tanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e l’uomo. […] Sendo adunque uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la volpe et il lione; perché il lione non si difende da’ lacci, la volpe non si difende da’ lupi. Bisogna dunque essere volpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano” (pp. 67).
E’ peculiare degli uomini il governo della legge, mentre delle bestie il governo della forza bruta. Tuttavia, per affermare il governo della legge è spesso necessario il governo della forza bruta. Il principe saprà dunque saper usare entrambi i tipi di forza, quella bestiale e quella umana. Sarà dunque forte come un leone e astuto come una volpe. La forza bruta deve essere dosata dall’intelligenza per non essere cieca e l’intelligenza deve avere il supporto della forza bruta per imporsi.
5) Simulazione e dissimulazione: “E’ necessario questa natura saperla ben colorire, et essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare. […] A uno principe, adunque, non è necessario avere tutte le sopradescritte qualità, ma è bene e necessario parere di averle. Anzi, dirò di questo, che avendole et osservandole sempre, sono dannose, e parendo di averle, sono utile: come parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso, et essere; ma stare in modo edificato con l’animo, che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario. Et hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali li uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che elli abbia un animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti e le variazioni della fortuna li comandono […]. Debbe dunque avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto religione. E non è cosa più necessaria a parere di avere, che questa ultima qualità. E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu s’e’; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti” (pp. 69).
Il principe deve essere in grado di simulare virtù, senza essere necessariamente virtuoso, e allo stesso tempo deve essere in grado di dissimulare il vizio. Gli uomini, infatti, si basano soprattutto sull’apparenza e non è necessario essere necessariamente virtuosi se si è in grado di simularsi tali.
Machiavelli - Il principe (Garzanti edizioni)
Daniele Palmieri
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