Scrive Fabre d'Olivet ne La musica spiegata: "La musica non è solamente [...] l'arte di combinare i suoni ingegnandosi nel riprodurli in maniera quanto più possibile gradevole all'orecchio [...]. La musica, considerata la sua caratteristica speculativa, è, come già definito dagli antichi, la via per apprendere l'ordine di tutte le cose , la scienza dei rapporti armonici dell'universo; ed essa si basa su principi immutabili ai quali nulla può nuocere" (Fabre d'Olivet, La musica spiegata, Arktos, p. 13).
La musica è la voce dell'armonia del cosmo; come già avevano compreso i Pitagorici, la musica dà voce alla relazione numerica dell'universo, è il canto divino generato dalla relazione matematica tra gli enti. Perfino i pianeti, secondo Pitagora e i suoi discepoli, producono una melodia divina, la cosiddetta melodia celeste, generata dal loro movimento perpetuo. Una teoria che avrà grande influsso sul mondo Medievale a tal punto che la geometria stessa delle cattedrali gotiche segue proporzioni musicali, come se la melodia del verbo di Dio venisse fissata nella pietra.
Il rapporto sacro, magico e religioso tra musica e uomo, tuttavia, è molto più antico sia della cultura Medievale sia di quella Greca. Esso affonda le sue radici nella nascita del sentimento del sacro. Come scrive il musicologo Marius Schneider ne La musica primitiva: "Un gran numero di informazioni sulla natura della musica e sul suo ruolo nel mondo ci viene dai miti della creazione. Tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell'azione. Nell'istante in cui un dio manifesta la volontà di dare vita a se steso o a un altro dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l'uomo, egli emette un suono. Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale [...]. La fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica. [...] Questo suono, nato dal Vuoto, è il frutto di un pensiero che fa vibrare il Nulla e, propagandosi, crea lo spazio" (Marius Schneider, La musica primitiva, Adelphi, pp. 13-14).
Se prendiamo ad esempio l'Antico Testamento, Dio, nella Genesi, dona vita all'Uomo d'argilla attraverso il soffio; ed è possibile immaginare come la prima manifestazione della sua esistenza fu proprio il suono caldo, profondo e melodioso generato dal fiato quando vibra in una cavità d'argilla.
Possiamo ipotizzare che i primi strumenti musicali, per la loro relativa facilità di creazione e utilizzo, furono percussioni e strumenti a fiato. La loro semplicità, tuttavia, è prettamente "materiale"; dal punto di vista magico, religioso e rituale sono strumenti estremamente metafisici, in grado di riprodurre i suoni atavici della Terra e del Cosmo, e di imitare dunque la voce della divinità.
Il tamburo sciamanico, ad esempio, è uno degli strumenti più diffusi e utilizzati fin dall'epoca arcaica. Come dimostrano alcuni studi riportati da Harner ne La caverna e il cosmo (Edizioni Crisalide), il battito regolare e continuo del tamburo è in grado di indurre stati alterati di coscienza. Nel presente articolo, tuttavia, non ci focalizzeremo sulle percussioni che, grazie al revival sciamanico odierno, sono molto studiate e utilizzate nelle pratiche estatiche, bensì sul flauto. O, meglio, sulla famiglia molto ampia dei flauti che, a partire dall'etimologia latina "flare", soffiare, intenderemo qui in senso generale come strumenti a fiato.
Come il tamburo, anche i flauti possiedono caratteristiche ataviche in grado di connettere l'uomo con le forme espressive più arcaiche sia della musica sia della sacralità. Se il tamburo rappresenta il lato dirompente, estatico, finanche distruttivo del Dio - paragonabile al rombo del tuono, alla distruzione del terremoto, al rovesciarsi delle frane - il flauto è invece collegato al lato "vivificante" della divinità, come il soffio divino in grado di dotare di anima gli oggetti inanimati, o il respiro stesso del Dio che si manifesta con il vento che spira tra i boschi, sulla costa, tra le onde, che porta ora le nubi, ora la pioggia, ora il Sole, ora il caldo ora il freddo, permettendo il perenne ciclo della vita. Ma il potere magico/mimetico del flauto fu, per i popoli arcaici, ancor più vario e rivelatorio; le sue possibilità musicali sono infatti decisamente più ampie rispetto a quelle del tamburo e degli strumenti a percussione. Con i flauti divenne possibile imitare perfino il linguaggio degli esseri viventi, come ad esempio il verbo degli uccelli, il cui ruolo sacro è così antico e duraturo che che si ritrova perfino nelle tradizioni mistiche sufi e francescana.
Numerosi ritrovamenti archeologici attestano che il flauto accompagna l'uomo da decine di migliaia di anni. Tra i ritrovamenti più eclatanti, il cosiddetto Flauto di Divje Babe, un frammento di osso di orso delle caverne su cui sono presenti due fori circolari e due mezzi-fori spezzati, a formare quello che si suppone essere uno dei flauti più antichi della storia, datato a oltre 40.000 anni fa e la cui costruzione è attribuita addirittura ai nostri antenati neandertaliani; il flauto completo più antico mai rinvenuto risale invece a 35.000 anni fa e si tratta del Flauto di Hohle Fels, in Germania. Non sappiamo quale fosse l'abilità linguistica dei neandertaliani e nemmeno quale fosse il linguaggio arcaico dei nostri diretti discendenti "sapiens sapiens"; ma è certo che il flauto deve aver influito enormemente sulle loro possibilità espressive.
Nella Genesi si trova uno dei più antichi riferimenti letterari e religiosi al flauto. Si tratta di Iubal, figlio di Lamech, che "fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto" (Genesi, 4,21).
Anche tra gli strumenti più antichi della civiltà etrusca sono annoverati strumenti a fiati. Come scrive Andrea Balzani: "Dagli scavi archeologici effettuati nel complesso di Vulci, Cerveteri e Tarquinia, centri principali del dominio etrusco, è stato possibile individuare principalmente gli strumenti che utilizzavano: il suplu, uno strumento ad ancia di varia lunghezza, il cornu, caratterizzato da un lungo tubo ricurvo ed impiegato in fanteria per le segnalazioni militari, il corno potorio, utilizzato anche come coppa per bere per via della tipica forma a cono, il liuto, ricavato da un sottile tubo metallico e ripiegato ad un'estremità, la syrinx [...] e varie categorie di flauti" (Andrea Balzani, Antica Grecia. Musica e canti, Timia Edizioni, p. 36).
Mentre alcuni di essi furono "autoctoni", altri, come l'aulos e la syrnx erano, probabilmente, di importazione Greca. In particolare, nella Grecia Arcaica l'aulos e la syrinx rappresentano i più importanti strumenti a fiato, sacri rispettivamente a Dionisio e a Pan. Il primo veniva utilizzato nella celebrazione dei misteri dionisiaci e stando alla descrizione di Andrea Balzani: "importato dalla Frigia asiatica, poteva essere ad ancia semplice e o corta [...]. Le parti di cui era composto consistevano in una striscia di cuoio allacciata all'esecutore nell'imboccatura, un bocchino dove erano inserite le anche (glottai) collocate in una strozzatura di collegamento e due rigonfiamenti del tubo (holmoi). [...] Tra i materiali di cui era composto vi erano il legno, la canna, ossa e avorio, a seconda dell'uso per cui erano destinati" (Andrea Balzani, Antica Grecia. Musica e canti, Timia Edizioni, p. 18).
La syrnx, invece, era associata al Dio Pan e, difatti, è noto ai più come "Flauto di Pan", composto da una serie di tubi cavi legati tra loro da corde, cera o lacci. Esso riproduce riproduce i suoni misteriosi della natura selvaggia, del vento che si insinua tra le foglie, gli anfratti e le grotte. Il mito stesso della nascita dello syrnx è strettamente legato alla figura del dio Pan. Syrnx, infatti, secondo la leggenda narrata da Ovidio ne Le Metamorfosi, era una Ninfa legata alla dea Artemide ma che cercava di imitare l'aspetto e il portamento di Diana, dea dei boschi, della caccia e degli animali selvatici. Per questo Pan si invaghì di lei e cominciò a inseguirla per possederla. Per salvare la sua verginità, Syrnx chiese aiuto alle Naiadi del fiume Ladone e queste le donarono riparo trasformandola in un cespuglio di canne palustri. Tuttavia, anche in questa forma Pan non riuscì a sfuggire al suo incanto. Il vento che soffiava sulle canne provocava una dolce melodia, suadente e ipnotizzante come il canto delle Sirene. E fu così che Pan, strappate le canne e legatele insieme, creò il primo syrnx, ossia il primo flauto a canne.
Nonostante la lontananza geografica e temporale, è interessante notare la connessione che lega la simbologia e la mitologia del flauto greco all'utilizzo rituale del flauto da parte dei nativi americani. Una figura ricorrente nell'arte rupestre del Sud-Ovest americano è proprio quella del suonatore di flauto, spesso rappresentato nella figura mitologica di Kokopelli, divinità Navajo. Sia Kokopelli sia i suonatori di flauto vengono sempre rappresentati con i tratti caratteristici della tradizione sciamanica; rapiti da una danza estatica, con tratti animaleschi o circondato da animali che seguono la loro melodia, con deformazioni fisiche come gobbe o gambe caprine e, soprattutto, con il fallo eretto a indicare la possessione da parte di un'irresistibile potenza sessuale - espressione dell'eros cosmico che anima tutte le cose, della potenza incontenibile e selvaggia della natura. Non a caso Kokopelli assumeva il ruolo di mercante, vagabondo, trickster ma anche di messaggero di nuove nascite, a cui spetta il compito di portare in spalla le anime dei nuovi nascituri esattamente come nel proprio fagotto trasporta i semi dei fiori e delle piante che sbocciano in primavera. Tutte queste caratteristiche rendono lo sciamano/suonatore di flauto americano estremamente affine al Dio Pan della mitologia greca e dimostrano come, fin dal mondo arcaico, il flauto venisse utilizzato in riti sacri e magici legati alla sessualità, alla fecondità, alla comunione con la natura. D'altronde, il flauto fu uno dei primi strumenti a dare letteralmente voce alla natura morta, sia essa il legno o, soprattutto, le ossa di animali defunti a cui il suonatore era in grado di ridare la vita attraverso il proprio fiato - esattamente come la divinità infonde la vita nel cosmo. Da ciò deriva il potere magico attribuito all'atto stesso di suonare il flauto; un gesto rituale, in grado di far vibrare la materia, di dar vita e voce all'inanimato, di riprodurre il linguaggio di altre specie animali e poterle così controllare per magia simpatetica e, allo stesso tempo, di consentire al suonatore/sciamano di carpire le loro stesse conoscenze e di tramutarsi in essi. Non a caso, sempre tra i petroglifi del Sud-Ovest americano si ritrovano molte rappresentazioni di sciamani/suonatori di flauto che indossano un copricapo a forma di testa di uccello - simile, per alcuni aspetti, ai copricapi degli sciamani delle incisioni rupestri della Valcamonica.
Come Scrive Denis Slifer in Kokopelli: "Il personaggio del suonatore di flauto ha qualcosa di archetipico e universalmente accattivante. Le credenze largamente condivise che egli fosse un simbolo di fertilità, menestrello errante o mercante, sacerdote della pioggia, sciamano mago della caccia, trickster e seduttore di fanciulle hanno contribuito alla sua popolarità. Egli è una delle poche divinità preistoriche sopravvissute in forma riconoscibile dai tempi antichi fino a oggi" (Denis Slifer, Kokopelli, Edizioni della Terra di Mezzo, pp. 36-37).
Una relazione, quella tra flauto, eros e magia, rimasta viva anche nel folklore più recente; in essa affonda le sue radici la celebre opera Il Flauto Magico di Mozart e Schikaneder, in cui Papageno, satiro/uccellatore suonatore di flauto dai tratti caprini e il vestito di piume, sembra ricalcare alla perfezione tanto Pan quanto Kokopelli, tuttalpiù considerando il suo comportamento ambivalente tipico del trickster nonché la sua bramosa ricerca di una compagna, e in cui il flauto che viene consegnato al protagonista, Tamino, per farsi strada nel suo viaggio iniziatico possiede virtù magiche evocatorie, in grado di scatenare le energie occulte della natura e di rivelare i misteri del Reale. Medesimi riverberi sciamanici presenta anche la leggenda del Pifferaio di Hamelin, tramandata dai Fratelli Grimm ma risalente al XII secolo, in cui il protagonista è un suonatore di flauto vagabondo in grado di allontanare i ratti portatori di peste dalla città mediante la sua musica - azione che presenta strette connessioni con la capacità, da parte degli sciamani, di prendere il controllo di altri animali mediante la conoscenza di canti e musiche magici. Da notare, inoltre, il ripetersi di due importanti elementi simbolici; il primo, quello del vagabondaggio, proprio sia del Dio Pan sia di Kokopelli, e il secondo, quello dell'ambivalenza caratteriale tipica del trickster. Difatti, quando al Pifferaio viene negato il pagamento richiesto egli, da figura benevola in grado di allontanare il male dalla città, come uno sciamano, è subito in grado di trasformarsi in una figura malevola, uno stregone, utilizzando il medesimo potere magico del flauto per rapire, di notte, i bambini e condurli in una grotta per sfarli svanire in un'altra dimensione (altro archetipo ricorrente che ora non siamo in grado di approfondire, ma per il quale consiglio di leggere l'ottimo articolo di Marco Maculotti L'Accesso all'altro mondo nella tradizione sciamanica).
In conclusione di questa breve e per nulla esaustiva panoramica sul ruolo sacro del flauto nella cultura sciamanica, consiglio di sperimentarne il potere alla maniera più antica: distendendosi, sotto un albero, come Titiro della nota Egloga di Virgilio, e intonando musiche silvestri, in attesa che sopraggiungano i Satiri danzanti. Ma, come illustra Roger Callois ne I Demoni meridiani, guai a farlo a mezzogiorno, poiché in quell'ora il velo tra questo e l'altro mondo si fa più sottile e i Satiri non apprezzano di essere disturbati nell'ora del loro riposo.
Daniele Palmieri
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