lunedì 27 aprile 2015

Un filosofo in tempi di farsa e tragedia

Karel Kosik, socialista eretico contro la deriva del pensiero.


 "Un teologo mi ha detto che tutto per me andrà bene e che tutto mi sarà permesso se soltanto mi sottometterò al concilio e ha aggiunto: Se il concilio dichiarasse che hai soltanto un occhio, anche se ne hai due, sarebbe tuo dovere convenire con il concilio che è proprio così. Io gli ho risposto: Anche se fosse il mondo intero a sostenerlo io, essendo dotato di ragione come sono, non potrei ammetterlo senza obiezione della coscienza."
(pp. 101)

Karel Kosik inizia il suo saggio "Ragione e coscienza" citando le parole di Jan Hus, riformatore religioso Boemo del XV secolo.
Con le stesse parole ho deciso di cominciare questo breve articolo sul filosofo Ceco, poco conosciuto in Italia se non dagli "addetti ai lavori".
Questo perché la frase di Jan Hus, così lontana nel tempo, è tuttavia quantomai attuale e riassume alla perfezione il messaggio di lotta lanciato da Kosik nei suoi saggi di pensiero critico, raccolti dalla Mimesis Edizioni sotto il titolo "Un filosofo in tempi di farsa e tragedia".
Sono saggi brevi, taglienti, che spaziano dalla letteratura alla filosofia ma tessuti insieme dallo stesso fil rouge: la critica serrata alla società del nostro tempo.
Quella che Kosik descrive è una società alienata dal mondo dei consumi, che trova il suo centro ne l'homo aeconomicus.
Costui è l'atomo di cui necessita il sistema dei consumi per perpetrare se stesso e per farlo deve convincerci che l'homo sapiens sapiens in realtà non è nient'altro che un homo aeconomicus: un essere egoista, il cui unico fine è produrre beni, scambiare beni e accumulare beni.
Ogni valore morale di riferimento viene meno; l'unica morale è la morale utilitaristica dell'interesse privato e la realtà viene così svuotata del suo senso più profondo, del legame inscindibile che ci lega al nostro prossimo.
Il mondo diventa un oggetto manipolabile, da sfruttare fino all'ultima risorsa e gli uomini diventano essi stessi degli oggetti, svuotati della propria individualità.
"L'uomo ridotto a consumatore degrada il cittadino a una figura di secondo piano e dipendente, alla quale si permette di tanto in tanto di manifestarsi politicamente e di confermare che il suo principale interesse è il consumo e il comfort" 
(pp. 125) 

 Simbolo del nostro tempo diviene Grete Samsa, la sorella di Gregor Samsa, protagonista de "La metamorfosi" di Kafka.
Ella è una sorta di Antigone ribaltata; mentre quest'ultima, nella tragedia sofoclea, si sacrifica affinché il fratello possa avere una degna sepoltura, Grete assiste impassibile alla trasformazione del fratello in scarafaggio.
La sua unica preoccupazione è reinstaurare la monotona quiete domestica che il fratello, non più riconosciuto come tale, ha interrotto tramutandosi in mostro.

Come ribellarsi a questo ordine costituito? Come rompere le catene dell'apatico mondo dei consumi?
La risposta di Kosik è radicale: il sacrificio.
L'uomo deve tornare a essere in grado di sacrificarsi per il prossimo. Il sacrificio, infatti, è quell'atto che ci consente di riscoprire l'altro, di spostare il baricentro della nostra vita da noi stessi a chi ci sta di fronte.

"Sacrificare significa donare. Donare il meglio che io ho? Donare il meglio che io sono! Donare se stessi e in tal modo mostrare chi sono io. L'opera e il sacrificio sono la risposta alla domanda: chi sono io?"
         (pp. 160)


Karel Kosik, Un filosofo in tempi di farsa e tragedia, Mimesi Edizioni.


Daniele Palmieri

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