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lunedì 22 gennaio 2018

Thomas Ligotti: La cospirazione contro la razza umana

Ci sono libri difficili da leggere e digerire, che hanno lo stesso impatto di un pugno nello stomaco e che, proprio per questo, vanno affrontati, compresi, commentati.
La cospirazione contro la razza umana di Thomas Ligotti è uno di quei libri.
Thomas Ligotti è uno scrittore italo-americano, dalla presenza a dir poco sfuggevole visto che, come i migliori scrittori e pensatori, preferisce comunicare esclusivamente con i propri libri, piuttosto che con la sua immagine pubblica.
Diventato autore di culto nel mondo editoriale underground americano tra gli anni '80 e '90, ha riscosso l'interesse del pubblico "non specialistico" grazie alla serie televisiva True detective (altrettanto cupa e altrettanto profonda), il cui creatore e sceneggiatore, Nic Pizzolatto, ha attinto a piene mani alla filosofia e alle pagine de La cospirazione contro la razza  umana per delineare il personaggio e i dialoghi del detective Rust Cohle (interpretato da Matthew Mcconaughey). 
La cospirazione contro la razza umana è un saggio, a metà tra la filosofia e la letteratura, che espone una visione pessimista della vita, sulla scia di filosofi meno noti, come Zapffe, Mainlander, Metzinger, Michalstaeder e altri maggiormente trattati come Schopenhauer e Leopardi, insieme a grandi della letteratura horror/gotica come Poe, Blackwood e Lovecraft. 
Ligotti accompagna il lettore in un cupo tour filosofico e letterario tra i teorici di una visione pessimista della vita, esponendo le loro visioni ma non in maniera manualistica e arida, ma condendo il tutto con il suo evocativo talento letterario e con le proprie riflessioni personali che fanno da collante per tutta la trattazione, e che rendono l'insieme maggiore della somma delle parti.
In questo tour del macabro, Ligotti appare proprio come il cercatore solitario che egli stesso descrive in un breve passo del testo:

"Se quel che cerchi è la verità, una vita esaminata ti condurrà soltanto a un lungo viaggio verso i limiti della solitudine e ti scaricherà sul ciglio della strada e nient'altro".

Questo perché la sua filosofia non è idilliaca e rassicurante, ma si inserisce nella lunga e minoritaria tradizione di pensatori che non hanno mai tentato di fare "un'apologia della vita" e che, anzi, hanno intravisto tra le pieghe del reale un'essenza maligna che sembra muovere l'intero cosmo.
In particolare, secondo Ligotti quest'essenza maligna, descritta soprattutto nei racconti soprannaturali di Lovecraft e Poe, non esiste tanto di per sé, ma è propria della prospettiva dalla quale non possiamo fare a meno di osservare la realtà: la prospettiva della nostra coscienza. La coscienza si trascina dietro, fin dagli albori della sua nascita, il peccato originale di essere nata con l'uomo, tingendo così di nero l'intera sua esistenza.
Riallacciandosi a Zapffe, anche secondo Ligotti la coscienza umana è un fatale errore dell'evoluzione. Essa ha enormemente incrementato le sofferenze della nostra specie, poiché ci ha reso coscienti dei nostri dolori, del nostro futuro, della vanità delle nostre speranze, ci ha fatto scoprire che l'esistenza altro non è che una folle corsa, senza alcun senso, che termina quando ci schiantiamo contro l'invalicabile muro della morte.
Utilizzando l'immagine di Ligotti, siamo come marionette le quali, dacché erano controllate dai fili invisibili di un ignoto marionettista, hanno preso coscienza di loro stesse rimanendo, però, nient'altro che marionette, con la consapevolezza che, non appena il timido lume della coscienza svanirà, torneremo gettati come corpi inermi nel baule del marionettista. Tale consapevolezza dà vita all'esperienza del "perturbante", una sensazione di straniamento di fronte a qualcosa, come un automa, che si trova in bilico tra l'essere un oggetto inerme ed essere un soggetto vivente, e che in entrambi i casi risulta disturbante, poiché in esso vediamo riflessa la nostra condizione.
Riprendendo la filosofia di Zapffe, secondo Ligotti tutti gli uomini sono soffocati dalla tenaglia del perturbante e sono consapevoli dell'insensatezza della vita, ma per non cadere nell'orrore cosmico di doversi trascinare ogni giorno in un'esistenza senza significato, attuano quattro strategie adattative, una sorta di versione perversa del quadrifarmaco di Epicuro:

1) L'isolamento: tentiamo di sminuire il dolore dell'esistenza isolando gli eventi terribili della nostra vita, rimuovendoli in una sorta di scantinato della nostra mente che li nasconde alla nostra vista.
2) L'ancoraggio: per trovare un'illusoria stabilità, ci ancoriamo a ideali astratti e metafisici, come Dio, Moralità, Patria, Famiglia, Religione, che ci fanno sentire autentici e colmano la nostra vita di significati fittizi, che non fanno che rimandare o attenuare la nostra agonia.
3) Distrazione: per non riflettere sugli orrori del mondo, ci abbandoniamo a un'esistenza fatta di frivolezze, distrazioni senza alcuna profondità (ciò che Pascal chiamava "divertissment".
4) Sublimazione: mettiamo in scena tutti questi orrori in opere di finzione, che hanno un effetto catartico nel loro farci credere che i "mostri" non esistono, che sono opera di fantasia e che, in ogni caso, possono essere sconfitti.

Questi quattro meccanismi psicologici vengono appunto definiti come "la cospirazione contro la razza umana", poiché non fanno che ingabbiare l'uomo in questa esistenza di sofferenze, convincendolo inoltre a propagare la propria specie dando luce ad altri figli che vivranno le medesime sofferenze.
Da quest'ultimo punto di vista, secondo Ligotti dar vita a nuovi figli è un atto immorale, perché si sta consapevolmente strappando dal "nulla" (dunque, da una condizione senza turbamenti) delle esistenze destinate, fino in partenza, a una vita in cui i dolori supereranno di gran lunga i piaceri; in altri termini, si sta condannando consapevolmente degli esseri senzienti a una vita di sofferenze, e questo non può che essere ritenuto un atto immorale.
Scrive Ligotti: 

"L'orrore che noi abbiamo ricevuto sarà ricevuto da altri in uno scandaloso passaggio di eredità. Essere vivi: per decenni svegliarsi all'ora giusta, e poi trascinarsi lungo l'ennesimo giro di umori, sensazioni, pensieri, voglie - l'intero spettro delle agitazioni - e infine crollare a letto a sudare nel buio delle fantasmagorie che molestano la mente in sogno".

Con ciò Ligotti non auspica al suicidio, benché fu una strada percorsa da molti autori da lui citati, ma, similmente a Schopenhauer, tenta di portare alla luce il meccanismo irrazionale della Volontà che spinge la vita a propagare se stessa, senza alcun motivo, anche contro i propri stessi interessi. Similmente ai Catari, sfiora l'idea di una estinzione di massa a partire da questa consapevolezza, in modo che cessi il perverso meccanismo di rinascite e morti, di dolori e sofferenze, per abbracciare invece l'atavico e rincuorante abbraccio del Nulla eterno, in cui non vi sono né gioie né dolori. 
Per aggiungere una breve chiosa personale, in conclusione, non condivido la visione così cupa della vita come quella delineata da Ligotti. Penso, come lui, che la vita non possieda un senso intrinseco e che, tuttavia, come ho scritto in Autarchia spirituale, proprio questo non-senso dovrebbe farci sentire sollevati, grazie alla consapevolezza di non dover seguire tutti il medesimo senso e il medesimo copione. Che la morte infranga tutti i nostri progetti, è un dato di fatto; ma, paradossalmente, proprio una vita eterna sarebbe una condizione ancor più terribile della fugacità della nostra esistenza, poiché ci ingabbierebbe in una vita senza uscita, senza alternative, stabile, mentre l'intensità e anche la bellezza della mortalità risiede nel suo essere un perpetuo pendolo tra gioie e dolori dove, è vero, i travagli sono molti ma soltanto una faccia della medaglia. Senza focalizzarsi esclusivamente su essa, credo che ci si debba godere il viaggio fino all'ultimo giorno, con la consapevolezza liberatoria che nessun dolore sarà mai troppo grande, né travaglio troppo insopportabile, proprio perché la morte ci attende con il suo abbraccio liberatorio.

Daniele Palmieri

venerdì 12 gennaio 2018

Marinetti: Novelle colle labbra tinte

Nell'ultimo articolo ho affrontato alcuni aspetti generali del pensiero filosofico, artistico e politico di Marinetti, mostrando le caratteristiche ideologiche più rivoluzionarie e meno conosciute dell'autore novecentesco.
In questo nuovo articolo, scenderò nel dettaglio della produzione letteraria di Marinetti, sondando un altro aspetto, ancor meno studiato, dell'opera dello scrittore futurista: il Marinetti narratore erotico.
Il testo di cui tratterò è Novelle colle labbra tinte, pubblicato per la prima volta nel 1930 e recentemente riedito da Fogli voltanti edizioni.
Si tratta di una raccolta di brevi racconti erotici, che mostrano l'aspetto più intimo, interiore, erotico ma pur sempre energico e futurista di Marinetti.
Come accennato nel precedente articolo, la tensione erotica è considerata da Marinetti come una delle principali forze vitali, una tensione propulsiva in grado di spingere gli uomini a grandi imprese, a patto che non si lascino imprigionare dal "romanticismo passatista" che, invece, ingabbia l'uomo nella contemplazione del passato e lo svuota dalle suo forze vitali, rendendolo schiavo del ricordo. Le Novelle colle labbra tinte sono il più alto esempio dell'erotismo marinettiano. Filo conduttore è quello che potrebbe essere definito "l'amore futurista", un turbinio di sensazioni energiche in cui i confini tra amore, forza, violenza, immaginazione, passione, voluttà, piacere, dolore, odio, pazzia, e godimento estetico-sensoriale sono molto labili, fino a perdersi l'uno nell'altro.
In questo turbinio di emozioni e sensazioni contrastanti, v'è spazio per ogni sfumatura dell'amore e, in pieno stile marinettiano, alcune novelle risultano estremamente anticonformiste e dissacranti, nonché stilisticamente innovative, come i Programmi di vita con variante a scelta, le novelle che compongono la seconda metà del testo in cui il protagonista è il lettore stesso, a cui Marinetti propone delle possibili strade di vita da intraprendere, narrate al futuro, e con una rosa di finali alternativi che il lettore stesso deve scegliere in base alle proprie preferenze.
A condensare tutti gli aspetti elencati in precedenza vi è senz'altro Il confessionale di odio, novella in cui Marinetti propone al lettore "sazio di generosità e bontà" di provare una cura di odio, poiché "L'odio nutre e rinforza"; cura di odio che nella "variante di vita" consiste nel farsi prete, non per fede religiosa ma per menzogna, il tutto per invaghire le proprie penitenti e metterle l'una contro l'altra, aizzandone così l'odio reciproco e vivendo l'ebrezza della contesa.
In generale, anche nei racconti meno dissacranti, le novelle di Marinetti esprimono sempre un erotismo elettrico, onirico, energico, mai banale, in grado di sospendere il lettore in uno spazio-tempo parallelo, al di fuori dei canoni temporali e spaziali quotidiani, il medesimo trasporto che si prova quando si vive un trasporto erotico e amoroso estremamente intenso.
Uno degli esempi più lirici ed evocativi di queste sensazioni che Marinetti è in grado di suscitare con la sua penna si ritrova nella novella 11 baci a Rosa di Belgrado, novella che con l'espediente letterario delle lettere d'amore descrive undici tipi di bacio differenti, uno più onirico dell'altro:

"L'afa dell'asi di cactus palme noia e cantilene nasali ci cacciava ogni sera verso l'illusoria frescura del deserto. Ultima ambizione rossa di un raggio solare sulla carnosità felina della sabbia, con strascico di riflessi verdi, stridere di rondini, ululare di cani, guaire di sciacalli e ironici fischi di iene.Per gareggiare in selvaggeria, Sarah si denudava silenziosamente. Sdraiata calda sulle orme calde del sole. Con un tattilismo inspirato i pori della sua schiena asciugavano i silicati d'alluminio potassio e magnesio della sabbia. Il suo gomito graziosamente tornito distingueva il quarzo i carbonati di calcio e le particelle di ossido di ferro. Allora, rizzatomi in piedi, la testa alta e gli occhi allo zenit, come per la preghiera mussulmana, versavo intorno ai nostri due corpi affiancati tutto l'acido cloridrico contenuto nel mio zainetto medico. Subito l'anidride carbonica s'innalzava visibilmente come una nebbiolina.Io stringevo al cuore Sarah. Tra labbra e labbra l'acido cloridrico si scindeva: delizioso bacio in cui l'ione.cloro rissa con l'ione idrogeno. Nella fremente ionizzazione bluastra dell'aria, l'elettricità amorosa si scaricava dalle nostre carni e correva ad accendere la cupola calva del marabuto di pietra sotto una palma arrotata da lame di stelle. Bruscamente un baracano gonfio e scoppiettante di vento sul profilo di una duna lontana preannunciava lo slancio delle nuvole ansiose di spruzzarci. Una goccia sulle labbra. Lievemente zuccherina. Poi due. Insipide. Si univano per formare una doccia. Tiepida. Sarah le offriva la schiena nuda, mentre la baciavo. All'alba, sotto i nostri petti, cresceva l'erba, quell'erba delle dune che nasce per incantesimo nell'amplesso sensuale tra la pioggia e i silicati virili della sabbia" (Marinetti, Novelle colle labbra tinte, Fogli volanti, pp, 29).

Anche nelle sue novelle erotiche, dunque, Marinetti riesce a imprimere il proprio marchio futurista, riuscendo sia a non lasciarsi andare agli eccessi estetici di Mafarka il futurista, sia a non cadere nelle immagini e nelle situazioni canoniche della novellistica erotica, ma dosando in maniera ponderata gli gli elementi stilistici che caratterizzano il suo lirismo fortemente evocativo, in grado di evocare nuove idee, nuove sensazioni e nuove immagini.
In questa miscela esplosiva di elementi, la passione erotica la fa sempre da protagonista e si rivela in tutta la sua potenza allo stesso tempo primordiale e futurista; primordiale, poiché una delle forze più antiche che animano gli esseri viventi e futurista perché la sua spinta propulsiva, quando se ne liberano le redini e quando non ci si lascia ingabbiare dalle catene del moralismo, proietta sempre l'individuo al futuro, con il suo slancio creativo ed energico nel raggiungimento dell'oggetto della propria passione.
In conclusione, Novelle colle labbra tinte è senz'altro una lettura consigliata se si vuole evadere dal piatto panorama letterario contemporaneo, e se si è in cerca di descrizioni, situazioni ed emozioni del tutto nuove.

Filippo Tommaso Marinetti, Novelle colle labbra tinte, Fogli volanti edizioni.

Per approfondire ulteriormente il pensiero di Marinetti: 

Daniele Palmieri

mercoledì 10 gennaio 2018

Filippo Tommaso Marinetti: Il Futurismo e la conflagrazione creatrice

Filippo Tommaso Marinetti: folle, elettrico, rivoluzionario, rude, violento, distruttivo ma anche poetico e delicato. Uno scrittore dalle mille sfaccettature e dalle mille contraddizioni, e proprio per questo un autore estremamente interessante che, come ogni autore complesso, spesso viene semplificato a pochi concetti basilari che ne banalizzano la figura e l'attività letteraria.
La semplificazione manualistica viene spesso fatta con autori importanti, ad esempio Leopardi, come ho sottolineato in uno degli ultimi articoli apparsi sul blog, e nel caso di Marinetti e del Futurismo questa semplificazione è, forse, ancora più accentuata. 
Prima di approcciarmi in maniera profonda alla sua produzione letteraria, l'unica immagine che avevo di Marinetti era, appunto, quella del rude, chiassoso e violento guerrafondaio, il Marinetti del manifesto "Guerra unica igiene del mondo", uno dei pochi testi del Futurismo che viene affrontato alle superiori e che, senza le dovute spiegazioni, contestualizzazioni e senza la giustapposizione alle altre opere del medesimo autore si presta a grandissimi fraintendimenti.
Dopo un iniziale rifiuto, quasi repulsione, nei confronti di questo autore, dovuta all'immagine stereotipata veicolata dal manuale scolastico, da pochi mesi ho iniziato ad approfondirlo con occhio critico e ho avuto modo di compiere una delle operazioni intellettuali che, personalmente, trovo estremamente stimolanti: la messa in dubbio e la distruzione dei propri pregiudizi. 
Approcciando l'opera letteraria di Marinetti nel suo complesso ho riscoperto un autore dalle mille personalità, una delle quali è certamente quella del Marinetti rude e violento ma che, tuttavia, non è quella principale; o, meglio, si tratta di una violenza energica e letteraria, al servizio del suo animo rivoluzionario e della sua innovativa potenza poetica.
Marinetti è stato, infatti, uno dei più grandi rivoluzionari italiani. Questo aspetto è spesso messo in ombra dalla sua adesione al Fascismo, ma una ponderata lettura dei suoi testi porterebbe a rendersi conto di quanto Futurismo e Fascismo fossero due ideologie agli antipodi e di come, effettivamente, l'adesione al Fascismo fu la morte dell'autentico Futurismo. Lo stesso Marinetti nei suoi Taccuini del 1918 scrisse:

"Sento il reazionario che nasce in questo violento temperamento agitato pieno di autoritarismi napoleonici e di nascente disprezzo aristocratico per le masse. Viene dal popolo e non lo ama più. Tende all'aristocrazia del pensiero e della volontà eroica. Non è un gran cervello [...]. Non vede chiaro. E' trascinato dal suo temperamento di lotta eroica e dall'ideale napoleonico e aspira credo anche alla ricchezza" (Marinetti, Taccuini, Il mulino, pp. 392).

Per capire queste mie ultime affermazioni e come mai Marinetti riuscì a intravedere il Mussolini reazionario e, soprattutto, perché ne ebbe così avversione, bisogna entrare nel merito del pensiero e della produzione letteraria, poetica e filosofica marinettiana.
In un passo di Al di là del comunismo, Marinetti condensa le principali idee rivoluzionarie, tanto politiche quanto artistiche, del suo pensiero:

"Vogliamo liberare l'Italia dal papato, dalla monarchia, dal Senato, dal matrimonio, dal Parlamento. Vogliamo un governo tecnico senza parlamento, vivificato da un consiglio o eccitatorio di giovanissimi. Vogliamo l'abolizione degli eserciti permanenti, dei tribunali, delle polizie e dei carceri, perché la nostra razza di geniali possa sviluppare la maggiore quantità possibile di individui liberissimi, forti, laboriosi, novatori, veloci. Tutto ciò nella grande solidarietà affettuosa della nostra razza tipica, nella nostra tipica penisola, nel cerchio saldo dei confini conquistati e meritati dalla nostra grande vittoria assolutamente tipica. Non soltanto siamo più rivoluzionari di voi, socialisti ufficiali, ma siamo al di là della vostra rivoluzione. Al vostro immenso sistema di ventri comunicanti e livellati, al vostro tedioso refettorio tesserato, noi opponiamo il nostro meraviglioso paradiso anarchico di libertà assoluta arte genialità progresso eroismo fantasia entusiasmo, gaiezza, varietà, novità, velocità, record" (Marinetti, Al di là del comunismo, edizione Meridiani, pp. 482).

Nell'ideale marinettiano, le parole d'ordine sono gioventù, futuro e libertà. Marinetti è contro la Monarchia, il Papato e perfino il patrimonio storico-artistico del passato, tre dimensioni politiche, religiose e artistiche che sono l'emblema di una cultura antiquata e vetusta, "'passatista", che ingabbia le facoltà creative e vitalistiche degli italiani sotto ogni aspetto. 
La Monarchia dal punto di vista politico, poiché il monarca implica non dei liberi cittadini, ma dei sudditi, ed è inoltre testimonianza di un passato feudale e nobiliare ormai antiquato e "parassitario", rappresentato da persone il cui potere e le cui ricchezze non dipendono dalla loro forza, dalla loro volontà e dalla loro genialità, ma semplicemente dalla rendita ereditaria. 
Il Papato dal punto di vista morale, poiché con i propri dogmi e la propria morale incatena l'uomo a una serie di precetti che ne ingabbiano le forze vitali, come la tendenza al conflitto, alla disputa, alla libera espressione creatrice e spregiudicata e, soprattutto, al libero godimento della più grande forza vitalistica: la tensione erotica. 
Il patrimonio storico-culturale dal punto di vista della genialità creatrice, che troppo spesso è succube degli stili del passato, ancorata alle tradizioni letterarie, poetiche e artistiche e dunque impossibilitata a produrre qualcosa di realmente nuovo, soprattutto quando essa è relegata al mero commento e alla mera critica delle opere del passato, o quando gli stessi critici snobbano e guardano di cattivo occhio le novità. In quest'ottica bisogna dunque leggere i proclami di Marinetti a distruggere le opere d'arte; idea che, forse, nella testa di Marinetti era intesa anche in senso letterale, ma che assume maggiore senso e profondità dal punto di vista metaforico se la si interpreta come un estremo movimento di liberazione personale.
Difatti, per Marinetti, tutte queste limitazioni della libertà personale necessitano una rivoluzione drastica, quella che lui chiama "grande conflagrazione". Un'esplosione allo stesso tempo distruttrice e creatrice; distruttrice perché, con il suo impeto, distrugge in maniera radicale tutte le catene, e creatrice perché, dal cratere fumante che essa lascia dietro di sé è possibile erigere una società completamente nuova.
Da questo punto di vista, Marinetti è un libertario patriota, con tendenze anarchiche. Come possono stare insieme questi ideali apparentemente contrapposti? In questo segreto risiede l'essenza più rivoluzionaria del Futurismo marinettiano. La società che egli ha in mente è quella di persone assolutamente libere, in cui l'unico scopo dello Stato è quello di preservare l'assoluta libertà e, allo stesso tempo, di fornire ai suoi membri una formazione "eroica" che fornisca loro la facoltà di vivere pienamente tale libertà, in tutti i suoi aspetti.
La Patria non è dunque un padre severo che bacchetta i figli con le proprie regole, né il prolungamento o l'estensione della famiglia, bensì una coalizione di liberi ed eguali, un territorio atto a circoscrivere i basilari diritti inalienabili: la forza di volontà, l'eroismo, la potenza creatrice e la libertà. 
Scrive Marinetti in Democrazia futurista:

"La lampada familiare è una luminosa chioccia che cova delle uova putride di vigliaccheria. [...] L'idea di patria invece è una idea assolutamente superiore. Rappresenta il massimo allargamento della generosità dell'individuo straripante in cerchio verso tutti gli esseri umani simili a lui o affini, simptatizzanti e simpatici. Rappresenta la più vasta solidarietà concreta d'interessi agricoli, fluviali, portuali, commerciali, industriali legati insieme da un'unica configurazione geografica, da una stessa miscela di climi e una stessa colorazione di orizzonti. Rappresenta precisamente la distruzione del sentimento di famiglia egoistica, ristretta, divenuta inutile o dannosa all'individuo" (Marinetti, Democrazia futurista, Meridiani, pp. 389).

Il Patriottismo non è l'asservimento a un padre severo, ma l'amore verso questo territorio i cui confini permettono all'individui di esprimere la propria personalità e la propria libertà.
Da questo punto di vista, Marinetti è estremamente rivoluzionario e la sua attività intellettuale si contraddistingue per un continuo sforzo di liberazione nei confronti di ogni catena. 
Ad esempio, è a favore dell'emancipazione della donna, in ogni suo aspetto: dal voto alla liberazione dall'istituzione matrimoniale che, spesso, la ingabbia nel territorio domestico, relegando ogni suo sforzo a quella di nutrice e allevatrice della prole. Scrive in Democrazia futurista:

"Noi vogliamo distruggere non soltanto la proprietà della terra, ma anche la proprietà della donna. Chi non sa lavorare il campo deve esserne spodestato. Chi non sa dare gioie e forza alla donna non deve imporle il suo amplesso né la sua compagnia [...] Noi vogliamo che una donna ami un uomo e gli si conceda per il tempo che vuole [...] Il matrimonio deprime e avvilisce la donna abbreviandone la gioventù e troncandone le forze spirituali e fisiche" (Marinetti, Democrazia futurista, Meridiani, pp. 369-372).

Tale liberazione della donna si inserisce in un contesto più ampio di liberazione da qualsiasi vincolo moralistico e moraleggiante, istituzione matrimoniale compresa. Marinetti è favorevole all'abolizione del matrimonio e all'introduzione del divorzio veloce, poiché nel matrimonio vede la morte di ogni libera forza creatrice. Quanto l'uomo quanto la donna trovano in esso la morte della loro autentica forza vitale, l'erotismo, una delle più potenti forze propulsive  per l'essere umano, che spinge Marinetti a soppiantare l'istituzione matrimoniale con il libero amore, forza vitalistica che dovrebbe essere vissuta senza alcuna restrizione moraleggiante.
Alla forza del libero amore è strettamente legato l'impeto e la genialità creatrice della gioventù, poiché la grande forza e creatività dei giovani derivano, secondo Marinetti, proprio dalla loro tensione amorosa, che dà loro la forza di vivere, lottare, creare, sognare.
Marinetti è stato tra i pensatori italiani colui che più di tutti ha riconosciuto e incoraggiato l'importanza della gioventù e delle nuove generazioni. I giovani sono infatti il nerbo della società, e soltanto educandoli alla libertà e al futuro, permettendo loro di esprimersi liberamente e senza condizionamenti, saranno in grado dar vita a idee realmente nuove e rivoluzionarie e, di conseguenza, a nuove società, nuove arti, nuovi mestieri e nuove politiche. 
Sempre Marinetti fu il primo ad accorgersi dell'importanza di lasciar spazio i giovani non soltanto dal punto di vista politico, ad esempio, con la sua proposta di creare l'istituto governativo dell'Eccitatorio, una camera parlamentare dedicata esclusivamente ai giovani fino ai trent'anni d'età, ma soprattutto dal punto di vista espressivo ed artistico, proponendo l'istituzione delle cosiddette "Mostre del libero ingegno creatore", dei luoghi di aggregazione culturale dedicati esclusivamente ai giovani autori esordienti in cui questi ultimi possano, a giro, esporre i propri quadri, eseguire le proprie opere musicali, leggere e declamare i propri scritti, il tutto gratuitamente.
Il Futurismo, così come pensato da Marinetti, si contraddistingue dunque come un movimento d'azione artistica, o di arte in azione, a tutto tondo, che doveva permeare ogni parte della vita dell'uomo: la scrittura, la pittura, il cinema, la politica, l'educazione, perfino la cucina, in un turbinio di idee che dovevano compiere il loro corso non per fossilizzarsi in maniera dogmatica, e creare così una popolazione futurista appiattita sui medesimi ideali, ma per innescare una conflagrazione creatrice in grado di rinnovare l'Europa.  
Come un treno il Futurismo doveva percorrere la propria strada a tutta velocità per poi fermarsi, anche schiantandosi contro un muro o deragliando in maniera violenta, per lasciar spazio al futuro e, soprattutto, alla genialità, alla novità, all'impeto della ventura gioventù. In questo fu del tutto coerente, non imponendosi mai come corrente unificante e totalitaria ma lasciando sempre spazio alla diversità delle idee e delle forme espressive. La libera e spregiudicata forza creatrice è forse l'unico punto cardine del Futurismo a cui è dedicata l'immortalità poiché, utilizzando le parole di Marinetti:

"Bisogna semplicemente creare, perché creare è inutile, senza ricompensa, ignorato, disprezzato, eroico in una parola" (Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Meridiani).

Daniele Palmieri