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lunedì 18 marzo 2019

Che cos'è l'occultismo? Introduzione al pensiero occulto

"Occultismo"; in poche epoche storiche come in quella presente tale parola è usata, abusata, fraintesa, male interpretata. L'unica costante rimane il fascino, misto a timore reverenziale, che questa parola suscita all'orecchio dell'ascoltatore. Ma qual è la vera essenza dell'occultismo? Cosa intendiamo quando parliamo di "pensiero occulto"?
Se dovessimo fornire una prima, sintetica e generale definizione del termine "occultismo" dovremmo partire da una tautologia: l'occultismo è lo studio di ciò che è occulto, ossia nascosto.
Da un lato c'è il mondo palese, della vita di tutti i giorni, fatto di cose, oggetti, sensazioni - tutto ciò che è tangibile. Dall'altro lato, più in profondità, dietro il velo delle cose, si nasconde il mondo occulto: un universo intangibile, invisibile, di cui percepiamo solo la presenza simile a uno spiraglio d'aria che filtra attraverso le insenature del reale.
Come scrive Sebastiano Fusco ne Le vie dell'occulto:

"Il mondo che segue le vie dell'occulto è molto diverso da quello di coloro che rimangono ancorati alla vita di tutti i giorni. Come le due facce opposte della stessa moneta, i due mondi mostrano apparenze diverse. Da una parte c'è una testa, dall'altra c'è una croce, e per chi ha l'occhio fisso su di una faccia, la seconda rimane nascosta: invisibile e intangibile come fosse dall'altra parte dell'universo. Eppure, sono entrambi aspetti di una realtà unica" (Sebastiano Fusco, Le vie dell'occulto, Venexia, p. 11).

Qual è dunque l'essenza del mondo occulto, in grado di conciliare entrambe le facce della medaglia?
Per fare un esempio concreto, prendiamo in esamine l'uomo. L'uomo è composto di una parte visibile e sensibile, ossia il suo corpo materiale; un osservatore esterno può vedere tale corpo fisico muoversi, compiere certe azioni, potrebbe tastarne il calore e la consistenza. Eppure, il corpo materiale è solo la faccia superficiale della medaglia; esiste qualcosa che si nasconde dietro il corpo fisico e dal quale dipendono le sue azioni: la volontà. La volontà è la forza intangibile che dà vita e movimento al corpo materiale, dando un fine e un ordine alle sue azioni. Eppure, è una realtà che rimane sempre celata, occulta, agli occhi dell'osservatore; essa si manifesta solo per via indiretta, a meno che non sia l'uomo stesso a rivelarci con le sue parole la propria volontà.
La realtà, per l'occultista, non è altro che un macroantropo; da un lato vi è il mondo materiale e visibile che sembra mosso dal caso, ma dietro di esso si cela un mondo fatto di pura volontà, immaginazione, forze crude.

L'occultismo è un insieme di conoscenze e pratiche il cui scopo è quello di penetrare al di là della sfera sensibile, per scoprire le forze che si celano dietro l'apparentemente semplice realtà di tutti i giorni. In altri termini, per scoprire la Volontà che si nasconde dietro la realtà.
Tuttavia, al contrario del pensiero scientifico, volto all'analisi empirica e materiale dei fenomeni naturali (ciò che un tempo veniva chiamata "magia naturale), l'occultismo utilizza altri metodi di indagine: il pensiero immaginativo, metaforico e analogico.
L'occultismo considera il mondo come un'immensa rete di significati, in cui ogni cosa, a ogni livello della gerarchia dell'essere, è collegata all'altra; legami occulti che possono essere individuati soltanto attraverso uno studio immaginativo dei simboli, essendo il simbolo il linguaggio della Volontà.
Attraverso le libere associazioni immaginative, il pensiero occulto trasforma ogni cosa in un simbolo, creandone un "doppio magico" e trasmutando, dunque, ogni cosa in un portale sulla Volontà.
Ciò che affascina, nel pensiero occulto, è  proprio l'estrema libertà che deriva dal suo linguaggio immaginativo. In ogni epoca è la pecora nera della forma-pensiero dominante. Leggendo le pagine del Picatrix, delle Clavicole di Salomone, de La filosofia occulta di Agrippa, de La Magia Naturale di Della Porta, del De Magia di Giordano Bruno, del Dogma e rituale dell'alta magia di Levi o di Magick di Crowley, ci si accorge di come tali testi esprimano sempre un "pensiero-altro" rispetto al contesto socioculturale in cui sono stati scritti: esso scivola dalle mani del dogmatismo religioso, della superstizione irrazionale, del positivismo scientifico, degli schemi di pensiero classici. Vi è un'intrinseca libertà di fondo che non si lascia inquadrare o categorizzare.
Questo perché il pensiero occulto affonda le sue radici nell'immaginazione, intesa non come la facoltà di fantasticare, bensì come un ponte tra sensazione e intelletto: la facoltà che consente all'uomo di cogliere gli elementi sensibili e scoprire in essi i legami nascosti tra le cose, che sfuggono al dominio della ragione, la quale applica alla realtà soltanto schemi noti, logici e lineari. L'immaginazione, al contrario, spazia negli anfratti nascosti dell'esistenza, svelando ciò che si nasconde tra le pieghe del reale.
Già Platone, nei suoi dialoghi, intuì che certe conoscenze non possono essere espresse con il linguaggio e il pensiero consueti, ma che è possibile trascendere la limitata conoscenza umana soltanto volgendosi a una forma discorsiva mitica, in grado non di mostrare la verità, ma di farla intravedere, alludendo ad essa, in modo che l'ultimo salto conoscitivo sia compiuto dallo studioso della materia.
Per questo non è possibile dare una definizione troppo limitante del pensiero occulto ma, come sostiene Fusco, è possibile fornire solo principi generali, che egli compendia in quattro "postulati", da intendersi come principi guida sulle vie dell'occulto:
"1) L'universo studiato dalla scienza è soltanto una parte, e non la più importante, del Tutto;
2) La volontà umana costituisce una forza reale, suscettibile di essere allenata e guidata; questa volontà così sottoposta a disciplina è in grado di influire sul Tutto e di produrre effetti apparentemente sovrannaturali;
3) ciò che disciplina e guida la volontà è l'immaginazione creatrice;
4) sulla trama del Tutto s'intesse un rigoroso sistema di corrispondenze che ne collegano strettamente i diversi enti: l'occultista che sa scorgerle e interpretarle le può utilizzare per i propri fini" (Fusco, Le vie dell'occulto, Venexia, p. 12).

Daniele Palmieri
 

lunedì 4 marzo 2019

Ars moriendi: il libro occidentale dei morti

Nel XV secolo in Europa vi fu una sola regina a fare da padrona: la morte. Tra peste, guerre e carestie, l'autunno del medioevo fu uno dei periodi più travagliati della storia umana e un'alito di morte aleggiava in tutte le corti.
Non sorprende che, in questo clima travagliato, ebbero grande diffusione un breve libretto sul "ben morire": L'Ars Moriendi, L'Arte di morire, che potrebbe essere a tutti gli effetti definito come il libro occidentale dei morti (affine al Libro Tibetano dei morti e antecedente al Libro americano dei morti di Gould).
Se la vita nel XV secolo si mostrava, spesso, nella sua forma più drammatica, l'uomo medievale cercò una via di fuga proprio nel letto di morte, per trovare una nuova luce negli ultimi attimi dell'esistenza. L'Ars Moriendi è infatti un testo specificamente rivolto a coloro che stanno vivendo il momento di passaggio tra "l'al di qua" e "l'al di là": la morte, intesa non come fine dell'esistenza ma, piuttosto, come varco verso un'altra dimensione.
Come insegna anche il Libro Tibetano dei Morti, questo varco è sorvegliato da molteplici guardiani della soglia, che cercano di accaparrarsi l'anima del morente nel suo momento di massima libertà dal corpo e, allo stesso momento, di estrema fragilità.
Tanto nel suo contenuto quanto nelle litografie che accompagnano il testo, l'Ars Moriendi mette in mostra i conflitti interiori vissuti dall'infermo sul letto di morte: la psicomachia, la lotta dell'anima, che si verifica tra i suoi demoni e i suoi angeli interiori, che cercano o di trascinarlo negli inferi o di liberarlo con la luce del Paradiso. Come si legge nell'Ars Moriendi: "La morte dell'anima è molto più orribile e detestabile, in quanto essa è più nobile e preziosa del corpo. Essendo l'anima di tanta preziosità, il diavolo, massimo tra i tentatori, ne cerca la rovina eterna attaccando l'uomo nell'ora dell'estrema infermità. [...] Coloro che stanno per morire, trovandosi nelle condizioni peggiori, subiscono tentazioni che giammai prima incontrarono" (Ars Moriendi, Ananke Edizioni, pp. 17-18).
Sono cinque, in particolare, le tentazioni che il morente vive nel momento del passaggio; cinque "guardiani della soglia" che lo attendono al varco per impedirgli di accedere all'estrema liberazione, che possono però essere combattuti con l'aiuto di cinque "buone ispirazioni" suggerite dall'angelo custode.
La prima tentazione del Diavolo avviene mettendo in dubbio la fede. Per cosa vivesti? Per cosa sprecasti la tua vita? sussurra il tentatore al morente, cercando di condurlo allo sconforto negli ultimi anni della sua esistenza, portandolo a vacillare.
Di tutta risposta: "Contro questa prima tentazione [...] l'angelo dà un buon consiglio dicendo: O buono, non credere alle pestifere suggestioni del diavolo [...] non è bene dubitare troppo nella fede: infatti non ti sarebbe utile comprendere né con i sensi né persino con l'intelletto, poiché se potessi capire ciò non sarebbe meritorio" (Ars Moriendi, Ananke Edizioni, pp. 21). Non occorre angustiarsi nelle domande, bisogna lasciar correre ciò che è stato e rimanere saldi nella fede, nella fiducia e nella speranza in un mondo sena angustie e senza sofferenze. E, per farlo, bisogna lasciarsi tali angustie e tali sofferenze alle spalle.
La seconda tentazione avviene attraverso la disperazione, che agisce facendo leva sui sensi di colpa: "Quando l'infermo è crucciato dai dolori del corpo, il diavolo aggiunge dolore al dolore esponendogli i suoi peccati, soprattutto quelli non confessati". Il Diavolo sussurra all'uomo che tutta la sua vita non è stato altro che un grande errore; che nessuna buona azione potrà salvarlo dai suoi peccati e che è irrimediabilmente destinato all'inferno.
Contro questa tentazione, l'angelo suggerisce che il volere di Dio è imperscrutabile e che, proprio per questo, non bisogna mai perdere la fede nella salvezza, che può essere concessa per grazia; nell'al di là svanisce ogni colpa, lavata dalla grazia del signore, se solo si possiede la fede di innalzarsi con la propria anima. 
La terza tentazione sopraggiunge con l'impazienza, il desiderio impellente di oltrepassare il cancello anzitempo. Tuttavia, come rimanere attaccati alla vita impedisce all'anima di innalzarsi, anche voler anticipare i tempi è un errore tipicamente umano e terreno: allungato il passo, si rischia di inciampare, di oltrepassare la soglia quando non si era pronti a farlo. Il diavolo tenta dunque l'uomo a correre al di là delle sue forze, per farlo cadere proprio sull'orlo del cancello.
"Uomo, allontana il tuo animo dall'impazienza attraverso cui il diavolo, con le
sue letali istigazioni, altro non cerca che la dannazione della tua anima" ammonisce l'angelo, "con l'impazienza e il lamento l'anima è perduta, con la pazienza invece salvata" (Ars Moriendi, Ananke Edizioni, pp. 31). La morte è un "purgatorio per l'anima"; è proprio nel momento del trapasso che si ha l'opportunità di purificare l'anima dalle scorie della vita e consegnarla pura, vergine e illibata all'al di là.
A tal proposito, la quarta tentazione spinge l'uomo, in questo momento di disamina interiore, a gloriarsi di se stesso, a credere di essere stato perfetto e di non aver nulla di cui scusarsi o pentirsi. E' la tentazione della vanagloria, che deve essere evitata poiché: "attraverso essa l'uomo si rende simile al diavolo, che infatti solo per la sua superbia decadde dallo stato di angelo. In secondo luogo poiché con essa l'uomo compie atto di blasfemia, in quanto presuppone di avere da sé il bene ricevuto da Dio. In terzo luogo poiché maggiore sarà il suo autocompiacimento, tanto più incorrerà nella dannazione" (Ars Moriendi, Ananke Edizioni, pp. 34). Come insegna Meister Eckart, per raggiungere Dio e, dunque, divenire Dio, occorre svuotarsi da se stessi, dalla propria individualità e dalla propria volontà. La vanagloria è l'apoteosi del culto della propria volontà e, riempendosi di se stessi, non ci si può colmare della divinità. Nel momento del trapasso, anche un solo granello di vanagloria ostruisce la soglia. 
Come suggerisce l'angelo protettore, per resistere alla tentazione il morente: "deve trarre esempio da sant'Antonio, al quale il diavolo disse: O Antonio, mi hai davvero sconfitto: quando infatti cerco di esaltarti ti rendi umile, quando tento di farti sentire depresso ti mantieni saldo" (Ars Moriendi, Ananke Edizioni, pp. 36), ossia deve trovare il giusto equilibrio tra il commiserarsi e l'esaltarsi, liberandosi lentamente della propria individualità, della propria volontà e del proprio desiderio per unirsi a Dio come goccia nell'oceano.
L'ultima e più pericolosa tentazione è quella attraverso l'avarizia. "Con l'avarizia il diavolo porta tenacemente le sue vessazioni all'uomo in fin di vita, dicendogli: O misero, già abbandoni tutti questi beni temporali messi insieme con tanta fatica? Lasci la moglie, i figli, i parenti, i carissimi amici e tutte le altre cose desiderabili di questo mondo, la cui vicinanza è stata per te fino ad ora di grande conforto e anche occasione di benestare per quelli stessi?" (Ars Moriendi, Ananke Edizioni, p. 38). Si tratta dell'ostacolo più difficile da superare, proprio perché legato alla volontà e al desiderio prettamente soggettivi, macigni che legano l'anima dell'uomo alla terra impedendogli di spiccare il volo, dilaniandola tra le due dimensioni e impedendole così di varcare la soglia in tutta serenità.
Come rimedio, l'angelo suggerisce il totale distacco. Anche per Meister Eckart il Distacco è la principale virtù divina poiché Dio, in quanto perfetto, non ha bisogno di nulla e, dunque, non desidera nulla. "Uomo" dice dunque l'angelo, "lascia del tutto perdere le cose di questo mondo, il cui ricordo non può far conseguire per nulla la salvezza, essendo anzi di grande ostacolo, ricordando le parole del Signore [...]: Se uno uno non rinuncerà a tutto ciò che possiede, non potrà divenire mio discepolo [...]. Affidati completamente a Dio, il quale ti conferisce ricchezze eterne, riponendo in lui tutta la tua fiducia" (Ars Moriendi, Ananke Edizioni, p. 41".
Lasciarsi andare, accogliere il Nulla e l'Oblio in tutta serenità, immergersi nella mistica tenebra, lontana dalle ricchezze, dai desideri, dai travagli, dai problemi, dai dolori della vita terrena e immolarsi all'Eternità con queste parole: "Signore, hai spezzato i miei vincoli, a te offrirò in sacrificio la mia lode" (Ars Moriendi, Ananke Edizioni, p. 43).
Colui che, sul letto di morte come nella sua vita quotidiana, avrà affrontato quest'ardua psicomachia e sarà riuscito a oltrepassare tutte e cinque le soglie, giungendo così alla finale liberazione, avrà in dono, al di là delle tenebre, la luce eterna.

Ars Moriendi, Ananke Edizioni

Daniele Palmieri