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venerdì 6 maggio 2016

La filosofia è una cosa da folli (Daniele Palmieri)


E' uscito: La filosofia è una cosa da folli, il mio secondo, breve, saggio filosofico che vuole offrire una panoramica generale sul reale significato della materia, cercando di restituire un ideale vivo e dinamico di vita filosofica in grado di trasformare l'esistenza del filosofo che, in virtù della sua follia, vede cose che agli altri sfuggono.
In seguito, un breve estratto del libro, acquistabile su IBS (qui) e su altri store online.


"Perché facciamo Filosofia? Questa domanda può avere molteplici significati.

Perché alcuni uomini sentono il bisogno di discutere di problemi che non sembrano avere soluzione? Cosa ne ricavano? Non ultimo, cosa li spinge a farlo?
La pedanteria di alcuni manuali accademici fa nascere la Filosofia nell’ora x del giorno y dell’anno z in cui Talete ha detto, per la prima volta, che l’acqua è il principio di tutte le cose.
Identificano questa frase come la madre della Filosofia poiché, per la prima volta, un uomo ha tentato di spiegare i fenomeni naturali adducendo non a immagini mitologiche, bensì a motivazioni razionali.
In parte è vero; la razionalità è considerato il baluardo imprescindibile dalla Filosofia. Ma lo spirito della materia è riducibile soltanto a essa? In una parola: no.

Ridurre la Filosofia alla mera razionalità significa svuotarla di ogni contenuto. La razionalità può essere uno strumento della Filosofia ma non certo l’unico, tantomeno ne è il contenuto.

Di sicuro, non è dalla razionalità che nasce la Filosofia e non è la razionalità che ci spinge a fare Filosofia.
Essa nasce da un sentimento ben più profondo e primordiale, un’emozione molto più misteriosa, oscura e ineffabile. La Filosofia nasce dalla paura.
Aristotele nel primo libro della Metafisica utilizza un termine più preciso, che non ha un corrispondente nella lingua italiana capace di esprimerne tutte le sfaccettature.
La parola greca usata da Aristotele è thauma che esprime il terrore reverenziale che proviamo di fronte a eventi sconosciuti o sconvolgenti.
È un termine antico, che richiama le forze telluriche del demone ctonio Taumante, una divinità partorita dagli abissi più reconditi del nostro pianeta: il ventre della madre terra Gea e i fondali profondi del mare, personificato dal dio Ponto.
La Filosofia nasce proprio dallo sbigottimento che proviamo quando, per la prima volta, ci troviamo dinnanzi alla forza sublime e irrefrenabile del cosmo che ci circonda.

Una forza che sembra annichilire tutto sotto il suo pugno, una forza che gli Indù personificarono nella figura del dio Shiva il quale con una mano crea e con l’altra distrugge ciò che ha appena creato, come un fanciullo che si diverte a erigere castelli di sabbia per poi schiacciarli.
Di fronte a tutto ciò l’uomo si sente proprio come un simulacro di sabbia. Sente di non poter far nulla per frenare questa forza inarrestabile e d’improvviso tutto pare perdere senso.
Il vuoto Abisso del cosmo infinito sfiora per un momento la mente finita di noi fragili esseri mortali e da questa alchimia nasce la Filosofia.
Essa è il desiderio viscerale di colmare il baratro che si apre sotto i nostri piedi non appena ci accorgiamo che, sotto la superficie apparentemente semplice delle cose, si nasconde un burrone senza fondo, che minaccia in ogni secondo di inghiottirci.
Siamo terrorizzati da tale Abisso ma allo stesso tempo esso ci attrae poiché, come scrisse E. A. Poe ne Il demone della perversità: “non c’è passione più infernale e compulsiva di quella per la quale uno, pur rabbrividendo sul bordo di un precipizio medita di gettarvisi”.
La Filosofia non è nata con Talete, è stata partorita molto prima quando, sul sepolcro del primo Uomo, abbiamo preso coscienza per la prima volta della morte, della finitezza di tutte le cose, di un divenire caotico senza alcun ordine apparente.
La Filosofia è figlia della morte e madre di incertezze.
Il desiderio di portare ordine al caos tramite la ratio, la ragione, è tutt’altro che qualcosa di puramente razionale; è un desiderio autodistruttivo, una battaglia persa in partenza, eppure una battaglia dalla quale non possiamo sottrarci poiché essa fa parte della nostra stessa essenza.
“La ragione umana ha il particolare destino di essere tormentata da problemi che non può scansare, perché le sono imposti dalla sua stessa natura, ma ai quali tuttavia non è in grado di dar soluzione, poiché oltrepassano ogni suo potere” scrisse Immanuel Kant nella prefazione alla prima edizione della Critica della Ragion Pura.
In altre parole, domandarsi perché facciamo Filosofia significa domandarsi qual è l’essenza dell’uomo.
Da millenni siamo tormentati da domande che sono nate con noi, non appena abbiamo preso coscienza della nostra finitezza; “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?” potremmo riassumerle, utilizzando il titolo di un famoso quadro di Gauguin.
Eppure, di fronte a uomini particolarmente interessati a trovare risposte, ce ne sono molti altri che vivono nell’indifferenza più totale.
Ciò nonostante, ritengo che tutti gli uomini nascano con il seme della Filosofia; basta guardare il comportamento dei bambini e tutti i loro spontanei perché?
Curiositas è il termine latino che contraddistingue la tendenza a domandarsi il perché delle cose. Nessun bambino cresce e si sviluppa senza il formicolio della curiositas che lo spinge a investigare le cause degli eventi; tuttavia, non tutti hanno la fortuna di essere incoraggiati nella loro naturale inclinazione alla ricerca. A volte rispondiamo loro con sentenze lapidarie, altre volte forniamo spiegazioni dogmatiche, altre ancora diamo motivazioni fantasiose o smorziamo la domanda non dandone proprio.
Tutte le volte in cui un bambino non riceve una risposta che lo spinga a investigare oltre, la naturale curiositas viene smorzata sempre di più, sempre di più, finché non si spegne in silenzio e la fatidica domanda viene avvertita non più come uno stimolo ma come un fastidio.
La curiositas può tornare molti anni più tardi ma in una forma più matura.
Difatti, c’è una fondamentale differenza tra la curiositas del bambino e la ricerca filosofica dell’adulto.
La prima, come accennato in precedenza, è soltanto un seme che non attende altro di germogliare; le domande del bambino sono domande che nascono non dal thauma, dal terrore filosofico, bensì da una sorta di gioco con la vita.
Nella fase infantile, il bambino non ha ancora afferrato il concetto di divenire; vive in un mondo senza tempo che, per quanto ne sa, non sarà mai diverso da come lo percepisce in quel momento. Non gli si è ancora prospettata la visione del Nulla e i suoi perché sono domande spontanee e innocenti sulle regole di una vita che, per ora, è avvertita soltanto come un gioco.
Soltanto quando la curiositas germoglia spinta dalle esperienze della nostra vita possono crearsi i presupposti per far radicare in noi l’albero della Filosofia; tuttavia, esso richiede un terreno fertile, ossia un animo che, dopo il terrore iniziale, non arretri spaventato di fronte all’Abisso ma che abbia il coraggio di tuffarsi direttamente nel baratro."

La filosofia è una cosa da folli, Echos edizioni
Acquistabile su Ibs.it: http://www.ibs.it/code/9788898824618/palmieri-daniele/filosofia-e-una-cosa.html

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