Giordano Bruno, filosofo nolano, visse in quel periodo travagliato quanto intellettualmente fecondo che si situa tra la fine del '500 e l'inizio del '600, l'alba della rivoluzione scientifica. Il suo pensiero si pone proprio in questo limbo di transizione; in lui confluiscono infatti le arti magiche, occulte, esoteriche dell'umanesimo e le più recenti ipotesi astronomiche di Copernico, di cui Bruno tenta, per la prima volta, di trarre le conseguenze filosofiche. L'abbandono del geocentrismo e della concezione tolemaica dell'universo pone l'uomo in una posizione completamente diversa. Egli non si trova più al centro del Creato, non è più il fine a cui tende ogni cosa, ma al contrario è soltanto un atomo tra gli altri, che vive in un universo infinito fatto di infiniti mondi e la cui vita è un fugace sogno che svanisce alla sua morte. Utilizzando una poetica metafora dello stesso Bruno, l'anima umana non è che il minuscolo frammento di uno specchio più grande andato in frantumi; morire significa riporre tale frammento nella cornice originaria, di fianco agli altri.
Pur immerso in questo Universo sconfinato, l'uomo possiede però la facoltà di elevarsi, come già aveva insegnato Pico della Mirandola nella sua mirabile Orazione sulla dignità dell'uomo. Proprio le infinite manifestazioni dell'Universo e le innumerevoli entità in esso contenuto, per quanto inizialmente spiazzanti e labirintiche, sono sinonimo di altrettante infinite possibilità per l'uomo in grado di conoscerle e, di conseguenza, controllarle con il proprio lume naturale. E' questo il senso dell'Arte Magica e dell'Alchimia, di cui Bruno era un seguace sostenitore; la Magia è l'arte filosofica per eccellenza che permette all'uomo di conoscere i nessi causali che generalmente sfuggono all'occhio comune e, di conseguenza, di manipolarli a proprio piacimento per barcamenarsi nell'esistenza. Alla passività della preghiera Bruno oppone l'attiva conoscenza intellettuale, la più alta delle virtù che l'uomo deve coltivare per poter vivere, insieme alle antiche ed eroiche virtù pagane, come l'operosità, la fortezza, la magnanimità e tutte quelle manifestazioni dell'agire umano che, oltre all'attività intellettuale, presuppongono la messa in atto di un agire pratico che invece veniva soppiantato, nel cattolicesimo, da una inerme contemplazione del divino e dalla rassegnazione nei confronti del proprio essere un abietto peccatore.
Proprio la sua spregiudicatezza nei confronti di ogni dogma lo porterà a essere perseguitato dai Cattolici in Italia, dai Luterani in Germania, dai Calvinisti in Svizzera, dagli Anglicani in Inghilterra finché, fidatosi di una persona sbagliata, fu catturato e imprigionato in Italia dalla Chiesa Cattolica.
Recatosi a Venezia, infatti, per dare lezioni di filosofia a un certo Giovanni Mocenigo, fu tradito da quest'ultimo che si mostrò inetto e inerme dei confronti dei suoi insegnamenti e decise così di denunciarlo alle autorità papali. Ebbe dunque inizio un lungo processo, durato circa sette anni, in cui inizialmente Bruno tenterà di dissimulare i propri insegnamenti per poi, invece, affermarli a gran voce una volta compreso che il suo destino era segnato.
Paradossalmente, è proprio la deposizione di denuncia di Giovanni Mocenigo, rilasciata il 23 maggio 1592, a fornire uno spaccato in grado di mostrare la spregiudicatezza di pensiero del filosofo nolano; disse, infatti, Mocenigo agli inquisitori:
"Io, Giovanni Mocenigo, dinuncio per obligo della mia conscienza, e per ordine del mio confessor, aver sentito dire a Giordano Bruno nolano, alcune volte c'ha ragionato in casa mia:1) Che è bestemia grande quella de cattolici il dire che il pane si transustanzii in Carne;2) Che lui è nemico della Messa;3) Che niuna religione gli piace;4) Che Cristo fu un tristo, e che se faceva opere triste di sedur populi, poteva molto ben predire di dover esser impicato;5) Che non vi è distinzione in Dio di persone, e che questo sarebbe imperfezion in Dio;6) Che il mondo è eterno, e che sono infiniti i mondi, e che Dio ne fa infiniti continuamente, perché dice che vuole quanto che può;7) Che Cristo faceva miracoli apparenti e ch'era un mago, e così gli appostoli, e ch'a lui daria l'animo di far tanto, e più di loro;8) Che cristo mostrò di morir mal volentieri, e che la fuggì quando che puoté; 9) Che non vi è punizione di peccati, e che le anime create per opera della natura passano da un animal in un altro, e che come nascono gli animali brutti di corruzione, così nascono anco gli uomini, quando doppo i diluvii ritornano a nasser;10) Ha mostrato dissegnar di voler farsi autor di una nuova setta sotto nome di nuova filosofia11) Ha detto che la Vergine non può aver parturito e che la nostra fede Cattolica è piena tutta di bestemie contra la maestà di Dio;12) Che bisognerebbe levar la disputa e le entrate alli frati, perché imbratano il mondo;13) Che son tutti asini, e che le nostre opinioni son dottrine d'asini;14) Che non abbiamo prova che la nostra fede meriti con Dio e che il non far ad altri quello che non vorresti fosse fatto a noi non basta per vivere;15) E che se ne ride di tutti i peccati e che si meraviglia di come Dio supporti tante eresie di cattolici".
Ed è sempre la sua eroica fine ad esserci narrata dalle pagine del processo, in particolare in quelle del Giornale dell'Arciconfraternita di s. Giovanni Decollato in Roma, che scrisse:
"Giordano Bruno [...] tanto perseverò nella sua ostinazione che da ministri di giustizia fu condotto in Campo di Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu bruciato vivo, aconpagniato sempre dalla nostra Compagnia cantando le litanie, e li confortatori sino a l'ultimo punto confortandolo a lasciar la sua ostinazione con la quale finalmente finì la sua misera ed infelice vita".
Così misera e infelice che, mentre loro erano impegnati a bruciare un uomo per ciò in cui egli credeva, quello stesso uomo, senza timore, al momento della sentenza rispose ai suoi inquisitori: avete più paura voi a pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla. E, anche in questo caso, Bruno si mostrò più avanti dei suoi inquisitori, che, per timore di dover sentire altre verità, gli chiusero la lingua in una morsa per evitare che la sua voce si levasse dalle fiamme. Le medesime fiamme per le quali oggi, 17 febbraio 2017, è ancora ricordato come uno dei più grandi pensatori della storia dell'uomo.
Daniele Palmieri
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