Vi è un filo conduttore che unisce tutte le ricerche filosofiche, religiose, magiche, esoteriche e sciamaniche: l'idea che esista, nell'uomo, un principio vitale invisibile e che esso possa ottenere l'immortalità.
Questo principio invisibile è stato chiamato in molti modi, ma uno dei nomi più diffusi è senz'altro quello di: anima, il soffio vitale senza il quale un organismo è soltanto un corpo morto.
Un'altra idea costante è che l'anima non sia un fenomeno semplice: non esiste un solo tipo di anima, essa è molteplice così come molteplici sono le sue manifestazioni, e se anche viene concepita, nell'essere vivente, come un "tutto unitario", essa è tuttavia suscettibile a un'analisi anatomica, che ne suddivide le tipologie e le facoltà. Una delle più chiare rappresentazioni di questo concetto è, ad esempio, suddivisione dell'anima di Aristotele, che pur ritenendo l'indivisibilità dell'anima umana, ritiene tuttavia che a livello concettuale essa possa essere suddivisa in anima vegetativa, anima sensitiva, anima razionale e anima intellettiva.
Come accennato in precedenza, all'anima viene sempre riservato un trattamento di favore rispetto al corpo. Ad essa sembrano appartenere caratteristiche invisibili e impercettibili, come il pensiero, che ne suggeriscono un natura differente. E, come sostenne Cartesio, un altro dei grandi "anatomisti" dell'anima, dato che tutte le qualità dell'anima sembrano non appartenere al corpo, ma essere anzi affini a tutto ciò che vi è di eterno e invisibile, anche l'anima, separata dal corpo, deve essere ritenuta immortale.
Senza poter entrare nel dettaglio della molteplicità di visioni circa le parti dell'anima, la sua composizione, il suo destino e la sua immortalità, è tuttavia un fatto innegabile che gran parte di queste tradizioni diano per scontato, o arrivino alla conclusione, che esista un'anima e che quest'anima sia immortale.
L'uomo nasce con l'anima e con l'immortalità. Può perdere, senz'altro, o l'una o l'altra, ma questo avviene per una colpa, un errore, un peccato; per una azione che dipende dalla sua volontà e che, in ogni caso, implica il fatto che prima possedesse sia l'anima sia l'immortalità, esattamente come, per perdere un mazzo di chiavi, bisogna prima averlo avuto in tasca.
Ma questa concezione di un possesso "passivo" dell'anima e dell'immortalità potrebbe essere sempre stata un grande inganno. E' quello che pensa George Ivanovic Gurdjieff, per il quale né l'anima né l'immortalità sono un dato di fatto, bensì una conquista evolutiva, che soltanto pochi eletti sono in grado di sviluppare dopo lunghi sacrifici. Come scrive Ouspensky, citando le sue parole, in Frammenti di un insegnamento sconosciuto: "L'immortalità è una di quelle qualità che l'uomo si attribuisce senza avere una sufficiente comprensione del loro significato. Altre qualità di questo genere sono l'individualità, nel senso di unità interiore, l'Io permanente ed immutabile, la coscienza e la volontà. Tutte queste possono appartenere all'uomo, ma ciò non significa certo che esse già gli appartengono di fatto o possano appartenere a chiunque" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 48).
L'anima e l'immortalità sono una conquista. Pensare di possederle, senza far nulla, fin dalla nascita, è o una menzogna o un inganno, in ogni caso un abbaglio che spinge l'uomo alla pigrizia spirituale e che lo relega a un'esistenza in balia di forze meccanicistiche, contro le quali non può nulla.
Riflettendo su come si è perpetrato questo inganno, Gurdjieff analizza la suddivisione più diffusa dell'anima umana, secondo la quale l'uomo è composto da quattro corpi:
1) Corpo fisico (tradizione cristiana e teosofica) o "carrozza/corpo materiale" (tradizione orientale ma anche platonica): il corpo biologico, il cui sviluppo è principalmente meccanico. Esso corrisponde a quella che Aristotele chiamava anima vegetativa ed è preposto a tutte le funzioni fisiologiche di base.
2) Corpo naturale (tradizione cristiana), corpo astrale (tradizione teosofica) o "cavallo/sentimenti" (tradizione orientale e platonica): il "corpo emozionale", che Aristotele chiamava anima sensitiva, dal quale dipendono emozioni e sentimenti, da quelli più bassi a quelli più alti.
3) Corpo spirituale (tradizione cristiana), corpo mentale (tradizione teosofica) cocchiere/pensiero (tradizione orientale e platonica): il corpo dal quale dipende il pensiero, chiamato da Aristotele anima razionale.
4) Corpo divino (tradizione cristiana), corpo causale (tradizione teosofica), "padrone/volontà" (tradizione orientale e platonica): il corpo divino, dal quale dipende la Volontà più alta; è il più importante tra i quattro, che Aristotele chiamava anima intellettiva, e che riteneva affine alla sostanza eterna delle verità universali.
Come accennato, Gurdjieff ritiene che gran parte delle tradizioni filosofiche, religiose ed esoteriche abbiano formulato una concezione simile, legata a una quadripartizione dell'anima, dando per scontato che l'uomo, nel corso del suo sviluppo, cresca accompagnato da tutti e quattro questi corpi. Ciò che varia è soltanto "l'educazione interiore", che porta alcuni individui a sviluppare un controllo superiore dei corpi più elevati su quelli più bassi. Ma la loro "proprietà" non viene messa in discussione.
Tuttavia, per Gurdjieff: "L'uomo non nasce con i corpi sottili [...] questi richiedono una cultura artificiale, possibile solo in determinate condizioni, esteriori e interiori, favorevoli. Il corpo astrale non è un complemento indispensabile per l'uomo. E' un gran lusso, che non è alla portata di tutti. L'uomo può vivere benissimo senza corpo astrale. Il suo corpo fisico possiede tutte le funzioni necessarie alla vita" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 49-50).
L'idea gurdjieffiana apre nuovi spiragli nella comprensione dell'evoluzione spirituale dell'uomo. Per quasi tutte le tradizioni esoteriche antiche, infatti, l'esistenza dei corpi sottili o di un'anima spirituale separata dal corpo, è pressoché un dato di fatto. Nella concezione ordinaria, l'uomo nasce già con questa scintilla divina e, spesso, il lavoro principale consiste nel liberarla.
Ma molti non riescono in questo scopo; e questo perché, nella maggior parte dei casi, si cerca di ravvivare un fuoco che ancora non è stato acceso. Per Gurdjieff, i corpi sottili non sono un dato di fatto, né un'appendice che nasce, cresce e si evolve con l'uomo. L'unico corpo che è dato all'uomo, fin dalla nascita, è il corpo fisico, che si sviluppa in maniera meccanica in tutte le sue componenti, compresa la coscienza ordinaria che, lungi dall'essere l'anima separata dal corpo di cui parlano le tradizioni esoteriche, non è altro che un sottoprodotto della macchina, una sua funzione fisiologica così come il respiro o il battito del cuore, succube di influenze interne ed esterne contro le quali, nel suo stadio ordinario, può fare ben poco. Allo stesso modo, le emozioni e i pensieri che popolano l'uomo, non sono prodotti dai corpi sottili più alti, ma possono benissimo essere ricondotti alle facoltà più basse del corpo fisico e alla sua azione meccanica. Sempre citando le sue parole: "Nel caso delle funzioni di un uomo avente soltanto il corpo fisico, l'automa dipende dalle influenze esteriori, e le altre funzioni dipendono dal corpo fisico e dalle influenze esteriori che esso riceve. Desideri o avversioni [...] dipendono dagli choc e dalle influenze accidentali. Il pensare [...] è un processo interamente automatico. La volontà manca all'uomo meccanico: egli ha soltanto desideri; la maggiore o minore permanenza dei suoi desideri e appetiti è chiamata una forte o debole volontà" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 51).
La differenza tra un'emozione meccanica, un pensiero meccanico, una coscienza meccanica e un'emozione spirituale, un pensiero spirituale e una coscienza spirituale risulta evidente in quei pochi individui, dalle facoltà straordinarie, che nel corso degli anni sono riusciti non a educare i propri corpi spirituali, bensì a crearli, a produrli, mediante l'esercizio: "Nel caso di un uomo in possesso dei quattro corpi, l'automatismo del corpo fisico dipende dall'influenza degli altri corpi. In luogo dell'attività discorse e spesso contraddittoria dei differenti desideri, vi è un unico Io, intero, indivisibile e permanente, vi è una individualità che domina il corpo fisico e i suoi desideri, e può superare le sue ripugnanze e le sue resistenze. Invece di un processo meccanico di pensiero, vi è la coscienza. E vi è la volontà, vale a dire un potere non più composto semplicemente da desideri svariati, il più delle volte contraddittori, appartenenti a diversi io, ma derivante dalla coscienza e governato dall'individualità o da un Io unico e permanente. Soltanto questa volontà può essere chiamata libera, perché essa è indipendente dall'accidente e non può essere alterata, né diretta all'esterno" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 51).
Tre sono le vie che, nel corso dei millenni, da oriente a occidente, hanno percorso la via dello sviluppo dei corpi sottili dell'uomo:
1) La via del fachiro: la via della lotta costante contro il proprio fisico. In essa, si lavora per assumere il completo controllo sulla macchina del corpo, sottoponendola alle più atroci torture - ad esempio, costringendosi a rimanere immobili, nella stessa posizione, per giorni, mesi o addirittura anni, a privarsi di cibo, acqua, sonno e sottoponendosi a sfide sovraumane. Al termine di questo lungo apprendistato, non vi è nulla che può scalfire il corpo del fachiro e, tuttavia, per raggiungere questo risultato, egli ha dovuto abdicare alle funzioni emotive e intellettuali.
2) La via del monaco: la via della fede, della sottomissione mistica, del sacrificio individuale. Come il fachiro, anche il monaco trascorre l'intera sua esistenza in una lotta incessante contro se stesso, che nella tradizione religiosa prende il nome di psicomachia, lotta dell'anima. Ma, sebbene come il fachiro egli si trovi a confrontarsi con il suo corpo, il suo nemico principale sono i sentimenti. Egli sottomette la molteplicità di emozioni che popolano la sua interiorità, personificate, nelle visioni mistiche, in demoni dagli aspetti terribili, all'unica emozione degna di essere vissuta: la fede, appunto. Tuttavia, come la via del fachiro, anche la via del monaco lascia deve sacrificare tutti gli altri aspetti della totalità umana e anche il monaco perfetto si trova costretto a lasciare da parte il corpo fisico e le facoltà intellettuali.
3) La via dello yogi: la via della conoscenza e dell'intelletto. Lo yogi trascorre l'intera sua esistenza a sviluppare l'intelletto, unendosi con l'intelligenza divina e penetrando nei misteri dell'esistenza. La sua coscienza si estende fino a inglobare l'intero cosmo e divenire un tutt'uno con esso, mediante l'atto yogico. Ma anche questa via si lascia indietro due componenti: le emozioni e il corpo.
Ciò che risulta evidente, studiando queste tre vie, è che i loro risultati possono essere conseguiti soltanto dopo anni di sacrifici, martiri, privazioni. Nella concezione filosofica Gurjieffiana, a metà tra realismo e pessimismo, è come se la Natura non avesse previsto che l'uomo potesse accedere a simili facoltà e che anzi essa ne osteggi lo sviluppo e che le nascondi dietro la maschera del corpo fisico: d'altro canto, come sostiene Gurdjieff, non è essenziale sviluppare i corpi sottili per poter sopravvivere; a questo fine è più che funzionale la macchina biologica, che però si arresta quando l'essere umano punta più in alto, scorgendo l'immortalità. Perciò, lo sviluppo delle facoltà sottili sarà sempre un atto titanico e prometeico: un gesto proibito, blasfemo. Come disse Gurdjieff: "La via dello sviluppo delle possibilità nascoste è una via contro la natura, contro Dio. Ciò spiega la difficoltà e il carattere esclusivo delle vie. Esse sono ardue e strette. Ma al tempo stesso nulla potrebbe essere raggiunto senza di esse. Nell'oceano della vita ordinaria, e specialmente della vita moderna, le vie sono un fenomeno piccolo, appena percettibile, che dal punto di vista della vita stessa, non ha la minima ragione d'essere. Ma questo piccolo fenomeno contiene in se stesso tutto ciò di cui l'uomo può disporre per lo sviluppo delle sue possibilità nascoste. Le vie si oppongono alla vita di tutti i giorni, basata su altri principi e assoggettata ad altre leggi. In ciò consiste il loro potere e il loro significato. In una vita ordinaria, per quanto colma di interessi filosofici, scientifici, religiosi o sociali, non vi è nulla e non può esservi nulla che offra le possibilità contenute nelle vie. Esse conducono o potrebbero condurre l'uomo all'immortalità. La vita mondana, anche la più riuscita, conduce alla morte e non potrebbe condurre a nient'altro" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 56).
Ma anche in questi poderosi sforzi volti a sviluppare l'immortalità e le facoltà sottili si nasconde un errore, sostiene Gurdjieff. Le tre vie, prese singolarmente, sono monche. Tutte portano all'estremo limite un aspetto dell'umano, raggiungendo l'immortalità sviluppando o il corpo, o le emozioni o l'intelletto. Tutte, inoltre, offrono l'immortalità ma a prezzo del sacrificio più grande: il sacrificio di se stessi.
Da questa mancanza prende forma il suo sentiero spirituale: la quarta via. "La quarta via" dice Gurdjieff "non richiede che ci si ritiri dal mondo, non esige la rinuncia a tutto ciò che formava la nostra vita. [...] Questo sapere rende possibile un lavoro simultaneo nelle tre direzioni. Tutta una serie di esercizi paralleli sui tre piani: fisico, mentale ed emozionale, servono a questo scopo. [...] La quarta via è talvolta chiamata la via dell'uomo astuto" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, pp. 58-59). La quarta via di Gurdjieff è uno dei primi tentativi occulti di risvegliare la macchina umana all'interno del contesto automatizzato in cui essa è inserita, senza separarla dalla realtà comune ma, anzi, mettendola di fronte ai meccanismi paradossali in cui essa è inserita.
Questo principio invisibile è stato chiamato in molti modi, ma uno dei nomi più diffusi è senz'altro quello di: anima, il soffio vitale senza il quale un organismo è soltanto un corpo morto.
Un'altra idea costante è che l'anima non sia un fenomeno semplice: non esiste un solo tipo di anima, essa è molteplice così come molteplici sono le sue manifestazioni, e se anche viene concepita, nell'essere vivente, come un "tutto unitario", essa è tuttavia suscettibile a un'analisi anatomica, che ne suddivide le tipologie e le facoltà. Una delle più chiare rappresentazioni di questo concetto è, ad esempio, suddivisione dell'anima di Aristotele, che pur ritenendo l'indivisibilità dell'anima umana, ritiene tuttavia che a livello concettuale essa possa essere suddivisa in anima vegetativa, anima sensitiva, anima razionale e anima intellettiva.
Come accennato in precedenza, all'anima viene sempre riservato un trattamento di favore rispetto al corpo. Ad essa sembrano appartenere caratteristiche invisibili e impercettibili, come il pensiero, che ne suggeriscono un natura differente. E, come sostenne Cartesio, un altro dei grandi "anatomisti" dell'anima, dato che tutte le qualità dell'anima sembrano non appartenere al corpo, ma essere anzi affini a tutto ciò che vi è di eterno e invisibile, anche l'anima, separata dal corpo, deve essere ritenuta immortale.
Senza poter entrare nel dettaglio della molteplicità di visioni circa le parti dell'anima, la sua composizione, il suo destino e la sua immortalità, è tuttavia un fatto innegabile che gran parte di queste tradizioni diano per scontato, o arrivino alla conclusione, che esista un'anima e che quest'anima sia immortale.
L'uomo nasce con l'anima e con l'immortalità. Può perdere, senz'altro, o l'una o l'altra, ma questo avviene per una colpa, un errore, un peccato; per una azione che dipende dalla sua volontà e che, in ogni caso, implica il fatto che prima possedesse sia l'anima sia l'immortalità, esattamente come, per perdere un mazzo di chiavi, bisogna prima averlo avuto in tasca.
Ma questa concezione di un possesso "passivo" dell'anima e dell'immortalità potrebbe essere sempre stata un grande inganno. E' quello che pensa George Ivanovic Gurdjieff, per il quale né l'anima né l'immortalità sono un dato di fatto, bensì una conquista evolutiva, che soltanto pochi eletti sono in grado di sviluppare dopo lunghi sacrifici. Come scrive Ouspensky, citando le sue parole, in Frammenti di un insegnamento sconosciuto: "L'immortalità è una di quelle qualità che l'uomo si attribuisce senza avere una sufficiente comprensione del loro significato. Altre qualità di questo genere sono l'individualità, nel senso di unità interiore, l'Io permanente ed immutabile, la coscienza e la volontà. Tutte queste possono appartenere all'uomo, ma ciò non significa certo che esse già gli appartengono di fatto o possano appartenere a chiunque" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 48).
L'anima e l'immortalità sono una conquista. Pensare di possederle, senza far nulla, fin dalla nascita, è o una menzogna o un inganno, in ogni caso un abbaglio che spinge l'uomo alla pigrizia spirituale e che lo relega a un'esistenza in balia di forze meccanicistiche, contro le quali non può nulla.
Riflettendo su come si è perpetrato questo inganno, Gurdjieff analizza la suddivisione più diffusa dell'anima umana, secondo la quale l'uomo è composto da quattro corpi:
1) Corpo fisico (tradizione cristiana e teosofica) o "carrozza/corpo materiale" (tradizione orientale ma anche platonica): il corpo biologico, il cui sviluppo è principalmente meccanico. Esso corrisponde a quella che Aristotele chiamava anima vegetativa ed è preposto a tutte le funzioni fisiologiche di base.
2) Corpo naturale (tradizione cristiana), corpo astrale (tradizione teosofica) o "cavallo/sentimenti" (tradizione orientale e platonica): il "corpo emozionale", che Aristotele chiamava anima sensitiva, dal quale dipendono emozioni e sentimenti, da quelli più bassi a quelli più alti.
3) Corpo spirituale (tradizione cristiana), corpo mentale (tradizione teosofica) cocchiere/pensiero (tradizione orientale e platonica): il corpo dal quale dipende il pensiero, chiamato da Aristotele anima razionale.
4) Corpo divino (tradizione cristiana), corpo causale (tradizione teosofica), "padrone/volontà" (tradizione orientale e platonica): il corpo divino, dal quale dipende la Volontà più alta; è il più importante tra i quattro, che Aristotele chiamava anima intellettiva, e che riteneva affine alla sostanza eterna delle verità universali.
Come accennato, Gurdjieff ritiene che gran parte delle tradizioni filosofiche, religiose ed esoteriche abbiano formulato una concezione simile, legata a una quadripartizione dell'anima, dando per scontato che l'uomo, nel corso del suo sviluppo, cresca accompagnato da tutti e quattro questi corpi. Ciò che varia è soltanto "l'educazione interiore", che porta alcuni individui a sviluppare un controllo superiore dei corpi più elevati su quelli più bassi. Ma la loro "proprietà" non viene messa in discussione.
Tuttavia, per Gurdjieff: "L'uomo non nasce con i corpi sottili [...] questi richiedono una cultura artificiale, possibile solo in determinate condizioni, esteriori e interiori, favorevoli. Il corpo astrale non è un complemento indispensabile per l'uomo. E' un gran lusso, che non è alla portata di tutti. L'uomo può vivere benissimo senza corpo astrale. Il suo corpo fisico possiede tutte le funzioni necessarie alla vita" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 49-50).
L'idea gurdjieffiana apre nuovi spiragli nella comprensione dell'evoluzione spirituale dell'uomo. Per quasi tutte le tradizioni esoteriche antiche, infatti, l'esistenza dei corpi sottili o di un'anima spirituale separata dal corpo, è pressoché un dato di fatto. Nella concezione ordinaria, l'uomo nasce già con questa scintilla divina e, spesso, il lavoro principale consiste nel liberarla.
Ma molti non riescono in questo scopo; e questo perché, nella maggior parte dei casi, si cerca di ravvivare un fuoco che ancora non è stato acceso. Per Gurdjieff, i corpi sottili non sono un dato di fatto, né un'appendice che nasce, cresce e si evolve con l'uomo. L'unico corpo che è dato all'uomo, fin dalla nascita, è il corpo fisico, che si sviluppa in maniera meccanica in tutte le sue componenti, compresa la coscienza ordinaria che, lungi dall'essere l'anima separata dal corpo di cui parlano le tradizioni esoteriche, non è altro che un sottoprodotto della macchina, una sua funzione fisiologica così come il respiro o il battito del cuore, succube di influenze interne ed esterne contro le quali, nel suo stadio ordinario, può fare ben poco. Allo stesso modo, le emozioni e i pensieri che popolano l'uomo, non sono prodotti dai corpi sottili più alti, ma possono benissimo essere ricondotti alle facoltà più basse del corpo fisico e alla sua azione meccanica. Sempre citando le sue parole: "Nel caso delle funzioni di un uomo avente soltanto il corpo fisico, l'automa dipende dalle influenze esteriori, e le altre funzioni dipendono dal corpo fisico e dalle influenze esteriori che esso riceve. Desideri o avversioni [...] dipendono dagli choc e dalle influenze accidentali. Il pensare [...] è un processo interamente automatico. La volontà manca all'uomo meccanico: egli ha soltanto desideri; la maggiore o minore permanenza dei suoi desideri e appetiti è chiamata una forte o debole volontà" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 51).
La differenza tra un'emozione meccanica, un pensiero meccanico, una coscienza meccanica e un'emozione spirituale, un pensiero spirituale e una coscienza spirituale risulta evidente in quei pochi individui, dalle facoltà straordinarie, che nel corso degli anni sono riusciti non a educare i propri corpi spirituali, bensì a crearli, a produrli, mediante l'esercizio: "Nel caso di un uomo in possesso dei quattro corpi, l'automatismo del corpo fisico dipende dall'influenza degli altri corpi. In luogo dell'attività discorse e spesso contraddittoria dei differenti desideri, vi è un unico Io, intero, indivisibile e permanente, vi è una individualità che domina il corpo fisico e i suoi desideri, e può superare le sue ripugnanze e le sue resistenze. Invece di un processo meccanico di pensiero, vi è la coscienza. E vi è la volontà, vale a dire un potere non più composto semplicemente da desideri svariati, il più delle volte contraddittori, appartenenti a diversi io, ma derivante dalla coscienza e governato dall'individualità o da un Io unico e permanente. Soltanto questa volontà può essere chiamata libera, perché essa è indipendente dall'accidente e non può essere alterata, né diretta all'esterno" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 51).
Tre sono le vie che, nel corso dei millenni, da oriente a occidente, hanno percorso la via dello sviluppo dei corpi sottili dell'uomo:
1) La via del fachiro: la via della lotta costante contro il proprio fisico. In essa, si lavora per assumere il completo controllo sulla macchina del corpo, sottoponendola alle più atroci torture - ad esempio, costringendosi a rimanere immobili, nella stessa posizione, per giorni, mesi o addirittura anni, a privarsi di cibo, acqua, sonno e sottoponendosi a sfide sovraumane. Al termine di questo lungo apprendistato, non vi è nulla che può scalfire il corpo del fachiro e, tuttavia, per raggiungere questo risultato, egli ha dovuto abdicare alle funzioni emotive e intellettuali.
2) La via del monaco: la via della fede, della sottomissione mistica, del sacrificio individuale. Come il fachiro, anche il monaco trascorre l'intera sua esistenza in una lotta incessante contro se stesso, che nella tradizione religiosa prende il nome di psicomachia, lotta dell'anima. Ma, sebbene come il fachiro egli si trovi a confrontarsi con il suo corpo, il suo nemico principale sono i sentimenti. Egli sottomette la molteplicità di emozioni che popolano la sua interiorità, personificate, nelle visioni mistiche, in demoni dagli aspetti terribili, all'unica emozione degna di essere vissuta: la fede, appunto. Tuttavia, come la via del fachiro, anche la via del monaco lascia deve sacrificare tutti gli altri aspetti della totalità umana e anche il monaco perfetto si trova costretto a lasciare da parte il corpo fisico e le facoltà intellettuali.
3) La via dello yogi: la via della conoscenza e dell'intelletto. Lo yogi trascorre l'intera sua esistenza a sviluppare l'intelletto, unendosi con l'intelligenza divina e penetrando nei misteri dell'esistenza. La sua coscienza si estende fino a inglobare l'intero cosmo e divenire un tutt'uno con esso, mediante l'atto yogico. Ma anche questa via si lascia indietro due componenti: le emozioni e il corpo.
Ciò che risulta evidente, studiando queste tre vie, è che i loro risultati possono essere conseguiti soltanto dopo anni di sacrifici, martiri, privazioni. Nella concezione filosofica Gurjieffiana, a metà tra realismo e pessimismo, è come se la Natura non avesse previsto che l'uomo potesse accedere a simili facoltà e che anzi essa ne osteggi lo sviluppo e che le nascondi dietro la maschera del corpo fisico: d'altro canto, come sostiene Gurdjieff, non è essenziale sviluppare i corpi sottili per poter sopravvivere; a questo fine è più che funzionale la macchina biologica, che però si arresta quando l'essere umano punta più in alto, scorgendo l'immortalità. Perciò, lo sviluppo delle facoltà sottili sarà sempre un atto titanico e prometeico: un gesto proibito, blasfemo. Come disse Gurdjieff: "La via dello sviluppo delle possibilità nascoste è una via contro la natura, contro Dio. Ciò spiega la difficoltà e il carattere esclusivo delle vie. Esse sono ardue e strette. Ma al tempo stesso nulla potrebbe essere raggiunto senza di esse. Nell'oceano della vita ordinaria, e specialmente della vita moderna, le vie sono un fenomeno piccolo, appena percettibile, che dal punto di vista della vita stessa, non ha la minima ragione d'essere. Ma questo piccolo fenomeno contiene in se stesso tutto ciò di cui l'uomo può disporre per lo sviluppo delle sue possibilità nascoste. Le vie si oppongono alla vita di tutti i giorni, basata su altri principi e assoggettata ad altre leggi. In ciò consiste il loro potere e il loro significato. In una vita ordinaria, per quanto colma di interessi filosofici, scientifici, religiosi o sociali, non vi è nulla e non può esservi nulla che offra le possibilità contenute nelle vie. Esse conducono o potrebbero condurre l'uomo all'immortalità. La vita mondana, anche la più riuscita, conduce alla morte e non potrebbe condurre a nient'altro" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 56).
Ma anche in questi poderosi sforzi volti a sviluppare l'immortalità e le facoltà sottili si nasconde un errore, sostiene Gurdjieff. Le tre vie, prese singolarmente, sono monche. Tutte portano all'estremo limite un aspetto dell'umano, raggiungendo l'immortalità sviluppando o il corpo, o le emozioni o l'intelletto. Tutte, inoltre, offrono l'immortalità ma a prezzo del sacrificio più grande: il sacrificio di se stessi.
Da questa mancanza prende forma il suo sentiero spirituale: la quarta via. "La quarta via" dice Gurdjieff "non richiede che ci si ritiri dal mondo, non esige la rinuncia a tutto ciò che formava la nostra vita. [...] Questo sapere rende possibile un lavoro simultaneo nelle tre direzioni. Tutta una serie di esercizi paralleli sui tre piani: fisico, mentale ed emozionale, servono a questo scopo. [...] La quarta via è talvolta chiamata la via dell'uomo astuto" (Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, pp. 58-59). La quarta via di Gurdjieff è uno dei primi tentativi occulti di risvegliare la macchina umana all'interno del contesto automatizzato in cui essa è inserita, senza separarla dalla realtà comune ma, anzi, mettendola di fronte ai meccanismi paradossali in cui essa è inserita.
Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio
Daniele Palmieri
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