martedì 22 giugno 2021

L'Erba di San Giovanni: miti, riti, e proprietà dell'iperico

Il 24 giugno è il Giorno di San Giovanni. Una delle festività rituali più importanti, nata in ambito pagano e radicata a tal punto da essere assorbita dal cristianesimo. In questa festività, che cade pochi giorni dopo il Solstizio, l'accensione dei fuochi fungeva da atto magico per celebrare e rinvigorire le forze del Sole, affinché l'astro celeste continuasse a spargere sulla terra i suoi raggi vivificanti, in grado di scacciare freddo e tenebre. Ma l'accensione dei fuochi era soltanto uno dei molti rituali nati per cerebrale il Sole estivo; nel mondo magico-religioso vi è infatti il perpetuo tentativo di cogliere le segnature tra il cosmo e la terra, ossia i legami che vincolano ciò che sboccia sulla terra a ciò che si muove nel cielo. Ed è da questa osservazione magica che nacque la sacralità di un'erba i cui fiori sbocciano proprio in concomitanza con il giorno di San Giovanni: l'iperico.

L'iperico può diventare l'esempio per eccellenza di come simbolo, rito, tradizione e religione possano fondersi per divenire un tutt'uno con botanica, scienza, medicina ed erboristeria. La pianta è infatti un vero e proprio crocevia di culture ed usi differenti, in cui però è possibile rilevare un continuo in cui perfino gli usi terapeutici, dimostrati scientificamente, sembrano strettamente collegati a ciò che la pianta ha sempre rappresentato da un punto di vista simbolico. Andremo ora ad analizzare, da diversi punti di vista, i miti, i riti e gli usi magici che si intrecciano in maniera indissolubile con le proprietà erboristiche dell'Erba di San Giovanni.

Già a partire dal nome, la pianta mostra la sua intrinseca connessione con il mondo invisibile. Come scrive Rossella Omicciolo Valentini ne Le erbe delle streghe nel medioevo: "Il nome iperico deriva del greco ipèr, sopra, e eicòn, immagine, dove la parola immagine vuol dire "spettro, fantasma, demone e ogni altra creatura incorporea. Lo stare al di sopra dell'immagine, quindi, indica la facoltà di dominare tutte le creature incorporee e di allontanarle dagli umani. Così, già nel nome, l'iperico è consacrato a erba cacciadiavoli, capace di respingere soprattutto gli spiriti infernali e tutte quelle creature diaboliche, comprese le streghe, che nella notte di San Giovanni invadevano le strade per recarsi al convegno annuale" (Rossella Omicciolo Valentini, Le erbe delle streghe nel medioevo, Edizioni Penne e Papiri, pp. 107-108). E, similmente, Giuseppe Chia ne L'iperico: "Etimologicamente il nome Hypericum deriva da hyper (sotto) e eikon (immagine). Linneo lo spiega con l'immagine che appare sui petali. Per altri autori il nome deriva dal verbo upereidofal (vedo oltre, mostro me stesso) come riferimento ai puntini trasparenti sulle foglie. Secondo altri autori, il nome deriva da hypo (sotto) e erikin o ereikn (erica), indicando una pianta che cresce sotto l'erica. Infine, secondo altri botanici, l'origine viene da hyper (sopra) e eikon (immagine, spettr) e significa magico, quasi al di soptra degli spettri, perché la gente credeva nelle sue misteriose proprietà erboristiche, oppure perché mette radici su vecchi monumenti" (Giuseppe Chia, L'iperico, Macro Edizioni, p. 32).

E' interessante notare come tutte le etimologie, benché contrastanti e contraddittorie, vedano però l'iperico come una pianta mediatrice tra il mondo inferiore e il mondo superiore, una sorta di portale botanico in grado di connettere l'uomo con il mondo invisibile e il significato spirituale dei raggi solari.

Come accennato in precedenza, fiorendo in concomitanza con il giorno dedicato al santo Giovanni Battista, tutt'altro che morto durante il Medioevo l'interessa per questa pianta miracolosa, essa cambiò nome e venne soprannominata Erba di San Giovanni. Sempre citando Rossella Valentini: "L'iperico è l'erba per eccellenza dedicata a San Giovanni Battista, il martire cristiano messo a baluardo delle streghe e dei demoni che affollano i cieli nella notte solstiziale. In molti paesi, danzando attorno ai falò di San Giovanni, si portavano sul capo corone di iperico, che poi o venivano gettate tra le fiamme per propiziare i raccolti e la salute del bestiame, oppure, spenti i fuochi, si lanciavano sui tetti per proteggere le case da fulmini, incendi e fatture stregonesche" (Rossella Omicciolo Valentini, Le erbe delle streghe nel medioevo, Edizioni Penne e Papiri, pp. 107-108). Immagini, quelle delle danze, dei fuochi e dei riti propiziatori che continueranno a rimanere vivi anche sotto il cristianesimo, benché non sia difficile scorgere al di sotto del velo la loro radice pagana. Non a caso, come scrive anche Giuseppe Chia, lo stesso Giovanni Battista "può essere ritenuto il più pagano dei santi e il santo più legato alla natura selvaggia" (Giuseppe Chia, L'iperico, Macro Edizioni, p. 18). Basti pensare, ad esempio, che viene rappresentato indossando pelli di cammello, stretta soltanto da una cintura di pelle, appoggiato a un bastone rudimentale, e che nei Vangeli viene descritto nutrirsi di insetti e miele selvatico, unico ristoro nella sua vita eremitica, nel deserto, al margine della società - tutte caratteristiche che lo legano all'Homo Selvaticus. Inoltre, venendo egli prima di Cristo rappresenta ancora il mondo pre-cristiano e il suo battesimo di Cristo sembra assumere, dal punto di vista simbolico, una sorta di "passaggio di consegne" tra la vecchia e la nuova religione, la quale, tuttavia, non potrà mai far meno delle sue radici.

Ma non è solo il giorno di fioritura a donarle le virtù che, nei secoli, hanno reso l'iperico l'erba solare per eccellenza. Una miriade di segnature simboliche la legano al Dio Helios.

Il fiore dell'iperico, come il Sole, si erge nel cielo grazie all'altezza del suo stelo; il suo giallo intenso ricorda la luce dell'astro così come i suoi petali, che irrompono dal centro, sembrano un riflesso cosmico dei raggi che si irradiano nel cosmo e, come vedremo a breve, le sue stesse proprietà metaforiche, simboliche ma anche fisiche sono strettamente legate a virtù solari. 

Non a caso, come scrive Giuseppe Chia ne L'iperico (Macro Edizioni), la pianta è sempre stata considerata una sorta di "magazzino di energia solare", ad esempio come da autori e medici come Galeno e Paracelso. "Il fatto che l'inizio della sua fioritura coincida con l'inizio dell'estate" scrive lo studioso "ha creato nelle tradizioni di molti popoli un'associazione tra il mistico e il religioso fra le feste di inizio estate e l'iperico" (Giuseppe Chia, L'iperico, Macro Edizioni, p. 18).

Questo intrico di connessioni botaniche, religiose, simboliche è descritto, con una certa poeticità, da Wilhelm Pelikan, medico, erborista e antroposofo, nella sua immensa opera scientifico-simbolica Le piante medicinali: "E' certo che questa nobile pianta appartiene proprio al lato luminoso della vita terrestre. Le sementi germinano soltanto alla luminosità; nei luoghi oscuri, nell'umidità, possono soggiornare per anni senza produrre nulla. L'iperico o Erba di San Giovanni predilige i luoghi secchi e magri; cresce spontaneo nei campi abbandonati, lungo i bordi delle strade e dei boschi, fra i cespugli chiari, i tagli rasi, sopra i mucchi di sassi ricoperti di muschio. La sua radice è vivace e vigorosa; in primavera il suo germoglio sale verticalmente, si allarga verso l'alto a parasole, simula un po' una piramide posata sulla sua punta. Si corona di un ricco mazzo di fiori gialli, ordinati in falsa ombrella. Le foglie, piccole e serrate contro gli steli, hanno una forma ellittica-aguzza. [...] In questa pianta tutto tende verso l'alto, verso la luce. Il fiore annuncia il solstizio d'estate, il tempo di San Giovanni, e la forza totale del sole vi si incarna [...]. L'iperico, consacrato senza freni ai processi luminosi del solstizio, li ha fissati, ha depositato le loro eccedenze nel colorante rosso che secernono le sue piccole ghiande, in apparenza nerastre" (Wilhelm Pelikan, Le piante medicinali, Natura e cultura, pp. 39-41).

Conosciuta anche come erba scaccia diavoli, l'iperico veniva reputato in grado di scacciare le creature che popolavano le tenebre e gli incubi notturni, come demoni, streghe e stregoni ed è interessante notare come, anche in epoca moderna, sia utilizzata per scacciare un altro tipo di demone interiore: la depressione. Come si legge nel trattato di farmacognosia di Francesco Capasso: "All'iperico sono state attribuite proprietà ipotensive e diuretiche, ma studi più recenti concordano nel ritenere l'iperico un antidepressivo al punto da considerarlo un prozac naturale. L'azione antidepressiva è la conseguenza di una inibizione delle MAO (enzimi che catalizzano la conversione dei neurotrasmettitori in cataboliti inattivi) ed un blocco della ricaptazione di neurotrasmettitori. Questo comporta un amento dei livelli di neurotrasmettitori nello spazio sinaptico con conseguente adattamento neuronale [...]. L'efficacia dell'iperico negli stati depressivi lievi e moderati è stata riportata in diversi studi clinici. In alcuni di questi l'iperico si è mostrato efficace quanto gli antidepressivi convenzionali o addirittura superiore. L'iperico risulta invece del tutto inefficace nei casi di depressione grave" (Capasso Francesco, Farmacognosia. Botanica, chimica e farmacologia delle piante medicinali, Springer, p. 205). Una connessione, quella tra demoni e depressione, forse non del tutto casuale, giacché da secoli il demone rappresenta la zona d'ombra, l'inquietudine interiore, la personificazione di paure e malattie e, non per nulla, Aleister Crowley sostiene, sia nella sua prefazione al Lemegeton sia ne Il Testamento di Magdalen Blair, che i demoni non siano altro che porzioni del cervello umano o entità simboliche evocate dai tormenti delle malattie interiori.

Ma questo non è l'unico utilizzo dell'iperico a legarlo simbolicamente al Sole. Fin dall'antichità l'iperico veniva utilizzato come olio o unguento sulla pelle per curare le scottature causate dai raggi solari - ma, allo stesso tempo, un sovradosaggio dell'iperico può causare una ipersensibilità ai raggi solari. E' interessante notare, dunque, come anche questa controindicazione sia strettamente legata alla connessione con il Sole che, negli animali da pascolo con il mantello o il pelo chiaro, può addirittura causare gravi danni cutanei o addirittura la morte nel caso di intossicazione - causando, quest'ultima, una eccessiva fotosensibilità che, a sua volta, provoca nell'animale fenomeno dell'ipericismo con la comparsa, sulla pelle, di bolle, piaghe e ustioni.

Rispetto ad altre "erbe magiche" utilizzate nell'antichità, come, ad esempio, la mandragora, l'iperico è piuttosto comune e semplice da trovare; esso popola i prati soleggiati, i ruderi, i bordi delle strade. Da qui l'ampia diffusione che ebbe sia in medicina sia nel folklore popolare - anche se, paradossalmente, a fronte della sua funzione "scaccia diavoli" e "scaccia streghe", molte donne furono viste con sospetto tra il 1500 e il 1600 per essersi recate nei campi a raccogliere tale erbe nel giorno di San Giovanni e non è raro imbattersi in processi inquisitoriali in cui, tra i capi di accusa, vi era proprio l'essersi recati nei campi, nel Giorno di San Giovanni, a raccogliere erbe utilizzate per "stregherie". Questa contraddittorietà potrebbe lasciare interdetti ma si ricordi che il mito, come il sacro, è sempre duplice e, benché l'Erba di San Giovanni fosse ritenuta in grado di cacciare le streghe, la stessa leggenda delle tregende e dei sabba nelle notte di San Giovanni nacque, paradossalmente, dalla grande quantità di uomini e donne dediti a raccogliere fiori di iperico, nel bosco e nei campi, per gli scopi più disparati. 


Daniele Palmieri

giovedì 17 giugno 2021

Almanacco dell'orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano


Esiste, ed è sempre esistita, un’Italia al di là della Storia. Un’Italia popolata da divinità pagane, entità elementali, spiriti inquieti, streghe, stregoni, vampiri, licantropi, mostri ma anche eremiti, demoni e santi. Un’Italia di luoghi nascosti, in cui santità e blasfemia si fondono a formare il Sacro nel vero senso della parola: la sensazione che esista una dimensione-altra in cui ciò che vi è di più santo si fonde con ciò che vi è di più profano, dando vita a una realtà divina che, in quanto tale, si trova al di là del bene e del male. L’uomo che ha la fortuna, o la sfortuna, di entrare in contatto con questa realtà, può vivere la più profonda ma allo stesso tempo la più spaventosa esperienza spirituale. E, in Italia, abbondano le testimonianze, antiche e moderne, di luoghi ed esperienze simili. Per incapparvi basta solo avere gli occhi e l’attenzione per cercarle, anche – o meglio, soprattutto – nel più sperduto paese rurale, sia esso di mare, collina o montagna.

Ciò che più si avvicina alla scienza di questo mondo intangibile è il folklore popolare: l’insieme di fiabe, miti, leggende, credenze ma anche esperienze personali, spesso tramandate oralmente, che testimoniano un continuo rapporto tra il mondo quotidiano e il mondo invisibile, tanto più reale quanto più ci si allontana dalla realtà antropica e civilizzata.

L’Italia possiede un immenso patrimonio folklorico, soprattutto grazie alla molteplicità di culture regionali. Ed è proprio a questo immenso patrimonio che attinge Almanacco dell’orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano, edito da Odoya Edizioni a cura di Fabio Camilletti e e Fabrizio Foni.

Almanacco dell’orrore popolare è stata una delle letture più proficue degli ultimi mesi. Attraverso diversi articoli, il libro tocca i principali aspetti della cultura folklorica italiana, riuscendo nel difficile compito di mostrare come le leggende e le usanze popolari non siano l’inutile vestigia di un mondo irrazionale e superstizioso ma, al contrario, una forza immaginativa in grado di dar vita al genio tutelare del luogo; un tentativo, da parte dell’essere umano, di cogliere nella realtà locale un frammento dell’essenza metafisica che si cela dietro la realtà ordinaria. Spesso questa realtà metafisica viene colta nella sua essenza conturbante. Difatti, mentre la visione di Dio acceca, la visione dei “piani più bassi” della realtà invisibile, popolata da disparate entità, pur non sacrificando la vista induce però nell’uomo una sensazione di timor panico, dettata dalla consapevolezza di trovarsi di fronte a forze ataviche, sconosciute, presenti sulla terra prima ancora della sua misera comparsa. E mentre Dio è troppo lontano per essere colto nella sua totalità, il mondo invisibile del folklore è allo stesso tempo abbastanza vicino da essere percepito ma troppo bizzarro per essere compreso e ciò non può che straniare, disorientare, inquietare.

Perciò, spesso, anche nei racconti dei santi e delle esperienze religiose, il folklore popolare possiede un carattere orrorifico, laddove nell’antichità l’orrore, come il mostruoso, era tutto ciò che suscitava un sentimento ibrido di ammirazione e spavento, in altri termini di meraviglia. Da ciò la scelta di toccare questi argomenti folklorici alla luce del cosiddetto “orrore popolare”. Come sottolinea Fabio Camilletti nella sua introduzione, mentre il concetto di folk-horror, manifestazione artistica letteraria e cinematografica moderna di stampo anglosassone legata al recupero degli antichi culti rurali e delle inquietudini popolari, è alquanto recente, l’Italia si è sempre mostrata anticipatrice dei tempi mettendo in scena sul suo territorio una lunga serie di incontri, racconti, leggende, miti ma anche riti religiosi che nel loro fulcro, anche sotto il cattolicesimo, non hanno mai cessato di essere pagani e di volgersi a quel tipo di sentimento religioso tutt’altro che edificante, ma spesso in stretto contatto con questa sensazione di cupa meraviglia propria del folk-horror.

La stessa parola “Almanacco” nel titolo rimanda subito la mente agli antichi almanacchi popolari e al loro universo meraviglioso e mostruoso di simboli, previsioni, profezie, giorni fasti e nefasti, festività religiose, fasi lunari, lavori agricoli, ricette, proverbi, storie di diavoli e santi. Il Krampus in copertina é alquanto eloquente a tal riguardo.

Come gli antichi almanacchi, Almanacco dell’orrore popolare è un’orchestra di voci. 20 studiose e studiosi che attraverso brevi saggi dedicati ai molteplici aspetti del folklore orrorifico popolare riportano in vita storie antiche e moderne di diavoli, santi, fantasmi, redivivi, vampiri, mostri, licantropi, folletti, sabba e balli notturni, antichi culti pagani, santeria italiana, leggende rurali.

La bellezza del testo risiede proprio in questa polifonia di voci che, tuttavia, come in un coro, dà vita a una sinfonia unitaria, grazie alla capacità di ciascun autore e ciascuna autrice di fondere la ricerca storica e folklorica basata su un preciso lavoro sulle fonti al racconto di ricordi ed esperienze personali. Il tutto crea un effetto narrativo estremamente riuscito: la razionalità dell’erudizione si anima dell’emotività del ricordo, rendendo reale e tangibile anche la fantasia. Così, ogni articolo è un viaggio tanto nelle molteplici regioni d’Italia – si passa dal Piemonte fino ad arrivare alla Sicilia, attraversando quasi tutto lo Stivale – ma anche nelle diverse manifestazioni della cultura in tutte le sue forme: dai racconti di Lovecraft alle fiabe di Emma Perodi, dagli orrori antiquari di Richard Payne Knight all’etruscologia Metapsichica di Mario Signorelli, dal folklore rurale di Leland ai film di Pupi Avanti, dalle atmosfere cupe e grottesche di Dylan Dog a ai mondi onirici di Machen, dalla Torino magica e misteriosa di Giuditta Dembech ai circoli spiritici organizzati da Lombroso, dai sabba e le tregende nei boschi ai riti massonici – e tutto questo non è che il minimo assaggio di un viaggio estremamente profondo e dettagliato che sembra immergere il lettore in ricordi di tempi mai vissuti.

Parlando di ricordi, Almanacco dell’orrore popolare mi ha riportato indietro nel tempo, ai primi incontri con il mondo del gotico e dell’horror avvenuto con Dylan Dog, le vecchie edizioni di Lovecraft e Poe, i B-Movie, i pomeriggi all’insegna dei film splatter e della pellicola che provocasse la paura sempre più grande e mi ha permesso di comprendere che nella precoce volontà di sperimentare la paura, tipica di molti adolescenti, si nasconde un desiderio sacro di investigare l’ignoto resistendo a quell’impulso che, istintivamente, ti porterebbe a scappare. E mi ha permesso anche di rivestire di un nuovo fascino quei libri che maneggio quotidianamente al lavoro: i vecchi Armenia e MEB dedicati alla ricerca spiritica e parapsicologica, spesso citati nel testo, molti dei quali ormai fuori catalogo che tuttavia, come spettri, vampiri e redivivi, ancora si aggirano per gli scaffali di alcune librerie o appaiono all’improvviso su polverose bancarelle per richiamare l’uomo verso l’ignoto.

In definitiva, Almanacco dell’orrore popolare è un’analisi puntuale del folklore tipicamente italiano legato a streghe, folletti, diavoli, masche, antiche divinità pagane, spesso ispiratore di poesia, arte e letteratura anche in autori esteri e perfino dei movimenti spirituali come la Wicca, che molto deve alla riscoperta da parte di Leland delle streghe e delle pratiche magiche nostrane. Questo folklore non è soltanto un patrimonio culturale di inestimabile valore, ma una dimensione invisibile alla quale è possibile accedere lasciandosi trasportare dai racconti popolari e soprattutto esplorando i luoghi come boschi, grotte, rovine, sotterranei, chiese, santuari, cimiteri, ossari, città ed edifici abbandonati, cascate e sorgenti intrinsecamente legati a questo lato nascosto delle cose, spinti dall’antica meraviglia - un misto di stupore e paura. Esplorazioni che spesso faccio nei miei giorni liberi e a cui Almanacco dell’orrore popolare non ha fatto altro che dare una ulteriore spinta, perché nell’epoca moderna credere in questo mondo invisibile è ormai diventato un atto di ribellione contro una società che ci vuole invischiati, impantanati e incatenati alla materia.




Almanacco dell’orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano, Odoya Edizioni, a cura di Fabio Camilletti e Fabrizio Foni, con i contributi di: Danilo Arona, Rosario Battiato, Gianmaria Contro, Mariano d’Anza, Lisa Deiuri, Alessandra Diazzi, Lorenzo Fabris, Adolfo Fattori, Orazio Labbate, Alessandra Macchia, Marco Malvestio, Luigi Musolino, Franco Pezzini, Martina Piperno, Claudia Salvatori, Gabriele Scarlessa, Stefano Zammit




Daniele Palmieri