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mercoledì 6 luglio 2016

Stirner: L'unico e la sua proprietà. La liberazione portata all'estremo

Citando la morte di Dio e la volontà di potenza il primo filosofo a cui si pensa, generalmente, è Friedrich Nietzsche, visto che spesso, semplicisticamente, il pensatore tedesco viene ridotto a questi due concetti.
Pochi sanno che le due idee per le quali Nietzsche è conosciuto (almeno superficialmente) sono in realtà di un altro pensatore, da cui Nietzsche ha attinto a piene mani senza citare la fonte: Max Stirner.
Figura evanescente, di cui si sa poco della vita personale e di cui non possediamo nemmeno un ritratto fedele (a tal punto che viene spesso accompagnato, erroneamente, dalla foto di Rudolf Steiner), Max Stirner ha praticato, secondo Roberto Calasso, "la vera filosofia del martello, che Nietzsche non sarebbe mai riuscito a praticare perché troppo irrimediabilmente educato".
Calasso non esagera. L'opera principale di Stirner, L'unico e la sua proprietà, spinge il Nichilismo lì dove nemmeno Nietzsche aveva osato portarlo e credo che nel dissolvere ogni principio morale sia secondo soltanto al marchese De Sade.
L'opera di Stirner dissezione l'anima umana fino a metterne in luce, sotto la viva carne, il suo cuore più profondo: l'egoismo, e anziché rifiutare questo nocciolo nero il filosofo tedesco lo eleva a unica ragione che dovrebbe guidare l'azione dell'uomo, contro ogni volontà impostagli dall'esterno.
Sin dalle prime pagine, infatti, Stirner svela una realtà difficilmente confutabile: quando una realtà terza, sia essa quella della famiglia, della chiesa, dello stato, tenta di farmi agire in un certo modo, non sta facendo altro che impormi la sua volontà a discapito della mia. Qualsiasi pensiero altro-da-me che ha la pretesa di indirizzare il mio agire sta traendo fuori da me il baricentro della mia azione; utilizzando le parole di Stirner, sta facendo in modo di impossessarsi della mia causa.
Dio, lo Stato, la Morale non sono altro che "Spiriti", fantasmi partoriti dalla mente umana per spogliare il singolo della causa del proprio agire e sono altrettanto egoisti quanto l'uomo che tentano di raddrizzare. Difatti, l'egoista altro non è che colui che agisce seguendo la propria causa e che differenza c'è tra il singolo individuo egoista e uno Stato, un Dio, una Morale quando anche questi Spiriti non fanno altro che imporre la propria volontà e, dunque, il proprio egoismo?
In tale prospettiva, ogni movimento della vita umana altro non è che l'imposizione di una volontà di potenza. La differenza tra una persona che agisce moralmente e l'egoista è che la prima sta mascherando una forma più sottile di egoismo, che rimane nascosto soltanto perché questa persona si è spogliata della propria volontà e l'ha proiettata su uno "Spirito" esterno (lo Stato, il Cristianesimo etc.), mentre l'egoista ha tenuto ben stretto la causa del proprio agire. Per fare un esempio concreto, il cristiano che agisce moralmente non appare egoista soltanto perché la volontà che impone non è la sua, ma quella del cristianesimo. Tuttavia, sempre di una forma di egoismo si tratta poiché la sostanza è sempre la stessa: di fronte a volontà contrapposte, il Cristianesimo tenta di imporre la propria attraverso il cristiano spogliato della propria causa.
Quest'opera di indottrinamento avviene fin dall'infanzia, il momento in cui iniziano a inculcarci ciò che dobbiamo desiderare, ciò che dobbiamo credere, ciò che dobbiamo volere, in modo che le nostre azioni si adeguino a quelle della società. In altre parole, non ci è permesso di provare i sentimenti che vorremmo provare e ci viene prescritto ciò che dobbiamo sentire e pensare.
Di fronte a tale indottrinamento, "l'egoista è colui che dissolve lo spirito nel suo nulla", che si sbarazza di ogni imposizione esterna riappropriandosi della sua volontà e del suo pensiero. Egli si accorge che non ha senso parlare di valori morali universali, di leggi, di contratti. L'unica legge, secondo Stirner, dovrebbe essere quella dell'egoismo, ossia: tu hai il diritto di essere ciò che hai il potere di essere. Affinché questo accada, bisogna rigettare ogni "Spirito" e ogni forma di valore sociale astratto.
L'utopia/distopia di Stirner è una non-comunità, senza premi e punizioni, di uomini liberi da ogni vincolo, che agiscono seguendo soltanto il proprio volere e le proprie ragioni, senza altra causa oltre loro stessi, ossia il nulla: 

"Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo il tutto".

Spontaneamente sorge la domanda: è auspicabile una comunità del genere? Io non credo e, contrariamente a Stirner, non credo nemmeno che assecondando in maniera sfrenata il proprio egoismo l'uomo possa essere realmente felice. Il filosofo tedesco dimentica la nostra fondamentale natura di animali sociali. Per quanto le norme sociali possano limitare la nostra esistenza, soprattutto se fossilizzate o accettate acriticamente dai più, senza la comunità non saremmo nulla, se non nudi animali dispersi nella foresta. Lo stesso Aristotele diceva che per vivere fuori dalla polis puoi essere soltanto o un folle o un dio. 
Ciò non toglie che l'opera di Stirner compie un importante movimento di liberazione, e credo che l'importanza de L'unico e la sua proprietà risieda proprio nella sua radicalità. Ogni movimento di liberazione, infatti, può avvenire soltanto se si conduce il pensiero agli estremi, facendo tabula rasa di tutto ciò che abbiamo sempre dato per scontato.
Recuperare la propria essenza più profonda, spogliata da tutte le volontà esterne, è uno di quei movimenti che ogni persona dovrebbe fare nella vita per recuperare il vero sé e divenire realmente consapevole delle proprie azioni, per smettere di agire come un automa. Tuttavia, a questo movimento deve seguirne uno speculare e contrario per tornare al prossimo, poiché l'egoismo sfrenato conduce soltanto alla distruzione quanto degli altri quanto di se stessi.

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Daniele Palmieri

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