martedì 22 maggio 2018

L'arte di affrontare la vita con il Manuale di Epitteto

In un'epoca di "spiritualità spicciola", in cui basta pensare positivo per risolvere ogni problema e conquistare tutto ciò che si vuole, in cui ogni risultato spirituale deve essere ottenuto subito e senza sforzo e in cui la direzione spirituale è finita in mano a guru e santoni improvvisati, spesso senza l'adeguata preparazione culturale, il Manuale di Epitteto è un toccasana.
Il Manuale di Epitteto è un testo scritto quasi 2000 anni fa, ma le parole di questo filosofo stoico vissuto nel II secolo d.C. sono più profonde, efficaci e attuali della gran parte dei testi contemporanei di coaching, self help, pensiero positivo, riordino, hygge e compagnia.
Il Manuale è un breve libello che compendia gli insegnamenti di Epitteto; compilato da un suo allievo, Arriano, che assistette alle sue lezioni, la filosofia che permea l'intero testo potrebbe essere riassunta come un'arte di affrontare la vita.
A un primo approccio il testo potrebbe sembrare eccessivamente asettico, rigoroso, a volte pessimista e senza pathos. Ma lo sembra proprio perché siamo imbevuti da anni di pensiero positivo, in cui ogni cosa deve andare per il verso giusto, ogni cosa deve essere così come la desideriamo e in cui tutto andrà sempre per il meglio, se solo lo desideriamo.
Epitteto, con poche parole, sembra quasi rivolgersi a questi nuovi maestri del XXI secolo e spazza via tutti questi pensieri non solo controproducenti, ma anche dannosi, che sollevano migliaia di aspettative senza tuttavia spingere l'uomo a cambiare per davvero e a intraprendere un serio sentiero spirituale.
Fin dalle prime battute, il filosofo stoico, come Buddha, mette in guardia l'uomo sull'essenza della vita: la vita è fatta di sofferenza, di dolore, di malattia, di prove, di fatica. Ciò non significa che la vita sia un male di per sé, ma lo diventa nella misura in cui non siamo in grado di comprendere da dove derivano le nostre sofferenze e, soprattutto, come possiamo esercitarci ad affrontarle e superarle.
Il fulcro del dolore umano risiede in una semplice distinzione effettuata da Epitteto fin dalle prime righe del testo:

"Di quante cose vi sono al mondo, alcune dipendono da noi, altre no. Dipendono da noi l'opinione, l'appetizione, il desiderio, l'avversione e tutte le nostre opere, Non dipendono da noi il corpo, i beni esteriori, gli onori, la dignità, e tutto ciò che non è opera nostra. Le cose che sono in nostro potere sono di natura libere, poderose, e indipendenti da qualsiasi ostacolo; ma quelle che non sono in nostro potere sono effimere, schiave, sottoposte a impedimenti, straniere. Sappi dunque che, se prendi per libere quelle cose che di natura sono schiave, e le cose straniere per proprie, ti sentirai impedito, afflitto, turbato; accuserai gli dèi e gli uomini. Ma se considererai tuo solo ciò che possiedi, e straniero ciò che non possiedi, com'è realmente, nulla ti sarà di ostacolo, non dovrai riprendere o incolpare nessuno, non farai nulla contro voglia, nessuno ti nuocerà, non avrai alcun nemico e non subirai nulla di avverso" (Epitteto, Manuale, Nero d'inchiostro (Youcanprint), p. 18).

Il pensiero positivo insegna l'esatto opposto rispetto a quanto, invece, suggerisce Epitteto. Il pensiero positivo insegna a desiderare, desiderare, desiderare, riempiendoci così di speranze e ottusa voluttà. Non che desiderare sia sbagliato, tutt'altro; ma bisogna anzitutto capire cosa val la pena desiderare e, soprattutto, bisogna prima "farsi le ossa" e lavorare non su ciò che vogliamo, ma su ciò che siamo, coltivando i nostri beni interiori. Se, infatti, i beni esteriori non sono soggetti alla nostra volontà, possiamo perderli in ogni momento e se affidiamo ad essi la nostra felicità, la consegniamo così nelle mani del caso. Un giorno siamo felici, poiché abbiamo ciò che ci rende felici; un altro giorno, invece, tutto questo ci viene strappato e ci troviamo senza nulla.
Al contrario, il sapiente ripone prima tutta la sua gioia in se stesso; coltiva i propri beni interiori: l'anima, la volontà, la virtù e la scelta morale, stabilendo una serie di norme di vita da seguire per vivere in perfetto equilibrio con se stesso e con il mondo, comprendendo così che l'unico bene di cui necessità per poter vivere felice è la propria interiorità. La gioia è una propensione alla vita che nasce spontaneamente quando ci si accorge che tutto ciò che abbiamo è un vano ornamento, un vestito che indossiamo ma che non ha alcuna influenza su ciò che siamo veramente. Come dice Epitteto in un altro passo straordinario del Manuale:

"Non inorgoglirti per nessuna cosa che non ti appartiene. Se un cavallo dicesse con orgoglio: io sono belli, ciò sarebbe ancora comprensibile. Ma quando con arroganza tu dici: ho un bel cavallo, sappi che ti stai vantando di un pregio che è proprio del cavallo. Cosa vi è, in esso, di tuo? Soltanto l'uso che fai di questa rappresentazione. Ora, quando nel fare uso di queste rappresentazioni ti regoli in base alla norma della natura, ben puoi vantarti, perché ti vanti meritatamente di un bene che è tuo" (Epitteto, Manuale, Nero d'inchiostro (Youcanprint) p. 22).

Gli unici beni di cui si dovrebbe andare orgogliosi sono i beni interiori, soprattutto le virtù che il filosofo è in grado di sviluppare per vivere al meglio la propria vita. Con virtù (in greco: areté) non bisogna intendere una serie di norme morali fissate e dogmatiche, ma le potenze dell'anima che la fortificano per resistere alle intemperie della vita. La virtù è una "tensio", una tensione dell'anima, che si può esercitare e sviluppare mediante l'esercizio esattamente come si esercitano e si sviluppano i muscoli del corpo. Per questo in Epitteto ritornano spesso i paragoni tra pratica filosofica e attività olimpiche. Il filosofo che si esercita a vivere al meglio è come l'atleta che si esercita ad affrontare una gara; può stancarsi, all'inizio, ma con il passare dei giorni la resistenza aumenta, ed è proprio quella fatica a incrementare il potere del suo corpo. Può cadere o perdere, ma in lui vi è anche la forza di rialzarsi, e quando vincerà svaniranno tutte le sconfitte precedenti, e il suo capo sarà circondato della corona d'alloro come se non avesse mai perduto. 
L'allenamento filosofico consiste nel vivere nel mondo ma, allo stesso tempo, senza lasciarsi coinvolgere dal mondo. Il filosofo stoico immaginato da Epitteto è sempre presente e inserito nella realtà quotidiana ma allo stesso tempo non vi appartiene, la guarda con distacco, come se fosse solo di passaggio. Ciò in ogni ambito della vita: con i beni materiali, con le persone, con gli affetti, con le cariche pubbliche, con gli onori. Potrebbe sembrare un concetto freddo, ma anche in questo caso bisogna penetrare nella mente di Epitteto nel comprendere cosa intende con "distacco".
Il distacco nasce dalla presa di coscienza della inevitabile vanità di tutte le cose. Se qualcosa esiste è destinata a finire; è solo una questione di tempo. Inevitabilmente vi saranno beni, rapporti, onori, condizioni sociali che intesseremo ma che saranno destinati a svanire, o con la nostra morte, e in tal caso abbandoneremo tutto ritornando nel quieto grembo originario della Natura, o con la loro dipartita quando ancora siamo in vita. Riflettere e accettare questa ineluttabile verità è fondamentale per non vivere sballottati dal dolore e dagli eventi. Si tratta di prepararsi mentalmente a vivere il distacco dalle cose, con la consapevolezza che prima o poi questo distacco avverrà. Ciò non significa vivere una vita triste, depressa, senza cuore e senza affetti; al contrario, implica una gioia perenne che sgorga dalla consapevolezza che ogni singolo attimo è unico, irripetibile. Una gioia che nasce nel nostro animo, e che per questo dipende da noi e non è legata agli oggetti esterni, e che dobbiamo vivere con controllo, con un equilibrio misurato. Una metafora bellissima con cui Epitteto esprime questo concetto è quella del simposio. La vita, secondo Epitteto, non è altro che un grande simposio, e noi dobbiamo comportarci di conseguenza:

"Pensa di comportarti come a un simposio. Qualche vivanda che va intorto si avvicina a te? Prendi la mano e prendine con modestia. Questa passa? Non trattenerla. Ancora non arriva? Fa in modo che il tuo desiderio non trascorra lontano, ma aspetta finché essa non sia dinnanzi a te. Così devi fare rispetto ai figli, alla moglie e alle ricchezze e agli onori. In questo modo, sarai degno di banchettare con gli dèi. E se, quando ti sono offerte queste cose, tu non le prendi, ma le rifiuti, non solamente sarai parte della mensa degli dèi, ma ti eleverai al loro potere. Comportandosi in questo modo Diogene ed Eraclito, e altri ancora a loro simili, giustamente divennero e furono chiamati divini" (Epitteto, Manuale, Nero d'inchiostro (Youcanprint), p. 26).

Epitteto, Manuale, Nero d'inchiostro (Youcanprint).

Per chi volesse approfondire, ho personalmente editato, curato e pubblicato una nuova edizione del Manuale di Epitteto: https://www.amazon.it/Manuale-Larte-affrontare-vita-Epitteto/dp/8827828702/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1526983781&sr=8-1&keywords=epitteto+l%27arte+di+affrontare+la+vita

Su Nero d'inchiostro trovate inoltre un ulteriore approfondimento dedicato alle Diatribe, altra opera di Epitteto: http://nerodinchiostro.blogspot.it/2016/10/epitteto-diatribe-manuale-download-stoicismo-giudizio-morale-liberta.html

Daniele Palmieri

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