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domenica 17 gennaio 2021

Federico Gasparotti: Il GreenMan e l'Homo Selvaticus


Uno degli effetti più deleteri dell'ultimo anno di chiusure e riaperture a causa della pandemia, soprattutto per l'uomo di città, è il distacco forzato dal sula sua fonte originaria di vita e energia: la Natura. Costretto nelle mura domestiche o negli invalicabili confini del comune o della città dove regnano cemento, inquinamento, urbanizzazione, antropizzazione, sovraffollamento e rumore, per l'uomo comincia un lento e inesorabile processo di alienazione. D'altronde, non è solo la cultura religiosa, esoterica o spirituale a ritenere la fondamentale importanza, per la vita interiore, del ritiro in luoghi selvaggi, al di là del mondo urbanizzato, ma anche le moderne ricerche di psicologia ambientale. Scrive, ad esempio, Marco Costa in Psicologia ambientale e architettonica: "Esistono evidenze di studi che hanno dimostrato come il contatto con ambienti naturali costituisca un mezzo efficace per attutire gli effetti dello stress e della fatica mentale, rispetto ad ambienti di tipo urbano. La tendenza della popolazione a compattarsi sempre di più in ambienti urbani è in contraddizione con i benefici arrecati dal verde [...]. La mancanza di verde propria degli ambienti urbani compattanti va in contrasto con l'innato bisogno degli spazi verdi" (Marco Costa, Psicologia ambientale e architettonica, FrancoAngeli, pp. 115-116).

L'incontro con l'urbanizzazione e quello con la Natura producono due differenti stati di coscienza: di contrazione e di espansione.

L'ambiente estremamente urbanizzato è rigido, geometrico, strettamente controllato da una logica che passa attraverso orari (di mezzi di trasporto, negozi, uffici etc.) che stabiliscono quando e dove sia possibile recarsi in un certo luogo, di cartelli stradali e semafori che stabiliscono come ci si debba muovere e, non ultimo, di luoghi sovraffollati in cui la propria individualità fatica a trovare il proprio spazio personale, circondata da centinaia se non migliaia di persone che, ugualmente, scalpitano per trovare la propria dimensione. In risposta a questi continui stimoli di dominio, lotta e oppressione, la coscienza umana, per trovare uno spazio vitale, è costretta a rimpicciolirsi in sé stessa, a contrarsi in cerca di un rifugio interiore, alienandosi così dall'esterno.

L'ambiente selvaggio presenta, al contrario, tutti gli attributi opposti. Il suo caos è creativo, brulicante di vita, silente, misterioso, rappresenta per l'esploratore un novero di possibilità. In montagna o in un bosco non vi sono vincoli a ciò che l'uomo possa fare, alla strada da intraprendere - sia essa battuta o inesplorata - all'orario e alla direzione in cui percorrerla e, anche quando il pericolo suggerisce al viandante di fermarsi, tale ostacolo proviene dall'interno: non vi è un divieto esterno a imporre il comportamento da seguire. Spetta all'esploratore scegliere se affrontare o meno il pericolo, di mettere o meno in gioco la sua vita. Da ciò deriva che, anche nel sentiero apparentemente più semplice, la coscienza del viandante debba essere costantemente vigile: sia per lo stato di spontanea meraviglia e ammirazione indotto dal ritorno alla Natura, sia per la consapevolezza che il minimo passo potrebbe mettere a rischio la propria integrità. Ma è proprio questo costante contatto con la meraviglia e il pericolo che permette alla coscienza di espandersi, di immergersi completamente con l'ambiente circostante, di ridar vita ai sensi atrofizzati dalla città.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il conflitto tra mondo urbanizzato e mondo naturale non è figlio soltanto degli ultimi secoli. La progressiva industrializzazione degli spazi si è solo limitata a esacerbare un contrasto già esistente che, probabilmente, affonda le sue radici fin nelle prime forme di ambienti umani regolati dalle norme sociali e che, nei secoli, ha dato vita a due forme dell'immaginario collettivo che si trovano, con caratteristiche costanti, già a partire dal mondo greco-romano: quella del GreenMan e dell'Homo selvaticus. Due figure dai tratti misteriosi, atavici, alle quali Federico Gasparotti, dottore in Scienze Politiche, scrittore, fotografo e studioso di druidismo, ha dedicato il saggio Il GreenMan e l'Homo Selvaticus. L'anima naturale e la natura animale, edito da Anguana Edizioni, che ora andremo ad analizzare.

E' probabile che anche chi non conosca queste due figure vi sia incappato, inconsapevolmente, almeno una volta nella vita e, in tal caso, è probabile che il GreenMan o l'homo selvaticus abbiano scrutato, di nascosto, il viandante disattento, celate nell'ombra, dall'alto di un capitello, di un portone, di un affresco - o forse da dietro un albero o un cespuglio. Sia l'homo selvaticus sia il GreenMan, infatti, fungono da guardiani e da ambasciatori, nel mondo umano, del mondo naturale e in virtù di questo ruolo sono stati utilizzati, per secoli, come elementi "ornamentali" aventi, però, una ben precisa funzione spirituale legata al luogo in cui essi venivano rappresentati; quella, cioè, di rendere tributo, seppur in maniera differente, alla forza della Natura selvaggia, per ingraziarsi il suo potere.

Pur essendo accumunati da alcuni simboli, GreenMan e homo selvaticus rappresentano due diverse forme di relazione tra l'uomo e la Natura e il saggio di Federico Gasparotti descrive alla perfezione i loro rispettivi ruoli. 

Scendendo nello specifico, il GreenMan, o Uomo Verde "è raffigurato sempre con viso maschile [...] [esso è] il progetto dell'Essere Umano, l'idea che la natura ha dell'uomo e, nello stesso tempo il mezzo attraverso cui trasferire nel mondo materiale l'anima. [...] Il GreenMan personifica l'aspetto più spirituale del rapporto tra Uomo e Natura: egli è la parte integrante divina che pervade ogni persona e il simbolo dell'appartenenza dell'Essere Umano al tutto. [...] I GreenMan ci fissano senza tradire alcuna emozione o espressione: dall'alto dei capitelli scrutano il mondo umano con uno sguardo disincantato e oggettivo, che è proprio lo sguardo della Natura, che non giudica ma osserva il divenire secondo tempi non finiti e leggi non etiche. L'Uomo Verde è infatti la personificazione delle energie naturali e dell'aspetto sacro e magico della Madre Terra nel su rapporto con l'Umanità" (Federico Gasparotti, Il GreenMan e l'Homo Selvaticus, Anguana Edizioni, pp. 20-23).

In altri termini, il GreenMan rappresenta la Natura contemplativa: l'anima originaria dell'uomo impressa nella Natura ancora vergine, la visione del mistico che, immerso in contemplazione in un bosco, in una foresta, sulla vetta di una montagna, è in grado di distaccarsi dalla sua esistenza contingente, sociale e umana in senso terreno per innalzarsi alla visione divina, elevata, sempiterna, universale e metamorfica dello Spirito della Natura, che non conosce Tempo, Luogo, Spazio, Forma e nemmeno Etica, e che si esprime un un continuo processo vitale di metamorfosi. 

Come sottolinea Gasparotti nel libro, contrariamente alla credenza più diffusa il GreenMan non è di origine Celtica, bensì Romana, e le più antiche rappresentazioni di esso conservate risalgono a mosaici del II secolo d.C. Esso avrà poi grande diffusione nella decorazioni delle Cattedrali del mondo Medievale ed è dunque probabile che la connessione con il mondo celtico sia stata posteriore; in esso, gli antichi fedeli pagani rivedevano un antico simbolo della loro religione naturale. 

Diversi, invece, sono la figura e il ruolo dell'homo selvaticus, che, a fronte della "metafisica naturale" del GreenMan, incarna un aspetto più concreto, materiale, terreno e terrestre del rapporto tra uomo e Natura.

Sempre citando la precisa descrizione di Gasparotti: "Fin dall'antichità ogni Foresta e ogni Bosco hanno un proprio guardiano, che è sempre un uomo che vive isolato, completamente selvaggio [...] e talmente in equilibrio con le forze naturali da saper dominare le bestie feroci. Egli è il guardiano non solo della Natura primigenia, ma della Sacralità; è l'universo pagano che trova un custode, un garante super partes che possa essere riferimento condiviso [...] qualunque sia il proprio Credo. Il guardiano è l'Uomo Selvaggio che conosce i segreti, i ritmi, le voci del Bosco e che, per quanto appaia minaccioso, è sempre disposto a nascondere e proteggere. [...] Col suo enigmatico sguardo ieratico e la sua clava minacciosa egli è dispensatore di silenziosa saggezza. Nell'immaginario comune questa creatura, a cavallo di due mondi [...] è l'ultimo custode delle antiche credenze pagane [...]. La sua carica simbolica è così potente che lo rintracciamo nelle saghe, nelle fiabe, negli incunaboli e miniature, nelle vetrate e sui portali e fregi delle chiese" (Federico Gasparotti, Il GreenMan e l'Homo Selvaticus, Anguana Edizioni, pp. 27-28).

L'homo selvaticus nasce, dunque, quando lo spirito della Natura, infuso nell'uomo, si manifesta non nella contemplazione passiva tipica del GreenMan, ma nell'azione attiva, selvatica, rurale, materiale, grezza, potente, selvaggia, nella vita in una perfetta comunione con il mondo animale e vegetale non solo dal punto di vista spirituale, ma soprattutto dal punto di vista materico. L'homo selvaticus è in comunione con gli animali, i vegetali e la Natura poiché egli è animale, vegetale, Natura ed egli vive completamente immerso con il corpo oltre che con lo spirito in questo mondo. Sempre citando Federico Gasparotti: "Il guardiano-eremita, sempre rappresentato mentre brandisce una clava o un bastone [...] è l'antico rapporto dell'umo con la Natura, degli antichi linguaggi perduti che mettevano l'essere umano in sintonia con le manifestazioni naturali. L'homo selvaticus è l'incarnazione sublimata della conoscenza druidica: il druido lascia da parte l'apparato nozionistico assimilato negli anni per abbandonarsi al Naturale. [...] Il druido, che passa la vita a studiare e imparare la Natura, abbandona il proprio fardello di conoscere per divenire egli stesso parte del mondo naturale" (Federico Gasparotti, Il GreenMan e l'Homo Selvaticus, Anguana Edizioni, pp. 28).

Mentre, dunque, il GreenMan rappresenta un'unione distaccata, impersonale e contemplativa con lo spirito della Natura, l'homo selvaticus è l'unione con la natura fatta a uomo. Da qui il significato del sottotitolo del libro di Gasparotti: l'anima naturale e la natura animale e da qui anche la differente rappresentazioni delle due entità nel mondo del folklore. 

Il GreenMan può essere assimilato alle entità elementali, alla loro manifestazione eterea, quasi intangibile, eppure sempre presente all'interno della Natura incontaminata: è lo spirito della Natura che ci guarda non solo dall'alto, ma da ogni direzione del bosco. L'homo selvaticus, invece, è un essere concreto, che popola grotte, capanne, anfratti, che può spiare il viandante da dietro il tronco di un albero per poi svanire nel sottobosco. Molti sono i racconti Medievali di uomini selvatici che popolavano boschi e foreste, in un rapporto con il mondo civilizzato a volte di convivenza e altre volte conflittuale, che nel peggiore dei casi sfociava addirittura in guerre e roghi contro il popolo selvaggio; simbolo dell'uomo civilizzato incapace di interiorizzare il proprio lato selvatico o, più concretamente, testimonianza di antiche lotte realmente avvenute tra uomini del bosco e uomini della città?

Perfino nella simbologia cristiana si trova una delle più diffuse e al contempo nascoste immagini dell'homo selvaticus, elevato addirittura al rango di un santo: quella di San Cristoforo. In molte chiese troneggia l'immagine o la statua monumentale di San Cristoforo, che viene sempre rappresentato con i tratti di un gigante barbuto, con indosso vestiti logori e in mano un grande bastone/clava, a volte addirittura il tronco intero di un albero. Molte sono le somiglianze con l'homo selvaticus ed esse non sono casuali. Stando al racconto di Jacopo di Varazze nella Legenda Aurea, Cristoforo era proprio un "sempliciotto", dal comportamento selvaggio benché inoffensivo e gentile, che viveva allo stato di natura in un bosco e che aiutava le persone a guadare un fiume proprio in virtù della sua stazza, pari a quella di un gigante. Un giorno Cristoforo aiutò un bambino ad attraversare il fiume. Questi a ogni passo si faceva sempre più pesante ma il gigante riuscì comunque a portare a termine il suo compito e, alla fine, il bambino gli rivelò di essere Cristo e che in quella traversata egli aveva portato sulle spalle il dolore dell'intero mondo. Da qui il suo nome: Cristoforo, letteralmente "portatore di Cristo". Molteplici sono le chiavi di lettura di questo mito/racconto agiografico ma, di certo, possiamo vedere in Cristoforo la figura di un homo selvaticus e il tentativo, da parte del cristianesimo, di conciliarlo con il mondo civilizzato attraverso la fede. 

Tornando al confronto tra GreenMan e homo selvaticus, Gasparotti sintetizza le loro differenze e il loro rapporto nella figura di quelli che potremmo definire due "animali totem", il cervo e il cinghiale. Citando le sue parole: "Se dovessi scegliere due animali per rappresentare i nostri due protagonisti, senza dubbio opterei per l'accostamento del cervo al Green Man e del cinghiale all'Homo Selvaticus. [...] Il cervo è la regalità, la nobiltà, l'equilibrio e le sue corna simboleggiano la continua capacità di rigenerarsi e le ramificazioni degli alberi; esso dunque è simbolo della coesistenza fra mondo animale e mondo vegetale e del legame fra la terra, calpestata dai suoi zoccoli, e il cielo, sferzato dai suoi palchi. [...] Il cinghiale è l'istinto, l'aggressività, l'impetuosità, l'energia vitale e le sue zanne rappresentano il legame con la terra che lo nutre; esso è dunque simbolo della necessità di usare i sensi per saper ascoltare l'ambiente, mostrandosi sempre pronti ad ingaggiar battaglia con le avversità. [...] Attraverso i sensi il cinghiale arriva ad individuare e a nutrirsi del divino. [...] Egli infatti è ghiotto di ghiande (frutti dell'albero più sacro ai Druidi) e di tartufi (ritenuti sacri dagli antichi in quanto prodotti dal contatto del fulmine con la terra). Il cinghiale/homo selvaticus sta a indicare, quindi, che la via per il divino passa, e deve passare, anche dal corpo" (Federico Gasparotti, Il GreenMan e l'Homo Selvaticus, Anguana Edizioni, pp. 17-18).

Per concludere, torniamo all'incipit del presente articolo per tirare le somme di quanto analizzato. A fronte della progressiva costrizione della coscienza umana nell'ambiente urbanizzato e civilizzato penso che l'unico modo per evitare l'alienazione sia recuperare il contatto con le forze Naturali. Non sempre questo è possibile, soprattutto in città, ed è per questo che ritengo importante riconnettersi interiormente con questi due archetipi dell'inconscio umano, il GreenMan e l'homo selvaticus, per recuperare, almeno entro di noi, quanto la nostra anima possiede di selvaggio, indomito, naturale e contemplativo. Da questo punto di vista, Il GreenMan e l'Homo Selvaticus di Federico Gasparotti è senz'altro un ottimo punto di partenza.


Federico Gasparotti, Il GreenMan e l'Homo Selvaticus, Anguana Edizioni

Daniele Palmieri

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