martedì 6 giugno 2017

De Waal: Siamo così intelligenti da capire l'intelligenza degli animali?

Frans de Waal (29/10/1948) è un etologo e primatologo olandese, Professore presso Emory University di Atlanta.
Nei suoi studi si è occupato principalmente di abilità sociali, abilità cognitive, moralità e intelligenza dei primati antropomorfi (soprattutto scimpanzé e bonobo) e tra i suoi testi più importanti, tradotti in Italia, vi sono Il bonobo e l'ateoNaturalmente buoni, rispettivamente sulla morale e l'organizzazione sociale dei grandi primati antropomorfi.

Nelle sue pubblicazioni, De Waal si contraddistingue, oltre che per acute analisi filosofiche in grado di spaziale nei diversi ambiti delle scienze, anche per la grande rilevanza da lui attribuita nello studio della mente animale e nello sfatare i principali pregiudizi che creano uno iato tra il mondo umano e quello animale.
Proprio in tale prospettiva, a completare le due opere precedenti, si inserisce un terzo testo, recentemente tradotto in Italia da Cortina editore e dal titolo eloquente: Siamo così intelligenti da capire l'intelligenza degli animali?
In questo testo, De Waal amplia ancora di più lo spettro della propria analisi e, benché anche nelle sue precedenti pubblicazioni affrontasse il comportamento di altri animali oltre ai primati, in Siamo così intelligenti da capire l'intelligenza degli animali? analizza i dati scientifici più recenti circa le capacità cognitive di molte specie.
Punto di partenza del testo è la ridefinizione del concetto di "intelligenza"; esso, infatti, così come è concepito abitualmente, è eccessivamente antropocentrico e porta inevitabilmente a considerare le altre specie viventi come "inferiori", poiché ogni capacità mentale e comportamentale viene automaticamente calibrata a misura d'uomo.
Per definire un altro modello di intelligenza, De Waal si rifà al biologo tedesco Von Uexkull che in Ambienti animali e ambienti umani introdusse il concetto di Umwelt, che potremmo definire come "ambiente mentale", il punto di vista che ciascuno animale ha sul mondo. Ogni organismo, infatti, percepisce l’ambiente nel suo modo proprio in base alle proprie finalità adattative. La sua intelligenza si sviluppa in questo senso, come abilità di adattamento al proprio ambiente vitale. L'esempio portato da Von Uexkull è quello della zecca. Tale insetto viene considerato come un essere insignificante. Tuttavia, la sua vita mentale estremamente semplice è in realtà specchio delle sue semplici esigenze vitali: la zecca può vivere anche dieci anni senza cibarsi, appesa a un filo d'erba, in attesa che passi un mammifero che attivi i suoi sensori e che la facciano muovere per saltare addosso al mal capitato. Pur nella semplicità del suo ambiente vitale, la zecca compie egregiamente il proprio compito, sicuramente più di quanto potrebbe mai fare un uomo delle sue stesse dimensioni; questo perché la sua vita è tesa esclusivamente ad attendere il momento esatto in cui saltare addosso al mammifero che passerà nei pressi del suo filo d'erba; risolvere complicati enigmi matematici non le servirebbe a nulla.
Per questo non ha senso parlare di una sola intelligenza; esse sono molteplici così come gli ambienti vitali dei diversi esseri viventi.
Sulla stessa scia, ma circa un secolo dopo, l'etologo e psicologo Donald Griffin, in un contesto dominato dal comportamentismo che considerava inaccessibile lo studio dei fenomeni mentali interiori e che ridusse il comportamento a una serie di stimoli e di risposte automatiche, fu uno tra i primi fautori della cognizione animale, intesa come elaborazione mentale di un’informazione sensoriale atta ad assumere nuove conoscenze circa l’ambiente e applicare tale conoscenza in maniera flessibile. Da questo punto di vista, dunque, l’intelligenza potrebbe dunque essere definita come la capacità da parte dell’organismo di applicare con successo e in maniera creativa queste conoscenze, anche per risolvere problemi mai riscontrati precedentemente.
Un esempio della complessità di questo processo, che non può essere ridotto, come vogliono i comportamentisti, a una mera serie di stimoli e di risposte, è la descrizione fatta da Griffin di come dovrebbe essere il mondo visto da un pipistrello. L'ambiente mentale di questa specie non è basato sulla vista, ma sulle vocalizzazioni; queste ultime, funzionando come un sonar, servono sia per muoversi nell’ambiente, sia per catturare le prede, sia come strumento di comunicazione. Durante il suo volo, dunque, il pipistrello si trova a dover compiere una serie complessa di rielaborazioni per comprendere da che tipo di fonte proveniva il suono della vocalizzazione, per agire di conseguenza. Si tratta di una forma di intelligenza ecologica estremamente complessa, che chiaramente non è paragonabile all'intelligenza umana che, invece, opera in un ambiente mentale completamente differente, a partire sia da stimoli sensoriali, sia da fini, sia da capacità anatomiche radicalmente diverse.
Di conseguenza, quando si studia le facoltà mentali degli animali bisogna riuscire a non cadere in nessuno di questi due errori opposti ma, allo stesso tempo, complementari: l'antropocentrismo e l'antropodiniego. Il primo umanizza eccessivamente gli animali, spiegando i loro comportamenti proiettando su di loro quelli che sono le nostre motivazioni, solo perché essi ci paiono simili; il secondo, invece, nega a essi facoltà simili a quelle umane che essi potrebbero possedere, soltanto perché si pensa che la nostra specie sia superiore in virtù della nostra intelligenza, intesa nel senso antropocentrico e non in quello ecologico.
Ciò che De Waal tenta di dimostrare nel testo, rifacendosi a studi su animali così diversi tra loro come scimpanzé, corvi e anche polipi, è che, al netto delle differenze anatomiche, teleologiche e ambientali di ogni essere vivente, se si mostrano comportamenti simili che potrebbero essere ricondotti alle medesime facoltà mentali, è più logico supporre una continuità che una discontinuità tra le menti delle diverse specie, soprattutto se ci si inserisce nella prospettiva evoluzionistica, secondo la quale vi è una stretta relazione tra le diverse specie e nessuna facoltà può comparire dal nulla. Di conseguenza, la differenza mentale tra esseri umani e animali non può essere considerata di genere ma di grado.
Difatti, dagli studi analizzati da De Waal emerge come animali così diversi tra loro come quelli citati poc'anzi, ossia primati antropomorfi e corvi siano in grado di compiere ragionamenti inferenziali (ossia di colmare le lacune logiche cogliendo nuove informazioni da quanto visto), risolvere enigmi mai presentatisi in precedenza o mediante "l'intuizione" o mediante l'apprendimento culturale da membri della propria specie, creare e utilizzare utensili per raggiungere i propri scopi, organizzarsi in strutture gerarchiche complesse e trasmettere culturalmente, di generazione in generazione, le conoscenze apprese dall'ambiente.
Per informazioni più dettagliate, consiglio la lettura di Siamo così intelligenti da capire l'intelligenza degli animali? e nel frattempo rimando alla visione di questo due video che mostrano come gli scimpanzé e i corvi siano in grado di risolvere, in maniera a volte creativa, il medesimo enigma: il corvo e il tubo, lo scimpanzé e il tubo.

Dei medesimi argomenti tratto anche nel mio nuovo libro, Vivere etico: mente animale, disobbedienza civile e vegetarianesimo, edito da Eretica edizioni.

Daniele Palmieri

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