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martedì 1 marzo 2016

Trattato del Ribelle: l'anarchia interiore secondo Ernst Junger

Il Trattato del Ribelle è un breve ma intenso saggio del filosofo tedesco Ernst Junger, un'utile guida per coloro che decidono di non farsi soggiogare dal grigio conformismo della folla e dal pugno di ferro dei totalitarismi.
Il testo è stato scritto a ridosso della fine della seconda guerra mondiale e fin dalle prime righe riecheggiano le prove terribili che gli uomini liberi hanno dovuto affrontare durante gli anni dei regimi: la repressione, il conformismo, l'annichilimento della coscienza individuale, la resistenza.
In questo clima di terrore lo spirito libero si trova letteralmente in solitudine e la sua rivoluzione interiore comincia da un gesto apparentemente semplice quanto insensato: il proprio no crocettato sulla falsa scheda elettorale di cui si servono i totalitarismi per trasformare le elezioni in plebisciti.
E' un atto senza alcuna utilità concreta, che anzi sembra comportare soltanto in rischio di essere scoperti dalla dittatura, ma che nasconde un significato molto più profondo. E' un gesto di affermazione personale, con la quale si allontanano le catene del regime dalla propria libertà interiore e, allo stesso tempo, è un grido scagliato contro la folla intimorita con cui il Ribelle mette in mostra come, a fronte del 99,99% di consensi, ci sarà sempre uno 0,01% mai disposto a piegarsi.
Da lì al superamento del meridiano zero, come lo chiama Junger, il passo è breve. Di fronte al grande meccanismo della dittatura, che vuole tutti i suoi ingranaggi perfettamente oliati e allineate, il Ribelle è quel minuscolo sassolino in grado di inceppare l'intero sistema semplicemente insinuandosi tra un ingranaggio e l'altro. L'infinita potenza della tenace volontà personale, in grado di fronteggiare, da sola, l'intero esercito del regime.
Questo atto di ribellione personale non è unicamente interiore né meramente esteriore, ma nella zona mediana tra il rifugio nella "cittadella interiore" e il "sabotaggio anarchico". Una zona d'ombra che Junger identifica con il bosco.
Per comprendere a fondo il significato di questo passaggio è necessaria una precisazione preliminare sul termine Ribelle, con la quale i traduttori hanno reso l'originale tedesco Waldganger.
In lingua originale, il termine Waldganger indica letteralmente "colui che passa al bosco", "che si ritira nella foresta", "che si dà alla macchia". Una parola di origine islandese con cui si indicavano i proscritti, i fuorilegge e i briganti che si nascondevano nel folto della foresta.
Il significato più profondo del saggio di Junger è nascosto interamente in questa parola, che purtroppo perde molto nella traduzione italiana.
Il Ribelle, il Waldganger, diviene nella prospettiva jungeriana colui che si rifugia, sia spiritualmente sia fisicamente, tra le ombre del sottobosco. La foresta assume un ruolo mistico. Essa rappresenta uno degli archetipi più atavici dell'uomo, l'espressione delle forze primordiali e telluriche che dimorano dentro di lui e che deve essere in grado di far riaffiorare nelle situazioni estreme, per trovare la forza di riuscire, in solitudine, ad affrontare la massa, con una tenacia spirituale che può essere conquistata soltanto affondando le mani in questa essenza metafisica che alberga nei recessi più profondi della nostra psyché. Dall'altro lato, il bosco è anche il riparo fisico per eccellenza del Ribelle; esso offre rifugio ai rinnegati, a coloro che la società non può permettersi di tollerare, in questo caso a coloro che decidono di opporsi al pugno di ferro della dittatura (e non possono che venire alla mente i partigiani e i rifugi nella foresta in cui si nascondevano per escogitare le loro azioni di sabotaggio).
Il bosco diviene, in questa prospettiva, una zona di confine, un limbo sospeso tra l'interiorità e l'esteriorità, un universo a metà tra lo spirituale e il materiale. In quanto tale, è in grado di far tornare il Ribelle a contatto con l'intima essenza della realtà, con i valori più alti che guidano l'esistenza del singolo e che sono in grado di dargli la forza per combattere e, soprattutto, per non rinunciare alla propria libertà. Il bosco è una fucina spirituale in cui "l'uomo incontra sé stesso nella propria sostanza indivisa e indistruttibile" e, affrontando il buio imperscrutabile della notte, supera la più grande paura: la paura della morte, conquistando così la libertà più grande e irremovibile, la libertà di vivere senza paura.
In questa condizione egli diviene l'assoluto padrone di sé stesso. Agisce seguendo una morale superiore, non perché imposta da una legge della società o da una legge divina, ma poiché sgorgata direttamente dalla sua libera volontà di agire. Utilizzando parole nietzschiane, il Ribelle, dopo essersi immerso nel bosco, è tornato a contatto con la fonte originaria delle cose ed è dunque in grado di porsi al di là del bene e del male, unico padrone di sé stesso.
"Chi scava più a fondo, in ogni deserto, trova lo strato da cui sgorga la fonte. E con l'acqua che zampilla riaffiora nuova fecondità." 
(Ernst Junger - Trattato del Ribelle, Adelphi edizioni)


Daniele Palmieri

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