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lunedì 17 settembre 2018

Pirsig: Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta

Ho percorso molti km in bicicletta, sia per il tragitto casa-lavoro sia per esplorare. Amo lo spirito di libertà delle due ruote, il viaggio lento a contatto con il paesaggio, la possibilità di imboccare sentieri nascosti e impervi, che non potrebbero essere né percorsi né scoperti con le ingombranti automobili.
Dopo un viaggio in Maine e centinaia di km percorsi su una vecchia bicicletta degli anni '60 lungo strade deserte nei boschi, ho deciso di "approfondire" il mondo delle due ruote e di comprarmi la mia prima moto, per poter viaggiare a contatto con il il paesaggio, a velocità limitata, ma con la possibilità di percorrere più km rispetto a quelli consentiti dalla fatica delle gambe.
Ho comprato un Mash 125 del 2016 e il mondo delle due ruote a motore mi ha subito rapido; se già in bici si respira un'aria di libertà, in moto la sensazione è ancor più amplificata. Anche delle semplici strade di campagna e di provincia diventano un'avventura, un'esplosione di suoni, odori, sensazioni; il vento che sibila nel casco, il rombo del motore e il clangore metallico degli ingranaggi, i profumi della campagna, i colori dell'erba, del cielo, dei campi.
Quando scopro qualcosa di nuovo, scatta la scintilla della "ossessione filosofica" e inizio ad approfondire tutto ciò che riguarda i sentieri conoscitivi ancora ignoti che si diramano di fronte a me. Il mondo della motocicletta non poteva fare eccezione, e così mi sono subito procurato uno dei grandi classici della letteratura dedicata ai viaggi sulle due ruote: Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig.
Definire questo libro non è semplice. E' un diario di viaggio ma anche un racconto autobiografico in cui Pirsig si confronta con il proprio passato, è un saggio sull'arte della manutenzione delle motociclette ma anche un'opera filosofica, è uno squarcio sulla saggezza orientale ma che affonda le sue radici soprattutto nella cultura filosofica occidentale. Di sicuro, non è una delle tante opere che infilano "zen" nel titolo per motivi commerciali. I motivi e i generi letterari si incrociano creando un prodotto che sfugge a ogni categorizzazione e, forse, la definizione perfetta è quella data dallo stesso Pirsig; Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta è un lungo e complesso Chautauqua

"Quel che ho in mente è una specie di Chautauqua [...] come i Chautauqua ambulanti che si rappresentavano sotto un tendone e si spostavano da un capo all'altro dell'America [...] una serie di conversazioni popolari intese a edificare e divertire, a migliorare l'intelletto e a portare cultura e illuminazione alle orecchie e ai pensieri degli ascoltatori" (Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, p. 18).

I diversi livelli narrativi si incrociano, si alternano, si compenetrano a creare un percorso tortuoso, a volte difficile da seguire ma sempre profondo e interessante, esattamente come i racconti orali e i discorsi popolari che non seguono mai una coerente linea retta ma che, come una strada di campagna, seguono i tornanti, le curve e le pendenze irregolari delle colline.
Il racconto di Pirsig si apre proprio con una strada di campagna; l'autore è in viaggio in moto, in America, con il figlio Chris e con una coppia, John e Sylvia. Fin dalle prime righe Pirsig è in grado di trasmettere le sensazioni uniche del viaggiare in motocicletta, la differenza abissale che sussiste tra il sedere rinchiusi in una scatola di ferraglie e il trovarsi a cavallo di un veicolo che sfreccia sul'asfalto, senza alcuna divisione tra il tuo corpo, il paesaggio e la moto stessa. Citando le sue parole:

"In macchina sei sempre in un abitacolo; ci sei abituato e non ti rendi conto che tutto quello che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare della TV. Sei un osservatore passivo e il paesaggio ti scorre accanto noiosissimo dentro una cornice. In moto la cornice non c'è più. Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più un spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente. E' incredibile quel cemento che sibila a dieci centimetri dal tuo piede, lo stesso su cui cammini, ed è proprio lì, così sfuocato eppure così vicino che col piede puoi toccarlo quando vuoi - un'esperienza che non si allontana mai dalla coscienza immediata" (Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, pp. 14-15).

Viaggiare in moto permette di assaporare il viaggio, di vivere le strade che si percorrono e, soprattutto, di scoprire quei tracciati che solitamente, in automobile, si eviterebbero. In moto si vive l'essenza stessa del viaggiare, che non consiste soltanto nel partire da un punto x, attraversare un'autostrada y e arrivare alla meta z, bensì nell'immergersi nel viaggio stesso, sentire gli odori, i profumi, le sensazioni della strada, percorrere tragitti tortuosi, non lineari, perdersi nelle strade secondarie, seguire le indicazioni che più ci affascinano. Nel primo caso, si è semplici turisti; nel secondo si è veri viaggiatori. Come scrive Pirsig:

"I programmi sono volutamente vaghi, abbiamo più voglia di viaggiare che non di arrivare in un posto prestabilito. [...] Diamo la preferenza alle strade secondarie [...]. Ci preoccupiamo più di come passiamo il tempo che non di quanto ne impieghiamo per arrivare: l'approccio cambia completamente [...]. Le strade che serpeggiano su per le colline sono lunghe, ma in moto sono più belle, in curva ti inclini senza andare a sbattere contro le pareti di un abitacolo. Le strade con poco traffico sono più gradevoli, oltre che più sicure, e anche quelle senza autogrill e cartelloni, strade dove boschetti e pascoli e frutteti si possono quasi toccare, dove i bambini ti fanno ciao con la mano e la gente guarda dalla veranda per vedere chi arriva" Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, p. 15).

La moto diviene così la chiave d'accesso alla filosofia Zen. Da un lato, poiché viaggiare in moto risveglia quel pensiero-senza-pensiero di cui parlano le filosofie orientali, come il Taoismo e il Buddhismo, ossia l'attenzione focalizzata su ciò che si sta facendo, senza il brusio di pensieri che normalmente ci attanagliano e ci confondono la mente con il loro rumore bianco indistinto. 
Questo perché, da un lato, il viaggio in moto necessita un'attenzione costante nei confronti della strada, del paesaggio, dei veicoli circostanti, dei rumori del motore e della motocicletta, del continuo gioco di freno, frizione, marce, acceleratore, della precisione nelle curve, della qualità stessa della strada su cui si sta viaggiando; tutti questi elementi costringono la mente a rimanere focalizzata esclusivamente su ciò che si sta facendo: e questa è forse l'essenza più profonda dello Zen, una concentrazione assoluta sul qui-e-ora, senza alcuna distrazione, che oblia qualsiasi altro pensiero, che cancella la distinzione tra passato, presente e futuro e immerge la mente in un attimo eterno fatto di puro sentire.
Dall'altro lato perché la manutenzione stessa della motocicletta porta la mente ad astrarsi dai suoi confini quotidiani; anche in questo caso, è richiesta un'attenzione precisa nei confronti dell'opera che si sta compiendo, occorre scoprire il disegno complessivo e astratto dei veicolo, "l'idea della motocicletta" direbbe Platone, l'archetipo, il modello che soggiace alla motocicletta che stiamo riparando per scoprire qual è l'elemento che se ne discosta e che ne impedisce il funzionamento. Come scrive Pirsig:

"Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore. Pensare altrimenti equivale a sminuire il Buddha - il che equivale a sminuire se stessi" (Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, p. 28).

Nel riparare la motocicletta si scopre un rapporto profondo tra uomo e macchina, laddove la macchina non è solo un prodotto arido e impersonale della tecnologia, ma una vera e propria opera d'arte, in cui il progetto razionale che soggiace a essa si fonde con gli elementi pratici e concreti che ne permettono il funzionamento, che sono allo stesso tempo "universali", poiché ogni modello di moto è costruito secondo un progetto generale, ma anche "particolari" e "soggettivi", a tal punto che ogni moto, secondo Pirsig, ha la propria personalità, conferita  dai difetti, dalle imperfezioni, dal rapporto instaurato con il suo motociclista, tutti elementi che la rendono unica.
Così, proprio nella moto Pirsig scopre il collante tra le visioni di pensiero contrapposte che da sempre hanno scisso in due parti la coscienza occidentale: la visione classica e la visione romantica. Secondo Pirsig, l'Occidente è sempre stato dilaniato da queste due visioni apparentemente opposte della realtà: da un lato l'intelletto classico: la coscienza razionale, razionalizzante, logica, che alla ricerca continua di nessi scientifici tra gli oggetti e le cause, la mente analitica che "smonta" la motocicletta per scoprire la funzione di ogni singolo pezzo; dall'altro lato l'intelletto romantico, teso a una visione generale della realtà, artistica ed emotiva, che predilige una lettura universale dei fenomeni rispetto a quella analitica, che considera la bellezza generale della motocicletta piuttosto che la conoscenza razionale e particolare del suo funzionamento.
In tutto il testo, Pirsig è alla ricerca continua di un principio in grado di unificare coscienza romantica e coscienza classica, che sia in grado di mostrare come le due prospettive di vedere il mondo siano in realtà due facce della stessa medaglia e come esista una prospettiva ancor più elevata, in grado di inglobare i due punti di vista apparentemente contrapposti. Una ricerca dell'unità che è, allo stesso tempo, una metafora della sua vita interiore; Pirsig ha vissuto infatti un'esperienza di "scissione" della propria coscienza, derivante dal suo passato travagliato e dai trascorsi in un manicomio dove ha subito anche l'elettro shock. Durante tale passato era iniziata la ricerca filosofica di un principio unificante della realtà e le riflessioni di tale ricerca sono attribuite, nel libro, alla sua "ombra", la parte scissa in cui l'auore fatica a riconoscersi e soprannominata "Fedro".
Dopo lunghe meditazioni filosofiche che si alternano al racconto del viaggio e si intrecciano alla biografia di "Fedro", tale principio unificante è identificato nella "Qualità". Secondo Pirsig-Fedro, ognuno di noi prova un'esperienza qualitativa dell'essere che, per semplificare, può essere descritta come la sensazione di "migliore" o "peggiore" che proviamo nei confronti delle cose. Una motocicletta funzionante è considerata qualitativamente migliore di una non funzionante; alcuni modelli peggiori o migliori di altri; alcuni migliori per fare dei tragitti sterrati, altri migliori per la città e così via. Ma da cosa dipende questa Qualità? Come la si può definire? E' oggettiva o soggettiva? La ricerca spasmodica, quasi ossessiva, di una definizione porta Pirsig-Fedro a rinunciare a qualsiasi tentativo di definizione e, allo stesso tempo, a colmare la scissione tra intelletto romantico e intelletto classico proprio con la Qualità che, nel suo essere né oggettiva né soggettiva, è posta da Pirsig-Fedro a fondamento della realtà stessa e, dunque, come il Tao, al di là delle parole e dei concetti. Come scrive ne Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta:

"La Qualità non è una cosa, è un evento. [...] E' l'evento che vede il soggetto prendere coscienza dell'oggetto. E dato che senza oggetto non ci può essere soggetto - sono gli oggetti che creano ne soggetto la coscienza di sé - la Qualità è l'evento che rende possibile la coscienza sia dell'uno sia degli altri [...]. Questo vuol dire che la Qualità non è solo la conseguenza di una collisione tra soggetto e oggetto. L'esistenza stessa di soggetto e oggetto è dedotta dall'evento Qualità. L'evento Qualità è causa del soggetto e dell'oggetto, erroneamente considerati causa della qualità! Il sole della Qualità non gira intorno ai soggetti e agli oggetti della nostra esistenza [...]. E' lui che li ha creati. Ed è a lui che essi sono subordinati" (Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, pp. 235-236).

Come accennato, la moto diviene l'esempio perfetto della Qualità, di una realtà che non è né esclusivamente classica né esclusivamente romantica; dietro alla realtà concreta degli ingranaggi, dell'olio, della benzina, del motore, degli specchietti, delle ruote, del metallo e della plastica, della composizione delle singole parti, si nasconde un "piano", un "progetto ordinato", il "Cosmos" degli antichi greci che permette alla motocicletta di prendere vita quando si fonde con il motociclista che la guida. Questa visione olistica è precedente alla successiva scomposizione tra la motocicletta classica, razionale, e la motocicletta romantica, emotiva, il lato intellettuale e quello estetico, che tuttavia sono solo due diverse espressioni della medesima Qualità. Come scrive Pirsig:

"La realtà è sempre il momento della visione che precede la concettualizzazione. Non c'è nessun'altra realtà. Questa realtà preintellettuale è quanto Fedro sentiva di aver giustamente individuato come Qualità. Dato che tutte le cose identificabili intellettualmente devono emergere da questa realtà preintellettuale, la Qualità è genitrice, la fonte di tutti i soggetti e gli oggetti" (Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, p. 243).

Questa pace dei sensi e delle due coscienze è tuttavia un risultato sofferto, difficile da raggiungere, e la metafora della lotta e del viaggio continuo dell'uomo con le idee, con le persone, con gli oggetti e con i propri simili ricorre continuamente, incarnato in diverse racconti. Da un lato è esemplificato dal rapporto tra Pirsig e la coppia sua compagna di viaggio, Sylvia e John, laddove il primo cerca sempre di convincere i secondi ad imparare l'arte "razionale" della manutenzione della motocicletta, mentre i secondi preferiscono goderne solo le emozioni "romantiche" e affidare tutto il resto all'officina; vi è poi il conflitto continuo tra Pirsig e suo figlio Chris, che spesso rende il viaggio non un idilliaco e bucolico racconto ma un percorso sofferto, fatto di incomprensioni, capricci e imprevisti. Vi è poi il conflitto tra Pirsig e la sua metà intellettuale, Fedro, che incarna i fantasmi del suo passato di genio e follia, nonché le sofferenze vissute in manicomio. Il conflitto tra l'uomo e la macchina, tra il motociclista e la moto, quando un guasto improvviso gli ostacola la strada e deve passare le ore a comprendere cosa è successo, e poi altre ore, se non giorni, a capire come ripararlo e a mantenere la mente "Zen" per farlo. Non ultimo, il conflitto tra Pirsig e la filosofia, la ricerca ossessiva della definizione e del significato della Qualità.
In questo testo fatto di conflitti, è proprio nel qui-e-ora del viaggio in moto che sembrano placarsi tutti i pensieri, tutte le sofferenze, tutte le emozioni, nell'immersione completa nel tragitto che sembra trasformare uomo, motocicletta e paesaggio in una cosa sola, che sembra ricondurlo al mondo olistico della Qualità tanto ricercato da Pirsig nella sua metafisica.
In conclusione, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta è, come già accennato, un testo atipico, adatto a più palati ma, allo stesso tempo, di difficile lettura. La tortuosità del racconto e delle argomentazioni filosofiche, le sofferenze narrate nel testo e i racconti delle esperienze e dei rapporti conflittuali necessitano di una lettura calma e attenta, proprio come un viaggio in moto, dalla quale però non si può che uscire arricchiti.


Pirsig, Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi Edizioni.

Daniele Palmieri

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