L'ecologo Garret Hardin pubblicò, nel 1968, un articolo destinato ad avere un grande impatto nella discussione ecologica, filosofica e scientifica: The Tragedy of Commons. In questo breve testo, Hardin si focalizzò sul cosiddetto "problema dei commons", gli appezzamenti di terreno comuni in cui i pastori potevano portare al pascolo il proprio bestiame.
In questi campi, ciascun pastore ha interesse nel far mangiare al bestiame la maggior quantità di erba possibile, in modo che i propri capi godano di buona salute, si riproducano e aumentino di numero, incrementando così il profitto. Tuttavia, se ogni pastore adotta questa politica individualista di sfruttamento del terreno, che dà risultati positivi a corto termine, a lungo termine andrà incontro a una catastrofe non solo personale, ma collettiva. L'utilizzo indiscriminato del terreno comune causerà un impoverimento del suolo; ogni anno, la quantità di erba decrescerà e con essa la quantità di cibo disponibile per il bestiame il quale, cresciuto in maniera indiscriminata , non potrà ora soddisfare i propri bisogni e sarà destinato a una progressiva decimazione. Il tutto finché il sistema non raggiungerà un punto critico per il quale la quantità di risorse consumate sarà nettamente superiore rispetto a quelle rinnovate. Una condizione irreversibile: il campo verde si è ormai trasformato in una landa arida, il tutto a causa della cecità dei singoli pastori, accecati dal profitto a corto termine e incapaci di ragionare a lungo termine.
Secondo Hardin, il mondo è un immenso "commons": un territorio comune, dalle risorse limitate, che stiamo sfruttando senza alcuna coscienza come i pastori dell'apologo ecologico con il pascolo, e se non si invertirà questa tendenza saremo destinati a morire come l'inconsapevole bestiame.
Sebbene la denuncia ecologica di Hardin fu condivisa da numerosi ecologisti, scienziati e filosofi, altre problematiche connesse al problema dei commons e alcune soluzioni suggerite dall'ecologista suscitarono un acceso dibattito, e per le sue posizioni anticonvenzionali ricevette numerose accuse di cinismo e di "neodarwinismo sociale".
Secondo Hardin, infatti, strettamente connesso al problema dello sfruttamento delle risorse è quello della popolazione mondiale. Nell'esempio dei commons, ad accelerare il processo di impoverimento del suolo è la crescita del numero di capi di bestiame. Allo stesso modo, alla crescita demografica senza eguali dell'ultimo secolo, che nemmeno le guerre mondiali hanno rallentato, cresce in maniera esponenziale il numero di risorse richieste e consumate. Una crescita che, secondo Hardin, è stata favorita in maniera sconsiderata dagli stati sociali e dai loro sistemi di welfare, nonché dalle loro politiche sull'incremento della natalità e della produzione industriale.
Benché l'atteggiamento lucido e razionale di Hardin sfoci, effettivamente, in un eccessivo cinismo nei confronti della vita umana, egli ebbe il merito di intravedere la catastrofe demografica che, a oggi, è prossima al punto critico e che, tuttavia, è ancora un argomento un tabù.
Umani troppi umani di Natan Feltrin, edito da Eretica Edizioni, è un testo estremamente importante, perché oltre quarant'anni dopo l'articolo di Hardin torna sull'argomento tabù della crescita demografica, attraverso una panoramica ad ampio respiro, che parte dai primi studi in materia del XIX secolo fino ad arrivare ai dati più recenti circa la crescita della popolazione umana e il consumo di risorse.
Tra le teorie principali analizzate in Umani troppi umani, alla base del problema dei commons, vi è l'intramontabile teoria di Malthus sul rapporto tra popolazione e risorse disponibili. Secondo la metafora usata dallo stesso Malthus, e riportata da Feltrin, la popolazione umana cresce a passo di lepre, mentre la quantità di risorse a passo di tartaruga. In termini matematici, se l'andamento della crescita demografica cresce in progressione geometrica, il numero di risorse cresce invece in maniera matematica. Questa grande discrepanza porta inevitabilmente al collasso della società, favorito paradossalmente dal benessere, quando il numero di persone, incrementato a causa delle condizioni favorevoli, ha superato in maniera eccessiva il numero di risorse.
Feltrin sottolinea come il grafico di Malthus sia una descrizione "ottimale", che necessita delle dovute approssimazioni e, soprattutto, di alcune precisazioni. La modalità di produzione di risorse ne può incrementare sia la quantità sia la "velocità di passo", e occorre inoltre distinguere tra quantità di risorsa e disponibilità della stessa, laddove è la disponibilità, in ultima analisi, ad avere maggiore preminenza.
Tuttavia, ciò non toglie che nel nocciolo della questione Malthus aveva visto lungo: per quanto l'uomo possa incrementare i metodi produttivi, le risorse stesse che egli consuma per accelerare la produzione sono limitate.
E' un punto particolarmente delicato, affrontato nella seconda parte del testo, dove Feltrin mostra, a partire dai principi della termodinamica, come:
"La Terra ha un quantitativo di materia finito, considerando come ininfluenti le interazioni con asteroidi, dispone di un quantitativo di energia più o meno costante garantito dalle radiazioni della sua stella, tutta l'energia è destinata a degradarsi e a disperdersi sotto forma di calore"(Natan Feltrin, Umani troppi umani, Eretica Edizioni, p. 126).
"La Terra ha un quantitativo di materia finito, considerando come ininfluenti le interazioni con asteroidi, dispone di un quantitativo di energia più o meno costante garantito dalle radiazioni della sua stella, tutta l'energia è destinata a degradarsi e a disperdersi sotto forma di calore"(Natan Feltrin, Umani troppi umani, Eretica Edizioni, p. 126).
Ed è qui che non solo Malthus, il cui lavoro non aveva come fulcro la salvaguardia dell'ambiente, ma gli sviluppi dei successivi studiosi della population growths risultano fondamentali nel cogliere il principale problema dell'impatto dell'uomo sull'ambiente. La combo "numero di persona sulla terra" e "quantità di risorse richieste e prodotte" risulta, a lungo andare, fatale, tanto più nell'epoca contemporanea in cui il progresso scientifico e tecnologico, unito all'economia capitalista, ha incrementato non solo il benessere globale, ma soprattutto il numero di risorse depredate per soddisfare una quantità sovrabbondante di bisogni.
Se pensiamo che un ritmo simile non è mai stato sostenuto né dall'umanità né dalla terra, se pensiamo che ogni anno viene anticipato l'Earth Overshoot Day (giorno in cui l'umanità ha consumato tutte le risorse precedenti disponibili), se pensiamo che le stime sulla crescita globale della popolazione prevedono un'umanità sempre più numerosa, è inevitabile accorgerci di come la terra sia presto destinata a diventare un campo arido come il commons descritto da Hardin. A maggior ragione se si riflette sul fatto che:
Se pensiamo che un ritmo simile non è mai stato sostenuto né dall'umanità né dalla terra, se pensiamo che ogni anno viene anticipato l'Earth Overshoot Day (giorno in cui l'umanità ha consumato tutte le risorse precedenti disponibili), se pensiamo che le stime sulla crescita globale della popolazione prevedono un'umanità sempre più numerosa, è inevitabile accorgerci di come la terra sia presto destinata a diventare un campo arido come il commons descritto da Hardin. A maggior ragione se si riflette sul fatto che:
"Questo è il vero limite imposto dal progresso umano: l'unica fonte eterna e sicura di energia è quella proveniente dal Sole ed in base ad essa si deve regolare la vita e l'economia. Qui sorge il delicato problema del rapporto tra economia ed ecologia [...]. Queste due discipline dovrebbero lavorare in armonia per garantire il massimo del benessere e della stabilità all'interno di quella casa comune che è l'ecosfera. Purtroppo questo non avviene principalmente a causa di premesse antitetiche alla base delle due scienze: per il modello economico capitalista è la crescita dei consumi ad essere indispensabile garanzia di benessere, per la scienza ecologica sono l'omeostasi e l'equilibrio a salvaguardare la qualità della vita su Gaia" (Natan Feltrin, Umani troppi umani, Eretica Edizioni, p. 126).
L'incapacità di ragionare a lungo termine, di mettere da parte l'interesse egoistico e soggettivo in favore del benessere collettivo, sta conducendo non solo l'uomo, ma l'intero pianeta, al collasso, a tal punto che si può parlare di una nuova era geologica che il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen definì "Antropocene".
Come scrive Feltrin:
"Molti usano questo termine come sinonimo di Età dell'uomo, appellativo decisamente egoreferente e tracotante, ma, dal punto di vista etimologico, Antropocene significa Uomo Nuovo, dal greco anthropos, ovvero uomo e kainos, nuovo. [...] La data di confine tra Olocene e Antropocene [...] viene stimata alla metà del Novecento in seguito alla traccia lasciata in maniera permanente dall'uso dei primi ordigni nucleari [...]. L'aumento delle temperature, i rifiuti plastici, l'innalzamento e l'acidificazione degli oceani, l'alterazione di alcuni fondamentali cicli biogeochimici [...], l'incredibile perdita di biodiversità, l'impressionante crescita demografica di Homo sapiens sono solo alcuni degli eventi di cui ipotetici geologi di un lontanissimo futuro potranno osservare testimonianze fossili" (Natan Feltrin, Umani troppi umani, Eretica Edizioni, p. 141-142).
In cosa consiste, tuttavia, la "novità" dell'Uomo Nuovo dell'Antropocene? Secondo Feltrin, in due fattori: anzitutto l'apoteosi della tecnica e l'utilizzo di risorse mai sfruttate in precedenza, come il petrolio, che tuttavia si sta già dimostrando un fortunato ma breve incontro, dato che presto sarà destinato a finire; in secondo luogo, il fattore essenziale: la sua responsabilità nei confronti della natura. Mai come nell'Antropocene l'uomo ha avuto un impatto così devastante e duraturo, destinato a cambiare l'intero ecosistema terrestre, e allo stesso tempo mai come oggi ha maturato la consapevolezza dei danni che la sua attività è in grado di provocare. L'Uomo Nuovo, sottolinea Feltrin, può anche essere un novello Atlante in grado di sacrificarsi nell'impresa di rimediare agli immensi danni che sta provocando, onde evitare l'approssimarsi di un'altra era, ancor più terribile: l'Eremocene.
L'Eremocene viene definita da Feltrin come l'era della Grande Moria, in cui la terra si è ormai trasformata in un eremo dell'uomo e della flora e della fauna da egli addomesticate. Cancellata ogni forma di biodiversità, si è trasformata in un'immensa fabbrica sovrasfruttata, destinata infine a collassare su se stessa e sul suo insalubre e incosciente "proprietario".
Trovare una soluzione che sia in grado di invertire il declino non è semplice; diverse proposte sono state formulate nel passare degli anni, come la teoria della decrescita felice di Latouche, ma come sottolinea Feltrin, finché il problema della popolazione globale rimarrà tabù e finché non si remerà anche in questa direzione, si corre il rischio che le misure adottate si dimostrino insufficienti.
Certo, si tratta di un terreno molto pericoloso. Il controllo delle nascite è stato proposto da diversi filosofi e pensatori e ha un'origine antica, che vede in Platone prima e in Campanella poi tra i principali teorizzatori, ma politiche sociali imposte dal governo rischiano di trasformarsi in uno strumento dispotico nei confronti dei cittadini.
Come per la rivoluzione verde, lì dove il governo è lento a intervenire o lì dove c'è il rischio che politiche sociali possano trasformarsi in uno strumento di dominio, è il singolo a dover prendere l'iniziativa e a intervenire sulle proprie scelte e il proprio stile di vita. Tuttavia, per quanto concerne la questione della natalità, la questione diventa molto più spinosa; può la riproduzione individuale diventare una scelta morale o immorale, al pari delle scelte individuali di "green economy"?
Feltrin cita la posizione di Pasolini che, negli stessi anni di Hardin, aveva parlato di "delitto ecologico" "nell'atto di procreare in un pianeta così affollato" (p. 132).
Personalmente, volevo concludere l'articolo facendo convergere le prosprettive ecologiche con visioni "altre", proprie del mondo spirituale e filosofico.
Nel corso della storia, sono sempre esistite, seppur minoritarie, visioni escatologiche che aspiravano a liberare l'uomo attraverso l'interruzione della riproduzione. Tra i casi più emblematici, quello dei Catari, setta "eretica" del medioevo che considerava il mondo il tempio di un Arconte malvagio, e che vedeva in una vita di purificazione, volta al rifiuto del superfluo, alla semplicità, al veganesimo e, soprattutto, nel divieto della riproduzione, l'unica via per liberare non solo l'uomo, ma possibili discendenti, dal dominio della sofferenza.
Come scrive Feltrin:
"Molti usano questo termine come sinonimo di Età dell'uomo, appellativo decisamente egoreferente e tracotante, ma, dal punto di vista etimologico, Antropocene significa Uomo Nuovo, dal greco anthropos, ovvero uomo e kainos, nuovo. [...] La data di confine tra Olocene e Antropocene [...] viene stimata alla metà del Novecento in seguito alla traccia lasciata in maniera permanente dall'uso dei primi ordigni nucleari [...]. L'aumento delle temperature, i rifiuti plastici, l'innalzamento e l'acidificazione degli oceani, l'alterazione di alcuni fondamentali cicli biogeochimici [...], l'incredibile perdita di biodiversità, l'impressionante crescita demografica di Homo sapiens sono solo alcuni degli eventi di cui ipotetici geologi di un lontanissimo futuro potranno osservare testimonianze fossili" (Natan Feltrin, Umani troppi umani, Eretica Edizioni, p. 141-142).
In cosa consiste, tuttavia, la "novità" dell'Uomo Nuovo dell'Antropocene? Secondo Feltrin, in due fattori: anzitutto l'apoteosi della tecnica e l'utilizzo di risorse mai sfruttate in precedenza, come il petrolio, che tuttavia si sta già dimostrando un fortunato ma breve incontro, dato che presto sarà destinato a finire; in secondo luogo, il fattore essenziale: la sua responsabilità nei confronti della natura. Mai come nell'Antropocene l'uomo ha avuto un impatto così devastante e duraturo, destinato a cambiare l'intero ecosistema terrestre, e allo stesso tempo mai come oggi ha maturato la consapevolezza dei danni che la sua attività è in grado di provocare. L'Uomo Nuovo, sottolinea Feltrin, può anche essere un novello Atlante in grado di sacrificarsi nell'impresa di rimediare agli immensi danni che sta provocando, onde evitare l'approssimarsi di un'altra era, ancor più terribile: l'Eremocene.
L'Eremocene viene definita da Feltrin come l'era della Grande Moria, in cui la terra si è ormai trasformata in un eremo dell'uomo e della flora e della fauna da egli addomesticate. Cancellata ogni forma di biodiversità, si è trasformata in un'immensa fabbrica sovrasfruttata, destinata infine a collassare su se stessa e sul suo insalubre e incosciente "proprietario".
Trovare una soluzione che sia in grado di invertire il declino non è semplice; diverse proposte sono state formulate nel passare degli anni, come la teoria della decrescita felice di Latouche, ma come sottolinea Feltrin, finché il problema della popolazione globale rimarrà tabù e finché non si remerà anche in questa direzione, si corre il rischio che le misure adottate si dimostrino insufficienti.
Certo, si tratta di un terreno molto pericoloso. Il controllo delle nascite è stato proposto da diversi filosofi e pensatori e ha un'origine antica, che vede in Platone prima e in Campanella poi tra i principali teorizzatori, ma politiche sociali imposte dal governo rischiano di trasformarsi in uno strumento dispotico nei confronti dei cittadini.
Come per la rivoluzione verde, lì dove il governo è lento a intervenire o lì dove c'è il rischio che politiche sociali possano trasformarsi in uno strumento di dominio, è il singolo a dover prendere l'iniziativa e a intervenire sulle proprie scelte e il proprio stile di vita. Tuttavia, per quanto concerne la questione della natalità, la questione diventa molto più spinosa; può la riproduzione individuale diventare una scelta morale o immorale, al pari delle scelte individuali di "green economy"?
Feltrin cita la posizione di Pasolini che, negli stessi anni di Hardin, aveva parlato di "delitto ecologico" "nell'atto di procreare in un pianeta così affollato" (p. 132).
Personalmente, volevo concludere l'articolo facendo convergere le prosprettive ecologiche con visioni "altre", proprie del mondo spirituale e filosofico.
Nel corso della storia, sono sempre esistite, seppur minoritarie, visioni escatologiche che aspiravano a liberare l'uomo attraverso l'interruzione della riproduzione. Tra i casi più emblematici, quello dei Catari, setta "eretica" del medioevo che considerava il mondo il tempio di un Arconte malvagio, e che vedeva in una vita di purificazione, volta al rifiuto del superfluo, alla semplicità, al veganesimo e, soprattutto, nel divieto della riproduzione, l'unica via per liberare non solo l'uomo, ma possibili discendenti, dal dominio della sofferenza.
Una prospettiva simile a quella catara è stata espressa, in epoca contemporanea, da Thomas Ligotti, per il quale l'uomo, destinato a una vita di dolore e sofferenza, dovrebbe mettersi il cuore in pace e smettere di riprodursi. Andare, mano nella mano, verso un'ultima mezzanotte e liberare se stesso e il mondo con la prima "estinzione consapevole e volontaria" della storia.
Queste posizioni sono radicali, spinte principalmente da motivi spirituali e filosofici; eppure sfiorano, per motivi diversi, una posizione affine a quella di Pasolini e, in generale, nel dilemma etico estremamente legato al tema della crescita demografica. Consapevoli che le future generazioni dovranno fronteggiare i dolori, i cataclismi, la fame, le carestie che stiamo causando con il nostro sfruttamento di risorse indiscriminato, siamo davvero certi che non sia profondamente immorale mettere al mondo nuove anime destinate alla sofferenza? Non li stiamo forse condannando all'inferno dominato dall'Arconte descritto da Catari? Forse davvero una delle possibile vie d'uscita consiste non solo in nuove prospettive economiche, ma in un percorso spirituale, quasi ascetico, che ci aiuti a liberarci dal superfluo, che boicotti la macchina infernale dei bisogni terreni che, mai come negli ultimi secolo, ha condotto l'uomo verso l'autodistruzione.
In conclusione, consiglio vivamente la lettura di Umani troppi umani di Natan Feltrin; attraverso l'ampia panoramica sul tema, è un ottimo testo sia per introdursi all'argomento sia per approfondire gli sviluppi e le problematiche più recenti sulla crescita demografica, che ancora rimangono appannaggio di pochi esperti a causa, soprattutto, del tabù imperante sulla questione che Feltrin ha il coraggio di infrangere.
Natan Feltrin, Umani troppi umani, Eretica Edizioni:
http://www.ereticaedizioni.it/prodotto/natan-feltrin-umani-troppi-umani/
Per ulteriori informazioni sull'autore, è possibile visionare il canale Youtube: Ffrim Channel
Daniele Palmieri
In conclusione, consiglio vivamente la lettura di Umani troppi umani di Natan Feltrin; attraverso l'ampia panoramica sul tema, è un ottimo testo sia per introdursi all'argomento sia per approfondire gli sviluppi e le problematiche più recenti sulla crescita demografica, che ancora rimangono appannaggio di pochi esperti a causa, soprattutto, del tabù imperante sulla questione che Feltrin ha il coraggio di infrangere.
Natan Feltrin, Umani troppi umani, Eretica Edizioni:
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Daniele Palmieri
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