domenica 7 ottobre 2018

Pratiche di contemplazione. L'arte della meditazione occidentale


Negli ultimi due secoli stiamo assistendo a un diffondersi sempre crescente di pratiche di vita e di meditazione Orientali. Si tratta di una rivoluzione culturale senza precedenti; mai come in questi secoli vi è stata una “orientalizzazione” della cultura spirituale occidentale, e fioccano in ogni dove maestri di yoga, guru e santoni. Se da un lato questa riscoperta dell’Oriente ha ampliato gli orizzonti culturali dell’uomo occidentale, dall’altro gli sta facendo dimenticare le sue origini, e, soprattutto nel mondo di spirituale, vi è una sorta di sospetto e sottovalutazione nei confronti della grande tradizione occidentale, quasi non avesse più nulla da trasmettere all’uomo contemporaneo.
Eppure, l’Occidente ha prodotto una delle più elevate pratiche di meditazione, che nulla ha da invidiare nei confronti delle pratiche meditative orientali: la contemplazione. E, come la meditazione orientale, anche la contemplazione ha assunto diverse forme.
Per millenni la contemplazione fu la pratica meditativa privilegiata di filosofi, religiosi, mistici e, come la meditazione orientale, assunse diverse forme in base alla corrente di pensiero, ma rimase salda nel proprio ruolo di fondo: elevare la coscienza dell’uomo, ricondurlo alla fonte stessa della vita, dando significato alla sua esistenza e facendogli vivere profonde dimensioni di significato. Queste pratiche di contemplazione erano volte tanto all’interno quanto all’esterno, e sono in grado di coinvolgere ogni aspetto della vita dell’uomo: dalla più semplice quotidianità alla più elevata estasi mistica, dai livelli animici inferiori a quelli superiori.
Ma che cos’è, di preciso, la contemplazione? Questa parola è, infatti, ormai desueta, e ad essa è subentrato con preponderanza il termine “meditazione”. Benché contemplazione e meditazione siano affini, vi è una lieve sfumatura di significato che rende la contemplazione una pratica leggermente diversa dalla meditazione.
Contemplare è una parola latina, che deriva dal composto “cum” e “templum”, letteralmente: per mezzo del templum, che nell’antichità denotava uno spazio del cielo che l’augure circoscriveva con il proprio liuto, e verso il quale volgeva lo sguardo per osservare il volo degli uccelli, dal quale trarre i propri auspici. Metaforicamente, il termine “contemplare” assunse poi il significato più generale di volgere lo sguardo e il pensiero verso il cielo o, in generale, verso ciò che suscita meraviglia, con lo stesso sentimento sacro che muoveva gli aruspici che studiavano il volo degli uccelli.
Il verbo “meditare” deriva dal latino “meditari”, che a sua volta affonda le sue radici nel verbo “mederi”, “curare”. Il termine “meditazione” nasce, dunque, in occidente, con il significato di “prendersi cura” dei pensieri interiori, e molteplici erano le pratiche volte a prendersi cura dell’interiorità, del tutto affini alle pratiche che ora si cerca soltanto nel mondo orientale.
Tutt’altra etimologia ha, invece, il termine “yòga”, che in sanscrito significa “unione, congiunzione” dell’uomo con il divino.
Si noti come il termine latino “meditazione”, con cui si indicano le pratiche orientali tra cui, appunto, lo yòga, abbia veicolato la concezione occidentale del “prendersi cura” del proprio corpo e dei propri pensieri, quando lo yòga è invece una pratica che riportando l’uomo al divino lo allontana dal proprio corpo e dai propri pensieri. Ciò testimonia una metamorfosi avvenuta tra cultura orientale e cultura occidentale, in cui il termine “yòga” ha veicolato il contenuto di pratiche già esistenti in occidente, mantenendo però l’aspetto di pratiche orientali, confezionate per imitazione, ad uso e consumo dei fruitori. Anche l’occidente ha sviluppato pratiche contemplative volte al divino, insieme a pratiche in grado di coinvolgere ogni aspetto dell’esistenza, dalla semplice vita quotidiana fino all’estasi mistica più elevata.
Tramite la contemplazione, si giunge a una conoscenza vissuta e spirituale del mondo, tanto interiore quanto esteriore, imparando “semplicemente” a guardare, circoscrivendo tale realtà come facevano gli aruspici con i loro liuti. Una circoscrizione che, paradossalmente, non è limitante, ma permette di ampliare lo sguardo scoprendo una realtà più profonda e universale, focalizzando la propria vista.
Come mai l’uomo dovrebbe dedicarsi alla contemplazione? Non solo per il benessere psicofisico, come spesso vengono sminuite le pratiche meditative. Certo ritorna anche tale aspetto, non è l’unico e non è secondario, ma è pur sempre il riflesso di un’esigenza più profonda, che affonda le radici nell’essenza stessa dell’anima umana. La contemplazione è infatti l’attività più elevata a cui un uomo possa aspirare, e il nesso tra anima e contemplazione è così inscindibile che non è possibile parlare dell’una senza descrivere l’altra, e viceversa.

Pratiche di contemplazione. L'arte della meditazione occidentale, Daniele Palmieri, Nero d'inchiostro (Youcanprint), disponibile su tutti gli store online oppure scrivendo all'indirizzo nerodinchiostro94@gmail.com

Daniele Palmieri

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