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martedì 6 giugno 2017

Daniele Palmieri: L'uomo e l'Universo, l'ente e l'Essere



Le riflessioni seguenti sono tratte da Autarchia spirituale, Daniele Palmieri, edito da Anima Edizioni:

L'Essere è l'universo che ci circonda, in perpetuo mutamento, il cui fluire è reso alla perfezione, linguisticamente, dal verbo all'infinito.
L'ente, al contrario, è l'oggetto particolare, come può esserlo l'albero, il sasso, la sedia, il cane, l'uomo. L'ente, in quanto tale, è finito. Il participio con cui viene indicato è espressione dei suoi confini e dalla sua finitezza.
Come avviene questo passaggio che va dall'Essere all'ente? Possiamo immaginarcelo con un esperimento mentale, replicabile materialmente. Pensiamo di prendere un lungo lenzuolo.
Quest'ultimo, disteso alla perfezione, senza alcuna piegatura, rappresenta l'Essere. Se cominciassimo ad afferrarne delle parti al centro di esso e a creare delle forme, tenute insieme da un elastico, con dei confini più o meno definiti, avremmo ottenuto degli enti, che spiccano sul lenzuolo disteso come degli elementi, separati da esso, aventi una propria individualità.
L'ente è proprio questo: una curvatura nello spazio-tempo, con dei confini definiti (la sua forma) e, aspetto più problematico, un'esistenza limitata, al contrario dell'Essere che, pur essendo un perpetuo fluire, non ha mai fine.
Vi sono alcuni enti, però, che hanno un'esistenza del tutto particolare: gli esseri viventi.
Come abbiamo già visto nel precedente capitolo, questi ultimi si differenziano dagli oggetti inanimati per l'avere una prospettiva sul mondo (una coscienza).
Possiamo introdurre un altro elemento che li distingue. Pensiamo a una pietra; essa è un ente almeno quanto un essere vivente. Tuttavia, vi è qualcosa che la rende diversa da quest'ultimo: il suo modo di essere al mondo. La pietra è passiva nei confronti dell'Essere.
Essa non muta, se non per cause esterne. Al contrario, l'essere vivente (come ben rende il nome) possiede anche al suo interno un mutamento intrinseco, che lo porta a crescere, evolvere, deperire e morire. Il vivente è, allo stesso tempo, un ente e un Essere. Possiede un'individualità che, però, non rimane mai uguale a se stessa, non soltanto per cause esterne ma anche per cause interne.
Tornando all'esempio del lenzuolo, è come se una delle piegature che abbiamo creato fosse in grado di accrescere da sola, senza il nostro intervento, e di muoversi lungo il perimetro del lenzuolo, per poi tornare a dissolversi ricongiungendosi alla superficie bianca.
Dal punto di vista dell'ente inanimato, dunque, la questione dell'Essere non presenta alcuna problematicità. Il problema sorge nel momento in cui ci poniamo dal punto di vista di un essere vivente (quali noi siamo, giacché dubito che un sasso possa leggere questo libro) e, per di più, un essere vivente cosciente del divenire come l'uomo.
Dal questo punto di vista, infatti, il divenire si presenta in una duplice relazione: come un flusso inarrestabile di eventi in rapporto alla nostra individualità. Siamo consapevoli di essere degli individui, inseriti in un mondo in continuo mutamento, e sappiamo che qualsiasi cosa potremo fare in vita, siamo tutti destinati al medesimo fato: la morte, la dissoluzione della nostra entità.
L'indagine sull'Essere, dunque, dalla nostra prospettiva si mostra innanzitutto come un'indagine sul senso dell'Essere. La domanda non è soltanto perché tutto diviene? bensì qual è il senso del nostro essere se siamo destinati a morire?
E l'eterno problema del divenire, materia di tutti i miti, le filosofie, le religioni, le scienze dall'alba della coscienza dell'uomo a oggi.
Esso può riassumersi nelle tre domande:
Perché tutto muta?
C'è qualcosa che non muta?
Qual è il senso della vita?

I primi due quesiti sono strettamente collegati. In un mondo in cui tutto è in perpetuo mutamento, l'uomo cerca un motivo che sia in grado di giustificare e rendere accettabile il cambiamento e, in secondo luogo, un appiglio irremovibile al quale aggrapparsi per sentirsi più sicuro.
La risposta alla terza domanda, invece, dipenderà dalle risposte alle prime due, poiché se vi è un senso, nella vita dell'uomo, quest'ultimo è legato, in maniera indissolubile, al senso dell'Universo in cui si trova immerso e all'unico principio immutabile al quale può aggrapparsi.








Daniele Palmieri



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