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venerdì 15 aprile 2016

René Girard e il capro espiatorio


René Girard è uno di quei pensatori che tutti dovrebbero conoscere, affinché siano chiari i meccanismi psicologici che vengono a galla durante le profonde crisi storiche, come quelle che stiamo vivendo negli ultimi anni: la crisi economica e la crisi umanitaria delle grandi migrazioni.

La sua teoria del capro espiatorio svela i meccanismi primordiali che si innescano quando l'uomo tenta di risolvere in maniera irrazionale tali crisi, sfociando inevitabilmente nella violenza.
Alla base della teoria girardiana vi è un'intuizione contenuta in una delle sue prime opere, Menzogna romantica e verità romanzesca, dove l'antropologo francese analizza i principali romanzieri dell’europa, ossia Dostoevskij, Proust, Stendhal e Cervantes.
Secondo Girard, gli autori in questione svelano un processo mentale comune a tutti gli uomini di ogni epoca e ogni paese, ossia il desiderio mimetico.
L’uomo è essenzialmente un animale mimetico; noi pensiamo che i nostri desideri nascano da dentro di noi, ma in realtà non ci accorgiamo di come essi nascano dall’imitazione delle azioni altrui.
L’uomo si fissa dei modelli di vita, che possono essere ideali piuttosto che realmente esistenti, e agisce imitando questi modelli.
In particolare, egli desidera ciò che anche il suo modello desidera, sia in positivo – tendendo verso le stesse cose – sia in negativo – facendo il contrario di ciò che fa il modello.
Facendo un esempio pragmatico, Girard non fa né più né meno che descrivere il meccanismo psicologico alla base della moda.
Noi vediamo che gli altri indossano un certo capo di abbigliamento e, per quanto assurdo possa essere, iniziamo a desiderarlo non perché ci piace ma perché anche l’altra persona lo sta indossando.
Applicato alla moda il desiderio mimetico è relativamente un problema; se a uno interessa spere soldi soltanto per imitare gli altri sono affari suoi.
Il problema sorge quando l’oggetto del desiderio è qualcosa di limitato, che non può bastare per tutti. E’ ciò che succede ne Il rosso e il nero di Stendhal, dove il sindaco Renal vuole assumere il precettore Julien per la figlia convinto che il suo Valenod voglia fare lo stesso. In realtà Valenod non aveva la minima intenzione di farlo ma poco tempo dopo si crea in lui il desiderio di assumere Julien, come ha fatto il suo rivale. Nasce, dunque, una situazione di conflitto dove ciò che conta non è l’oggetto del desiderio in sé ma il predominare sull’altro.
Il desiderio mimetico è poi ripreso e ampliato e analizzato secondo un’altra prospettiva ne il capro espiatorio.
Come accennato in precedenza, questo testo analizza come l’uomo reagisce alle situazioni di crisi e lo fa partendo analizzando da un lato i testi di persecuzione contro gli ebrei nel XII secolo e nell’altro i processi alle streghe del 1600.
In entrambi i casi c’è una situazione di crisi; nel primo la peste che sta investendo l’europa e nel secondo una situazione conflittuale dovuta ai movimenti protestanti e alla reazione della chiesa.
In entrambi i casi si tenta di risolvere la crisi trovando quello che Girard definisce un capro espiatorio e si sfocia, inevitabilmente, nella violenza.
Il capro espiatorio è l’agnello sacrificale che viene ritenuto la causa di tutta la crisi e le persecuzioni che subisce sono sempre le stesse, in ogni epoca, al di là del tipo di crisi o dell’identità dei persecutori, e Girard le elenca in un capito illuminante de il capro espiatorio chiamato, appunto, gli stereotipi dellla persecuzione.
Il primo, già accennato, è una situazione di crisi, che può essere la peste piuttosto che la crisi economica; il gruppo etnico dominante non dà la colpa a se stesso per quanto sta accadendo ma individua una singola persona o un gruppo debole ed emarginato addossandogli tutte le colpe.
Il secondo è quello delle accuse stereotipate; si tenta in ogni modo di disumanizzare il gruppo etnico prescelto addossandogli crimini efferati, che spesso hanno a che fare con i tabù che più ci disgustano. Ad esempio, gli ebrei così come le streghe nei testi citati di Girard sono accusati di stupri, incesti, rapimento e uccisione di bambini, cannibalismo e tutti quei crimini che consideriamo ancora più gravi dei crimini comuni.
In questo modo, il gruppo prescelto viene percepito come qualcosa d’altro, come un gruppo completamente diverso da noi che, necessariamente, deve essere la causa scatenante di ogni male.
E i crimini che vengono loro affibbiati non sono mai comprovati; sono dicerie, voci di corridoio, nulla di certo ma che basta a soddisfare la pancia della gente e a scatenare l’odio represso.
Infine, la parte più drammatica: la violenza. Il gruppo etnico prescelto come capro espiatorio viene condannato, perseguitato e eliminato, di solito durante processi di piazza e linciato dalla folla.
Passando alla situazione attuale, è possibile notare come le condizioni descritte da Girard siano presenti anche nel nostro periodo storico.
Siamo in un momento di profonda crisi economica, quasi ai livelli di quella antecedente la seconda guerra mondiale.
Allo stesso tempo, stiamo vivendo una profonda crisi umanitaria; centinaia di persone stanno approdando sulle coste dell’europa nella speranza di trovare un futuro migliore.
Di fronte a queste due crisi che appartengono a cause geopolitiche differenti, l’uomo crea delle connessioni inesistenti nella speranza di risolvere la crisi economica e pensa: le cose stanno andando male, la nostra terra sta venendo assaltata da migliaia di migranti, la causa della crisi economica deve essere dei migranti – o dei rom, di solito chi fa questi discorsi mette tutto assieme.
Piuttosto che ricercare la colpa in se stessi, si comincia a perseguitare il diverso, sperando di risolvere, in questo modo, i problemi che ci attanagliano.
E, come è possibile notare, in questi anni stanno venendo a galla tutti gli stereotipi della persecuzione con i quali venivano descritti gli ebrei o le streghe; si accusa i migranti di stupri, rapine, a volte di uccisioni di animali domestici, girano voci secondo le quali i migranti alloggerebbero in hotel a cinque stelle e tutto ciò non fa che alimentare l’odio represso che inevitabilmente non può che sfociare in violenze incontrollabili.
Per ora non siamo ancora giunti al terzo stereotipo: la violenza, il genocidio. Ma dal secondo al terzo il passo è molto breve.

Daniele Palmieri

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