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venerdì 16 febbraio 2018

Emil Cioran: La caduta nel tempo

Dopo aver delineato una panoramica generale della filosofia di Cioran in Emil Cioran: il misticismo dell'Amore e del Nulla, vorrei focalizzarmi su un aspetto particolare del suo pensiero che attraversa, come un'ossessione, tutte le sue  opere: il problema del Tempo.
Benché gran parte degli scritti di Cioran siano raccolte di pensieri, meditazioni e aforismi di varia natura, in essi vi è sempre una tematica particolare (ad esempio, la santità in Lacrime e Santi, o Dio in Il funesto Demiurgo), e l'opera che maggiormente riflette l'angoscia metafisica nei confronti del Tempo del filosofo rumeno è La caduta nel tempo.
In altri scritti, come Al culmine della disperazione e L'inconveniente di essere nati, il Tempo ricorre come una delle angosce più profonde di Cioran. Non si tratta soltanto della paura e della malinconia derivante dalla fugacità dell'attimo vissuto, e dalla ricerca interminabile dell'infinito. Il tempo viene percepito da Cioran come un logorante agente corrosivo che alberga nel nostro animo, che lentamente ci mangia, come Cronos divora i suoi figli, e che contribuisce alla nostra inesorabile decomposizione, vanificando ogni azione, conquista, volontà. Più si medita sul Tempo e sul suo inesorabile trascorrere, più ci si sente ingabbiati, inermi, impotenti e ciò causa un senso di Noia, una nolontà, ossia una volontà al negativo, la liquefazione di qualsiasi azione e obiettivo.
Ma da dove nasce questa angoscia metafisica e, soprattutto, perché l'uomo è stato condannato a viverla? Questo è il quesito principale de La caduta nel tempo, e attorno a esso ruotano le riflessioni di tale libro.
Come suggerisce il titolo, l'uomo non è nato nel Tempo, ma vi è caduto. La specie umana vi è precipitata, come in un burrone, nell'attimo del peccato originale, che lo ha fatto cadere dall'eternità. Il mito di Adamo ed Eva e della cacciata dal paradiso viene assurto da Cioran come una grande metafora del momento in cui nell'uomo è scattata la scintilla della coscienza la quale, lungi dall'essere un dono, è una condanna. Con essa infatti nascono tutti quegli interrogativi che, parafrasando Kant, è costretta a porsi con la consapevolezza di non potervi trovare risposta. L'uomo si appropria qui di un'anima e, come insegnava Plotino, il Tempo è un moto dell'anima; di conseguenza, è con la fiaccola della coscienza che l'uomo proietta l'ombra del Tempo, che lo segue e lo tormenta ovunque egli vada. 
La conoscenza del bene e del male ha posto l'uomo in un atroce limbo: egli non possiede più la leggera inconsapevolezza degli angeli, né l'ingenua incoscienza degli animali, ma tormentato da dubbi, scelte da compiere, interrogativi e dilaniato tra il bene e il male, non sa più cosa fare della propria esistenza. O, meglio, non ha nulla da fare della sua vita proprio perché la sua vita non è più volta ad alcun piano predefinito.
Come scrive Cioran:
 
"Noi percepiamo anzitutto l'anomalia del fatto bruto di esistere e soltanto in seguito quella della nostra situazione specifica: lo stupore di essere precedere lo stupore di essere uomo. Eppure il carattere insolito del nostro stato dovrebbe costituire il dato primordiale delle nostre perplessità: è meno naturale essere uomo che essere e basta. Questo noi lo sentiamo d'istinto; e da questo deriva la voluttà che proviamo tutte le volte che ci distogliamo da noi stessi" (Cioran, La caduta nel tempo, pp. 5).

 
La conoscenza del bene e del male l'ha trascinato nel mondo della possibilità, facendolo cadere nel Tempo, poiché ogni scelta da compiere presuppone un prima e un dopo, ma con la consapevolezza che l'estremo termine del "dopo" è la Morte, che riconduce qualsiasi scelta al Nulla, ed anche il "prima" contribuisce all'angoscia esistenziale, poiché il vissuto storico si somma nella nostra coscienza, accumulando vissuto e ricordi che verranno trascinati con noi quando giungeremo al capolinea.
Tuttavia, in linea con una concezione decadente dei cicli cosmici, l'uomo con la caduta nel tempo non ha ancora toccato il fondo del barile, il culmine della disperazione; vi è una caduta ancora più pericolosa e angosciante, che Cioran intuisce come un terrore personale ma che, similmente all'inquietudine di un profeta, la dipinge con i tratti di una realtà futura che presto terrorizzerà anche gli altri uomini. Dopo essere caduto nel Tempo, l'uomo è destinato a precipitare anche dal Tempo.
Scrive il filosofo rumeno:
 
"Gli altri cadono nel tempo: io invece sono caduto dal tempo. All'eternità che si ergeva al di sopra di esso succede quell'altra quest'altra che si pone al di sotto, zona sterile dove non si prova più che un solo desiderio: reintegrare il tempo, innalzarsi ad esso a ogni costo, appropriarsene una particella per insediarvisi, per darsi l'illusione di una dimora propria. Ma il tempo è chiuso, ma il tempo è fuori portata: e proprio dell'impossibilità di penetrarvi è fatta questa eternità negativa, questa cattiva eternità" (Cioran, La caduta nel tempo, pp. 118)

 
La prima caduta è avvenuta da un luogo così elevato che ancora portiamo con noi l'impeto della discesa, e dopo aver attraversato il Tempo siamo destinati a scendere in livelli ancor più profondi e distanti dall'eternità, laddove si vive una sorta di eternità negativa, il luogo infernale dove l'eterno non è paradisiaco e rassicurante, e nemmeno terribile o angosciante, ma insapore, insignificante, l'eterna noia del non essere.
Scrive ancora Cioran:
 
"Non è affatto improbabile che una crisi individuale diventi un giorno la crisi di tutti e acquisti così un significato non più psicologico, ma storico. [...] Dopo aver sciupato l'eternità vera l'uomo è caduto nel tempo, dove è riuscito, se non a prosperare, per lo meno a vivere: la cosa certa è che vi si è adattato. Il processo di questa caduta e di questo adattamento si chiama Storia. Ma ecco che lo minaccia un'altra caduta, di cui è ancora difficile valutare l'entità. Questa volta non si tratterà più per lui di cadere dall'eternità, ma dalla storia; significa, una volta sospeso il divenire, arenarsi nell'inerzia e nel languore, nell'assoluto della stagnazione, dove il verbo stesso si arena, non potendo sollevarsi fino alla bestemmia o all'implorazione. [...] Quando toccherà in sorte all'uomo, egli cesserà di essere un animale storico. Allora, avendo perduto finanche il ricordo della vera eternità, della sua prima felicità, egli volgerà lo sguardo altrove, verso l'universo temporale, verso quel secondo paradiso da cui sarà stato bandito" (Cioran, La Caduta nel tempo, pp. 123)

 
In questo non-luogo, in questa eternità negativa in cui l'uomo è destinato a sprofondare, si viene confinati in una dimensione in cui:
 
"L'insensibilità al proprio destino appartiene a colui che è decaduto nel tempo e che, via via che questa decadenza si accentua, diviene incapace di manifestarsi o di volere anche solo lasciare una traccia [...] nella noia, nostalgia inappagata del tempo, impossibilità di riafferrarlo e di inserirvisi, frustazione di vederlo scorrere lassù, al di sopra delle nostre miserie. Aver perduto insieme l'eternità e il tempo! La noia è la rimuginazione di questa duplice perdita. Vale a dire lo stato normale, il modo di sentire ufficiale di un'umanità finalmente espulsa dalla storia" (Cioran, La caduta nel tempo, pp. 124)
Come uscire da questa condizione? Nell'articolo precedente, si era parlato di una mistica dell'Amore e del Nulla, unico barlume di speranza in grado di rischiarare la vita dell'uomo, se non in senso definitivo, perlomeno concedendogli degli sprazzi di lucidità sovratemporale, sovraspaziale e sovraindividuale.
Similmente a tale concezione, anche ne La caduta del tempo si delinea una mistica della rinuncia, che tuttavia può solo rallentare il destino inesorabile. La caduta non può essere evitata, può solo essere osservata con rassegnazione. 
Si potrebbe pensare a una forma di superomismo ma, al contrario, il superuomo di Nietzsche non può che accelerare la discesa nel suo eccesso di volontà; è la volontà, infatti, ad aver causato la caduta e ad appesantire l'uomo nella sua discesa. Anche la rinunciare completamente alla volontà, una volta caduti nel tempo, regno della Volontà, pone l'uomo nella medesima condizione del superomismo ed è dunque nel fragile equilibrio tra eccesso e rinuncia che l'uomo deve attraversare la dimensione del Tempo, con la consapevolezza che, se ora agogna l'eternità del paradiso perduto, presto sarà destinato a invidiare anche il semplice scorrere delle ore e del giorni, in una perpetua tenebra di né eterna né finita.
 

 
Emil Cioran, La caduta nel tempo, CDE edizioni
 
Daniele Palmieri

1 commento:

  1. Grazie per il commento, Daniele Palmieri. Sto proprio leggendo quest'opera di Cioran, la prima del resto che ho scelto per addentrarmi nel suo pensiero, edita Adelphi, ma manchevole di una prefazione orientativa. La tua sarebbe perfetta e molto utile per i neofiti come me. Nella lettura del libro ho alcune perplessità; sembra a un certo punto che lo scetticismo possa essere una soluzione e invece poi si dissolve da sé, ma in qualche modo serpeggia sempre. Interessante nel primo capitolo la disquisizione sull'inclinazione alla caduta già prima di commettere il peccato originale, ma forse che questa inclinazione è stata trasmessa all'uomo dall'oscurità presente in Dio? forse in Cioran queste sono solo metafore, ma molto interessanti, molto vicine al fondo abissale dell'Essere di Heidegger o alla filosofia positiva dell'ultimo Schelling. Comunque grazie ancora per questa bella e insostituibile introduzione.

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