tag:blogger.com,1999:blog-18140062108917087852024-03-14T08:43:15.058+01:00Nero d'inchiostroUn punto di vista sul mondoNero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.comBlogger217125tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-72466387612846469362022-09-20T18:17:00.000+02:002022-09-20T18:17:17.745+02:00Amanita Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno, Giorgio Samorini<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4U7cTqKU7P94cxfQYPD4vG05IrJFs_2XAD4LU9XHVz8Lm1A0l2zlcWntwsCTXtB6uIJT839PLFhihdiVRFTOfjGTzjawrt8bei-n5GN8djtytvW223pQA6NzJztWKVNK2bk-F0I7d7__ssFji3-hm3XFXKOGhrk5xNdQSdg4-ZB1tZwdkHRTnQM9A/s1178/amanita.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1010" data-original-width="1178" height="343" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4U7cTqKU7P94cxfQYPD4vG05IrJFs_2XAD4LU9XHVz8Lm1A0l2zlcWntwsCTXtB6uIJT839PLFhihdiVRFTOfjGTzjawrt8bei-n5GN8djtytvW223pQA6NzJztWKVNK2bk-F0I7d7__ssFji3-hm3XFXKOGhrk5xNdQSdg4-ZB1tZwdkHRTnQM9A/w400-h343/amanita.jpg" width="400" /></a></div>E' settembre inoltrato. I raggi del Sole ancora scaldano le foglie degli alberi, i fiori, i cespugli, e i campi verdi sopravvissuti alla calura dell'estate, ma il vento freddo e le prime piogge, come ambasciatori dell'autunno, annunciano l'arrivo della nuova stagione. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Mentre i primi "cacciatori di funghi" iniziano a popolare le coste umide e ombrose di valli e montagne, un inconfondibile "frutto della terra" inizia a fare capolino sotto abeti e betulle. Il rosso acceso del suo cappello, sia ancora un ovulo o già un tamburo, salta subito all'occhio, così come le sue verruche bianche che a volte vengono lavate dalle piogge. E' il fungo per eccellenza, lo si ritrova in tutte le illustrazioni fiabesche che riguardano i boschi e il loro popolo, visibile e non, e spesso è la dimora di gnomi e folletti nell'arte, nella scultura, perfino nei più economici e dozzinali dei souvenir. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Eppure, la sua diffusione capillare e la sua dimora costante e archetipica nell'immaginario collettivo non basta a salvarlo dagli sguardi di orrore, paura, perfino sdegno di camminatori e fungaioli che, se accompagnati da adulti o bambini, presto si sentiranno in dovere dal metterli in guardia dallo stare alla larga da quel fungo mortale, di non toccarne nemmeno l'ammaliante cappello e, nei casi più estremi, perfino di spappolarlo con il bastone per evitare che qualche incauto curioso osi avvicinarvisi troppo. D'altronde, tutti i manuali di riconoscimento e raccolta dei funghi parlano chiaro: l'Amanita Muscaria è velenosa, come testimonia il sogghigno del teschio grigio su sfondo nero. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma è davvero così? O la situazione è, forse, più complessa?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Per approfondire la questione, occorre andare al di là dei semplici manuali commerciali per la raccolta e il riconoscimento dei funghi, che spesso si trascinano dietro stereotipi e informazioni vetuste - ma anche giustificate cautele per evitare che persone inesperte possano cadere vittime della loro leggerezza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno</i>, di Giorgio Samorini (Youcanprint) è una monografia interamente dedicata all'Amanita Muscaria che permette di addentrarsi nello studio di uno dei funghi più conosciuti ma allo stesso tempo più incompresi, sfatando molti miti e addentrandosi nella sua storia affascinante e misteriosa. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In questo saggio etnobotanico, Samorini illustra il rapporto complesso e estremamente variegato che l'uomo ha intessuto con l'Amanita Muscaria nel corso dei millenni. Un rapporto che passa dagli usi sciamanici, a quelli eduli, perfino alla creazione di "vini inebrianti" a base di Muscaria fino ad arrivare alla demonizzazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma partiamo dalle basi, dalle nude e pure informazioni sull'Amanita Muscaria presa di per sé.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come scrive Samorini: "Le caratteristiche macroscopiche che permettono di individuare a prima vista l'agarico muscario sono: il cappello rosso cosparso di macchie bianche; la presenza di un anello nel gambo; la nascita di questo fungo da un ovulo che, prima di dischiudersi, ha l'aspetto di un vero e proprio uovo [da qui il soprannome di ovolo malefico, ndR] [...]. Questo fungo, come tutte le specie del genere Amanita, intrattiene relazioni ectomicorrize con diverse specie di alberi, principalmente, e forse originalmente, betulle, larici e altre conifere. [...] Per quanto riguarda i principi attivi dell'Amanita Muscaria [...] il primo composto a essere identificato nell'agarico muscario fu la muscarina, molecola che prese il nome da quello di questo fungo, e sebbene gli studi successivi abbiano evidenziato che questa molecola è presente in basse concentrazioni, per quasi un secolo si ritenne che fosse la muscarina responsabile degli effetti psicoattivi. [...] Fu solamente verso la metà degli anni '60 che vennero isolati e identificati i veri principi attivi dell'agarico muscario, gli alcaloidi acido ibotenico e muscimolo. L'acido ibotenico tende a trasformarsi in muscimolo, e questo processo viene facilitato durante il processo di essiccazione del fungo. Il composto più propriamente visionario è il muscimolo e ciò spiega la diffusa pratica presso etnie siberiane di seccare l'agarico muscario prima di ingerirlo, poiché in tal modo acquista maggiori proprietà visionarie. La parte del fungo più ricca di principi attivi è il cappello, mentre il gambo ne contiene basse concentrazioni [...]. La concentrazione dei principi attivi varia anche nelle diverse fasi di crescita del fungo. La concentrazione massima di alcaloidi si presenta solitamente nella fase in cui il fungo è nato da poco e il cappello è ancora chiuso" (<i>Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno</i>, Giorgio Samorini, Youcanprint, pp. 7-13).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Potrebbe non essere un caso che, perfino nel mondo odierno, in cui la lunga storia dell'Amanita Muscaria è stata eclissata dall'amplificazione della sua velenosità, questo fungo continui a essere associato alle rappresentazioni, anche triviali, delle entità invisibili che popolano il bosco. Come abbiamo accennato, infatti, l'Amanita Muscaria fu usata per millenni nelle pratiche sciamaniche e visionarie.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Una delle testi più note è quella del micologo Wasson, che nel suo <i>Soma. Divine mushroom of immortality</i>, avanzò l'ipotesi che il mitico Soma, cantato dai Rishi negli inni vedici, fosse una bevanda psicoattiva contenente proprio l'Amanita Muscaria. Ma, mentre le affascinanti congetture di Wasson si muovono nel mondo delle ipotesi, uno degli utilizzi attestati più importanti dell'Amanita Muscaria nell'indurre visioni è quello degli sciamani siberiani, a cui Samorini dedica gran parte del testo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La "sacralizzazione" dei funghi in territorio siberiano è estremamente antica. Alcune rappresentazioni rupestri di oltre 4000 anni fa ritraggono uomini dalle fattezze fungine; ma rappresentazioni più antiche risalgono addirittura a 10-11 mila anni fa, come testimoniano le ricerche dall'archeologo russo Nikolay Dikov, che ha riportato alla luce accampamenti paleolitici sulle rive dal lago Ushokovo dall'inconfondibile aspetto fungino.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come scrive Samorini: "Presso le culture siberiane che fanno uso di Amanita muscaria v'è una tendenza ad antropomorfizzare il fungo simbolicamente e artisticamente. Gli stessi effetti inebrianti del fungo parrebbero produrre visioni dei manichini, gli spiriti delle amanite, dall'aspetto fortemente antropomorfizzato [...]. Dikov ha sottolineato come le rappresentazioni di uomini fungo o di funghi antropomorfizzati, e le associate conoscenze e utilizzi di funghi psicoattivi, siano un filo conduttore che attraversa tutta l'Asia centrale e settentrionale e ciò sarebbe evidenza di un sostrato Palo-Eurasiatico di migrazioni etniche e culturali [...] in tale filo conduttore fungino rientrerebbero anche le immagini di uomini fungo dell'Età della Pietra ritrovate nella Penisola Iberica, così come le origini del Soma vedico e, addirittura, le conoscenze e antropomorfizzazioni di funghi psicoattivi presso le culture precolombiane del Messico e dell'America Centrale" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Youcanprint, pp. 70-71). Un'ipotesi affascinante sulla quale, tuttavia, Samorini mette in guardia. Occorre infatti ricordare che conoscenze molto simili, circa l'utilizzo di sostanze psicoattive, possano sorgere anche in culture differenti e mai entrate in contatto tra loro. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiovHxZT2qQJS9hbwi8XLJYuM3SE6cqIITVbY5U9O58hhJ_g9iHhbURXeXGYxri_g3DT5Hhkm2_TfFEbKrIQKDen93tnwUV5q3OOY9UNBwmIetXuJD-BmwcmdwrNvzD0Ye6cUnnnckqCK7MmVPXoqIZeN22UMmCjeCrkoEnb6y60ytLH5yswldtG5zw/s3230/amanita%20muscaria.jpeg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="3014" data-original-width="3230" height="299" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiovHxZT2qQJS9hbwi8XLJYuM3SE6cqIITVbY5U9O58hhJ_g9iHhbURXeXGYxri_g3DT5Hhkm2_TfFEbKrIQKDen93tnwUV5q3OOY9UNBwmIetXuJD-BmwcmdwrNvzD0Ye6cUnnnckqCK7MmVPXoqIZeN22UMmCjeCrkoEnb6y60ytLH5yswldtG5zw/s320/amanita%20muscaria.jpeg" width="320" /></a></div><br />In Occidente, l'utilizzo visionario dell'Amanita Muscaria fu riscoperto soltanto in quella che Samorini chiama la fase pre-sovietica, quando cominciarono a filtrare le prime informazioni di quelle terre lontane dai diari dei viaggiatori o dei prigionieiri di guerra che entrarono in contatto con le popolazioni autoctone, che ancora tramandavano usi e riti antichi di secoli tra cui, appunto, l'utilizzo visionario dell'Amanita Muscaria, mangiata essiccata, sotto forma di bevanda inebriante o, addirittura, assunta per via indiretta attraverso l'urina delle renne o di sciamani che si erano precedentemente cibati delle cappelle di Amanita. Il principio attivo del fungo, infatti, possiede la peculiarità di rendere psicoattiva anche l'urina, addirittura in diversi cicli di ingestione ed espulsione, e secondo le tradizioni locali l'urina della renna o dello sciamano era perfino più potente del fungo ingerito.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L'ultima, triste, fase dell'uso sciamanico dell'Amanita Muscaria tra le popolazioni siberiane è legata alla severa repressione del periodo sovietico, durante la quale gli sciamani, additati nel migliore dei casi come retrogradi e nel peggiore come truffatori, vennero aspramente perseguitati dal regime sovietico, che sradicò l'utilizzo delle sostanze visionarie condannando perfino al gulag gli sciamani colpevoli di perpetrare le antiche tradizioni e ottenendo, come effetto collaterale, la sostituzione dell'Amanita Muscaria con la vodka, mentre il regime di Stalin condannava all'oblio millenni di cultura e tradizioni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La persecuzione degli sciamani e, indirettamente, dell'Amanita Muscaria, da parte del regime sovietico, sembra riflettere la "muscariafobia" della letteratura recente, scientifica e non. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L'aspetto più curioso riportato alla luce dalla storia della Amanita Muscaria redatta da Samorini è che nemmeno l'utilizzo culinario di questo fungo, in condizioni di emergenza, è riuscito a sottrargli l'aria mortifera che lo attanaglia. Anche in Italia, durante periodi di guerra e carestie, l'Amanita Muscaria veniva consumata previa molteplici processi di cottura atti a eliminarne i principi attivi venefici, ma il caso più eclatante è quello avvenuto nel XIX secolo, quando, a causa di un parassita che aveva fatto morire diversi vigneti con conseguente inflazione del prezzo del vino, un medico di Como aveva messo a punto una bevanda inebriante a base proprio di Amanita Muscaria, per colmare la richiesta di mercato e le botti rimaste vuote.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nonostante, come riporta Samorini nel libro, la casistica di decessi direttamente attribuibili all'Amanita Muscaria sia estremamente bassa e, spesso, legata a informazioni parziali e contraddittorie, la povera Amanita continua a essere additata come il fungo velenoso per eccellenza e, anche quando razionalmente ne ridimensioniamo la pericolosità, permane in noi un timore e un sospetto inconscio.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Per descrivere questo timore e comportamento ambivalente, Samorini ha coniato l'espressione Trauma di Verbnikov. Verbnikov, soprannominato il Poeta degli Urali, è stato uno scrittore russo che ha avuto diverse esperienze con l'Amanita Muscaria, dedicandogli perfino un testo: Nonno Amanita e ragazzo banana, o raccoglitore di funghi. Come scrive Samorini: "In questo testo Verbnikov si dilunga per diverse pagine sul comportamento della distruzione nei boschi dell'agartico muscario, proponendo un'arguta e plausibile interpretazione psicologica. Le persone che si scagliano rabbiosamente contro questo fungo, non è tanto perché lo considerino velenoso, quindi agendo come atto di difesa personale e per gli altri, ma v'è un motivo più recondito che origina quando, da bambini, siamo vittime di un comportamento contraddittorio degli adulti. Nelle culture occidentali il mondo infantile viene inondato di immagini di amanite muscarie, diventando uno dei simboli dell'affetto e del calore, dell'innocenza e della sicurezza dei bambini; un valore affettivo che viene brutalmente distrutto il giorno in cui, quando la famiglia si trova nel bosco a raccogliere funghi, un evento frequente in Russia, con gesti e parole intimidatorie gli adulti bloccano l'ignaro infante mentre sta per raccogliere questo fungo, vietandogli di fare ciò non solo in quel momento ma per il resto della sua vita. In quel momento il bambino interpreta questo comportamento degli adulti come un tradimento, con conseguente delusione. Verbnikov osserva che, per coerenza, la famiglia da quel momento dovrebbe distruggere o eliminare qualunque immagine dell'agarico muscario presente nella camera da letto del bambino, ma un uomo civilizzato moderno, essendo uno schizofrenico coerente, non lo fa. Quando il bambino, ormai divenuto adulto, si aggirerà per i boschi e incontrerà l'agarico muscario, gli scaglierà contro tutta la sua rabbia inconscia per quel tradimento dei tempi dell'infanzia. [...] Si potrebbe ritenere che noi tutti, persone di cultura occidentale, abbiamo sofferto da bambini in vario grado del trauma di Verbnikov, ce lo portiamo dentro inconsciamente e reagiamo alla vista o anche solo al pensiero dell'agarico muscario [...] in base alla profondità di questo trauma infantile. La delusione per il tradimento del valore affettivo del fungo con il cappello rosso cosparso di puntini bianchi che ha accompagnato la prima infanzia dei bambini, avviene anche in coloro che non esperiscono l'evento delusorio in un bosco, ma che acquisiscono i valori di pericolosità e velenosità del fungo in altri modi, mediante la lettura o la semplice comunicazione verbale" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Youcanprint, pp. 44-45).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Muscaria. Etongrafia di un fungo allucinogeno di Giorgio Samorini è il libro ideale per iniziare a superare questo trauma infantile e riappacificarsi con la bellezza del rosso cappello di questo fungo che, con la sua appariscenza e il suo aspetto di fuoco, annuncia l'arrivo di una nuova stagione e nasconde, silente, spiriti antichi che parlarono agli uomini in tempi immemori.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: verdana;">Muscaria. Etnografia di un fungo allucinogeno</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Youcanprint</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-44034694439987212882022-02-12T01:01:00.001+01:002022-02-12T01:01:33.707+01:00Rudolf Steiner: I Sei Esercizi per lo sviluppo dell'anima<div style="text-align: justify;"> <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.pinimg.com/originals/23/e3/8f/23e38fa771727e1d46abf2e673c8e1d4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="597" data-original-width="800" height="478" src="https://i.pinimg.com/originals/23/e3/8f/23e38fa771727e1d46abf2e673c8e1d4.jpg" width="640" /></a></div><br /><span style="font-family: verdana;">Proseguiamo l'approfondimento del pensiero di Rudolf Steiner con questo terzo articolo, che va a completare <a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2021/08/introduzione-lettura-opere-steiner-iniziazione.html">Introduzione alla lettura di Rudolf Steiner e Rudolf Steiner</a> e <a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2022/02/rudolf-steiner-soglia-mondo-spirituale.html">La Soglia del Mondo Spirituale</a>.<br /></span><span style="font-family: verdana;">In entrambi gli articoli abbiamo parlato dell'approccio esperienziale al sovrasensibile tracciato da Rudolf Steiner. Un approccio che lo pone a metà strada tra il mistico e lo scienziato. La sua idea, infatti, era quella di applicare il metodo della scienza sperimentale al mondo sovrasensibile, senza abbandonarsi a esso in preda all'estasi ma cercando di mantenere il controllo della coscienza per poter esplorare e analizzare le visioni e coglierne il loro profondo significato. Un approccio che, come potete immaginare, attirò critiche da entrambi i fronti. Da quello scientifico, per ovvi motivi epistemologici, ma anche da quello esoterico e spirituale. A dir poco spietati, nei suoi confronti, furono Guenon ed Evola, ma anche un altro autore in bilico tra mondo scientifico e mondo spirituale come Gustav Jung, che nelle sue opere non riusciva a vedere altro che visioni personali senza alcuna "profondità archetipica".<br /></span><span style="font-family: verdana;">Pur non condividendo le derive visionarie di molte opere di Steiner, ritengo tuttavia che il suo pensiero abbia qualcosa di misterioso e affascinante e che la sua esperienza spirituale, al pari di quella di uno Swedenborg, sia da studiare e da comprendere proprio per la sua eccentricità. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Ciò che lo contraddistingue da altri autori simili, come Jakob Lorber, è il voler condividere come egli sia stato in grado di poter accedere a queste visioni. Le opere scritte di suo pugno sono testi essenzialmente pratici. Essi vogliono spiegare al lettore come immergersi in questi reami sovrasensibili. Da questo punto di vista, una agile introduzione è un breve libello redatto raccogliendo i molti cenni che lo stesso Steiner, in molte sue opere, fa in riferimento a Sei Esercizi Spirituali fondamentali per schiudere la Soglia del Mondo Spirituale. Questi esercizi, secondo l'autore, non hanno il compito di creare nuove forze ma di sviluppare quelle già esistenti nell'animo umano, poiché "da sole esse non si sviluppano, poiché trovano impedimenti interni ed esterni. Quelli esterni vengono rimossi con le regole di vita indicate qui; quelli interni grazie a particolari indicazioni sulla meditazione e la concentrazione" (Rudolf Steiner, <i>I Sei Esercizi</i>, Editrice Antroposofica, p. 13).<br /></span><span style="font-family: verdana;">In ordine progressivo, questi sei esercizi devono essere svolti per il periodo di un mese e sono così suddivisi:<br /></span><p><span style="font-family: verdana;"><b>1) L'esercizio del pensiero</b>. "La prima condizione è l'acquisizione di un pensiero perfettamente chiaro. A tale scopo, sia pure per breve tempo, anche solo per cinque minuti al giorno, ci si deve rendere liberi dal confuso vagare dei pensieri. Bisogna divenire padroni del proprio mondo di pensiero. Non se ne è padroni se le condizioni esterne [...] determinano un nostro pensiero e il modo in cui si sviluppa" (Rudolf Steiner, <i>I Sei Esercizi</i>, pp. 14-15). Un esercizio comune a molte scuole religiose, spirituali, filosofiche ed esoteriche, che consente alla coscienza di alienarsi dal mondo materiale per raccogliersi in se stessa e riscoprire ciò che ha davvero valore, in questa dimensione lontana dove non penetra il brusio della vita quotidiana che, quotidianamente, ci trascina verso il basso. Una sorta di "digiuno dell'anima", al quale, in seguito, deve subentrare la capacità di concentrarsi su un unico pensiero, a nostra scelta, senza mai distogliere lo sguardo interiore. Questo esercizio permette di sviluppare la "volontà del pensare", che consente all'animo di riprendere dominio sulla sua facoltà più importante. L'esercizio deve essere concluso pensando di riversare il pensiero dal capo alla linea mediana della schiena. <br /></span><span style="font-family: verdana;"><b>2) L'esercizio della iniziativa all'azione</b>. "Si cerchi di immaginare un'azione qualsiasi che di certo non si compirebbe secondo le consuete abitudini di vita. Si trasformi questa azione i un dovere quotidiano" (</span><span style="font-family: verdana;">Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">I Sei Esercizi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 15). Questo esercizio permette di espandere la volontà del pensiero sul corpo e, soprattutto, di infrangere gli automatismi che ci portano ad agire sempre nello stesso modo. Esso è in grado, allo stesso tempo, di rivelare la natura abitudinaria e automatica delle nostre azioni, ma anche di infrangerla con il potere della consapevolezza. Trascorsi un po' di giorni, occorre aggiungere una seconda azione alla prima, e poi una terza e così via, propria per evitare che subentri un nuovo automatismo e per abituare l'anima e il corpo a esperienze sempre nuove. Il tutto senza abbandonare il primo esercizio.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><b>3) L'esercizio della superiorità nei confronti delle emozioni</b>. "Si badi a non farsi trascinare da una gioia, o abbattere da un dolore, a non farsi trasportare dall'ira o alla collera smisurata da alcuna esperienza, a non farsi riempire d'angoscia o di paura da nessuna attesa, che nessuna situazione ti sconvolga e così via" (</span><span style="font-family: verdana;">Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">I Sei Esercizi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 16). Questo esercizio non deve sfociare nell'aridità ma, oltre a estendere il dominio della volontà sulle emozioni, consente di veder sorgere nuovi sentimenti, purificati da un'anima non più in balìa degli eventi esterni ma che, al contrario, è in grado di gestire in maniera consapevole i propri moti interiori. Il sentimento che sorge deve essere irradiato in tutto il corpo, dalla testa ai piedi e almeno una volta al giorno si dovrà meditare su questa quiete interiore, come davanti a uno specchio.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><b>4) L'esercizio della positività</b>. "Consiste nel cercare ciò che vi è di buono, di eccellente, di bello, in tutte le esperienze, le entità e le cose" (</span><span style="font-family: verdana;">Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">I Sei Esercizi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 16). Il mondo spirituale è un reame totalmente alieno rispetto al mondo materiale. Così, bisogna imparare a scorgere nel reale ciò che non si era mai stati in grado di notare prima, per sviluppare la capacità di stupirsi e, soprattutto, per riuscire a trovare la Soglia nascosta al mondo dello spirito. Esso inoltre permette di non farsi trascinare dalle catene della critica continua e di liberarsi dagli eccessivi giudizi nei confronti del mondo, ad accettare le cose che accadono distaccandosi da esse e usando la forza ascendente della positività. "Chi per un mese di seguito s'indirizza coscientemente in tutte le sue esperienze verso il positivo, osserverà a poco a poco che nella sua interiorità si insinua una sensazione come se tutta la sua pelle divenisse permeabile da ogni parte, come se la sua anima si aprisse ampiamente a tutti i processi sottili e occulti dell'ambiente che prima sfuggivano del tutto alla sua attenzione" (</span><span style="font-family: verdana;">Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">I Sei Esercizi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 18)<br /></span><span style="font-family: verdana;"><b>5) L'esercizio della assenza dei pregiudizi</b>. "Nel quinto mese si cerchi di educare in se stessi l'attitudine a porsi senza pregiudizi di fronte a ogni nuova esperienza. Il discepolo esoterico deve affrancarsi del tutto dal comune atteggiamento di chi dice, per ogni cosa appena vista o udita: Non l'ho mai udita, non l'ho mai vista, non ci credo, è un'illusione! Egli deve essere pronto in ogni momento ad affrontare esperienze completamente nuove" (</span><span style="font-family: verdana;">Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">I Sei Esercizi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 18). Questo esercizio è strettamente collegato allo senso di stupore nei confronti del mondo dell'esercizio precedente ma consente anche di sviluppare quell'apertura, fondamentale, nei confronti delle realtà apparentemente incredibili del mondo spirituale. Esso consente il destarsi di un sentimento sottile, come se qualcosa di meraviglioso fosse sempre in agguato, come se tutto, in ogni momento, possa sempre accadere, come se non vi fosse nulla di impossibile, esattamente come nel mondo spirituale e nel suo divenire perpetuo di forme e visioni.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><b>6) L'esercizio dell'equilibrio</b>. "Nel sesto mese si deve tentare di intraprendere sistematicamente l'esecuzione di tutti e cinque gli esercizi, in regolare alternanza. Si formerà così, poco a poco un armonioso equilibrio dell'anima. Si noterà ad esempio come la scontentezza e l'insofferenza verso il manifestarsi e l'essere del mondo spariscano del tutto, per lasciare posto a una disposizione conciliante verso le esperienze. Non si tratta di indifferenza, ma di una nuova facoltà che ci rende capaci di lavorare nel mondo, migliorando e progredendo. Si schiude all'anima una calma comprensione di cose che prima erano del tutto celate" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><span style="font-family: verdana;">Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">I Sei Esercizi</i><span style="font-family: verdana;">, pp. 18-19).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Credo che, indipendentemente dal giudizio che si può formulare nei confronti della persona e dell'esperienza intellettuale di Steiner, questi sei esercizi si possano integrare facilmente a molti sentieri spirituali, senza dover necessariamente sposare l'intero sistema di pensiero dell'autore. Si trattano, infatti, di inviti all'azione piuttosto che di inviti all'idea, in grado di smuovere le medesime forze che, sempre secondo Steiner, sono in grado di far sbocciare il fiore di loto.</span></p><span style="font-family: verdana;">Rudolf Steiner, I Sei Esercizi, Editrice Antroposofica</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Fonte immagine: <a href="https://www.pinterest.it/pin/461126449325849764/">Pinterest</a><br /></span><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-60368756376809322752022-02-12T00:10:00.002+01:002022-02-12T00:10:54.136+01:00Rudolf Steiner: La Soglia del Mondo Spirituale<p style="text-align: justify;"> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.pinimg.com/originals/79/96/5e/79965e74e230ecdecd2d287566175573.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="640" height="320" src="https://i.pinimg.com/originals/79/96/5e/79965e74e230ecdecd2d287566175573.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Con questo articolo tiro le fila di due discorsi. Il primo, legato all'approfondimento dei reami psichedelici di cui ci siamo occupati negli ultimi tre articoli del blog e il secondo legato a un autore che, pur non avendo alcun legame con la cultura psichedelica, ha lasciato in eredità una serie di descrizioni e visioni dei reami spirituali. Sto parlando del controverso Rudolf Steiner, al quale, ad agosto 2021, avevo dedicato una introduzione, con la promessa di proseguirla (mi riferisco all'articolo <a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2021/08/introduzione-lettura-opere-steiner-iniziazione.html">Introduzione alla lettura di Rudolf Steiner</a>).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Questi due discorsi, a un livello superficiale, non hanno nulla in comune. Nessun autore psichedelico, almeno quelli di cui mi sono occupato, ha mai mostrato né simpatie né il minimo interesse per la figura di Rudolf Steiner; e lo stesso Rudolf Steiner era molto critico nei confronti di qualsiasi forma di "droga materiale", prediligendo le visioni indotte dalla sua "scienza dello spirito", che prevedeva lunghi esercizi di pensiero, concentrazione, meditazione, visualizzazione, educazione delle emozioni e via dicendo per risvegliare nell'uomo i sensi spirituali.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Eppure, mi trovo spesso, per i miei interessi, ad accostare letture apparentemente in antitesi tra di loro, salvo poi scoprire peculiari punti di contatto che, piuttosto che esacerbare il conflitto, non fanno altro che rivelare l'intrinseca unità di ogni forma di sapere (mi era già successo leggendo in parallelo <a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2021/01/franz-bardon-iniziazione-allermetica.html">Iniziazione all'Ermetica di Franz Bardon</a> e <a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2021/01/la-tecnica-dellautoipnosi-di-ronald.html">La tecnica dell'autoipnosi di Ronald Shone</a>).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Un aspetto peculiare delle esperienze psichedeliche è di mettere in contatto l'uomo con un reame spirituale che non solo sembra dotato di vita propria, ma che trasmette un senso di realtà superiore alla realtà stessa. Le visioni indotte dalle sostanze psicoattive hanno una ontologia a se stante, totalmente differente dai sogni e dalle allucinazioni. Quando sogniamo crediamo nel sogno finché vi siamo immersi; ma quando il sogno finisce, per quanto vivide potessero essere le visioni, cessiamo di credervi. Allo stesso modo l'allucinazione si rivela in quanto tale all'allucinato nel momento in cui cessa questo stato mentale alterato, sempre che avrà modo di ricordarselo. Tutto questo non avviene con le visioni psichedeliche. Esse immergono la coscienza umana in una realtà la cui veridicità non è messa in dubbio né prima né dopo l'esperienza. Lo stesso avviene durante le visioni spirituali indotte dalle pratiche di meditazione, ascesi e visualizzazione, come se nella coscienza si schiudesse una soglia, un varco verso un altro mondo. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Ho trovato una descrizione perfetta di questo varco e delle sensazioni spirituali che contraddistinguono il passaggio proprio in un breve testo di Steiner: <i>La soglia del mondo spirituale</i> (Editrice Antroposofica), uno dei pochi testi scritti di suo pugno e che, dunque, come abbiamo visto nel precedente articolo, non peccano della ridondanza e della astrusità tipica dei suoi libri stenografati.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><i>La soglia del mondo spirituale </i>è un breve scritto che lo stesso Steiner aveva pensato come introduzione al suo pensiero. Ma ritengo che esso sia molto di più di una semplice introduzione. Nella sua linearità e concisione è in grado di descrivere in maniera magistrale le prime sensazioni che si provano quando si entra in contatto con "l'altro mondo", il reame che si nasconde al di là della materia, e qual è l'aspetto e la natura di questa soglia che si schiude solo a determinate condizioni. Gran parte delle descrizioni contenute in questo testo presentano molte affinità con le sensazioni del "passaggio" che si prova proprio all'insorgere dell'esperienza psichedelica, quando la coscienza abbandona i suoi orpelli contingenti e si abbandona alla totalità, entrando in contatto con un mondo dirompente. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Questo senso di totalità, secondo Steiner, è il primo requisito da acquisire quando ancora si è "al di qua" della soglia, partendo dalle base stessa della coscienza: il pensare. "Il pensare" scrive Steiner "offre all'anima il conforto che le è necessario di fronte al sentimento di essere abbandonata dal mondo. [...] Che cosa sono io, nell'infinito flusso degli eventi universali, col mio sentire, col mio desiderare e volere, che hanno importanza solo per me? [...] Il pensare, che è connesso con quegli eventi del mondo, accoglie te insieme con la tua anima; tu vivi entro questi eventi, quando pensando ne accogli l'essenza. Ci si può sentire accolti dal mondo [...] non soltanto io penso, ma si pensa in me; il divenire del mondo si esprime in me; la mia anima offre soltanto il campo d'azione nel quale il mondo si esplica sotto forma di pensiero" (Rudolf Steiner, <i>La soglia del mondo spirituale</i>, Editrice Antroposofica, p. 11).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Questa "esperienza di picco" nel mondo materiale permette alla coscienza di iniziare a dilatarsi, di allargare i propri confini al di là di quelli del proprio cranio e a riconoscersi non soltanto come spettatrice passiva del mondo, ma come palcoscenico in cui il mondo stesso si riversa, un agente attivo <i>con </i>il mondo. Il pensare stesso, da questa prospettiva, diventa un "essere accolti" dal mondo, insinuarsi nel flusso del suo divenire partecipandovi con una peculiarità della specie umana unica e per molti aspetti ancora inspiegata, quella organizzazione della materia che gli ha permesso di poter essere consapevole del mondo. Ma si tratta di uno stato di coscienza differente dalle semplici sensazioni del mondo e dalle emozioni suscitate dal mondo. Il sentire e il patire sono movimenti con cui l'anima si immerge in se stessa. Ma il pensiero del mondo è un movimento che procede verso se stesso; un balzo con cui l'anima si libera da se stessa e si espande verso l'altro. Con questo movimento liberatorio comincia la sua emancipazione verso il mondo spirituale. Ha messo il primo piede di fronte alla Soglia del mondo invisibile.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Su questa soglia incontra il più grande ostacolo: il Guardiano della Soglia. Nelle tradizioni religiose e mitologiche, il Guardiano della Soglia è una figura archetipica. Egli è colui che veglia i luoghi segreti e i tesori nascosti; da un lato è un ostacolo, una figura di intralcio. Ma dall'altro è anche un alleato dell'eroe: con la sua funzione di ostacolo, infatti, impedisce all'iniziato di accedere a reami a quali non sarebbe spiritualmente pronto. Nel momento in cui l'iniziato lo sconfigge, il Guardiano ha terminato la sua funzione e si scansa confermando all'iniziato di essere pronto a varcare l'accesso alla dimensione che stava difendendo. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Nel caso dei mondo soprasensibile, il primo e più importante guardiano della soglia siamo proprio noi stessi. Per Steiner, infatti, il nostro Guardiano è tutto ciò che compone la nostra coscienza egoica e contingente, che soffoca la coscienza cosmica impedendogli di accedere al mondo invisibile. La Soglia del Mondo Spirituale, infatti, è molto stretta ed è impossibile passarvi se prima non si è compiuto un lavoro di limatura su se stessi. Come scrive l'autore:<br /></span><span style="font-family: verdana;">"Come in momenti particolari della vita ci si aggrappa a cari ricordi, così all'ingresso dei mondi soprasensibili vengono a galla necessariamente dalle profondità dell'anima tutte le inclinazioni di cui si è capaci. Ci si rende conto allora di quanto si sia in fondo attaccati alla vita che congiunge l'uomo col mondo dei sensi. Tale attaccamento si rivela allora nella sua piena verità, liberato da tutte le illusioni che di solito ci si fa in proposito. All'ingresso nel mondo soprasensibile [...] si realizza un frammento di autoconoscenza [...] e si rivela tutto ciò che bisogna abbandonare, se si vuole davvero penetrare con la conoscenza in quel mondo" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">La soglia del mondo spirituale</i><span style="font-family: verdana;">, Editrice Antroposofica, p. 47) e ancora: "Nell'uomo si annida un essere che vigila attentamente al confine che si deve superare, nel passaggio al mondo soprasensibile. Questa entità spirituale annidiata nell'uomo, questa entità che siamo noi stessi, ma che non possiamo riconoscere con la coscienza ordinaria [...] è il Guardiano della Soglia del mondo spirituale" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">La soglia del mondo spirituale</i><span style="font-family: verdana;">, Editrice Antroposofica, p. 48)<br /></span><span style="font-family: verdana;">Ma quando si riesce a sgrossare tutto questo materiale in eccesso, la cui eliminazione risulta dolorosa, difficoltosa e paurosa, ecco che la Soglia si schiude (o, meglio, noi ci schiudiamo alla Soglia) e riusciamo a varcarla. </span><span style="font-family: verdana;">Al momento dell'ingresso "Si scorge l'essere che si è sempre stati, ma ora non lo si vede dal mondo dei sensi, dal quale prima lo si era sempre osservato: lo si scorge senza illusioni, nella sua realtà, dal mondo spirituale. Lo si scorge, sentendosi pienamente compenetrati dalle forze di conoscenza che sono in grado di misurarne il valore spirituale" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">La soglia del mondo spirituale</i><span style="font-family: verdana;">, Editrice Antroposofica, p. 47)<br /></span><span style="font-family: verdana;">Ecco che appaiono le visioni spirituali. Come per le visioni dell'esperienza psichedelica, le visioni di cui parla Steiner non sono mere allucinazioni. Sono immagini il cui valore, come per le lettere dell'alfabeto, non risiede nella loro forma, bensì nel loro significato.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Una medesima sensazione si verifica anche nell'esperienza psichedelica (o enteogena) quando la coscienza lentamente abbandona tutto ciò che le appartiene in quanto entità individuale, in un distacco doloroso che le permette però di espandersi. <br /></span><span style="font-family: verdana;">In questo processo, tuttavia, la memoria di una propria individualità deve essere conservata. L'esperienza del mondo dello spirito è possibile esclusivamente alla condizione che un "io osservante" permanga, scevro però da tutte le componenti che prima lo appesantivano. In particolare, il mondo materiale è una fucina spirituale che permette all'anima di costruire una propria autonomia che essa deve conservare nel mondo in cui varca la Soglia, altrimenti non potrà fare esperienze delle forme del mondo spirituale ma vivrà esclusivamente uno stato di unione mistica, in cui però la visione è come "preclusa", sperimentando, la coscienza, una totale coincidenza con la totalità. Si tratta dunque di vivere un'esperienza visionaria accompagnata dalla permanenza di sé - e, anche in questo caso, è ciò che accade con la maggior parte delle droghe enteogene, dove, abbandonate le strutture individuali, permane però sempre la memoria e una certa consapevolezza della propria unità. Come scrive Steiner "ogni esperienza consiste nel portarsi a coscienza quanto segue: adesso tu sei trasformato in questo modo particolare, dunque sei collegato in modo vivente con un essere il quale, per la sua natura, trasforma la tua in "questo modo". Questo trasformarsi, questo immergersi col sentimento in altre entità è la vita nei mondi soprasensibili" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">La soglia del mondo spirituale</i><span style="font-family: verdana;">, Editrice Antroposofica, p. 53).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Altro punto di contatto tra le esperienze visionarie di Steiner e le esperienze psichedeliche è l'ingresso, con questa coscienza dilatata, in un mondo popolato da entità senzienti, composte però da una materia sottile. Vi è una somiglianza sorprendente tra le testimonianze di incontri con entità riportate, ad esempio, da Strassman in <i>DMT. La molecola dello spirito</i> e gli elementali descritti da Steiner in questa e altre sue opere. In particolare, come scrive Steiner, sembra che la coscienza in questa dimensione "impara a conoscere esseri più o meno affini a lei stessa; si accorge però anche di trovare nel mondo soprasensibile degli esseri [...] con i quali deve confrontarsi per imparare a conoscere se stesse" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">La soglia del mondo spirituale</i><span style="font-family: verdana;">, Editrice Antroposofica, p. 64) e uno dei racconti ricorrenti nelle testimonianze riportate da Strassman, ma anche da psiconauti come Terence McKenna, è che le entità incontrate nel mondo spirituale, per quanto strane, aliene e sconosciute, siano spesso in grado di intessere lunghi colloqui esistenziali dai quali si ritorna come trasformati, con una coscienza di sé molto più profonda. La natura di queste entità è ancora molto discussa nell'ambiente psichedelico, benché sia quasi impossibile entrarvi in contatto senza provare la sensazione che esse esistano come esseri indipendenti. Da questo punto di vista, secondo Steiner, le entità del mondo sottile non sarebbero altro che esseri elementali: l'essenza stessa di cui è composto il reame sottile, così come la realtà materiale è composta, appunto, dalla materia, con la differenza che gli elementali sarebbero una sorta di "materia cosciente" del mondo spirituale. Ognuno di essi, dunque, possiede la propria individualità ma concorre anche a creare la realtà spirituale in cui sono immersi.<br /></span><span style="font-family: verdana;">L'ultima, e più importante, coincidenza tra l'esperienza sovrasensibile di Steiner e le esperienze psichedeliche risiede nell'ontologia stessa dell'esperienza. </span><span style="font-family: verdana;">Anche per Steiner la visione spirituale lascia l'uomo con la sensazione che essa veicoli un messaggio ancor più vero e reale di quello colto dai sensi e dalle emozioni nel mondo materiale, nel momento in cui si riesce a scorgere al di là delle immagini in sé: </span><span style="font-family: verdana;">"Le esperienze spirituali si presentano certo, in un primo momento, come immagini: e come tali emergono dai sostrati dell'anima che si sia preparata. Esse hanno valore per la percezione soprasensibile solo se, per tutto il loro modo di presentarsi, non abbiano alcuna pretesa di essere considerate per se stesse [...]. Esse devono presentarsi come lettere dell'alfabeto che si abbiano davanti agli occhi: non si presta attenzione alla forma di questi caratteri, ma vi si legge ciò che per loro mezzo si esprime" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, </span><i style="font-family: verdana;">La soglia del mondo spirituale</i><span style="font-family: verdana;">, Editrice Antroposofica, p. 17).<br /></span><span style="font-family: verdana;">In conclusione, non voglio che questo articolo possa essere frainteso. Di certo non ho voluto intendere che Steiner facesse uso di sostanze psichedeliche, tantomeno che le esperienze psichedeliche siano di "natura steineriana". Anzi, l'aspetto sorprendente risiede proprio nel fatto che questi due filoni culturali paralleli siano in grado di condurre l'uomo a esperienze spirituali di natura molto simile come se il reale spirituale fosse un luogo a sé stante, la cui soglia, pur essendo unica, è tuttavia raggiungibile attraverso diverse vie.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span><span style="font-family: verdana;">Rudolf Steiner, La Soglia del Mondo Spirituale</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span><span style="font-family: verdana;">Immagine: Rudolf Steiner, Sigillo dell'Apocalisse, Wikimedia Commons</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div><p></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-67223306173921446972022-02-09T22:59:00.000+01:002022-02-09T22:59:10.868+01:00Quando il tabacco era psicoattivo e la lattuga afrodisiaca: Droghe tribali di Giorgio Samorini<p> <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgQ5XcM5maodAyUu56N-qogXHb5MIN4Waui8UvUk6pwuSUipj4CvVvfnrSgJ3S7rZLweF3NDj_KmnRKUvJ1aIAutXMvEOROpNv9MmHWTyaNASLTB6zgffVSUtEy9JnsdaFX32Y9so8MOmbaEmxVYwRy73UEFpyz2rCunKpIAP2fyEGGPahPOu5u4UqI=s1219" style="font-family: verdana; margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="663" data-original-width="1219" height="347" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgQ5XcM5maodAyUu56N-qogXHb5MIN4Waui8UvUk6pwuSUipj4CvVvfnrSgJ3S7rZLweF3NDj_KmnRKUvJ1aIAutXMvEOROpNv9MmHWTyaNASLTB6zgffVSUtEy9JnsdaFX32Y9so8MOmbaEmxVYwRy73UEFpyz2rCunKpIAP2fyEGGPahPOu5u4UqI=w640-h347" width="640" /></a></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div>L'etnobotanica è una scienza, relativamente recente, che attraverso la botanica, l'antropologia e l'analisi incrociata delle tradizioni sciamaniche, magiche, religiose e folkloriche, studia il rapporto di simbiosi, a volte consapevole e altre inconsapevole, tra l'uomo e le specie vegetali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Con il suo approccio interdisciplinare, in grado di integrare in maniera magistrale le scienze umane con le scienze "pure", nell'ultimo secolo l'etnobotanica si è fatta strada tra le diverse branche del sapere umano in maniera estremamente innovativa. La sua importanza, probabilmente, è ancora sottovalutata. Ma per chi si addentra nei meandri della materia è chiaro che essa sta rivoluzionando lo studio dell'uomo e della sua storia evolutiva, ambientale, sociale e religiosa, come se nel mondo vegetale - e nel rapporto dell'uomo con esso - si nascondesse la chiave di volta per comprendere molti misteri ancora insoluti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Abbiamo già trattato, negli ultimi due articoli del blog (<a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2022/01/rivoluzione-psichedelica-sessantotto-iannaccone.html">Rivoluzione psichedelica</a> e <a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2022/01/piante-degli-dei-venexia-hofmann-ratsch.html">Le Piante degli Dèi</a>), parte della storia della riscoperta dell'uomo occidentale degli stati visionari di coscienza indotti da alcune sostanze vegetali e, per evitare di ripetermi, rimando il lettore a questi approfondimenti per inquadrare la questione nel suo sviluppo storico. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Scrivo il presente articolo proprio per proseguire questa breve "trilogia", focalizzandomi sugli studi e i nomi "nostrani" in materia. Il lettore attento avrà infatti notati che i principali protagonisti sia della rivoluzione psichedelica sia degli studi etnobotanici citati nei precedenti articoli sono esclusivamente esteri. Ma l'Italia non è rimasta immune da questa rivoluzione del sapere e, anzi, ne ha anticipato alcuni aspetti, ad esempio con l'opera avveniristica di Paolo Mantegazza, scienziato, antropologo, viaggiatore e scrittore italiano del XIX secolo che, in anticipo con i tempi, intuì che una delle scienze del futuro sarebbe stata proprio la scienza delle droghe e del loro rapporto con l'azione e il pensiero umani. Egli stesso dedicò alle droghe, all'estasi e all'ebrezza diversi studi, tra cui <i>Quadri della natura umana. Feste ed ebrezza </i>(1871) e <i>Le estasi umane</i> (1887). Ma, cosa più importante per la storia dell'etnobotanica, fu uno dei primi scienziati ad approcciarsi alla materia in maniera "esperienziale", compiendo diversi viaggi in Sud America e studiando in loco la relazione tra l'uomo e le specie vegetali, come ad esempio la coca, di cui divenne un appassionato sostenitore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Benché Mantegazza sia stato relegato ai margini del sapere dalla poco riconoscente cultura italiana, nonostante i suoi studi decisamente avveniristici, vi è chi, in Italia, ne ha preso a piene mani l'eredità. Sto parlando di Giorgio Samorini, il più importante etnobotanico italiano che, da molti anni, compie un lavoro di ricerca indipendente per diffondere, sia nel nostro paese sia all'estero, una diversa consapevolezza dello studio delle droghe e della relazione tra uomo e sostanze vegetali, mostrando un amore per il sapere estremamente raro e disinteressato per i nostri tempi, dato che egli stesso rende liberamente disponibili gran parte delle sue ricerche (e anche delle sue fonti) sul portale </span><a href="https://samorini.it/" style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;">Giorgio Samorini Network</span></a>, <span style="font-family: verdana;">che negli anni è diventato un punto di riferimento imprescindibile per gli studiosi della materia. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come in Mantegazza, negli studi di Samorini le esperienze personali procedono di pari passo allo studio e all'analisi scientifica della materia trattata. Un approccio che permette di comprendere il fenomeno "droghe" in ogni sua sfaccettatura: quella scientifica, attraverso l'analisi chimica e botanica del perché certe droghe agiscono in un certo modo sul corpo e la mente umana, ma anche la componente <i>fenomenologica, </i>che permette di cogliere, attraverso l'esperienza soggettiva, quelle impressioni che non possono essere ridotte a puro dato scientifico e che richiedono, necessariamente, un'esperienza vissuta personale. Soltanto quest'ultimo aspetto consente di cogliere la materia anche nel suo sviluppo <i>storico </i>e <i>antropologico</i>.</span><span style="font-family: verdana;"> E' un dato di fatto che la storia del rapporto tra l'uomo e le droghe sia la storia delle esperienze, siano esse mistiche, sciamaniche, visionarie o semplicemente voluttuarie, in ogni caso <i>soggettive</i>, che l'uomo ha avuto con le droghe, e l'analisi scientifica, nel senso moderno e "occidentale" del termine, che non tiene conto di questa componente non può che risultare monca.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>Droghe tribali</i>, pubblicato da Samorini con la Shake Edizioni, si sofferma proprio su questo rapporto atavico tra l'uomo e "l'esperienza del drogarsi", scardinando molti pregiudizi sul tema e, soprattutto, mostrando come l'uso autodistruttivo delle droghe sia figlio esclusivamente di una fetta della cultura umana: la moderna civiltà occidentale, che lo ha poi "esportato" anche in altre culture.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>Droghe tribali</i> è uno studio a tutto tondo sul rapporto tra l'uomo e le droghe nel corso dei secoli che, rispetto ai temi già affrontati negli ultimi articoli, espande il discorso soffermandosi non solo sulle droghe vegetali, ma anche sulle usanze apparentemente più "estreme" che hanno portato, e portano tutt'ora, alcune culture umane ad assumere droghe da fonti differenti: animali, insetti, escrementi e perfino altri esseri umani. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"<i>Ciò che mi spinge a rivolgere l'attenzione del lettore su queste bizzarre dimensioni dell'esperienza umana</i>" scrive Samorini nell'introduzione "<i>non è un mero gusto per il macabro o il ripugnante, bensì l'intenzione di non volermi fermare, nello studio dell'uso umano delle droghe, di fronte ai moralistici concetti di argomenti riprovevoli o inappropriati. Inappropriati lo siamo infinite volte noi, uomini di cultura occidentale, nell'interpretazione e nel giudizio dei comportamenti tribali. Le mie ricerche vanno ovunque ci siano le droghe e l'universalità dell'atto del drogarsi mi porta a studiare anche i comportamenti più estremi presenti nel sesso, nella guerra, nel crimine, nel suicidio, così come nella golosa ricerca di putrefazioni cadaveriche. C'è tanta umanità nei comportamenti estremi, c'è tanta inventiva, genialità fulminea, c'è tanta emozione e non solo sofferenza o fonte di ispirazione moralista, al punto che verrebbe da rivedere il nostro medesimo concetto di estremo</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Droghe tribali</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, p. 10).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Abbiamo già visto, nei precedenti articoli, che la rimozione occidentale delle droghe sacre è avvenuta in concomitanza con l'avvento del cristianesimo e nei lunghi e travagliati secoli che ci hanno portato fino all'epoca moderna il "giudizio inquisitoriale" sul tema, preso in eredità dalla giurisprudenza laica, è pressoché rimasto immutato: la droga allucinogena e lo stato alterato di coscienza sono di per se stessi degli atti criminali, indipendentemente dal danno (reale, potenziale o presunto) che possono causare a se stessi o agli altri. Questo pregiudizio di tipo principalmente <i>morale</i>, piuttosto che scientifico o legislativo, si riverbera anche sugli studi storici, religiosi e antropologici, come sottolinea a più riprese Samorini sia in <i>Droghe tribali</i> sia in diverse sue conferenze. Ne consegue che per diversi secoli buona parte degli studi e delle scoperte archeologiche sono stati viziati, e continuano oggi a essere viziati, da questo moderno tabù per le droghe, che soltanto negli ultimi anni sta iniziando a dissiparsi, grazie all'opera di autori coraggiosi come lo stesso Samorini. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Sradicando il pregiudizio moralistico nei confronti delle droghe, ecco che si rivela una nuova storia dell'umanità. Le droghe sono sempre state parte integrante della nostra cultura, per gli scopi più disparati - e anche in una società "drogofoba" come la nostra, le droghe legali sono un motore continuo: si pensi a tabacco, caffeina, teina, zucchero, solo per fare alcuni esempi. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/718s7e1l8fL.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="509" height="400" src="https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/718s7e1l8fL.jpg" width="255" /></a></div>In <i>Droghe tribali</i> questo rapporto di simbiosi è sviscerato anche negli aspetti apparentemente più macabri. Con l'occhio analitico e imparziale dello scienziato, Samorini riesce a penetrare anche nelle usanze apparentemente più "primitive" che rivelano però una sofisticata conoscenza pratica dell'utilizzo dei principi attivi, siano essi vegetali, animali o perfino umani. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Veniamo così a conoscenza di processi estremamente complessi per "domare" i principi attivi, in modo da limitare i danni e potenziare gli effetti psichedelici, come l'usanza, tra gli antichi Olmechi del Messico, di allevare il Bufo marinus, rospo le cui secrezioni ghiandolari possiedono proprietà allucinogene, che veniva dato in pasto alle anatre, uno dei pochi animali in grado di mangiare questa specie di rospo senza subire effetti collaterali, che ne metabolizzavano i principi attivi meno tossici ma più potenti, per poi essere sacrificate e mangiate nei i banchetti sacri, permettendo all'uomo di accedere a questi principi attivi senza avvelenarsi. La scoperta di questo meccanismo è avvenuta proprio riflettendo, senza pregiudizi, sulla costante riproduzione artistica, a scopi sacrali, dei rospi e delle anatre tra i ritrovamenti archeologici legati al popolo Olmeco, ed è probabile che se fosse persistito il tabù nei confronti delle droghe, queste immagini sarebbero state interpretate in maniera esclusivamente superficiale, senza penetrare nel loro significato "pratico", come fonti di estasi visionarie. E' molto probabile che numerose immagini sacre di popoli del passato assumerebbero un altro significato se si sviscerasse il l'effetto concreto sul corpo umano dei soggetti rappresentati e, da questo punto di vista, è molto significativa l'interpretazione di Samorini data alla famosa "coda di rospo" contenuta in molte ricette magiche della stregoneria medievale. Come sostiene l'etnobotanico, gran parte dei principi attivi psichedelici metabolizzati dal rospo si accumulano proprio nel grasso della coda, ed è probabile, dunque, che essa venisse aggiunta non soltanto per superstizione, ma per gli effetti psichedelici e visionari che essa causava.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Da questo punto di vista, uno degli aspetti più interessanti del testo è la capacità di mettere in luce come il rapporto tra l'uomo e le droghe nel corso dei secoli, se non addirittura dei millenni, è consistito in una perpetua oscillazione tra la scoperta di nuovi principi attivi da parte di alcune popolazioni e la dimenticanza, oppure il mutamento del loro uso, quando essi sono stati o repressi o adottati da nuove civiltà, a dimostrazione di come la conoscenza, sia essa scientifica, filosofica, botanica, spirituale, non proceda mai in linea retta, ma di come sia soggetta e continui balzi casuali, ora in avanti ora indietro. Ogni civiltà, in base alla sua "sovrastruttura" sociale, politica e religiosa, è in grado di instaurare rapporti diversi con la medesima droga, ottenendo effetti diametralmente opposti. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">I due esempi principali e curiosi sono quelli legati a due sostanze vegetali: la lattuga e il tabacco.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La lattuga selvatica (Lactuga Serriola) è stata per molti anni soggetto di una vera e propria contraddizione etnobotanica: in Europa veniva utilizzata come un sedativo anafrodisiaco mentre in Egitto come un potente afrodisiaco; essa era infatti associata al dio Min, che quando ne mangiava in grandi quantità il suo fallo si erigeva oltre misura, per punire i prigionieri di guerra. Grazie ai suoi studi e alle sue sperimentazioni individuali, Samorini è riuscito a districare questo paradosso:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"<i>Tagliando i fusti di tutte le specie di lattughe [...] fuoriesce un lattice bianco dal sapore amaro, identificato nell'antico Egitto con lo sperma di dio Min. Allo stato fresco questo sperma divino è tossico, ma fatto seccare assume un aspetto simile all'hascisc e ha un odore simil-oppiaceo: si è così ottenuto il lattucario, un'antica medicina usata nel Medioevo europeo come sedativo, analgesico e anafrodisiaco [...] mentre a dosaggi più elevati, subentrano componenti stimolanti o perfino allucinatorie. Questa relazione dose/effetto trova riscontro nella composizione chimico-farmacologica dei principi attivi presenti nella lattuga</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Droghe tribali</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, pp. 64-68).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Tutto ciò a dimostrazione di come ogni vegetale, anche quello in apparenza più "semplice" come la lattuga selvatica, possa nascondere, oltre ad antichi e dimenticati usi storici, una farmacologia estremamente complessa, che spesso ha influito sulla storia stessa del rapporto tra l'uomo e queste specie vegetali. Come scrive Samorini, in maniera molto ironica: "<i>Più volte, mangiando la lattuga da orto che mi osserva dalla mia comoda mensa, penso a quelle migliaia di prigionieri di guerra che hanno dovuto subire prolungate sodomizzazioni (l'effetto delle dosi egizie del lattucario dura 7-8 ore) per permettere agli antichi sodomizzatori, gli egiziani, di creare per selezione quella tenera e dolce insalata che passa oggi attraverso la mia bocca. I comportamenti umani a volte, oltre a essere strani, hanno conseguenze imprevedibili</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Droghe tribali</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, p. 71).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La seconda storia, quella del tabacco, è ancora più interessante, poiché emblematica della capacità dell'uomo occidentale di profanare e trasformare le droghe sacre per i suoi usi voluttuari, svuotandole del loro significato ma anche della loro potenza sacrale. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Prima della sua "scoperta" del tabacco, avvenuta sulla fine del XV secolo, il tabacco era usato dai nativi americani esclusivamente a scopi sciamanici e religiosi, come tramite per la comunicazione con gli spiriti. E anche in epoca presente il tabacco, perfino nella sua forma "trasmutata" dall'uomo occidentale, viene utilizzato come "supporto" nei rituali con l'Ayahuasca e la Jurema. In entrambi i casi, sia nell'uso storico sia in quello moderno, il tabacco viene utilizzato per suscitare visioni ed espandere la coscienza. Eppure, nella sua forma "volgarizzata" e "commercializzata" dall'uomo occidentale, questi aspetti visionari sono del tutto assenti e, anzi, questa droga pare essere tollerata e diffusa proprio perché in grado di integrarsi con lo stile di vita dell'uomo occidentale moderno e la sua coscienza "normalizzata" e "produttiva", alla stregua del caffè, del thé e dello zucchero. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Da cosa deriva questo paradosso? Come per il lattucario, è solo una questione di dosaggi, o vi sono motivi più profondi alle spalle?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Una delle ipotesi principali è che sia avvenuta una sorta di "selezione artificiale" da parte dell'uomo occidentale, che con gli anni avrebbe selezionato soltanto le specie dagli effetti meno visionari, creando così il "tabacco moderno". Ma, secondo Samorini, a fronte degli esigui studi compiuti in materia, bisogna riconoscere in questa desacralizzazione del tabacco una componente anzitutto culturale. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L'occidentale ha letteralmente stravolto il "set" e il "setting" tipici dell'assunzione sacrale del tabacco. La coscienza rivolta al divino e al sovrasensibile è stata sostituita dalla coscienza materialistica e "cittadina", e le cerimonie sacre e i luoghi rituali sono stati sostituiti dalle "pause relax" e dal momento edonistico fine a se stesso. Come scrive Samorini: </span><span style="font-family: verdana;">"<i>Il modello che ho intravisto [...] si basa sul fatto che la trasformazione in droga sociale di una pianta sacramentale provoca (o completa) la disattivazione dei suoi effetti visionari. Ernst Junger parlava di un "elemento dionisiaco" dell'effetto delle droghe, che la cultura occidentale mano a mano perde nell'uso di queste droghe, e ipotizzava che un affine processo di "addomesticamento" fosse accaduto anche nel vino [...]. Si potrà pensare che sto parlando nient'altro di tolleranza di una droga [...] forse v'è chi amerebbe parlare di "tolleranza sociale" [...]. Forse sto parlando di altro, di un meccanismo fisiologico-sociale che resta tutto da verificare e studiare</i> [...] </span><span style="font-family: verdana;"><i>Tornando al tabacco, come si suol dire, oltre alla beffa, il danno, poiché non solo ci siamo privati delle sue proprietà più propriamente "dionisiache", ma l'abbiamo pure trasformato in uno dei più diffusi veleni di cui, con qualche masochismo peculiare della nostra società, ci nutriamo. Ecco, dunque, fin dove può giungere il processo di disumanizzazione della macchina culturale in cui viviamo, tale da disattivare, in pochi secoli, umani e plurimillenari sacramenti, chiavi esistenziali fondanti il nostro divenire. Di quale vizioso processo di addomesticamento della molecola selvaggia ci stiamo corazzando!</i> [...] </span><span style="font-family: verdana;"><i>Non è da escludere che gli effetti "dionisiaci" di una droga siano disattivati solamente nella loro percezione conscia e vengano comunque esperiti dal sistema mente/corpo. In pratica, noi non ci accorgeremmo più della componente visionaria-dionisiaca degli effetti del tabacco, del caffè e delle altre droghe sociali, ma li vivremmo in toto e continuamente; è come se facessero parte del rumore di fondo mentale, la cui percezione conscia è inibita dalla continua presenza. Ciò porterebbe di conseguenza a una rivisitazione dello stesso concetto di sobrietà, dell'"Io sobrio</i>" [...]" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Droghe tribali</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, pp. 98-99)</span><span style="font-family: verdana;">. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questo processo è esemplificativo del rapporto tra l'uomo occidentale moderno e le droghe. Citando una nota tesi dell'antropologo Graham Hancock, è come se in occidente fosse in corso, da secoli, una "guerra alla coscienza", volta a sradicare l'utilizzo delle sostanze enteogene, poiché inconciliabili con i dogmi religiosi, con la società gerarchica o, in epoca presente, con il sistema produttivo-capitalistico, e a privilegiare invece le droghe in grado o di renderlo produttivo, come il caffè, il thé, lo zucchero e il tabacco (nel suo uso desacralizzato) o che ne ottenebrano la coscienza (come l'alcool). D'altronde, come scrive lo stesso Samorini: </span><span style="font-family: verdana;">"<i>Non c'è uomo al mondo più profanatore di se stesso dell'uomo di cultura occidentale e il suo rapporto con i sacramenti è da secoli disastroso</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Droghe tribali</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Shake Edizioni, p. 100).</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: verdana;">Droghe tribali</i><span style="font-family: verdana;">, Giorgio Samorini, Shake Edizioni</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Immagine: <a href="https://www.alamy.com/stock-photo/mendoza-codex.html">Codex Mendoza</a></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-86953860918474709792022-01-22T23:14:00.006+01:002022-01-22T23:22:29.821+01:00Le Piante degli Dèi. La gnosi vegetale di Hofmann e Ratsch<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://cs.ilgiardinodeilibri.it/cop/p/w501/piante-degli-dei-richard-evans-schultes-libro.jpg?_=1623161312" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="672" data-original-width="494" height="400" src="https://cs.ilgiardinodeilibri.it/cop/p/w501/piante-degli-dei-richard-evans-schultes-libro.jpg?_=1623161312" width="294" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><div style="text-align: justify;">Dopo l'ultimo articolo sulla <i><a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2022/01/rivoluzione-psichedelica-sessantotto-iannaccone.html">Rivoluzione psichedelica</a></i>, proseguiamo l'approfondimento sull'estasi indotta dalle piante sacre con un grande classico della materia: <i>Piante degli Dèi</i>, scritto a quattro mani da Albert Hofmann e Christian Ratsch e poi rivisto da Richard Evans Schultes, coraggiosamente ripubblicato di recente in Italia da Venexia Edizioni.</div></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La storia del libro si lega strettamente alla rivoluzione psichedelica avvenuta nel lungo arco di tempo che va dalla scoperta (involontaria) dei poteri visionari dell'LSD, compiuta dallo stesso Hofmann nel 1943, fino all'apoteosi della diffusione dei movimenti di "controcultura" del '68, sebbene il testo, pubblicato nel 1979, giunge ormai a coronamento di una rivoluzione volta al suo termine, quasi a farne da coronamento. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Quando Ratsch e Hofmann pubblicarono il testo, infatti, la morsa della legge si era abbattuta da tempo sulla molteplicità di sostanze psichedeliche che avevano contribuito a diffondere una differente visione del mondo e della coscienza, soprattutto negli Stati Uniti, ed erano state ormai bandite nei principali stati Occidentali, fatta eccezione alcune "concessioni" a scopo religioso.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Lo stesso Hofmann aveva avuto modo di riflettere in maniera critica su quanto era avvenuto nei decenni passati in un altro libro, forse il più noto dell'autore: <i>LSD il mio bambino difficile</i> (edito in Italia da Feltrinelli), anch'esso dato alle stampe nel 1979, da un lato riconoscendo le potenzialità dell'LSD e, in generale, delle sostanze psicoattive nell'espansione della coscienza umana, nonché nella storia delle religioni, ma dall'altro mettendo in guardia sull'uso sconsiderato che ne era stato fatto, soprattutto da figure come Timothy Leary, reo di averne "volgarizzato" l'utilizzo alle grandi masse, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze legali e psicologiche.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nonostante la "deriva" presa dalla rivoluzione psichedelica, non venne meno la consapevolezza di Hofmann sull'importanza delle sostanze psicotrope per la storia e l'evoluzione umana. Da qui la scelta di compilare una delle guide rivolte al grande pubblico più complete sull'argomento, in collaborazione con Christian Ratsch, antropologo ed etnobotanico tedesco che, fin dalla giovane età, si era occupato di studiare gli effetti delle piante allucinogene sulla psiche e la cultura dell'uomo. Similmente a studiosi come Wasson, infatti, era stato a stretto contatto con le popolazioni indigene del Sud America per studiare l'uso degli allucinogeni nelle tradizioni sciamaniche autoctone, vivendo con i Lacandòn nelle foreste del Chiapas (Messico).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>Piante degli Dèi</i> è un'opera coraggiosa e monumentale, volta a proseguire in maniera accademica gli studi antropologici e farmacologici sulle piante sacre e a compiere una summa delle scoperte (o, meglio, delle <i>riscoperte</i>) avvenute in materia fino al 1979, con la consapevolezza che dietro alle sostanze allucinogene vi fosse molto di più della deriva popolare e triviale presa dalla rivoluzione sessantottina. Come scrivono gli autori fin dall'introduzione del libro: "<i>L'uso di piante allucinogene o che espandono la coscienza ha fatto parte dell'esperienza umana per molti millenni, tuttavia, solo di recente il mondo moderno occidentale si è reso conto dell'importanza che queste piante hanno avuto nel plasmare la storia, sia delle culture primitive che di quelle più sviluppate. Infatti, gli ultimi trent'anni hanno visto una vertiginosa crescita dell'interesse verso l'uso e il possibile valore degli allucinogeni nella nostra società moderna, industrializzata e urbanizzata. Le piante allucinogene sono complesse fabbriche chimiche, ma ancora pochi si rendono pienamente conto di quanto potrebbero contribuire alla soddisfazione dei bisogni profondi dell'uomo [...]. Non c'è dunque da stupirsi che esse abbiano giocato un ruolo importante nei riti religiosi delle prime civiltà, e che continuino a essere motivo di venerazione e timore presso alcune popolazioni</i>" (<i>Piante degli Dèi</i>, Hofmann e Ratsch, Venexia Edizioni, p. 9).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il filo conduttore del libro, molto più di un semplice dizionario, è l'idea che le piante sacre abbiano da sempre accompagnato l'uomo nel suo sviluppo religioso e spirituale e che il loro "bando", soprattutto nel mondo Occidentale (o a causa del mondo Occidentale) sia avvenuto in un'epoca relativamente recente della storia. Per millenni le piante sacre dagli effetti psicoattivi sono stati dei veri e propri portali vegetali in grado da fungere da collegamento tra il mondo materiale e il mondo degli spiriti. Lungi dall'essere un fenomeno isolato, la loro presenza e il loro utilizzo rituale è costante pressoché in tutto il mondo. A variare, chiaramente, è la sostanza utilizzata, in base alle piante "offerte" dalle regioni nel mondo. Ma la cosa sorprendente è che a diverse latitudini e longitudini del globo, in culture radicalmente differenti tra loro e mai entrate a contatto fino a determinati periodi storici, è sempre possibile rintracciare delle sostanze psicotrope che hanno accompagnato i riti e le pratiche sciamaniche, religiose o magiche. Così, per fare alcuni esempi, nell'Induismo delle origini si trovava il Soma, bevanda divina in grado di mettere in contatto l'uomo con la divinità, in cui Wasson identificò, come ingrediente principale, l'Amanita Muscaria; nel mondo Greco-Romano, per oltre 1500 anni, a farla da padrona fu il <i>kikeon</i>, il ciceone, nettare iniziatico a cui si abbeveravano gli iniziati ai misteri eleusini il quale, secondo Hofmann e anche secondo alcune scoperte archeologiche recenti, sarebbe stato preparato con la Claviceps Purpurea, o ergot, il fungo della segale cornuta; nell'estremo Nord-Ovest dell'America meridionale gli sciamani delle popolazioni autoctone hanno usato, e usano tutt'ora, una pozione inebriante e psicoattiva, chiamata in lingua quechua <i>Ayahuasca </i>(rampicante dell'anima), un decotto vegetale estremamente sofisticato dal punto di vista chimico, composto da piante di diverse famiglie, tra le quali le più importanti sono la Banisteriopsis caapi e le foglie di chacruna (Psychotria viridis); nel culto bwiti e di altri gruppi iniziati del Gabon è possibile trovare l'iboga (Tabernanthe iboga), radice dal colore giallastro utilizzata dagli sciamani per condurre l'iniziato nel mondo dei morti, facendo vagare la sua anima al di fuori dal corpo anche per diversi giorni; in Messico gli Aztechi svilupparono una grande devozione nei confronti della cosiddetta "carne divina", i funghi psicoattivi che usavano nelle loro cerimonie più solenni. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In Occidente il declino e la persecuzione di questa forma di iniziazione al mondo spirituale è avvenuto con l'avvento del Cristianesimo che, limitando esclusivamente alle pratiche ascetiche la possibilità di entrare in contatto con il divino e additando come pagane ed eretiche tutte le pratiche che coinvolgevano l'uso di sostanze psichedeliche, ne bandì l'utilizzo, interrompendo, dopo una eredità millenaria, il culto di Eleusi, sopravvissuto fino ad allora a ogni conquistatore. Un atteggiamento manifestatosi più volte nel corso della storia del Cristianesimo, identico a quello perpetrato sia nei confronti delle "streghe" ree di utilizzare unguenti dagli effetti psicoattivi (contenenti, infatti, piante analizzate dal testo di Hofmann e Ratsch) sia dai primi missionari cristiani che entrarono in contatto con le popolazioni autoctone del Sud America, che bandirono vere e proprie crociate per sradicare il culto e l'utilizzo delle piante sacre. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">E' interessante, in questo caso, compiere una connessione con un altro testo sulle piante sacre, <i>Pharmakognosis </i>di Dale Pendell (Add Editore), in cui l'etnobotanico sottolinea come l'atteggiamento inquisitoriale nei confronti delle piante sacre sia stato ereditato, in maniera pressoché immutata, dalla mentalità sociale e giuridica contemporanea. Come avvenuto durante le persecuzioni religiose perpetrate dall'Inquisizione, lo stato alterato di coscienza viene percepito a priori come un tabù, anche quando indotto da sostanze che non presentano alcun effetto collaterale sulla salute, e perseguitato dalla legge in quanto tale - formalmente per le possibili azioni pericolose per sé e per gli altri che si potrebbero compiere, ma essenzialmente per la paura indotta dal cristianesimo nei confronti della dell'esperienza visionaria diretta e per la capacità dello stato alterato di coscienza di mettere in luce il non-senso di gran parte delle strutture sociali, e di sovvertire così l'ordine costituito. </span><span style="font-family: verdana;">D'altronde, perfino l'esperienza diretta della divinità indotta dai mistici attraverso le pratiche ascetiche è sempre stata vista con sospetto anche dalla Chiesa e, in fin dei conti, ogni mistico sapeva di muoversi sul confine delicato e sottile tra santità ed eresia.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma questo sospetto è in gran parte immotivato e pregiudiziale. Come illustra in maniera estremamente dettagliata <i>Piante degli Dèi</i>, l'uomo ha sempre convissuto in simbiosi con le piante sacre. Il loro abuso è figlio esclusivamente della società moderna, proprio perché, a differenza delle civiltà tradizionali, ne è stato smantellato l'utilizzo rituale, che permetteva di avere esperienze mistiche guidate e in situazioni controllate, minimizzando il rischio di "eventi avversi". Come sottolinea Giorgio Samorini in un dialogo con Marco Maculotti su Axis Mundi dedicato proprio al libro (<a href="https://www.youtube.com/watch?v=3PbGOXZ0BuQ">qui </a>il dialogo), è incredibile constatare la capacità da parte di società erroneamente definite "primitive" di gestire piante sacre dagli effetti potenzialmente mortali, come l'iboga, che molti chimici esperti della società occidentale non si arrischierebbero a usare, data l'alta tossicità. E questo perché, ben prima dello sviluppo della chimica moderna, l'uomo era stato in grado di conoscere, sperimentare e utilizzare i principi attivi delle piante sacre, attirato dal fascino sacro dei loro effetti il cui significato, ancora oggi, resta un profondo mistero.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come scrivono, infatti, Hofmann e Ratsch: "<i>ancora non si conosce quale sia la funzione di queste sostanze speciali nella vita della pianta stessa [...]. Il motivo per cui alcune piante producono sostanze con effetti specifici sulle funzioni mentali ed emotive dell'uomo, e sulla sua capacità di percezione, persino di ste stesso, rimane quindi uno degli enigmi risolti della natura</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Piante degli Dèi</i><span style="font-family: verdana;">, Hofmann e Ratsch, Venexia Edizioni, p. 20). Un mistero che, tuttavia, sembra essere intrinsecamente connesso con l'evoluzione umana - a tal punto che, secondo autori come McKenna, lo stesso salto evolutivo dell'uomo è stato possibile proprio grazie all'incontro con le sostanze allucinogene, che avrebbero contribuito allo sviluppo della coscienza (tesi avanzata ne <i>Il cibo degli dèi</i>, <a href="https://nerodinchiostro.blogspot.com/2019/12/mckenna-cibo-degli-dei-dmt-molecola-spirito-edizioni.html">qui </a>la recensione).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Se solo non fossero soffocate dal peso del pregiudizio e del sospetto, la scienza e la chimica moderne, in collaborazione con l'antropologia ma anche la religione e, in generale, le materie collegate ai reami dello spirito, potrebbero risolvere questo mistero. D'altronde, come scrivono Hofmann e Ratsch: "<i>Si potrebbe pensare che con l'isolamento, l'analisi strutturale e la sintesi della psilocibina e della psilocina, i funghi messicani abbiano perso la loro magia. Per migliaia di anni gli Indios hanno creduto che nei funghi abitasse un dio, proprio a causa degli effetti sullo spirito di quelle sostanze che, ora, invece, possono essere prodotte sinteticamente in un pallone di vetro per reazioni chimiche. Ma non si deve dimenticare che la ricerca scientifica ha soltanto dimostrato che le proprietà magiche dei funghi coincidono con le proprietà dei due composti cristallini: il loro effetto sulla mente umana rimane tanto prodigioso e inspiegabile quanto quella dei funghi stessi. E questo vale anche per quanto riguarda i principi attivi isolati e purificati di altre piante degli dèi</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Piante degli Dèi</i><span style="font-family: verdana;">, Hofmann e Ratsch, Venexia Edizioni, p. 23).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><i style="font-family: verdana;">Piante degli Dèi</i><span style="font-family: verdana;">, Hofmann e Ratsch, Venexia Edizioni</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-7077022499101891132022-01-20T15:38:00.002+01:002022-01-20T15:38:33.128+01:00Rivoluzione psichedelica: la storia, i protagonisti e i retroscena del 68 raccontati da Mario Iannaccone<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://images5.alphacoders.com/728/728456.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="800" height="400" src="https://images5.alphacoders.com/728/728456.png" width="640" /></a></div><br /><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La rivoluzione culturale del '68 ha avuto un impatto incredibile sulla cultura post-bellica del mondo occidentale. Con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, essa scardinò i comuni modi di pensare, fu il trampolino di lancio per la conquista di ulteriori diritti civili, per la rivoluzione sessuale e la distruzione di molti preconcetti bigotti di lunga data. Tuttavia, il '68, universalmente riconosciuto come anno di svolta, in realtà fu soltanto la punta dell'iceberg. Nessuna rivoluzione nasce dal nulla. Nessuna rivolta prende piede se prima non sono state create le condizioni culturali affinché essa si verifichi. Lo stesso dicasi della rivoluzione sessantottina, intrinsecamente connessa a un'altra rivoluzione, dei decenni precedenti: la rivoluzione psichedelica. Ed è proprio a questa complessa rivoluzione, fatta di artisti, poeti, scienziati, chimici ma anche servizi segreti, che Mario Arturo Iannaccone ha dedicato un bellissimo saggio: <i>Rivoluzione psichedelica</i>, prima dalla Sugarco Edizioni e ora dalle Ares Edizioni.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><i>Rivoluzione psichedelica</i> è uno di quei libri che ti apre un mondo, in grado di entrare nelle pieghe della storia sia collettiva sia dei pionieri culturali che, più o meno volontariamente, con le loro vicende personali si adoperano per <i>creare </i>la storia, e riesce nel difficile compito di mostrare quanto le opere e i pensieri di un autore siano intrinsecamente connessi da un lato alle sue vicende di vita e, dall'altro, ai fermenti sociali della sua epoca.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Come mette in luce Iannaccone nel libro, il '68 è cominciato molto prima del 1968. La rivoluzione psichedelica della seconda metà del '900 aveva mostrato i primi germogli nelle visioni estatiche e decadenti di Baudelaire, De Quincey e Coleridge, per poi mettere solidi radici nelle scoperte e negli studi di Hofmann, primo sintetizzatore dell'LSD, crescere e dispiegarsi tra l'<i>elite</i> colta con le narrazioni di Aldous Huxley e Ernst Junger e infine sbocciare e approdare al grande pubblico con i folli esperimenti psicologici di Timothy Leary che, "iniziatore del nuovo millennio", rifondò una rinnovata Eleusi radunando attorno a sé tutta una nuova schiera di "fedeli", simili ai novizi accalcatisi attorni al templio descritti da Plutarco in uno dei suoi <i>moralia. <br /></i></span><span style="font-family: verdana;">Quasi si fosse manifestata nella forma di un imbuto cosmico, tra gli anni '40 e gli anni '70 la rivoluzione psichedelica accomunò, come scrive Iannaccone, "persone che non avevano niente in comune tra loro", ognuna con la propria visione, i propri scopi e i propri piani, ma tutte legate da un filo conduttore: gli effetti stupefacenti delle "nuove droghe" sulla mente umana. Tra essi, solo per citare alcuni dei principali protagonisti, vi furono, </span><span style="font-family: verdana;">Hofmann, il chimico mistico, che fin dalla prima, involontaria, esperienza con LSD da lui sintetizzata si accorse del potenziale, ma anche del pericolo, rappresentato da questa sostanza. </span><span style="font-family: verdana;">Aldous Huxley, l'intellettuale che si occupò di "convincere" l'<i>elite</i> culturale della scoperta rivoluzionaria fatta da Hofmann e delle possibilità che essa dischiudeva per la coscienza e l'evoluzione umana; </span><span style="font-family: verdana;">ma anche la CIA e le trame occulte del potere, che presto tenderà i suoi tentacoli verso queste nuove droghe per inserirle nei propri progetti segreti, come l'MkUltra, per studiare nuove tecniche di interrogatorio, lavaggio del cervello (brainwashing) e condizionamento del comportamento; </span><span style="font-family: verdana;">Infine, Timothy Leary, lo psicologo di cui, all'interno del libro, seguiamo la lenta ascesa (o discesa, dipende dai punti di vista) da rinomato professore dell'università di Harvard a messia della nuova religione psichedelica, che in pochi anni passerà da rigorosi studi psicologici nelle aule universitarie alla creazione di comuni volte a creare una nuova umanità, dedita all'esplorazione dei reami psichedelici.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Questo "gruppo eterogeneo" formò l'epicentro di un vero e proprio terremoto, che presto scatenò un'ondata di curiosità, seguita dalle successive esperienze psichedeliche, tra artisti, studenti, scienziati, gente comune, complice il ventennio per il quale queste droghe sperimentali erano ancora permesse dalla legge e spesso acquistabili in farmacia sotto ricetta medica, oppure ampiamente diffuse nei laboratori sperimentali dei dipartimenti di chimica e psicologia delle università.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Benché, come accennato, già i poeti decadenti di fine ottocento avessero iniziato a esplorare i reami delle visioni schiusi dalle droghe, la loro poetica e la loro vita rimase spesso relegata ai margini della società. Essi trasmettevano il fascino malinconico di una rovina erosa dai secoli; quel tipo di fascino di cui è possibile godere, esteticamente, soltanto rimanendo all'esterno dell'esperienza ma che, di certo, non si vuole provare sulla propria pelle.<br /></span><span style="font-family: verdana;">La rivoluzione psichedelica che ebbe inizio con la scoperta dell'LSD fu di tutt'altra natura. Questa nuova droga non trascinava nella palude del decadentismo, ma sembrava riportare alla luce, dai reami nascosti della coscienza, l'atavico simbolismo dei misteri iniziatici, dei miti della creazioni, delle visione dei mistici e dei santi. La distruzione dell'ego non avveniva con un lento e progressivo avvelenamento, che portava il poeta ad autodistruggersi come una rovina lasciata alle intemperie, ma attraverso un'elevazione dello spirito che veniva letteralmente trascinato in un'altra dimensione: il lato nascosto delle cose descritto da mistici, iniziati e visionari di ogni secolo. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Questa esperienza, come quella della mescalina, sembrava indurre una iniziazione istantanea, in cui l'io non si sentiva spaesato nel labirinto delle visioni proiettate dal proprio inconscio ma, al contrario, sembrava cogliere con uno sguardo l'intrinseco significato dell'Universo.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Un esempio è l'esperienza con la mescalina avuta dal portavoce del Partito Laburista inglese Christopher Mayhew, ripresa dalle telecamere della BBC (è possibile vederla <a href="https://www.youtube.com/watch?v=Hd4rgyZzseY&t=256s">qui</a>) che, nonostante il tentativo di mantenere l'autocontrollo, verrà sempre di più trascinato oltre le "porte della percezione" (come le definirà Huxley), fino ad ammettere: "Sono molto interessato al problema dell'adesso, qualunque cosa sia. E questo... esperimento, per me, è stato un grande successo. Al momento mi sto muovendo da un tempo a un altro e poi ancora indietro. Non sono molto consapevole di muovermi nello spazio [...] mentre lo sono... del muovermi nel tempo... e del fatto che non esiste il tempo assoluto... e nemmeno lo spazio... questo è ciò che imponiamo al mondo esterno... e più percepisco questo, più mi sento rilassato" (Cristopher Mayhew, citato in Rivoluzione psichedelica, Mario Arturo Iannaccone, Sugarco Edizioni, p. 57).<br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.edizioniares.it/pub/img/prod/main/830.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="580" data-original-width="400" height="400" src="https://www.edizioniares.it/pub/img/prod/main/830.jpg" width="276" /></a></div></span><span style="font-family: verdana;"><div style="text-align: justify;"><br /></div>Queste esperienze indotte dalle droghe, dunque, non catapultavano il soggetto in un labirinto di delirio e allucinazione ma, al contrario, lasciando la coscienza vigile lo trasportavano in un mondo di visioni colme di significato. Proprio per questo l'esperienza non rimaneva limitata a un evento soggettivo: come avveniva per le visioni descritte dei mistici delle grandi religioni, i soggetti raggiungevano la consapevolezza di aver avuto accesso a un reame più alto, di aver sfiorato la natura stessa dell'universo. A più riprese nel libro di Iannaccone si accenna al fatto l'esperienza </span><span style="font-family: verdana;">psichedelica prendeva sempre di più l'aspetto di una nuova gnosi. Come per le varie correnti gnostiche, infatti, la differenza tra l'iniziato e il non-iniziato risiedeva non tanto in quello che l'iniziato </span><i style="font-family: verdana;">sapeva</i><span style="font-family: verdana;">, bensì in quello che l'iniziato </span><i style="font-family: verdana;">viveva</i><span style="font-family: verdana;">. Non a caso, dopo l'ondata teosofica che nella prima metà del '900 aveva fatto filtrare, per la prima volta, le conoscenze orientali in occidente, è in questi anni che si assiste a un revival delle tradizioni religiose induiste, buddhiste e zen, ad opera proprio di "psiconauti" come Timothy Leary, che aveva trasformato il <i>Libro Tibetano dei Morti</i>, insieme a Metzner e Alpert, in una guida al viaggio psichedelico - avendo riscontrato una estrema somiglianza tra le visioni del Buddhismo Tibetano e quelle indotte dall'LSD, ma anche di studiosi come Alan Watts che, seppur presto distaccatosi dal movimento e dall'esperienza psichedelica, sottolineando l'importanza della meditazione "pura", contribuirà a espandere il fascino per gli allucinogeni e le dottrine orientali con testi come <i>The Joyous Cosmology. </i>Ma è anche in questi anni che iniziano a essere riconosciuta, a livello storico e antropologico, l'importanza delle sostanze psicoattive per la genesi delle religioni e dei poteri visionari della mente, ad esempio con gli studi di Gordon Wasson, micologo e antropologo indipendente, che rintraccerà nell'<i>amanita muscaria</i> l'ingrediente segreto del Soma vedico, bevanda sacra dagli effetti psicoattivi ritenuta alla base del sorgere dell'intera poesia e simbologia vedica.<br /></span><span style="font-family: verdana;">A un certo punto, tuttavia, la situazione sfuggì di mano. Mentre Huxley e Hofmann ritenevano di dover mantenere un atteggiamento più riservato, di diffondere, sì, le sostanze psichedeliche per trasformare radicalmente la civiltà ma di partire dalle <i>elite</i>, Leary adottò un approccio inizialmente più "democratico" che, presto, sfociò nel populismo e poi nel "messianismo". Autoproclamatosi Gran Sacerdote della nuova religione psichedelica, cadrà nell'errore di "dare perle ai porci" e diffondere a macchia d'olio la rivoluzione psichedelica senza preoccuparsi del grado di preparazione psicologica dei suoi nuovi adepti e fondando a più riprese e in luoghi disparati delle comuni indipendenti basate sulla psichedelia che, però, si trasformavano presto in covi di sbandati. Parallelamente, gli psichiatri cominciavano a moderare l'entusiasmo terapeutico nei confronti dell'LSD e la CIA stava perdendo interesse nei confronti di queste sostanze, ritenendole poco funzionali ai propri studi sul controllo della mente. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">C</span><span style="font-family: verdana;">omplici diversi scandali giunti all'eco dell'opinione pubblica, e così, nel 1966, fu resa illegale, seguita a ruota dalle altre sostanze psichedeliche attorno alle quali, anche nei giorni nostri, continua a stringersi il severo cappio della legge.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">E così siamo giunti al '68: l'apice di questa lunga avventura durata almeno trent'anni ma anche il suo canto del cigno: l'ultima esplosione di visioni e vitalità proveniente dai reami psichedelici.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Ma quelle visioni ci sono state, così come il tentativo di sovvertire il comune modo di vedere la realtà; consiglio dunque di leggere <i>Rivoluzione psichedelica</i> di Mario Arturo Iannaccone per immergersi in un lungo viaggio nei reami dell'estasi. Un libro avvincente e scorrevole come un romanzo ma preciso e ricco di fonti come una degna ricerca accademica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>Rivoluzione psichedelica</i>, Mario Arturo Iannaccone, Ares Edizioni</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-61430711051966917292022-01-06T13:47:00.004+01:002022-01-06T13:47:52.150+01:00Le tavole iguvine: il più antico documento rituale dell'Italia arcaica<p> <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg2acLCEZA29Q3qKxGp5cr7Rkw-h8wQ-yaixkWw_6wHnUO21d0ILO6TMaIw2VwEb3GtF_23RT9b9-qFGrkkqROtPNCueBYs7UbrL-CcFNIzO90ckU5Pi3HJpSrB9EStm9sv0C_pe8mizqakN4LWHJ4sBxgf7Y0THNNXQH39X4e8s8T7pePba32r4Y0O=s402" style="font-family: verdana; margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="402" height="293" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg2acLCEZA29Q3qKxGp5cr7Rkw-h8wQ-yaixkWw_6wHnUO21d0ILO6TMaIw2VwEb3GtF_23RT9b9-qFGrkkqROtPNCueBYs7UbrL-CcFNIzO90ckU5Pi3HJpSrB9EStm9sv0C_pe8mizqakN4LWHJ4sBxgf7Y0THNNXQH39X4e8s8T7pePba32r4Y0O=w640-h293" width="640" /></a></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br />Gubbio, 1444. Nel borgo medievale divenuto noto per le predicazioni di san Francesco e per l'episodio della "addomesticazione del lupo" raccontata nei <i>Fioretti</i>, riemergono, nei pressi dell'antico teatro romano, sette misteriose tavole di bronzo, ossidate dai millenni fino ad assumere una colorazione verdastra. Nell'atto notarile datato 1456 con cui il comune acquisì la proprietà delle tavole, il ritrovamento viene attribuito a un'abitante locale, una certa Presentina. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Già all'epoca gli studiosi e gli eruditi si accorsero di avere tra le mani un documento eccezionale. Le sette tavole, infatti, riportano incisi, sul fronte e sul retro, una lunga serie di caratteri antichi. Le frasi in lingua nota sono in latino arcaico. Ma affiancate al testo latino, ecco riaffiorare dal passato due antiche lingue dimenticate: l'etrusco e l'umbro, parlato nell'antica Ikuvium. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Le tavole divengono presto un vero e proprio labirinto per i filologi e gli studiosi del pensiero classico. Gli stessi testi sono infatti incisi in alfabeti e lingue differenti. I medesimi passi possono cioè essere ritrovati in lingua latina con alfabeto latino, in lingua umbra con alfabeto umbro, in lingua umbra con alfabeto latino e in alfabeto etrusco.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nonostante la chiave interpretativa fornita dal testo in latino, la traduzione dei passi in lingua umbra fu, per secoli, un vero e proprio rompicapo, complicato dal fatto che, fino in epoca recente, l'alfabeto e la lingua umbra non erano stati riconosciuti in quanto tali, ma erano stati erroneamente assimilati all'alfabeto e alla lingua etrusca. Soltanto Lepsius, circa 150 anni fa, ha dimostrato la presenza, nelle tavole, di una antica lingua italica fino ad allora dimenticata.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Tuttavia, l'eccezionalità delle tavole, come uno spaccato unico sulla ritualità dell'Italia arcaica, fu sempre riconosciuta. Bagnolo nel 1792 le riteneva un "<i>documento sommamente prezioso, a cui altro simile fra tanti avanzi dell'antichità non è rimaso in tal genere, che ci presenti a disteso tutta l'intera serie e l'economia di quella sagra funzione</i>" e Giovanni Devoto, studioso novecentesco delle tradizioni italiche, le definisce come il "<i>più importante testo rituale di tutta l'antichità classica</i>" (Bagnolo e Devoto, citati in <i>Le tavole iguvine</i>, Augusto Ancillotti, Romolo Cerri, Edizioni Jama Perugia, p 35).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Le tavole iguvine sono infatti il documento antico più esteso e dettagliato nel descrivere le usanze rituali delle popolazioni autoctone del suolo italico. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Le tavole III e IV sono state datate al III secolo a.C., la I e la II al II secolo a.C., la V al II secolo a.C. e le più recenti, la VI e la VII, al I secolo a.C., ma, come spesso avviene per questi documenti epigrafici, la norme trascritte, ritenute di importanza capitale per la società e la religione, vengono impresse su materiali nobili e imperituri dopo una lunga trasmissione prima orale e poi su materiali deperibili. E' molto probabile, dunque, che l'origine dei riti descritti e delle divinità citate sia da rintracciare molto più in là nel tempo rispetto alla materialità delle tavole.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come scrivono Augusto Ancillotti e Romolo Cerri ne <i>Le tavole iguvine</i>: "<i>Le tavole sono state redatte in momenti diversi e da mani diverse, in genere con lo scopo di rendere indeperibili i testi originariamente stesi su materiale deperibile (come potevano essere la tela di lino o la pergamena). La presenza di fori per l'affissione dipende dal fatto che in un secondo momento (forse in epoca augustea) le tavole furono esposte, probabilmente per esaltare la nobiltà delle radici culturali di Iguvium. La composizione dei testi che troviamo scritti nel bronzo è dunque ben più antica della della fattura fisica delle tavole e la datazione è ben più incerta</i>" (</span><i style="font-family: verdana;">Le tavole iguvine</i><span style="font-family: verdana;">, Augusto Ancillotti, Romolo Cerri, Edizioni Jama Perugia, p. 38).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nelle tavole sono stati individuati nove testi principali, così riassunti da Ancillotti e Cerri: </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">1) La cerimonia piaculare e lustrale</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">2) Una trascrizione breve delle due precedenti cerimonie</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">3) La cerimonia per auspicio avverso</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">4) Un sacrificio rituale del cane</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">5) La cerimoniia delle riunioni tributarie</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">6) Il cerimoniale delle Stentasie</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">7) Le norme sui compensi e sulle multe che regolano le funzioni dell'officiante</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">8)Le norme tributarie che regolano gli scambi tra le circoscrizioni e la confraternita. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">9) Doveri e multe del capo dei confratelli. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il grande interesse sia storico sia religioso di questi testi è che essi descrivono in maniera minuziosa ogni fase del rituale: le azioni, i luoghi sacri, i sacrifici (sia cruenti sia non cruenti), l'interpretazione augurale del volo degli uccelli, le preghiere e, soprattutto, le divinità dedicatarie. Considerati nel loro complesso, costituiscono un vero e proprio viaggio nel passato nella Ikuvinum arcaica e nelle descrizioni dell'antico perimetro sacro, delle danze e delle offerte sacrificali e della solennità delle preghiere sembra rivivere la potenza degli antichi numi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Basti citare, a esempio, parte del rito della purificazione della città contenuto nella VI tavola, in cui vengono descritti nel dettaglio i confini sacri del paese e in cui viene invocata la potenza di Giove Grabovoio per innalzare una protezione metafisica:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"<i>E questi sono i confini della città: a partire dal punto dei confini all'altezza delle rocce augurali nella direzione delle porte, al ponte, ai cortili di Norbio, alle curve del fiume, alla palude, al tetto della famiglia Miletina, fino al terzo dei terrapieni di prosciugamento. Sempre dal punto all'altezza delle rocce augurali, alla grotta del dio Vesticio, al loggiato di Rufro, al tetto della famiglia Nonia, al tetto di Salio, alla grotta del dio Hoio, al passaggio sacro alla divinità dei transiti. Al di sotto di codesti confini [...] si devono rilevare da destra un'upupa e una cornacchia; al di sopra di codesti confin i si devono rilecvare da sinistra un picchio e una gazza. Se i messaggi si saranno espressi a favore, sempre sedendo nel capanno, chiami per nome l'officiante e lo assicuri [...]</i>" e a quel punto il sacerdote, compiuto il sacrificio, prosegue con questa preghiera dedicata a Giove Grabovoio: "</span><span style="font-family: verdana;"><i>Invoco Te come Giove Grabovoio con questa preghiera per la Rocca Fisia, per la città di Gubbio, per il nome di quella, per il nome di questa. Sii favorevole, sii propizio alla Rocca Fisia, in nome di quella, al nome di questa. Con questa formula ti rivolgo preghiera, come Giove Grabovoio, e proprio confidando nella formula rituale, ti rivolgo la mia preghiera come Giove Grabovoio. Mi rivolgo a te come Giove Grabovoio con questo bove maturo, come sacrificio espiatorio per la Rocca Fisia e per la Città di Gubbio; per il nome di quella e per il nome di questa. O Giove Graboboio, se nel corso della nota attività sacrificale il fuoco è stato acceso nella Rocca Fisia, o se nella Città di Gubbio sono state introdotte delle curie inaccettate, sia come non voluto. O Giove Grabovoio, se nella cerimonia a te sacra qualcosa è andato storto, è andato male, è stato differito, è stato antipatico, è andato perduto, se nella cerimonia a te sacra c'è un difetto che si vede o non si vede, o Giove Grabovoio, se poi è giusto che si sia purificati con questo bove maturo, come sacrificio espiatorio, allora, o Giove Grabovoio, purifica la Rocca Fisia, purifica la città di Gubbio [...] purifica i guerrieri, le curie, i capifamiglia, il bestiame, i poderi e le messi. Sii favorevole, sii propizio con la tua pace [...]</i>".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Le divinità citate nelle preghiere, dedicatarie delle offerte rituali, mostrano l'originalità della religione italica e come essa non fu il semplice riflesso della religione greca. Queste divinità primordiali sembrano agire, nella descrizione dei rituali, non tanto quanto esseri antropomorfi, ma come "numi", appunto, "volontà", potenze primordiali che si manifestano con segnali e messaggi, come il volo degli uccelli, e che retrostanno alla forza degli elementi e degli eventi cosmici (senza però mai coincidere con essi). Di volta in volta questo "nume" prende un nome differente. Un nome in cui, però, non si esaurisce tutta la sua forza, ma che è solo un vano tentativo, da parte del sacerdote, di coglierne una parte, di incanalarla ora a protezione della città, ora nella forza dei soldati, ora nel portare giustizia sociale. Il nome rappresenta dunque un aspetto di una divinità che non si esaurisce in quell'epiteto. Come suggeriscono anche Ancillotti e Cerri nel chiarire una loro scelta di traduzione nelle invocazioni alle divinità: "<i>Traduciamo "Invoco Te come Tefro Giovio" perché il nome della divinità chiamata non è in caso vocativo, ma si trova nello stesso caso dell'oggetto del verbo "invocare", cioè "Te"; tale nomee allora può essere inteso come complemento di denominazione, o apposizione se si vuole, ma non come complemento di invocazione. Perciò il teonimo non è la divinità, ma un appellativo della divinità. Come dire che il divino può presentarsi sotto diverse denominazioni (=funzioni)</i>"(</span><i style="font-family: verdana;">Le tavole iguvine</i><span style="font-family: verdana;">, Augusto Ancillotti, Romolo Cerri, Edizioni Jama Perugia, p. 80)</span><span style="font-family: verdana;">.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiDYoxTVA8s6T5j4h7oD82-_uw1jgoaS4k4gR3TSBGKkq6xZptfBONkNhq827IKYPSYQdGIoU8i_7Y22Z2ziZzRnkN_IdCN791B7ASREpoJTecZJi_Ku_noYG3mPK1hv32WWjaxcgyPuXqC8N3-tClIuMPtpO1OysmlUwF3gbn_v6aWzCobu9NlaGn3=s4032" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3024" data-original-width="4032" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiDYoxTVA8s6T5j4h7oD82-_uw1jgoaS4k4gR3TSBGKkq6xZptfBONkNhq827IKYPSYQdGIoU8i_7Y22Z2ziZzRnkN_IdCN791B7ASREpoJTecZJi_Ku_noYG3mPK1hv32WWjaxcgyPuXqC8N3-tClIuMPtpO1OysmlUwF3gbn_v6aWzCobu9NlaGn3=w400-h300" width="400" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ancora oggi, le tavole dimorano nel luogo che gli diede i natali: Gubbio. Come custodi silenti, testimoni di un passato ormai trascorso ma, in realtà, sempre presente, sono esposte in eleganti cornici di legno nel Palazzo dei Consoli di Gubbio, e i loro caratteri misteriosi sussurrano i nomi e le potenze di divinità mai del tutto sopite.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Per chi volesse approfondirne la storia, consiglio il testo che ho utilizzato da base per il presente articolo: </span><i style="font-family: verdana;">Le tavole iguvine</i><span style="font-family: verdana;">, Augusto Ancillotti, Romolo Cerri, Edizioni Jama Perugia, oppure il loro lavoro maggiore: <i>Le tavole di Gubbio e la civiltà degli umbri</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-10663659299302950512021-12-25T17:12:00.005+01:002021-12-25T17:28:48.978+01:00La meditazione del cadavere. La contemplazione della morte tra Occidente e Oriente<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0c/Citipati-buddhist-deity.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="532" height="400" src="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0c/Citipati-buddhist-deity.jpg" width="266" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;"> </span></td></tr></tbody></table>Una delle pratiche di contemplazione più diffuse nel mondo occidentale, tanto nel mondo greco-romano tanto in quello cristiano, è quella della contemplazione della morte. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Tra gli Stoici, come Seneca, Epitteto e Marco Aurelio, era diffusa l'idea di allontanare la paura della morte, sia personale sia dei propri cari, non solo meditando costantemente sulla vanità dell'esistenza, ma soprattutto figurandosi, in anticipo, il momento fatale.<br /></span><span style="font-family: verdana;">In molti passi dei suoi <i>Pensieri,</i> Marco Aurelio suggerisce di compiere questa pratica focalizzandosi sull'essenza materiale del proprio corpo, visualizzando quanto di fragile, perituro e materiale esso possiede. Occorre porre in risalto la carne, le ossa, il sangue, il seme, risaltarne la "materialità" e considerarsi come un semplice agglomerato di componenti destinate a decomporsi e svanire. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Una pratica di contemplazione che, tuttavia, non deve sfociare nell'autocommiserazione, nella <span> <span> </span></span>depressione o nel lutto. Questa scomposizione anatomica del proprio corpo, con lo scopo di porre in risalto il cadavere, ha un duplice fine: quello di prendere atto della fugacità del tempo, per vivere a pieno la propria vita, come sostiene Seneca ne <i>La vanità della vita</i> e nelle <i>Lettere a Lucilio</i>, e quello di corrodere tutto ciò che vi è di perituro e superficiale per recuperare ciò che giace sepolto sotto la carcassa materiale: la luce sempiterna dell'anima.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Il corpo può infatti diventare una tomba prematura per l'anima, quando la soffoca e la imbriglia ai propri capricci. Ma quando lo si scompone, vi si scava attraverso e lo si analizza per scoprire cosa realmente si nasconde dietro la nostra identità, ecco che la luce dell'anima rifulge e torna a splendere in tutta la sua luminosità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questa pratica rimarrà viva e presente anche nel mondo cristiano, fino a partire dal simbolismo originario dei Vangeli. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La passione di Cristo e le tappe via via più dolorose della via Crucis descritte nei Vangeli possono essere rilette, simbolicamente, come una progressiva scomposizione del corpo. Cristo, come Orfeo, viene smembrato non dalle Ninfe ma dai suoi aguzzini: il suo corpo è umiliato, scarnificato, sottoposto alla fatica e alle ingiurie, inchiodato alla croce ed elevato al cielo per mostrare alla folla inferocita la debolezza di una carne che suda, sanguina, soffre e piange. Ma al termine del supplizio ecco la resurrezione: dal cadavere deposto nella tomba riemerge un nuovo corpo, il corpo di luce, l'anima immortale che effonde sui fedeli i raggi del suo calore e della sua santità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il cristianesimo sviluppò questo simbolismo del cadavere nella pratica della contemplazione della morte. Tra gli esempi più fulgidi e ricchi anche di ironia, del sorriso beffardo tipico degli scheletri che popolano le danze macabre, vi è un passo di sant'Ambrogio di Milano, che nel suo <i>Exameron </i>esorta i fedeli a tendere sempre un occhio ai sepolcri per contemplare la morte: </span><span style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;">“<i>Getta lo sguardo
dentro i sepolcri, e vedi che cosa rimarrà di te, cioè del tuo
corpo, se non cenere e ossa, e gettavi lo sguardo, ripeto, e dimmi un
po’: chi è povero e ricco là dentro? Riconoscivi i disgraziati
dai potenti! Noi tutti nasciamo nudi, e moriamo nudi. Non c’è
differenza alcuna tra i cadaveri, eccetto che, probabilmente, i corpi
dei ricchi, enfiati di tutti i piaceri, puzzano di più</i>” (Ambrogio di Milano, Exameron, Tea Edizioni, p. 261).</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="http://www.avosacra.it/images/sacra/scalone.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="604" data-original-width="417" height="320" src="http://www.avosacra.it/images/sacra/scalone.jpg" width="221" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /></td></tr></tbody></table>Nel corso del medioevo, la visualizzazione della morte divenne una delle forme di preghiera e contemplazione più diffuse. Prendendo alla lettera le istruzioni di sant'Ambrogio di Milano, in molte chiese e monasteri si svilupperanno i cosiddetti "putridari", delle stanze sotterranee dove i cadaveri dei monaci defunti venivano "imbalsamati" e riposti, seduti, in piedi o sdraiati in loculi appositi e dove i monaci vivi si ritiravano a pregare e meditare, seduti in compagnia dei morti, per riflettere sulla vanità dell'esistenza e contemplare lo stato che presto avrebbe raggiunto il loro corpo mortale. Uno di questi putridari si può trovare, ad esempio, nei sotterranei della Chiesa di San Bernardino alle Ossa di Milano. Purtroppo il putridario non è aperto al pubblico, ma lo è la cappella della Chiesa che svolgeva la medesima funzione. Essa, infatti, è interamente "decorata" con ossa e teschi, che circondano il fedele e mostrano all'osservatore, nel nero delle loro orbite vuote, il volto più reale e tangibile della morte che si avvicina. Sedersi in silenzio e osservare i teschi tutti uguali, gli sguardi seri ma al contempo beffardi disegnati dalle mascelle ormai nude, con i denti in bella vista, è una delle pratiche di contemplazione della morte più intense a cui ci si può sottoporre. Similmente, la famosa "Scala dei Morti" della Sacra di San Michele di Torino prende il suo nome dai corpi morti, seduti in cima alla gradinata, che accoglievano i pellegrini al loro arrivo, mettendoli subito di fronte alla fragilità della loro esistenza.<br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La medesima "trasfigurazione spirituale" della morte e della sua immagine è stata sviluppata, in maniera parallela e autonoma, anche in Oriente, soprattutto nel Buddhismo Tibetano. E' estremamente interessante notare come pratiche del tutto affini a quelle sorte in Occidente si siano sviluppate anche tra i monasteri del Tibet, ben prima che le due culture entrassero in contatto - un'ulteriore dimostrazione di come le strade spirituali siano molteplici, ma a fronte del differente simbolismo vi siano sempre delle tecniche di manipolazione del corpo, dei pensieri e della psiche costanti, che inducono nel praticante il medesimo "sviluppo spirituale".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nelle pratiche tantriche del Tibet, il rapporto diretto con il cadavere è una costante - come lo era stata in Occidente prima che il forte simbolismo spirituale venisse via via "annacquato" da una civiltà sempre più attaccata alla materialità della vita e intollerante nei confronti di tutto ciò che rimanda alla mortalità, in primis, appunto, la visione della morte.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come i corpi morti dei Santi cristiani, attorno ai quali si sviluppa una vera e propria venerazione del cadavere e delle reliquie, circondati da un'aurea a metà tra il sacro e il magico, anche i corpi degli alti dignitari religiosi vengono imbalsamati ed "esposti" alla venerazione. "<i>Queste mummie sono chiamate mardong</i>" scrive Alexandra David-Nell nel suo Mistici e maghi del Tibet, "<i>fasciate di stoffa, la faccia dipinta con oro, esse sono poste in mausolei di argento massiccio, ornati di pietre preziose. Spesso un pannello di vetro delimita un quadrato della bara attraverso il quale si può vedere la faccia dorata della mummia</i>" (A. David-Neel, Mistici e maghi del Tibet, Astrolabio, p. 35), un'immagine pressoché identica ai reliquiari presenti in molte Chiese e Cattedrali occidentali, in cui il cadavere, esposto allo sguardo del fedele, diviene un vero e proprio oggetto di contemplazione, una connessione tra mondo mortale/materiale e mondo divino/spirituale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma le pratiche più interessanti sono le tecniche yogiche segrete, praticate dagli iniziati al tantrismo - quello originario e non la macchietta occidentale che ha trasformato il Tantra in una banale pratica di "sesso spirituale".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il tantrismo tibetano è una via spirituale legata alla manipolazione delle forze primordiali che attraversano l'uomo. Queste forze sono legate soprattutto ai due impulsi più potenti e tabù: l'energia sessuale e la morte. Si badi bene, però, a prendere la consapevolezza che il Tantra originario, benché coinvolga, a volte, anche pratiche sessuali, non si esaurisce esclusivamente nella consumazione dell'atto sessuale: esso è soltanto una contingenza. Ciò che il Tantra persegue è la manipolazione dell'energia sessuale e questa forza, per essere controllata, non necessità che l'atto sessuale debba essere consumato ma, anzi, prevede che tale energia venga risvegliata e controllata anche, e soprattutto, quando non è collegata alla sessualità. Similmente la visione della morte suscita uno scuotimento profondo, paragonabile allo stesso impeto mosso dalle energie sessuali e anche in questo caso il fine dell'iniziato alla via tantrica è quello di controllare queste forze primordiali per incanalarle nel proprio sviluppo spirituale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Anche in questo caso, è sorprendente constatare come nel Buddhismo Tibetano, similmente alle pratiche di contemplazione cristiane, la morte e il cadavere divengano dei "portali di risveglio", la cui visione è in grado di elevare l'anima dell'iniziato, mobilitando nella sua interiorità delle forze ctonie.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ne<i> Il sentiero del mistico sacrificio</i>, un antico testo tibetano tradotto in Occidente per la prima volta da Evans Wentz nel suo <i>Lo Yoga Tibetano e le dottrine segrete</i> (Ubaldini), viene descritta una pratica di visualizzazione della morte, la cosiddetta "visualizzazione del cadavere e della dea adirata", in cui l'iniziato deve figurarsi come un corpo morto smembrato e dilaniato dalla Dea Adirata. Come si legge nel testo:<br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"<i>Immagina che questo corpo, che è la risultante delle tue propensioni kamiche, sia un cadavere grasso e succulento d'aspetto, immenso tanto da abbracciare l'Universo. Allora dicendo Phat! visualizza l'Intelletto radioso che è dentro di te, come fosse la Dea Adirata in piedi accanto al tuo corpo, con un volto e due mani e che impugna un coltello e un teschio. Pensa che ella recida la testa del cadavere e la ponga, come un teschio simile a un enorme calderone, sopra tre teschi sistemati come piedi di un tripode che abbraccia le Tre Regioni. E che tagli il corpo a pezzetti e li getti nel teschio come offerte alla deità. Poi pensa che dal mistico potere dei raggi dei mantra trisillabici Aum, Ah, Hum e Ha, Ho, Hri, le offerte vengano interamente trasmutate in amrita, scintillante e radioso</i>" (<i>Il sentiero del mistico sacrificio</i>, in E. Wentz,<i> Lo Yoga Tibetano e le dottrine segrete, Ubaldini</i>, p. 313). Come nelle meditazioni di Marco Aurelio, il corpo viene suddiviso e ridotto alla mera materialità, a tal punto che ogni parte viene "reificata", trasformandosi in un oggetto sciamanico: <i>"Questo dono è offerto con gioia grandissima" recita l'iniziato durante la visualizzazione "[...] il tamburo fatto col teschio, che è il migliore e più raro dei tamburi, possiede un suono chiaro; la coperta di pelle umana su cui viene imbandito il banchetto è meravigliosa a guardare. La tromba di femore umano emette una melodiosa nota. le campane, adornate di campanellini, e la tiara, esercitano grande fascino</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(</span><i style="font-family: verdana;">Il sentiero del mistico sacrificio</i><span style="font-family: verdana;">, in E. Wentz,</span><i style="font-family: verdana;"> Lo Yoga Tibetano e le dottrine segrete, Ubaldini</i><span style="font-family: verdana;">, p. 314-315).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Queste descrizioni non sono soltanto visualizzazioni legate alla sfera dell'immaginario. Esse riflettono usanze tipiche delle cerimonie funebri tibetane. Sempre come racconta Alexandra David-Neel nel suo <i>Mistici e maghi del Tibet</i>, durante le cerimonie funebri di alcune regioni del Tibet, il cadavere del morto può andare incontro a quattro destini differenti, tutti simili allo smembramento rituale citato in precedenza: "<i>Il corpo è trasportato sulla cima della montagna. E' smembrato in quattro parti con un coltello ben affilato. Le interiora, il cuore, i polmoni vengono lasciati sul terreno, perché se ne nutrano gli uccelli, i lupi e le volpi. Il corpo è buttato in un fiume sacro. Il sangue e gli umori si dissolvono nelle acque azzurre. I pesci e le lontre ne mangeranno la carne e il grasso. Il corpo è bruciato. Carne e ossa e pelle sono ridotte a un mucchio di cenere. I Tisa troveranno nutrimento nell'odore. Il corpo è sotterrato. Carne, ossa e pelle saranno succhiate dai vermi</i>" (A. David-Neel, Mistici e maghi del Tibet, Astrolabio, pp. 35-36).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Similmente, tanto nel Buddhismo Tibetano quanto nelle antiche pratiche sciamaniche del Bon, è usanze riutilizzare calotte craniche e ossa per creare oggetti rituali come coppe, flauti, trombe e "ornamenti sacri" utilizzati, come nei putridari occidentali, per avere sempre la morte di fronte ai propri occhi come monito, ricordo della vanità e dell'impermanenza delle cose materiali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In scritti tibetani, anche più recenti, come <i>Appunti su Il libro delle tre ispirazioni di </i>Je Sherab Gyatso<i> </i>(contenuto in <i>Praticare i 6 yoga di Naropa</i>, a cura di G. Mullin, Amrita Edizioni)<i>, </i>risalente al XIX secolo<i>, </i>è ancora presente un rapporto diretto, nelle pratiche yogiche del tantra, con il cadavere. Parlando della "pratica della proiezione della coscienza", una tecnica yogica legata alla liberazione della propria anima dal ciclo Samsarico all'insorgere della morte, </span><span style="font-family: verdana;">Je Sherab Gyatso suggerisce di addestrarsi a proiettare la propria coscienza prima su una carcassa di maiale e poi su un cadavere recuperato da una fossa comune, finché non si diviene in grado di scaldare i corpi morti mediante la propria energia vitale. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Un'ultima pratica, meno tabù ed eseguibile anche ai giorni nostri senza il rischio di incorrere nel reato penale di villipendio di cadavere, è contenuta ne L<i>a Beatitudine del Fuoco Interiore</i>, testo scritto da Lama Yesce (Chiara Luce edizioni) e rivolto proprio agli Occidentali desiderosi di avvicinarsi alle pratiche tantriche originarie dei Sei Yoga di Naropa.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.ibs.it/images/9788886099578_0_536_0_75.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="739" data-original-width="500" height="320" src="https://www.ibs.it/images/9788886099578_0_536_0_75.jpg" width="217" /></a></div>Come nei testi tradotti da Wentz, anche il libro di Lama Yesce contiene una tecnica di meditazione del cadavere, riadattata però alla sensibilità occidentale, che prevede la visualizzazione delle differenti fasi del morire e della decomposizione del proprio corpo:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">1) Nel <b>primo stadio</b> occorre visualizzare la decomposizione dell'elemento <b>terra</b>: il corpo, lentamente, si dissolve man mano che diminuisce l'energia vitale esso diventa sempre più magro e debole, e la coscienza progressivamente perde chiarezza. Le immagini e i pensieri si fanno tremolanti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">2) Nel <b>secondo stadio</b> avviene la decomposizione dell'elemento <b>acqua</b>. Il corpo si rinsecchisce, ogni liquido corporeo si asciuga, le sensazioni sonore si fanno sempre più ovattate fino a sparire. La coscienza, ora, è circondata da una cortina di fumo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">3) Nel <b>terzo stadio</b> si dissolve l'elemento <b>fuoco</b>. Il corpo si fa sempre più freddo man mano che il calore delle membra si ritira, come una candela in cui la cera è quasi giunta al termine, fino a soffocare la fiamma sullo stoppino. In questo stadio non vengono più percepiti gli odori, l'inspirazione si fa sempre più breve, debole, e l'espirazione sempre più lunga - fuoriesce dal corpo più energia di quella che, invece, viene assorbita. Il "deficit" si fa sempre più vicino. Come un ceppo giunto ai suoi ultimi singhiozzi, la coscienza emette le scintille finali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">4) Nel <b>quarto stadio</b> viene meno l'elemento <b>aria</b>. La respirazione è completamente interrotta, la lingua si fa gonfia e turgida, incapace di muoversi. La fiamma si sta spegnendo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">5) Quando tutte le porte della percezione si sono ormai spente, tutto svanisce ed ecco che sorge una nuova coscienza, non più imbrigliata ai sensi esterni. Appare un bagliore biancastro, come se si stesse contemplando un cielo completamente avvolto dalla pallida luce della luna. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">6) La luce bianca si trasforma in luce rossa: la luce lunare si trasforma in luce solare, quella che tinge il del tramonto in un rosso fiammeggiante.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">7) Anche il rosso svanisce e si tinge di nero, come la volta celeste quando il sole è ormai svanito. La coscienza è ora totalmente immersa nel vuoto. Ma questo è soltanto il preludio a un nuovo giorno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">8) Giunge finalmente l'ultima alba: la coscienza risorge nella "chiara luce" del mattino, paragonato da Lama Yesce alla luce dell'alba del cielo autunnale. Come scrive Lama Yesce: "<i>Come il sole che sorge in un cielo chiaro e privo di nuvole, la luce gradualmente aumenta sempre di più, sino a quando l'intero spazio diventa chiara luce. Questa è l'esperienza del dharmakaya, lo stato di coscienza più sottile. Ogni esistenza è non duale, e tutti i problemi dualistici sono scomparsi. Entrate così nella natura simile allo spazio della chiara luce. La vostra coscienza di saggezza si fonde con lo spazio universale</i>" (Lama Yesce, <i>La beatitudine del fuoco interiore</i>, Chiara Luce Edizioni, p. 81).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-35935086224570037392021-12-05T21:45:00.000+01:002021-12-05T21:45:15.135+01:00James Nestor: L'arte di respirare<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.macrolibrarsi.it/data/cop/zoom/l/l-arte-di-respirare-195195.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="540" height="400" src="https://www.macrolibrarsi.it/data/cop/zoom/l/l-arte-di-respirare-195195.jpg" width="270" /></a></div>Respirare è un gesto naturale, dato per scontato e apparentemente semplice. A un primo sguardo superficiale, non sembrano esservi molti modi per farlo. Basta inspirare ed espirare, con il naso o con la bocca; in ogni caso, si tratta di immettere ossigeno ed espellere anidride carbonica - e in una concezione prettamente meccanicistica del corpo umano, sembrerebbe non esservi alcuna importanza su come avvenga questo scambio. L'importante è che, in un modo o nell'altro, l'ossigeno entri nei polmoni e che l'anidride carbonica ne venga espulsa.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Eppure, la questione è molto più complessa. Vi sono innumerevoli modi per respirare e ogni tecnica influisce in maniera differente sul nostro stato fisico e mentale. Il gesto automatico, naturale, dato per scontato, è molto più importante di quello che pensiamo e lungi dall'essere un'azione automatica, il respiro necessita di essere educato, per trarne i massimi benefici nella propria vita quotidiana.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questo è il nucleo principale attorno al quale si evolve <i>L'arte di respirare</i> di James Nestor, edito in Italia da Aboca, una delle letture più sorprendenti e rivelatorie che ho avuto la fortuna di incontrare.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">James Nestor è un giornalista scientifico che ha collaborato The New York Time, The Atlantic e Scientific America, la cui ricerca si focalizza sui limiti del corpo e della mente umana, con un approccio decisamente "esperienziale", come avremo modo di raccontare. Nestor ha pubblicato due testi incentrati sul respiro: il già citato <i>L'arte di respirare</i> e <i>Il respiro degli abissi</i>. Il suo interesse nei confronti del respiro, come lui stesso racconta, nacque quasi per caso, per gli eventi che lo portarono a scrivere <i>Il respiro degli abissi</i>. Era il lontano 2011 quando Nestor fu inviato in Grecia per compiere un reportage dei campionati mondiali di nuoto in apnea per la rivista Outside. Prima di allora non aveva mai nutrito alcun interesse nei confronti dell'apnea ma, come racconta nel testo, la scelta del Direttore era caduta su di lui semplicemente perché aveva sempre vissuto vicino all'oceano e vi aveva dedicato parecchi articoli. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">A un primo impatto "esterno" con la materia, Nestor non ne rimase molto colpito. Scorrendo foto, dati e informazioni, gli parve soltanto "un bizzarro passatempo [...] a cui la gente si dedica per poterne parlare alle feste o usarne il nome come indirizzo di posta elettronica" (James Nestor, Il respiro degli abissi, EDT, p. 2).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma, una volta arrivato in Grecia, sulla barca dalla quale osserva la gara, le cose cambiano radicalmente. "<i>Ciò a cui assisto da quel momento in poi mi sconcerta e mi atterrisce</i>" scrive nel libro. Nestor assiste ad atleti in grado di scendere sotto i 90 metri di profondità, trattenendo il respiro per tre, quattro, cinque minuti, per poi risalire in superficie in assoluta tranquillità. Da quel momento cominciò a prendere l'apnea molto più seriamente, a tal punto da dar vita a un reportage che dalla Grecia lo porterà tra Porto Rico, Giappone, Honduras e Sri Lanka per entrare in contatto con diversi "maestri degli abissi", accomunati dalla passione per le profondità marine, gli esseri viventi che le popolano e la ritenzione del respiro come strumento per divenire un tutt'uno con il mare o l'oceano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Lo studio dell'apnea divenne, per Nestor, l'anticamera di una ricerca più ampia sulla respirazione. Dopo aver visto le imprese degli apneisti, rimase, all'autore, il dubbio su quante potenzialità nascoste vi fossero nel controllo coscienze della respirazione. Fu così che si rimise in viaggio per dar vita al secondo libro: <i>L'arte di respirare</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L'aspetto più interessante che ritorna sia ne <i>Il respiro degli abissi</i> sia ne <i>L'arte di respirare</i> è l'approccio esperienziale di Nestor. L'autore non si limita a rintracciare dati, statistiche o personalità da intervistare. Vi è, senz'altro, questo importante lavoro di ricerca, che viene però completato dalla curiosità di Nestor che lo porta a voler sperimentare sulla propria pelle - e sui propri polmoni, in questo caso - le ricerche da lui condotte. Così, mentre ne <i>Il respiro degli abissi </i>racconta di come sfidò i suoi limiti di ritenzione del respiro per immergersi con le creature marine e trovarsi faccia a faccia con i capodogli, fin dalle prime pagine de <i>L'arte di respirare</i> lo troviamo coinvolto in un faticoso esperimento per dimostrare che non tutte le forme di respirazione sono analoghe e che, per respirare correttamente, non basta far raggiungere l'ossigeno ai propri polmoni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"Nell'ultimo secolo" scrive Nestor "l'opinione prevalente della medicina occidentale era che il naso fosse più o meno un organo ancillare. Dovremmo usarlo per espirare, se possibile, ma in caso contrario non c'è problema: è per questo che esiste la bocca. Molti medici, ricercatori e scienziati continuano a sostenere questa opinione. Nei National Institues of Health ci sono ventisette dipartimenti dedicati a polmoni, occhi, malattie della pelle, orecchie eccetera. Il naso e i seni paranasali non sono mai rappresentati. Nayak lo trova assurdo. E' il responsabile delle ricerche di rinologia a Stanford. Dirige un laboratorio di fama internazionale che si concentra esclusivamente sulla comprensione del potere occulto del naso. [...] Per questo è interessato a scoprire che cosa succede a un corpo che funzioni senza di esso. Ed è per questo che [...] a partire da oggi, passerò il quarto milione di respiri con dei tappi di silicone che mi bloccano le narici e un nastro chirurgico per impedire che anche la più piccola quantità d'aria entri o esca dal mio naso. Respirerò soltanto con la bocca" (James Nestor, <i>L'arte di respirare</i>, Aboca, pp. 27-28).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L'esperimento si rivela, fin dai primi giorni, una tortura. Non basta, infatti, che i polmoni ricevano la loro dose d'aria per respirare in maniera sana ed efficiente. A soli cinque giorni dall'inizio dell'esperimento "Respirare con la bocca ci sta distruggendo la salute. La mia pressione sanguigna si è impennata di 13 punti in media rispetto ai valori precedenti dell'esperimento [...]. Se non monitorato, questo stato di alta pressione cronica [...] può causare attacchi di cuore, ictus e altri disturbi gravi. Nel frattempo, la variabilità della frequenza cardiaca, una misura dell'equilibrio del sistema nervoso, è crollata, suggerendo che il mio corpo si trova in uno stato di stress. Poi c'è il battito, che è aumentato, e la temperatura corporea, che è calata, e la mia lucidità mentale, che si può considerare ai minimi storici [...]. Ma la cosa peggiore è la sensazione: stiamo malissimo. Ogni giorno sembra andare peggio" </span><span style="font-family: verdana;">(James Nestor, </span><i style="font-family: verdana;">L'arte di respirare</i><span style="font-family: verdana;">, Aboca, pp. 47-48).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La respirazione orale prolungata, oltre a essere dannosa per l'intero organismo, causa una serie di effetti collaterali a catena all'intero apparato respiratorio e orale, come testimoniano gli esperimenti di Harvold citati da Nestor: "Inspirare aria dalla bocca diminuisce la pressione e questo fa sì che i tessuti molli in fondo alla bocca si rilassino e si curvino verso l'interno, creando un minore spazio complessivo e rendendo la respirazione più difficile" </span><span style="font-family: verdana;">(James Nestor, </span><i style="font-family: verdana;">L'arte di respirare</i><span style="font-family: verdana;">, Aboca, p. 59).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Una situazione che, tuttavia, può diventare reversibile. Nel respiro vi è la malattia ma anche la cura, nel momento in cui si recupera il corretto modo di respirare. Dal decimo giorno dell'esperimento, in cui Nestor può finalmente togliersi i tappi e ricominciare a respirare con il naso, ecco che ricomincia la rinascita, attraverso la sperimentazione di diverse pratiche atte a sviluppare una maggiore consapevolezza del respiro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">C'è un motivo, insomma, se ci siamo evoluti dotati di naso. "Il naso è importantissimo perché purifica l'aria, la riscalda e la inumidisce in modo da facilitarne l'assorbimento. Molti di noi questo lo sanno. Ma quello che tanti non considerano è il ruolo imprevisto del naso in disturbi come la disfunzione erettile. O la sua capacità di innescare una pioggia di ormoni e sostanze chimiche che abbassano la pressione del sangue e agevolano la digestione. Come risponda alle fasi del ciclo mestruale della donna. Come regoli il battito cardiaco, apra i vasi nelle dita dei piedi e immagazzini i ricordi" </span><span style="font-family: verdana;">(James Nestor, </span><i style="font-family: verdana;">L'arte di respirare</i><span style="font-family: verdana;">, Aboca, pp. 77-78). La riscoperta del respiro, da parte di Nestor, comincia proprio dal naso e dalle innumerevoli testimonianze antiche che legavano l'energia umana a una corretta respirazione. Ben prima della scienza, la sapienza mistica e religiosa tradizionale aveva riconosciuto l'importanza del respiro. Nestor sottolinea come, tanto nei testi taoisti quanto in quelli induisti, e perfino tra le tribù autoctone degli Indiani d'America, la respirazione orale veniva ritenuta una delle principali cause delle malattie del corpo e, al contrario, la padronanza della respirazione nasale veniva considerata la via maestra per il contatto con il divino. Nelle pratiche yogiche, nella meditazione taoista, nell'esicasmo cristiano, nei mantra buddhisti, solo per citare alcune tecniche spirituali, la respirazione gioca un ruolo fondamentale, non solo per il rilassamento del corpo e per acquietare i pensieri, ma soprattutto per indurre nell'uomo una sensazione di "espansione della coscienza" in grado di avvicinarlo al divino. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Esperienze che non sono soltanto illusioni create dalla fede, ma precisi stati psicofisici indotti dalla respirazione, come dimostra uno studio sorprendente effettuato dall'Università di Pavia volto a studiare il respiro nelle principali pratiche di preghiera e meditazione delle diverse religioni, riportato da Nestor all'interno del libro:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"Quando i monaci buddhisti cantano il loro mantra più conosciuto, Om Mani Padme Hum, ogni frase pronunciata dura sei secondi, con sei secondi per inalare prima che il canto ricominci. Il canto tradizionale dell'Om, il suono sacro dell'universo, usato nel giainismo e in altre tradizioni, richiede sei secondi per cantare, con una pausa di circa sei per inalare. Anche il canto sa ta na ma, una delle tecniche più note del Kundalini Yoga, comporta sei secondi per vocalizzare, seguiti da sei secondi per inalare. Poi c'erano le antiche posizioni induiste di mano e lingua chiamate mudra. [...] I respiri profondi e lenti che si eseguono [nella tecnica chiamata khechari] durano sei secondi ciascuno. [...] Nel 2001 i ricercatori dell'università di Pavia hanno radunato una ventina di soggetti, li hanno ricoperti di sensori per misurare il flusso sanguigno, la frequenza cardiaca e il feedback del sistema nervoso, poi hanno chiesto loro di recitare un mantra buddhista, oltre alla versione originale latina del rosario [...]. Con loro stupore, hanno scoperto che il numero medio di respiri per ogni ciclo era quasi esattamente identico [...]: 5,5 respiri al minuto. Ma ancora più sorprendente era l'effetto che aveva questa respirazione sui soggetti. Ogni volta che seguivano lo schema della respirazione lenta, l'afflusso di sangue al cervello aumentava e i sistemi del corpo entravano in uno stato di coerenza, in cui le funzioni di cuore, circolazione e sistema nervoso sono coordinate al massimo dell'efficienza. Nel momento in cui i soggetti tornavano a respirare in modo spontaneo o a parlare, i loro cuori battevano a un ritmo un po' più irregolare, e l'integrazione di questi piani si perdeva" (James Nestor,</span><i style="font-family: verdana;"> L'arte di respirare</i><span style="font-family: verdana;">, Aboca, pp. 136-137).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Gli studi citati da Nestor sono la dimostrazione di come le pratiche di preghiera, meditazione e ripetizione dei mantra non siano dei semplici retaggi superstiziosi, ma, come le definirebbero Pauwels e Bergier, delle "tecniche di manipolazione dell'invisibile", il cui effetto si estende in egual modo sulla corpo e sulla psiche. E proprio il respiro funge da collante tra visibile e invisibile, spirito e materia, scienza e religione. Non a caso, secondo la concezione yogica, il Prana, l'energia vitale, viene assimilata dal corpo proprio attraverso il respiro. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Esercitate in maniera costante e portate all'estremo, queste tecniche sono in grado di condurre l'uomo al di là del propri limiti, permettendogli di attingere a una riserva di energia latente pressoché infinita. Ne sono un esempio due casi moderni riportati sempre da Nestor all'interno della sua ricerca: quello di Wim Hof e quello di Stanislav Grof. Wim Hof,</span><span style="font-family: verdana;"> dopo un dramma personale, ha cominciato ad approfondire le tecniche yoga di respirazione fino a incontrare la "tummo", la respirazione tibetana del calore interiore, praticata da yogin e fachiri in grado di aumentare fino a otto gradi la propria temperatura corporea. Praticando in maniera costante questa forma di respirazione, inizia a cimentarsi in una serie di imprese di resistenza, portando il suo corpo a tollerare temperature glaciali che, dal punto di vista prettamente scientifico, avrebbero dovuto costargli diversi ipotermie, ma che lo porteranno invece a infrangere diversi Guinnes World Record.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Stanislav Grof, invece, è uno psichiatra che negli anni '70, studiando gli effetti della LSD sulla coscienza, si focalizzò su uno dei suoi "effetti collaterali" apparentemente secondari: l'accelerazione del respiro. Tutti i pazienti a cui era stata somministrata l'LSD mostravano una respirazione accelerata. Di fronte a questa rilevazione, Grof si chiese se fosse possibile ottenere i medesimi effetti dell'LSD inducendo la medesima accelerazione. Nacque così la sua tecnica respiratoria, che nominerà "Respirazione olotropica", una pratica di espansione della coscienza che, attraverso l'iperventilazione, la deprivazione visiva e la stimolazione della coscienza attraverso musiche psichedeliche, è in grado di indurre nella mente umana degli stati alterati di coscienza assimilabili a quelli dell'LSD.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Respirare, insomma, è un atto estremamente serio; un vero e proprio portale verso il mondo interiore, tanto del corpo quanto della mente. In apparenza potrebbe sembrare un'affermazione banale, ma dovrebbe far riflettere il fatto che possiamo trascorrere circa tre giorni senza bere, quaranta senza mangiare ma soltanto pochi minuti senza respirare. In media respiriamo circa otto litri d'aria al minuto. Il che significa che in una intera giornata respiriamo 11mila litri d'aria. Uno scambio di energia costante tra l'uomo e il cosmo, che permette di concepire in maniera più concreta il concetto di "Prana" e di capire come, già per Anassimene, l'essenza della vita andasse rintracciata nel Pneuma. Una volta assimilata questa consapevolezza, viene spontaneo porre attenzione alla respirazione. E dopo aver letto <i>L'arte di respirare</i> di James Nestor, verrà spontaneo focalizzare l'attenzione si ogni singolo respiro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">James Nestor, L'arte di respirare, Aboca Edizioni</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-70675779150458683972021-11-22T23:52:00.002+01:002021-11-22T23:52:52.442+01:00Svela l'io sono e poi uccidilo. L'insegnamento di Nisargadatta Maharaj<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://arthistoryproject.com/site/assets/files/14481/nicholas-roerich-issa-and-the-skull-of-the-giant-1932-trivium-art-history.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="505" data-original-width="800" height="253" src="https://arthistoryproject.com/site/assets/files/14481/nicholas-roerich-issa-and-the-skull-of-the-giant-1932-trivium-art-history.jpg" width="400" /></a></div>Maruti Kampli nacque a Bombay nell'ormai lontano 1897 e passò gran parte della sua vita a vendere "bidi", delle sottili sigarette indiane, in una piccola bottega situata in un quartiere periferico, immerso nel caos della vita cittadina. All'età di trentacinque anni, tuttavia, la sua vita normale ebbe una svolta; egli incontrò Sri Siddharameshwar Maharaj. Il maestro spirituale non si dilungò in lunghi discorsi, ma glie rivelò una breve, lapidaria, massima su cui riflettere: "Tu sei l'Ultima realtà, l'Assoluto". Maruti Kampli passò tre anni a meditare su questa frase, abbandonando tutto, finché, un giorno, non penetrò nel mistero del suo significato e, da qui, nel segreto ultimo della realtà. Fu così che si realizzò, che abbandonò le vesti mortali del semplice venditore di tabacco per diventare l'immortale Nisargadatta Maharaj. <br /></span><span style="font-family: verdana;">La sua vita "di superficie", in realtà, non cambiò molto e, anzi, sembrò fare un passo indietro. Dopo le lunghe pratiche di ascesi, meditazione e silenzio comprese, di fronte alla rivelazione ultima, che tutti quegli sforzi non avevano mai avuto alcun significato. Tornò così alla sua esistenza precedente, ricongiungendosi con i familiari e con l'attività che aveva momentaneamente abbandonato. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Eppure, sotto la superficie, qualcosa in lui era trasmutato. Il corpo - o corpo-cibo, come lo definisce lui - ormai agiva in automatico, come l'automa che era sempre stato. Ma dietro questa maschera, a questo burattino degno dei racconti di Thomas Ligotti, non vi era più imprigionata alcuna coscienza. Quella si era liberata; o, meglio, Nisargadatta si era liberato sia delle sbarre del corpo sia del secondino più crudele, la coscienza stessa. <br /></span><span style="font-family: verdana;">L'unica differenza esteriore fu la nuova clientela che Nisargadatta aveva attirato nel suo negozio. Non solo i soliti tabagisti, ma una numerosa sequela di pellegrini giunti ad ascoltare i suoi discorsi, molti dei quali furono trascritti per essere tramandati ai posteri.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Nisargadatta fu trasformato, involontariamente, in un Guru, anche se lui un Guru non volle mai essere e, di certo, non fu una maschera che indossò, come molti volti noti della spiritualità indiana "di massa" confezionata a uso e consumo dell'Occidentale. Nelle sue tasche non entrò un soldo in più, se non quello derivante da qualche confezione di "bidi" venduta ai nuovi arrivati.<br /></span><span style="font-family: verdana;">L'insegnamento di Nisargadatta, tramandato dalle numerose conversazione trascritte dai discepoli, è quanto di più "spiritualmente antimoderno" si possa concepire - se, con "modernità" vogliamo intendere l'idea che il fine dell'uomo sia quello di produrre, lavorare e consumare, e</span><span style="font-family: verdana;"> di dar vita ad altre coscienze che continuino a fare ruotare questa perenne ruota karmica.</span><span style="font-family: verdana;"> E all'interno di questa cornice ritagliarsi una pseudo-spiritualità che possa essere funzionale alla catena produttiva. Una spiritualità, cioè, che funga da "valvola di sfogo dello stress" o che lo convinca ad accettare il principale dogma dell'età moderna: l'ego, e tutto ciò che all'ego appartiene, interiormente ed esteriormente.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Scherzando, in uno dei dialoghi contenuto in <i>Alla sorgente dell'essere</i>, Aequilibrium edizioni, Nisargadatta dice che gran parte dei pellegrini, soprattutto occidentali, che lo raggiungono vanno via contrariati quando l'unica risposta ricevuta consiste nella rivelazione della loro non-esistenza. La negazione dell'ego, dell'io, non vi è forse tabù più grande per l'uomo occidentale, soprattutto in questi secoli.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Eppure, l'insegnamento di Nisargadatta spinge inevitabilmente verso questa direzione. Sempre con una certa ironia, dice in uno dei suoi dialoghi: </span><span style="font-family: verdana;">"Molte persone erudite, che conoscono profondamente le scritture, vengono qui a parlare con me. Io non discuto con loro, non mi metto a discutere le loro idee, non voglio contrariarle. Ma dopo che hanno finito di parlare, dico: "Tutto quello che avete detto è vero; ma ricordatevi una cosa: quello che siete ora, questo stato di coscienza, è il più grande inganno che ci sia, non durerà" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, p. 85).<br /></span><span style="font-family: verdana;">La cornice teorica in cui si inserisce questa prospettiva può essere definita come una forma di "pessimismo cosmico", o di "realismo cosmico", a seconda dei punti di vista. Usando una metafora di uno dei suoi dialoghi, l'essere umano, con l'intero universo a lui manifesto, vive all'interno di un lungo film, dove tutto è già deciso, fotogramma dopo fotogramma. Soltanto lo scorrere della pellicola, il suo movimento, suggerisce l'illusione di una progressione. Ma il Tempo altro non è che una macchina che divora il nastro, che lacera e sminuzza i fotogrammi e con essi le immagine impermanenti in essi contenute. Dice Nisargadatta:<br /></span><span style="font-family: verdana;">"Nessuno decide come sarà il film. Nove mesi prima della nascita, nel momento in cui il bambino viene concepito, viene presa una fotografia delle condizioni in cui si trovano i cinque elementi. E tutto poi si svolge automaticamente. Nessuno interviene o decide. Tutto avviene automaticamente perché in quel momento manca il senso dell'"io sono"; esso appare molto più tardi. [...] All'istante del concepimento la situazione di questo mondo e del cosmo viene registrata nel seme. In questo elemento primario, in questa coscienza biologica, tutto accade istantaneamente. Una persona può essere concepita in India e andare a vivere all'altro capo del mondo... questo fa già parte di quanto è stato registrato. Che tu lo creda o no!" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, pp. 49-50).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Il mondo, come direbbe Schopenhauer, è una rappresentazione dietro alla quale si nasconde una volontà; nella visione di Nisargadatta una volontà soggettiva, che dà vita al mondo, rimanendone schiavo. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Tuttavia, in questa concezione apparentemente pessimistica vi è una via di fuga che, gradino dopo gradino, può condurre l'essere umano alla liberazione. Nell'uomo, infatti, così come in tutti gli esseri viventi, vi è qualcosa che va al di là della vita, che trascende l'esistenza stessa. </span><span style="font-family: verdana;">"Tu non sei la coscienza" dice Nisargadatta "E non sei nemmeno lo stato in cui c'è il senso di essere. Sullo schermo del cinematografo le figure si muovono in continuazione; esse non possono fare altrimenti, sono nel film. Non decidono nulla; è la pellicola che si muove. Ma cos'è che rende possibile l'apparire delle figure sullo schermo? Soltanto il movimento della pellicola? No: è la luce che la attraversa, la luce che sta dietro. Anche per te è la stessa cosa. La tua realtà consiste unicamente nell'essere luce, nell'osservare il film che si svolge, producendo gli eventi del mondo. Sii questa sorgente di luce dietro la coscienza" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, p. 52).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Il principio che si nasconde dietro all'essere e alla vita è la luce, l'Assoluto. Essa è senza forma, sempre identica; la molteplicità delle forme e dei colori è data da una illusione, quando essa attraversa le immagini. Ma il soffio è sempre lo stesso, anche quando, suonando un flauto, si producono delle note. Allo stesso modo, vi è un principio nascosto in tutti gli esseri che produce la molteplicità dei mondi e che, in un circolo vizioso, è soffocato dall'illusione prodotta e dal conseguente attaccamento verso questo mondo fatto di immagini. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Il corpo, le sensazioni, le emozioni, i pensieri, la fame, la sete, tutto contribuisce a invischiare, appesantire, incatenare la luce nascosta, convincendola di non essere altro che questa illusione. Ma: </span><span style="font-family: verdana;">"Il corpo è una cosa in cui il cibo ha preso forma. E' soltanto cibo. Voi siete il serbatoio in cui si raccoglie il prodotto della digestione degli alimenti che prendete e nell'essenza di questo corpo-cibo si trova la conoscenza "io sono". In questo bastoncino d'incenso c'è un profumo. Quando l'accendete, il profumo si libera. Allo stesso modo, il profumo "io sono" si trova nel corpo e quando percepite questo "io sono", voi sapete che si tratta dell'essenza del corpo-cibo che si libera. Ma chi percepisce questa qualità non è "l'io sono". Chi percepisce è al di là dell'"io sono", è prima dell'"io sono", è puro Assoluto" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, p. 97).<br /></span><span style="font-family: verdana;">L'"io sono" è il punto di partenza, il ponte di decollo, dal quale comincia l'ascesa verso la liberazione. Bisogna compiere, sostiene Nisargadatta, un progressivo lavoro di sgrossatura per giungere all'essenza del proprio essere. Eliminare tutte le cose transitorie. Io non sono i miei pensieri, essi mutano di continuo, così come le mie emozioni, le mie sensazioni, i miei bisogni fisiologici. Tutte queste cose contribuiscono a mantenermi imbrigliato nel flusso del divenire. E anche la coscienza, che spesso viene ritenuta il baluardo dell'uomo contro il mondo, non è altro che un prodotto illusorio. Essa muta di continuo, con il passare degli anni e delle esperienze. Ma in questo perpetuo flusso del divenire, cosa rimane stabile? La percezione di esistere, di essere un "io sono" separato dal resto del mondo, di essere sempre un soggetto esistente a cui capitano una miriade di eventi. L'"io sono", l'atto stesso di essere, di esistere, è l'unica cosa che sopravvie a questa sgrossatura. Come dice Nisargadatta:<br /></span><span style="font-family: verdana;">"Da principio bisogna mantenere il senso dell'"io sono". Bisogna adorare questa presenza dell'"io sono", bisogna gioirne, farsela amica. Devi diventare una cosa sola con lei e allora spontaneamente finisce per apparire in te il senso: "Io non sono questo "io sono"". "Io sono" significa unicamente l'insieme della manifestazione e non l'apparato psicosomatico "corpo-mente" che porta il tuo nome. Rifiuta di identificarti al "corpo-mente" e semplicemente prendi stabilmente coscienza nell"io sono", senza bisogno di specificare altro. Questa è la prima tappa. "Io sono questa coscienza dinamica di ciò che si manifesta" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, p. 58).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Eppure, anche l'"io sono" deve essere trasceso, superato. Esso è l'ultimo guardiano della soglia che ci separa dalla luce, dall'Assoluto. Anche se sgrossato da tutti gli elementi transitori, l'"io sono" ci imprigiona. "Esistere" vuol dire continuare a essere nel film, perpetrare la separazione tra me e il resto del mondo. Se esiste "l'io sono", esiste anche qualcosa che vi si oppone, un "altro" che non fa parte dell'"io". <br /></span><span style="font-family: verdana;">L'io sono, con la coscienza, è un cappio intorno al collo che si stringe sempre di più fino a soffocare l'uomo e a privargli la vista dell'Assoluto: </span><span style="font-family: verdana;">"Un uomo lascia cadere in mare un biglietto da mille dollari. Si tuffa per riprenderlo, perché tra li e quel biglietto c'è un rapporto stretto; c'è un'intima relazione tra lui e quei mille dollari. Si tuffa, e annega. Questa intimità, questa familiarità con quella che chiamate vita, è la corda che vi strangola" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Al di là dell'"io sono" si estende una realtà che tutto compenetra; questo è la vera meta a cui bisogna approdare, superando anche l"'io sono": </span><span style="font-family: verdana;">"Realtà significa il primo e l'ultimo stato. E' lo stato più antico, lo stato primordiale, eterno, assoluto. Sopra questo stato è apparso come un rivestimento, come una nuova, come una macchia, lo stato illusorio. A questa comparsa è legata la constatazione "io sono", che porta con sé tutta una serie di eventi e il suo bisogno costante di andare e venire. Questo stato illusorio è apparso e quindi dovrà necessariamente scomparire, perché è legato al tempo. Ma noi siamo emotivamente attaccati a questo stato. Emotivamente significa che siamo convinti di essere questo "io sono". Quindi, affinché questo stato illusorio, legato al tempo, possa dissolversi, bisogna trascendere il nostro attaccamento emozionale a questa conoscenza "io sono". Finché la nuvola non se ne andrà, lo stato primordiale non potrà apparire. Lo stato primordiale non è qualcosa da conquistare; è già lì. Bisogna semplicemente eliminare lo schermo che lo nasconde [...]. Il principio che è nato comprende soltanto tre stati: lo stato di veglia, lo stato di sonno profondo e la conoscenza "io sono". Finché ci saranno questi tre stati, ti identificherai con l'"io sono". Finché non avrai raggiunto l'Assoluto, liberandoti da questa illusione, rimarrai intrappolato in questo stato che è legato al tempo e che deve essere trasceso" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, p. 59). <br /></span><span style="font-family: verdana;">Per approdare all'Assoluto, l'"io sono" deve essere ucciso, distrutto. Questa trasmutazione alchemica è un atto necessario, poiché soltanto la distruzione della pellicola che filtra la luce può svelare la luce nel suo stato originario e indifferenziato: </span><span style="font-family: verdana;">"Quando guardi qualcosa trasformarsi, prendere una nuova forma, la sua forma precedente non va forse distrutta? Prendi per esempio l'acqua che evapora; diventa una nuova, poi pioggia e quindi il ciclo ricomincia. [...] Tu hai la certezza di essere. Poi questa conoscenza diventa non-conoscenza, che è l'ultima propaggine della conoscenza. Facciamo ancora questo paragone con l'acqua. Tu hai un recipiente d'acqua. La vedi, la tocchi. Poi l'acqua evapora e non rimane più niente. Tu pensi probabilmente che sia andata distrutta, mentre non c'è stata distruzione, non c'è stata morte. L'acqua non è stata distrutta, ma è diventata nuvola, abbondanza, fertilità. Così, quando la conoscenza di esistere diventa non-conoscenza, essa si fonde nell'Assoluto. L'essere diviene non-essere; non è più qualcosa di tangibile, ma questo non significa che sia andato distrutto o che sia stato ucciso. Quando l"io sono" si dissolve nell'infinito, quello che era percepibile, manifesto, diventa impercepibile, intangibile. Quando comincia ad apparire una traccia dell'"io sono", improvvisamente tutto l'universo appare, mentre quando l"'io sono" scompare, tutto si dissolve, e si spegne" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, pp. 64-65).<br /></span><span style="font-family: verdana;">Da questa prospettiva elevata, nel momento in cui si abbandona l'"io sono", ci si accorge, per un fugace istante, che tutto è sempre stato un'illusione. Che il Tempo è un'immensa macchinazione che tutto distrugge, ma che per esistere necessita che nascano altre coscienze, altre forme, altre immagini da divorare, rendendole schiave del suo ciclo perenne solo in apparenza; perenne solo nella misura in cui nascono altre anime e altre coscienze che lo percepiscono. Ma, dice Nisargadatta: </span><span style="font-family: verdana;">"La nostra esistenza è solo uno stato temporaneo; diciamo, come una giornata che va dalle cinque del mattino a mezzanotte. Anche se vivi cent'anni, questo non significa altro che cento volte trecentosessantacinque giorni, in ciascuno dei quali sei sveglio diciannove ore. La cognizione "io sono" non è eterna. Quella che vivi non sarà mai l'esperienza dell'eterno. Se il tuo stato di essere presente continuasse eternamente, non ti sarebbe mai venuto in mente di andare a chiedere qualcosa a qualcuno. Quindi, attualmente, quello che tu conosci è qualcosa di temporaneo; ma chi osserva, il testimone di questo stato, è inevitabilmente l'eterno [...]. Anche se prendi Allah, Gesù o Krishna, tutte queste entità o personalità sono vissute soltanto nel tempo. Il principio che osserva quello che è temporaneo, che lo percepisce senza bisogno di andare a chiedere niente a nessuno, questo principio è l'eterno" </span><span style="font-family: verdana;">(Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, pp. 73-74).<br /></span><span style="font-family: verdana;">L'Eterno, l'Assoluto è l'unica Realtà. E una volta che, da questa dimensione illusoria, l'uomo riesce a ricollegarsi con questo principio immutabile, ecco che trascende il corpo, la coscienza, l'"io sono" e perfino il Tempo, e se anche il suo corpo resta ancora vivo, attivo e apparentemente inserito nella società, il suo principio immortale si è ormai risvegliato e, dall'Eternità, contempla il Tutto come un lontano testimone. Usando le parole che Nisargadatta ha rivolto a una persona che gli ha domandato come mai, dopo l'illuminazione, sia tornato alla sua precedente attività: </span><span style="font-family: verdana;">"La coscienza c'è, ma essa per me non ha più alcun interesse. Io sono indifferente a tutto; sono semplicemente una specie di testimone. Un'osservazione è in atto; e questo è tutto. Di fronte agli avvenimenti che accadono, io non sento alcun particolare interesse; non faccio progetti, non ho particolari intenzioni. [...] A poco a poco ho smesso di essere convinto di quello che facevo. Dopo che mi sono realizzato, provavo ancora interesse; radunavo persone. Esse mi interessavano; desideravo comunicare loro quello che avevo scoperto. Ma ora, tutto questo è finito. In futuro, quando verranno a trovarmi persone straniere, non sono affatto sicuro che parlerò con loro" (Nisargadatta Maharaj, </span><i style="font-family: verdana;">Alla sorgente dell'essere</i><span style="font-family: verdana;">, Aequilibrium, pp. 174-175).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La sua vita e la sua morte dimostrano la veridicità delle sue parole. Nonostante il "successo" ottenuto e il grande numero di pellegrini giunti ad ascoltarne le parole, non si trasformò mai in uno di quei guru creati ad arte a uso e consumo dei bisogni pseudo spirituali degli occidentali e morì, sempre a Bombay, di cancro alla gola. Ma questo non fu un problema, poiché al suo corpo e alla sua coscienza era già morto da tempo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span><span style="font-family: verdana;">Nisargadatta Maharaj, <i>Alla sorgente dell'essere</i>, Aequilibrium</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-34237681822349339412021-11-18T16:11:00.000+01:002021-11-18T16:11:01.119+01:00Gurdjieff e la creazione dei corpi sottili<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/33/Illustrations_to_Robert_Blair's_The_Grave_%2C_object_9_The_Soul_Hovering_over_the_Body.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="566" data-original-width="800" height="283" src="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/33/Illustrations_to_Robert_Blair's_The_Grave_%2C_object_9_The_Soul_Hovering_over_the_Body.jpg" width="400" /></a></div>Vi è un filo conduttore che unisce tutte le ricerche filosofiche, religiose, magiche, esoteriche e sciamaniche: l'idea che esista, nell'uomo, un principio vitale invisibile e che esso possa ottenere l'immortalità. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Questo principio invisibile è stato chiamato in molti modi, ma uno dei nomi più diffusi è senz'altro quello di: <i>anima</i>, il soffio vitale senza il quale un organismo è soltanto un corpo morto. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Un'altra idea costante è che l'<i>anima</i> non sia un fenomeno semplice: non esiste un solo tipo di anima, essa è molteplice così come molteplici sono le sue manifestazioni, e se anche viene concepita, nell'essere vivente, come un "tutto unitario", essa è tuttavia suscettibile a un'analisi anatomica, che ne suddivide le tipologie e le facoltà. Una delle più chiare rappresentazioni di questo concetto è, ad esempio, suddivisione dell'anima di Aristotele, che pur ritenendo l'indivisibilità dell'anima umana, ritiene tuttavia che a livello concettuale essa possa essere suddivisa in anima vegetativa, anima sensitiva, anima razionale e anima intellettiva.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Come accennato in precedenza, all'anima viene sempre riservato un trattamento di favore rispetto al corpo. Ad essa sembrano appartenere caratteristiche invisibili e impercettibili, come il pensiero, che ne suggeriscono un natura differente. E, come sostenne Cartesio, un altro dei grandi "anatomisti" dell'anima, dato che tutte le qualità dell'anima sembrano non appartenere al corpo, ma essere anzi affini a tutto ciò che vi è di eterno e invisibile, anche l'anima, separata dal corpo, deve essere ritenuta immortale.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Senza poter entrare nel dettaglio della molteplicità di visioni circa le parti dell'anima, la sua composizione, il suo destino e la sua immortalità, è tuttavia un fatto innegabile che gran parte di queste tradizioni diano per scontato, o arrivino alla conclusione, che esista un'anima e che quest'anima sia immortale.<br /></span><span style="font-family: verdana;">L'uomo nasce con l'anima e con l'immortalità. Può perdere, senz'altro, o l'una o l'altra, ma questo avviene per una colpa, un errore, un peccato; per una azione che dipende dalla sua volontà e che, in ogni caso, implica il fatto che prima possedesse sia l'anima sia l'immortalità, esattamente come, per perdere un mazzo di chiavi, bisogna prima averlo avuto in tasca.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Ma questa concezione di un possesso "passivo" dell'anima e dell'immortalità potrebbe essere sempre stata un grande inganno. E' quello che pensa George Ivanovic Gurdjieff, per il quale né l'anima né l'immortalità sono un dato di fatto, bensì una conquista evolutiva, che soltanto pochi eletti sono in grado di sviluppare dopo lunghi sacrifici. Come scrive Ouspensky, citando le sue parole, in <i>Frammenti di un insegnamento sconosciuto</i>: </span><span style="font-family: verdana;">"L'immortalità è una di quelle qualità che l'uomo si attribuisce senza avere una sufficiente comprensione del loro significato. Altre qualità di questo genere sono l'individualità, nel senso di unità interiore, l'Io permanente ed immutabile, la coscienza e la volontà. Tutte queste possono appartenere all'uomo, ma ciò non significa certo che esse già gli appartengono di fatto o possano appartenere a chiunque" (Ouspensky, <i>Frammenti di un insegnamento sconosciuto</i>, Astrolabio, p. 48).<br /></span><span style="font-family: verdana;">L'anima e l'immortalità sono una conquista. Pensare di possederle, senza far nulla, fin dalla nascita, è o una menzogna o un inganno, in ogni caso un abbaglio che spinge l'uomo alla pigrizia spirituale e che lo relega a un'esistenza in balia di forze meccanicistiche, contro le quali non può nulla.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Riflettendo su come si è perpetrato questo inganno, Gurdjieff analizza la suddivisione più diffusa dell'anima umana, secondo la quale l'uomo è composto da quattro corpi: <br /></span><span style="font-family: verdana;">1) Corpo fisico (tradizione cristiana e teosofica) o "carrozza/corpo materiale" (tradizione orientale ma anche platonica): il corpo biologico, il cui sviluppo è principalmente meccanico. Esso corrisponde a quella che Aristotele chiamava anima vegetativa ed è preposto a tutte le funzioni fisiologiche di base.<br /></span><span style="font-family: verdana;">2) Corpo naturale (tradizione cristiana), corpo astrale (tradizione teosofica) o "cavallo/sentimenti" (tradizione orientale e platonica): il "corpo emozionale", che Aristotele chiamava anima sensitiva, dal quale dipendono emozioni e sentimenti, da quelli più bassi a quelli più alti.<br /></span><span style="font-family: verdana;">3) Corpo spirituale (tradizione cristiana), corpo mentale (tradizione teosofica) cocchiere/pensiero (tradizione orientale e platonica): il corpo dal quale dipende il pensiero, chiamato da Aristotele anima razionale.<br /></span><span style="font-family: verdana;">4) Corpo divino (tradizione cristiana), corpo causale (tradizione teosofica), "padrone/volontà" (tradizione orientale e platonica): il corpo divino, dal quale dipende la Volontà più alta; è il più importante tra i quattro, che Aristotele chiamava anima intellettiva, e che riteneva affine alla sostanza eterna delle verità universali.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Come accennato, Gurdjieff ritiene che gran parte delle tradizioni filosofiche, religiose ed esoteriche abbiano formulato una concezione simile, legata a una quadripartizione dell'anima, dando per scontato che l'uomo, nel corso del suo sviluppo, cresca accompagnato da tutti e quattro questi corpi. Ciò che varia è soltanto "l'educazione interiore", che porta alcuni individui a sviluppare un controllo superiore dei corpi più elevati su quelli più bassi. Ma la loro "proprietà" non viene messa in discussione. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Tuttavia, per Gurdjieff: "L'uomo non nasce con i corpi sottili [...] questi richiedono una cultura artificiale, possibile solo in determinate condizioni, esteriori e interiori, favorevoli. Il corpo astrale non è un complemento indispensabile per l'uomo. E' un gran lusso, che non è alla portata di tutti. L'uomo può vivere benissimo senza corpo astrale. Il suo corpo fisico possiede tutte le funzioni necessarie alla vita" </span><span style="font-family: verdana;">(Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 49-50).<br /></span><span style="font-family: verdana;">L'idea gurdjieffiana apre nuovi spiragli nella comprensione dell'evoluzione spirituale dell'uomo. Per quasi tutte le tradizioni esoteriche antiche, infatti, l'esistenza dei corpi sottili o di un'anima spirituale separata dal corpo, è pressoché un dato di fatto. Nella concezione ordinaria, l'uomo nasce già con questa scintilla divina e, spesso, il lavoro principale consiste nel liberarla. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Ma molti non riescono in questo scopo; e questo perché, nella maggior parte dei casi, si cerca di ravvivare un fuoco che ancora non è stato acceso. Per Gurdjieff, i corpi sottili non sono un dato di fatto, né un'appendice che nasce, cresce e si evolve con l'uomo. L'unico corpo che è dato all'uomo, fin dalla nascita, è il corpo fisico, che si sviluppa in maniera meccanica in tutte le sue componenti, compresa la coscienza ordinaria che, lungi dall'essere l'anima separata dal corpo di cui parlano le tradizioni esoteriche, non è altro che un sottoprodotto della macchina, una sua funzione fisiologica così come il respiro o il battito del cuore, succube di influenze interne ed esterne contro le quali, nel suo stadio ordinario, può fare ben poco. Allo stesso modo, le emozioni e i pensieri che popolano l'uomo, non sono prodotti dai corpi sottili più alti, ma possono benissimo essere ricondotti alle facoltà più basse del corpo fisico e alla sua azione meccanica. Sempre citando le sue parole: </span><span style="font-family: verdana;">"Nel caso delle funzioni di un uomo avente soltanto il corpo fisico, l'automa dipende dalle influenze esteriori, e le altre funzioni dipendono dal corpo fisico e dalle influenze esteriori che esso riceve. Desideri o avversioni [...] dipendono dagli choc e dalle influenze accidentali. Il pensare [...] è un processo interamente automatico. La volontà manca all'uomo meccanico: egli ha soltanto desideri; la maggiore o minore permanenza dei suoi desideri e appetiti è chiamata una forte o debole volontà" </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">(Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 51).<br /></span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">La differenza tra un'emozione meccanica, un pensiero meccanico, una coscienza meccanica e un'emozione spirituale, un pensiero spirituale e una coscienza spirituale risulta evidente in quei pochi individui, dalle facoltà straordinarie, che nel corso degli anni sono riusciti non a educare i propri corpi spirituali, bensì a crearli, a produrli, mediante l'esercizio: </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">"Nel caso di un uomo in possesso dei quattro corpi, l'automatismo del corpo fisico dipende dall'influenza degli altri corpi. In luogo dell'attività discorse e spesso contraddittoria dei differenti desideri, vi è un unico Io, intero, indivisibile e permanente, vi è una individualità che domina il corpo fisico e i suoi desideri, e può superare le sue ripugnanze e le sue resistenze. Invece di un processo meccanico di pensiero, vi è la coscienza. E vi è la volontà, vale a dire un potere non più composto semplicemente da desideri svariati, il più delle volte contraddittori, appartenenti a diversi io, ma derivante dalla coscienza e governato dall'individualità o da un Io unico e permanente. Soltanto questa volontà può essere chiamata libera, perché essa è indipendente dall'accidente e non può essere alterata, né diretta all'esterno" </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">(Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 51).<br /></span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Tre sono le vie che, nel corso dei millenni, da oriente a occidente, hanno percorso la via dello sviluppo dei corpi sottili dell'uomo:<br /></span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">1) La via del fachiro: la via della lotta costante contro il proprio fisico. In essa, si lavora per assumere il completo controllo sulla macchina del corpo, sottoponendola alle più atroci torture - ad esempio, costringendosi a rimanere immobili, nella stessa posizione, per giorni, mesi o addirittura anni, a privarsi di cibo, acqua, sonno e sottoponendosi a sfide sovraumane. Al termine di questo lungo apprendistato, non vi è nulla che può scalfire il corpo del fachiro e, tuttavia, per raggiungere questo risultato, egli ha dovuto abdicare alle funzioni emotive e intellettuali. <br /></span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">2) La via del monaco: la via della fede, della sottomissione mistica, del sacrificio individuale. Come il fachiro, anche il monaco trascorre l'intera sua esistenza in una lotta incessante contro se stesso, che nella tradizione religiosa prende il nome di <i>psicomachia</i>, lotta dell'anima. Ma, sebbene come il fachiro egli si trovi a confrontarsi con il suo corpo, il suo nemico principale sono i sentimenti. Egli sottomette la molteplicità di emozioni che popolano la sua interiorità, personificate, nelle visioni mistiche, in demoni dagli aspetti terribili, all'unica emozione degna di essere vissuta: la fede, appunto. Tuttavia, come la via del fachiro, anche la via del monaco lascia deve sacrificare tutti gli altri aspetti della totalità umana e anche il monaco perfetto si trova costretto a lasciare da parte il corpo fisico e le facoltà intellettuali.<br /></span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">3) La via dello yogi: la via della conoscenza e dell'intelletto. Lo yogi trascorre l'intera sua esistenza a sviluppare l'intelletto, unendosi con l'intelligenza divina e penetrando nei misteri dell'esistenza. La sua coscienza si estende fino a inglobare l'intero cosmo e divenire un tutt'uno con esso, mediante l'atto yogico. Ma anche questa via si lascia indietro due componenti: le emozioni e il corpo.<br /></span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Ciò che risulta evidente, studiando queste tre vie, è che i loro risultati possono essere conseguiti soltanto dopo anni di sacrifici, martiri, privazioni. Nella concezione filosofica Gurjieffiana, a metà tra realismo e pessimismo, è come se la Natura non avesse previsto che l'uomo potesse accedere a simili facoltà e che anzi essa ne osteggi lo sviluppo e che le nascondi dietro la maschera del corpo fisico: d'altro canto, come sostiene Gurdjieff, non è essenziale sviluppare i corpi sottili per poter sopravvivere; a questo fine è più che funzionale la macchina biologica, che però si arresta quando l'essere umano punta più in alto, scorgendo l'immortalità. Perciò, lo sviluppo delle facoltà sottili sarà sempre un atto titanico e prometeico: un gesto proibito, blasfemo. Come disse Gurdjieff: </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">"La via dello sviluppo delle possibilità nascoste è una via contro la natura, contro Dio. Ciò spiega la difficoltà e il carattere esclusivo delle vie. Esse sono ardue e strette. Ma al tempo stesso nulla potrebbe essere raggiunto senza di esse. Nell'oceano della vita ordinaria, e specialmente della vita moderna, le vie sono un fenomeno piccolo, appena percettibile, che dal punto di vista della vita stessa, non ha la minima ragione d'essere. Ma questo piccolo fenomeno contiene in se stesso tutto ciò di cui l'uomo può disporre per lo sviluppo delle sue possibilità nascoste. Le vie si oppongono alla vita di tutti i giorni, basata su altri principi e assoggettata ad altre leggi. In ciò consiste il loro potere e il loro significato. In una vita ordinaria, per quanto colma di interessi filosofici, scientifici, religiosi o sociali, non vi è nulla e non può esservi nulla che offra le possibilità contenute nelle vie. Esse conducono o potrebbero condurre l'uomo all'immortalità. La vita mondana, anche la più riuscita, conduce alla morte e non potrebbe condurre a nient'altro" </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">(Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, p. 56).<br /></span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Ma anche in questi poderosi sforzi volti a sviluppare l'immortalità e le facoltà sottili si nasconde un errore, sostiene Gurdjieff. Le tre vie, prese singolarmente, sono monche. </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Tutte portano all'estremo limite un aspetto dell'umano, raggiungendo l'immortalità sviluppando o il corpo, o le emozioni o l'intelletto. Tutte, inoltre, offrono l'immortalità ma a prezzo del sacrificio più grande: il sacrificio di se stessi.<br /></span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Da questa mancanza prende forma il suo sentiero spirituale: la quarta via. "La quarta via" dice Gurdjieff "non richiede che ci si ritiri dal mondo, non esige la rinuncia a tutto ciò che formava la nostra vita. [...] Questo sapere rende possibile un lavoro simultaneo nelle tre direzioni. Tutta una serie di esercizi paralleli sui tre piani: fisico, mentale ed emozionale, servono a questo scopo. [...] La quarta via è talvolta chiamata la via dell'uomo astuto" </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">(Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, pp. 58-59). La quarta via di Gurdjieff è uno dei primi tentativi occulti di risvegliare la macchina umana <i>all'interno </i>del contesto automatizzato in cui essa è inserita, senza separarla dalla realtà comune ma, anzi, mettendola di fronte ai meccanismi paradossali in cui essa è inserita.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-68202458518820618932021-09-01T23:50:00.002+02:002021-09-01T23:59:25.426+02:00Alexandre Dumas: Il signore dei lupi. Licantropia e rivalsa sociale<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://img.ibs.it/images/9788896665602_0_536_0_75.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="533" height="400" src="https://img.ibs.it/images/9788896665602_0_536_0_75.jpg" width="266" /></a></div>Alexandre Dumas penso non abbia bisogno di presentazioni. <i>Il Conte di Montecristo</i> e <i>I Tre moschettieri</i>, solo per citare due titoli, sono forse tra i romanzi più conosciuti della letteratura mondiale. Ma forse una breve presentazione la richiede uno dei suoi lavori meno conosciuti: <i>Il Signore dei lupi</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>Il Signore dei lupi</i> è un romanzo di poco più di un centinaio di pagine, edito in Italia da Piano B Edizioni, che ha subito attirato il mio interesse per il tema principale del libro. Si tratta, infatti, di uno dei primi romanzi dedicati alla figura, poi divenuta iconica, del Lupo Mannaro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Una delle prime apparizioni <i>letterarie</i>, si intenda, perché la figura folklorica del Lupo Mannaro è ben più antica, risalente già al mondo greco-romano, ma che raggiunge il suo apice nelle credenze magiche e stregoniche del mondo medievale e rinascimentale, come testimonia un pamphlet pubblicato nel 1599 da Beauvois de Chauvincourt, <i>Discorso sulla licantropia</i>, che oltre al ricco folklore sul tema testimonia l'inquietudine tangibile diffusa tra le popolazioni rurali nei confronti di questa figura.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nella costruzione magistrale del suo racconto, Dumas attinge a piene mani da questa tradizione. Gli elementi ci sono tutti: ampie distese di boschi oscuri, indomati anche quando proprietà di ricchi e nobili latifondisti; contadini intimoriti, superstiziosi, da un lato ma, dall'altro, più sensibili nei confronti delle forze oscure che, di notte, si muovono nel sottobosco; una capanna di legno nascosta, lontano dalla civiltà, dove alberga un reietto che, per quanto intelligente e abile nel proprio lavoro, viene visto con sospetto dalla popolazione per via del suo isolamento; infine, il vortice di leggende, credenze, dicerie, simboli legati alla magia e alla stregoneria.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Protagonista del racconto è l'uomo solitario poc'anzi citato, un certo Thibault, uno zoccoliere di umili origini ma dalla istruzione, la conoscenza e l'abilità pratica superiore rispetto alla sua condizione sociale che, tuttavia, non riesce a integrarsi con il resto della società. Questa sua incapacità deriva da un astio nascosto covato nei confronti della realtà sociale in cui è inserito. La consapevolezza della sua abilità, da un lato, e, dall'altro, quella di non poter far nulla per poter migliorare la propria condizione sociale in un mondo dominato da nobili inetti, violenti e privilegiati, nel corso degli anni lo hanno corroso internamente, provocando un velenoso deposito di rancore, destinato a essere espulso. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il punto di non ritorno è lo scontro con un signorotto del luogo, il barone Jean de Vez, un nobile dedito alla caccia con il quale, durante un lungo inseguimento fatto di depistaggi e menzogne, si contende la cattura di un daino.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Fin dalla causa scatenante del conflitto ci si trova a simpatizzare con Thibault. Benché egli abbia visto per primo il daino e benché la cattura della preda, da parte sua, rappresenterebbe un bisogno necessario per variare la sua magra dieta, per via della legge vigente gli sarebbe impedito cacciare nel territorio del Barone per il quale, dall'altro canto, la cattura di un daino rappresenta soltanto un vezzo, un passatempo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La consapevolezza di questa ingiustizia porta Thibault a tentare la fortuna e si mette all'inseguimento del daino, depistando il suo concorrente; ma, alla fine, ha la peggio. Viene catturato in fl</span><span style="font-family: verdana;">agrante e condannato a subire l'umiliazione di essere frustato sul posto. La violenza viene fermata soltanto grazie all'intervento di una fanciulla che, attirata dalle grida di dolore di Thibault e giunta sul posto, implora al Barone di fermare quel supplizio. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Thibault si invaghisce subito di quella ragazza pura e candida, che si presenta con il nome di Agnelet, ma anche in questo caso è subito costretto a subire un ulteriore abuso psicologico. Il Barone acconsente alla grazia ma solo in cambio di un bacio. Thibault viene così rilasciato e si trova in balìa di due sentimenti contrastanti. Da un lato un amore intenso nei confronti di Agnelet, della sua bontà, della sua clemenza e della sua sensibilità, e dall'altro da un odio viscerale nei confronti del Barone Jean de Vez e dei suoi atteggiamenti viscidi e criminali, riconosciuti anche dalla stessa Agnelet, come dimostra questo sagace scambio di battute tra la ragazza e il Barone:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div><i><span style="font-family: verdana;">"E non hai paura così giovane e carina [a vagare per i boschi da sola n.d.R.]?<br /></span><span style="font-family: verdana;">"Qualche volta sì, perché durante le veglie invernali sento raccontare strane storie di lupi mannari e quando mi trovo sola in mezzo a tanti alberi e sento fischiare tra i rami mi vengono i brividi. Ma appena sento la fanfara dei corni da caccia e l'abbaiare dei cani mi tranquillizzo".</span></i></div><div><span style="font-family: verdana;"><i>[...] "Infatti noi facciamo una gara spietata ai lupi, ma, perbacco, esisterebbe un mezzo per far cessare le tue paure. Vieni a cogliere l'erba al castello di Vez! Nessun lupo, mannaro o no, ne ha mai varcato i fossati!".</i></span></div><div><span style="font-family: verdana;"><i>Angelet scosse il capo.</i></span></div><div><span style="font-family: verdana;"><i>"Come non vuoi? Perché rifiuti?".</i></span></div><div><span style="font-family: verdana;"><i>"Perché al castello troverei cose forse peggiori del lupo..."</i> (Alexandre Dumas, <i>Il signore dei lupi</i>, pp. 36-37).</span></div><div><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In ogni caso, l'odio prende presto il sopravvento e lentamente si incarna in una figura archetipica: quella del Lupo Cattivo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Durante il suo inseguimento del daino, visto che le preghiere a Dio parevano non funzionare, Thibault si era trovato a invocare l'aiuto di Satana. Ed ecco che, dopo la pena inflitta dal Barone, il suo aiuto, pur tardando ad arrivare, si rivela: tornato nella sua baracca nascosta nel bosco, Thibault trova il daino legato. Interrogandosi su come ciò possa essere accaduto, la risposta, per quanto grottesca e surreale, non tarda ad arrivare, nelle vesti di "<i>un immenso lupo nero che camminava eretto sulle zampe posteriori</i>" che "<i>giunto nel mezzo della stanza, sedette al modo dei lupi e fissò Thibault. Questi afferrò un'accetta e, per spaventare lo strano visitatore, la tenne sollevata sulla testa. Allora il lupo assunse prima una singolare espressione di beffa e poi si mise addirittura a ridere. Per la prima volta in vita sua Thibault sentiva ridere un lupo! Sgomento, lasciò ricadere il braccio</i>" </span><span style="font-family: verdana;">Alexandre Dumas, </span><i style="font-family: verdana;">Il signore dei lupi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 41).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questo immenso Lupo Nero non è Satana in persona, bensì un suo emissario. Un aiutante del "Dio dal Piede Caprino", così come lo definisce lo stesso Lupo. In un lungo colloquio, il Lupo rivela a Thibault di essere stato lui ad aiutarlo e, in cambio di una momentanea protezione dai cani del Barone, sulle sue tracce, convince lo zoccolaio a stipulare un patto per sollevarlo dalla sua posizione sociale:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div style="font-family: "Times New Roman";"><span style="font-family: verdana;"><i>"Diciamo" disse il lupo, come se nulla fosse accaduto "che io non posso concederti tutti i beni che desideri, ma posso accordarti il potere di realizzare tutto il male che desideri per il tuo prossimo".</i></span></div><div style="font-family: "Times New Roman";"><span style="font-family: verdana;"><i>"E a cosa mi servirà?".</i></span></div><div style="font-family: "Times New Roman";"><span style="font-family: verdana;"><i>"Stupido. Rifletti: se un infortunio capitato al tuo migliore amico è sempre piacevole, prova a pensare quanto può essere sgradevole un infortunio capitato al tuo peggior nemico! Senza dimenticare che il male del prossimo, amico o nemico, può facilmente volgersi a tuo vantaggio</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(Alexandre Dumas, </span><i style="font-family: verdana;">Il signore dei lupi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 44).</span></div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In cambio di questa spintarella, il Lupo non chiede in cambio la "classica" anima, ma qualcosa di apparentemente semplice. "<i>Oh, non temere</i>" lo rassicura "<i>non ti chiedo una libbra della tua carne, ma solo un tuo capello: un capello per il primo desiderio, due per il secondo, quattro per il terzo e così via, sempre raddoppiando</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(Alexandre Dumas, </span><i style="font-family: verdana;">Il signore dei lupi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 45).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Thibault, sorpreso, accetta questo "semplice" pegno. Da questo momento in poi,<i> Il signore dei lupi</i> si trasforma in una lenta discesa nell'oblio, un'esplorazione dell'ombra primordiale, una regressione agli istinti animaleschi primitivi. E l'aspetto più straniante di tutto il romanzo è che il lettore, oltre a partecipare in prima persona a questa esplorazione speleologica del male interiore, guardandosi attorno è impossibilitato dal cogliere qualsiasi via di fuga luminosa. I nemici di Thibault, nobili, privilegiati, altezzosi, violenti, autoritari, traditori, suscitano ancora più disprezzo; l'unico personaggio puro che, non a caso, si chiama Agnelet (Agnellina) pare troppo impotente per contrastare l'oscurità che si diffonde in tutto il paese e, di fronte a questo abisso di violenza e dannazione, il lettore comprende che l'unica soluzione possibile risiede in un deus ex machina, l'intervento divino liberatore. Un intervento, tuttavia, che viene percepito, intuito, agognato, ma che non avverrà mai, anche quando il classico moralismo letterario ottocentesco lo richiederebbe. A eccezion fatta del finale misterioso ed enigmatico, in cui si percepisce un po' di luce, per l'intera narrazione ci si sente imprigionati in un vero e proprio meccanismo del Male, come nei racconti del Marchese de Sade.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Thibault, infatti, che inizialmente si era ripromesso di non abusare di questo dono e di riuscire a conquistare il minimo indispensabile, è presto trascinato in un vortice di odio e rancore, un tortuoso labirinto in cui ogni desiderio fa nascere ulteriori problemi risolvibili soltanto con altra violenza. In questa lenta regressione, Thibault diventa sempre più insensibile e selvaggio e scopre cosa realmente il Lupo Nero intendesse con la richiesta dei suoi capelli. Questi, infatti, non gli vengono strappati, ma si tramutano lentamente in lunghi e spessi peli rossi, simili a crini di cavallo, che non si riescono in alcun modo a tagliare o nascondere, trasformando la sua chioma in quello che, notoriamente, nel folklore popolare era considerato il simbolo del maligno: il rosso intenso. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questa progressiva regressione animalesca del protagonista è acuita da alcuni aiutanti inviatigli dal Lupo Nero, incarnazione dei suoi impulsi primitivi sempre più incontrollabili: un branco di lupi rossi come la peluria che lentamente gli copre il capo. Il primo incontro tra Thibault e queste entità a metà tra animale e demone merita di essere riportato per intero, poiché rappresenta uno dei passi più intensi del romanzo:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"<i>Thibault [...] aveva deciso che si sarebbe rifugiato nei boschi, dove a quell'ora nessuno avrebbe osato rincorrerlo. [...] Era calata la notte; una di quelle notti d'autunno buie e tempestose in cui il vento, che strappa dagli alberi le foglie ingiallite, suscita nella foresta suoni lamentosi e lugubri gemiti. [...] Entrò dunque coraggiosamente nella foresta nel punto chiamato ancora oggi la Brughiera dei Lupi. [...] Camminava da qualche minuto lungo un viottolo buio [...] quando udì, a pochi passi dietro di lui, un rumore di foglie smosse. Si voltò e nell'oscurità vide lo scintillio di due occhi simili a carboni ardenti. Guardando più attentamente scorse un grosso lupo che lo seguiva passo passo. Non era il lupo che aveva accolto nella sua capanna; quello era nero, mentre questo era rossastro [...]. Improvvisamente lo zoccolaio vide davanti a sé altre due luci ardenti che brillavano nell'oscurità, divenuta più fitta. Tenendo alto il bastone pronto a colpire, avanzò in direzione delle luci che restavano immobili. A un certo punto gli parve d'inciampare in un corpo disteso sul sentiero. Era quello di un altro lupo. [...] Guardando ora avanti e ora indietro, si avvide che un terzo lupo lo fiancheggiava, sulla destra [e] un quarto lupo lo scortava sul fianco sinistro. Aveva percorso pochi chilometri e già una dozzina di lupi formavano intorno a lui un cerchio</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(Alexandre Dumas, </span><i style="font-family: verdana;">Il signore dei lupi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 69). Thibault scappa, spaventato, i lupi lo seguono, lui si ripara nella capanna e accende un fuoco sperando di scacciarli. Loro rimangono seduti fuori, in attesa, e al giungere dell'alba "<i>i lupi si alzarono tutti insieme e, lanciando il lugubre ululato con cui gli animali delle tenebre salutano il giorno, si dispersero in varie direzioni e scomparvero</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(Alexandre Dumas, </span><i style="font-family: verdana;">Il signore dei lupi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 70).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Alla seconda notte, di fronte all'atteggiamento amichevole dei lupi, Thibault si rende conto che questi non sono presenze a lui ostili ma, anzi, gli aiutanti inviatigli dal Lupo Nero. E dinnanzi a un "<i>potere così formidabile</i>" decise di sfruttarlo "<i>formulando i desideri più sfrenati, anche a costo di far somigliare la sua capigliatura alla corona di fuoco che di notte si vede fiammeggiare sulla più alta ciminiera della fabbrica di vetri di Saint-Gobain </i></span><span style="font-family: verdana;">(Alexandre Dumas, </span><i style="font-family: verdana;">Il signore dei lupi</i><span style="font-family: verdana;">, p. 74).</span><span style="font-family: verdana;">" In altri termini, Thibault si trasforma nel Signore dei Lupi e ogni sua azione lo porterà ad assimilarsi sempre di più con questo nuovo, diabolico, animale totem, a tal punto, nei capitoli finali del romanzo, di comunicare con loro tramite ululati, di mangiare le prede da loro catturate concedendogliene, come un capobranco, solo alcuni assaggi, di dormire in tane interrate nelle conce degli alberi e, soprattutto, di vivere spinto da sentimenti animaleschi di odio, eccitazione sessuale, rancore e vendetta. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La licantropia nasce così, per Dumas, da una giusta volontà di rivalsa sociale che, tuttavia, viene costantemente repressa dalla classe dominante e trasformata così nel riflesso, ancora più mostruoso, crudele e ferale, della stessa violenza e dello stesso odio che Baroni viziati come Jean de Vez disseminano per il regno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">E' questa, forse, la verità più cruda dell'intero romanzo. Come accennato in precedenza, il lettore si sente in balìa di un mondo mosso da quelle forze oscure temute e narrate nei racconti popolari dei contadini; forze che si moltiplicano e raddoppiano a dismisura come i peli rossi sul capo di Thibault o i lupi rossi del suo branco e che presto prendono il sopravvento, contaminando anche le battaglie più nobili, come la lecita brama di giustizia. Per tutta la lettura ho atteso un risvolto moralistico, che davo quasi per scontato, essendo tipico della letteratura ottocentesca "di intrattenimento", soprattutto di stampo francese. Eppure, questo risvolto, fatto intuire da alcuni passi, in realtà non si presenterà mai; o, meglio, quando si presenta, sul finale, sembra ormai troppo tardi. Ha l'effetto di un colpo di vento che, per un istante, ravviva un tiepido braciere ormai quasi spento, che tuttavia non riesce né a rischiarare né a illuminare. Ed è proprio questa speranza disattesa a costituire l'aspetto più moderno del romanzo di Dumas, che portando a galla l'ombra più oscura, incarnata nella figura del Licantropo, è in grado di dipingerla con i suoi tratti più crudi - lasciando da parte quella che Sade, nella rappresentazione moralistica del male tipica della sua epoca, definiva "l'arte di dipingere senza colori".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Alexandre Dumas, Il signore dei lupi, Piano B Edizioni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-86128044409646479942021-08-26T16:42:00.002+02:002021-08-26T20:26:30.087+02:00Introduzione alla lettura di Rudolf Steiner<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.pinimg.com/originals/05/45/7e/05457e918ca810d73c156fac70eb1a3a.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="361" data-original-width="638" height="226" src="https://i.pinimg.com/originals/05/45/7e/05457e918ca810d73c156fac70eb1a3a.jpg" width="400" /></a></div><br />Rudolf Steiner è stato uno dei personaggi più particolari del panorama filosofico, esoterico e mistico del XX secolo. Basta dare un occhio alla sua bibliografia, tanto quella scritta di suo pugno quanto l'immenso corpus di testi stenografati, per accorgersi della molteplicità di argomenti di cui ha trattato, che spaziano tra filosofia, mistica, esoterismo, occultismo, religione, mitologia, arte, educazione, medicina, alimentazione, perfino agricoltura. Ad una prima analisi, di fronte a questa varietà di argomenti così dissimili tra loro, si potrebbe guardare la sua figura con sospetto - e a parte anche a ragion veduta. Non sempre, difatti, Steiner ha avuto le competenze adatte per affrontare alcuni temi e spesso le sue teorie sono riprese a piene mani da movimenti complottistici e pseudoscientifici (anche se spesso in maniera estremamente semplificata). Eppure, vi è una certa tendenza, nella nostra epoca, a eliminare dalla discussione i personaggi scomodi solo perché i loro rami hanno dato vita anche a frutti bacati, ignorando così la molteplicità di buoni frutti nati in tutti gli altri rami. Così come non è razionale abbattere un albero solo per qualche frutto marcio, allo stesso modo è paradossale snobbare un pensatore solo per le derive più spinose del suo pensiero, senza nemmeno prendersi la briga di leggerlo, studiarlo, analizzarlo, comprenderlo e inquadrarlo nella sua cornice teorica. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questo discorso risulta fondamentale quando si parla di Steiner, tra le cui pagine si alternano vette di poesia e righe prolisse e impantanate, intuizioni geniali e teorie surreali, profondità filosofico-spirituale e bizzarre concezioni occultiste. Un groviglio di strade in cui, spesso, risulta difficile orientarsi ma che, con alcune linee guida, può trasformarsi in un viaggio dal sapore psichedelico in una concezione del mondo e del cosmo totalmente altra, che si può comprendere a pieno soltanto mettendo da parte, per un momento, la visione ordinaria della realtà e ogni pregiudizio sulla sua figura. D'altra parte se, da un lato, dai suoi rami sono nati frutti bacati, è altresì vero che le sue opere hanno avuto un grande impatto su diversi settori della cultura novecentesca, come sull'arte - l'intera teoria delle linee geometriche e della spiritualità del colore di Kandinsky, ad esempio, è basata sugli studi esoterici di Steiner -, sull'agricoltura - l'agricoltura biodinamica, spesso confusa con l'agricoltura biologica, deriva da una serie di pratiche sia agricole sia esoteriche basate sulla concezione steineriana del cosmo -, sulla pedagogia - da Steiner deriva la pedagogia Waldorf, molto diffusa in Germania e in Svizzera -, sulla rivalutazione e la diffusione degli scritti scientifici di Goethe, di cui Steiner fu uno dei principali commentatori filosofici. Ignorare Steiner significa ignorare un tassello importante per la comprensione di una fetta importante della cultura tedesca del novecento, i cui influssi sono ancora vivi ai giorni nostri e penso, dunque, sia importante affrontarlo e studiarlo quanto meno da questa prospettiva, senza necessariamente condividerne l'intero corpus dottrinario. Ho dunque intenzione di scrivere una serie di articoli per coloro che intendessero avvicinarsi al suo pensiero e alla comprensione della figura. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Cominciando dal principio, per quanto sia un personaggio unico nel panorama della cultura, anche Steiner è figlio di una precisa corrente filosofica, esoterica, mistica e spirituale tipicamente tedesca, ed è a partire da questa cornice culturale che occorrerebbe inquadrarlo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Tra i predecessori di questa variegata linea genealogica possiamo citare il teologo Meister Eckhart, l'alchimista Paracelso, il mistico Jakob Bohme, l'omeopata Hahnemann, i filosofi idealisti come Hegel, Fichte, Schelling, e non ultimo, come già accennato, il Goethe scientifico, poetico e letterario. Autori di ambiti molto diversi ma collegati, oltre che dall'humus culturale della lingua tedesca di area germanica, svizzera e austriaca, da alcuni principi molto importanti. Primo tra tutti, una concezione estremamente "vissuta" del sovrasensibile, ossia l'idea che l'anima umana possa avvicinarsi al mondo invisibile non solo con la mediazione dei testi sacri o della teologia razionale, ma soprattutto attraverso un vissuto diretto, di tipo interiore, legato allo sviluppo delle potenze psichiche mediante esercizi spirituali di stampo meditativo, ascetico e contemplativo. Da tale prospettiva, la realtà metafisica non è un'idea teorica astratta costruita a tavolino, ma una realtà a se stante, tangibile quanto la materia, ma che richiede lo sviluppo dei sensi interiori necessari per poterla osservare, studiare, dissezionare, analizzare e descrivere. Così, esattamente come la scoperta dell'atomo o di altre galassie ha necessitato dell'ampliamento delle capacità visive attraverso le lenti dei microscopi e dei telescopi, allo stesso modo la realtà metafisica può essere osservata soltanto da coloro che impediscono ai loro sensi spirituali di atrofizzarsi, con un esercizio costante che li porta a svilupparsi e a fiorire.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In secondo luogo, l'idea che il cosmo, nella sua essenza, sia molto più simile al pensiero che alla materia e da qui la possibilità della mente di spaziare in ogni angolo dell'esistenza, dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande; da tale prospettiva, il pensiero o, meglio, l'Anima umana possiede una duplice natura; essa è al contempo un microscopio e un telescopio e la differente messa a fuoco del minuscolo e dell'immenso permette di scoprire un caleidoscopio di forme, figure, entità e leggi fisiche e spirituali che, in un tutt'uno inscindibile, consentono lo sviluppo intrecciato dello spirito e della materia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Infine, la prosa stessa di Steiner e il suo metodo teorico e pratico riflettono la medesima inventiva tipica dell'atteggiamento e della spiritualità tedesca che, in virtù di questa visione unitaria del cosmo, non concepisce la dicotomia tra discorso scientifico, discorso filosofico, discorso religioso e discorso poetico, poiché nell'Universo l'estetica ispiratrice della poesia, le leggi fisiche ispiratrici della scienza, la logica ispiratrice della filosofia e il sacro ispiratore della religione coincidono in un'unica entità dinamica, che nasce ed evolve al di là della limitata visione umana, spesso incapace di far coincidere questi discorsi contraddittori solo in apparenza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ciò, spesso, rende difficile la lettura delle opere di Steiner. </span><span style="font-family: verdana;">Il primo ostacolo che si incontra quando ci si intende avvicinare alla sua figura è la sua immensa bibliografia. Ci si sente spaesati di fronte alla mole impressionante della sua Opera Omnia, che consta di oltre 400 titoli. Scegliendo un libro in base alla tematica suggerita dal titolo, si potrebbe incappare nel secondo ostacolo: la difficoltà del linguaggio e della terminologia steineriana. A dire la verità, Steiner non ha una prosa complessa come altri filosofi o mistici di lingua tedesca, eppure leggendo per la prima volta le sue opere, anche senza essere a digiuno di testi esoterici, si prova un senso di estraneità di fronte a una terminologia e a una modalità espressiva peculiare, che non si riscontra in altri scritti proprio perché frutto della libera ricerca di Steiner all'interno del "mondo dello spirito", che tenta di restituire al lettore le esperienze e le sensazioni vissute in prima persona. Per comprendere tali esperienze bisogna dunque imparare a familiarizzare per gradi con il mondo descritto da Steiner, così come per gradi si impara a conoscere la topografia di un luogo sconosciuto, e per farlo occorre tenere presente che gran parte dei testi steineriani pubblicati non sono, in realtà, scritti di suo pugno, bensì stenografie delle centinaia di conferenze che, per anni, egli ha tenuto in tutta Europa. E' sconsigliabile, dunque, avvicinarsi all'opera di Steiner attraverso i suoi testi stenografati, per una serie di motivi. Anzitutto, bisogna tenere presente che le conferenze, pur essendo volte a divulgare il pensiero antroposofico, parlavano a un pubblico che, in parte, già "masticava" il pensiero, la terminologia e il modo di esprimersi di Steiner. Di conseguenza spesso, in questi testi, ci sono molti elementi dati per scontato o, al contrario, numerose ripetizioni derivanti dallo stile orale che necessita di tornare più volte sullo stesso tema, per evitare che il pubblico perda il filo del discorso. Steiner stesso, pur condividendo la diffusione delle opere stenografate, mette in guardia il lettore sulla presenza di errori in esse contenuti; difatti, per sua stessa ammissione, queste opere, pur essendo redatte a partire dalle sue conferenze, non erano però riviste e corrette dall'autore e, di conseguenza, alcuni concetti potrebbero risultare astrusi non tanto per colpa di Steiner, quanto perché incompresi dallo stesso redattore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Perciò, per un primo approccio con il pensiero steineriano è consigliabile cominciare con i libri scritti direttamente di suo pugno, in particolare dai quattro pilastri del pensiero antroposofico: <i>Teosofia</i>, l'<i>Iniziazione</i>, <i>La Scienza Occulta nelle sue linee generali</i> e <i>La Filosofia della Libertà</i>, con alcune incursioni anche all'interno de <i>La mia vita</i>, per comprendere come è cominciata e da quali principi ed esperienze si è evoluta la personale ricerca steineriana all'interno del mondo dello spirito.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ho fatto più volte l'errore di approcciarmi a Steiner partendo dai suoi testi stenografati, salvo poi arenarmi nella tortuosità del linguaggio, della terminologia e del discorso, per poi convincermi a leggere i capisaldi del suo pensiero scritti direttamente dalla sua penna e posso confermare che vi è un abisso tra lo stile oscuro delle conferenze e la chiarezza cristallina dei suoi saggi, in grado di rendere comprensibile, a posteriori, anche i suoi testi stenografati.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In ogni caso, l'<i>Iniziazione</i> è forse il testo privilegiato per compiere i primi passi nel pensiero steineriano. Il testo, infatti, tenta di rispondere alla domanda: <i>Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori?</i> Descrivendo fin da subito, in maniera chiara e concisa, non solo qual è il metodo operativo di Steiner ma, soprattutto, quali sono gli esercizi spirituali che consentono all'uomo di provare le sue stesse esperienza, senza dover fare affidamento alla fede cieca nelle sue parole.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questo è l'aspetto più importante, a mio parere, per comprendere l'esperienza mistica e spirituale di Steiner. Benché spesso sembra di trovarsi di fronte alle parole di un mistico e di un profeta, che descrive una realtà spirituale totalmente altra, vi è in Steiner la volontà di trasmettere al lettore le modalità in cui vivere le medesime esperienze. Mentre la realtà del mistico e del profeta rimane ancorata alle loro visioni soggettive, alle quali non resta che prestare fede, Steiner non nasconde i suoi segreti operativi e descrive in maniera minuziosa come esercitare i sensi interiori vedere ciò che egli vede. Solo assumendo questa prospettiva sarà possibile comprendere realmente il contenuto filosofico, esoterico e spirituale dell'opera steineriana, senza bollarlo in maniera semplicistica come un pensatore bizzarro o un folle.</span></div><span style="font-family: verdana;"><div style="text-align: justify;">Perciò, idea cardine dell'opera è che: "<i>In ogni uomo esistono facoltà latenti per mezzo delle quali può acquistarsi conoscenze sui mondi superiori. Il mistico, lo gnostico, il teosofo parlano sempre di un mondo degli spiriti, che sono per loro altrettanto reali quanto quello che si può vedere con gli occhi fisici e toccare con mani fisiche. Chi li ascolta può sempre dirsi che anch'egli può avere le esperienze di cui si parla se sviluppa in sé talune forze che ancora dormono in lui. Si tratta soltanto di sapere come occorra adoperarsi per sviluppare tali facoltà</i>" (Rudolf Steiner, <i>L'Iniziazione</i>, Editrice Antroposofica, p. 15).</div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Gli esercizi che Steiner propone, inoltre, non sono da lui inventati di sana pianta, ma attingono all'antica tradizione occidentale, tanto pagana quanto cristiana. Ciò lo distingue dall'altro grande movimento della sua epoca, di cui Steiner stesso fece parte per un certo periodo prima di separarsene, ossia la Teosofia. In controtendenza rispetto alla Teosofia, infatti, Steiner tentò di riscoprire le radici misteriche occidentali degli insegnamenti occulti, senza volgersi quasi esclusivamente a oriente, come i teosofi. Questo perché, dal suo punto di vista, le scuole esoteriche sorte in Occidente e in Oriente sono le depositarie della sapienza vissuta del mondo spirituale, delle "officine dell'anima" volte a tramandare non soltanto un insieme di nozioni teoriche sui mondi superiori, ma soprattutto un insieme di pratiche per esperire in maniera diretta il mondo invisibile, attraverso lo sviluppo dei sensi psichici attraverso il superamento delle "prove spirituali", che insieme formano il cammino dell'iniziato. Citando Steiner:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"<i>La scienza dello spirito parla di quattro qualità che il discepolo deve acquisire nel cosiddetto cammino delle prove, per accedere alle conoscenze superiori. La prima è la capacità di scindere nei pensieri il vero dalla parvenza, la verità dalla semplice opinione. La seconda qualità è la valutazione giusta del vero e del reale, rispetto alla parvenza. La terza capacità consiste nell'esercizio delle sei qualità: controllo del pensiero, controllo delle azioni, perseveranza, tolleranza, fede e imperturbabilità. La quarta è l'amore per la libertà interiore</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, <i>L'Iniziazione</i>, Editrice Antroposofica, p. 110).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Contrariamente alle persone dalla scarsa conoscenza dell'opera steineriana, che spesso lo tacciano di occultismo, superstizione medievale se non addirittura satanismo, le prove di cui si parla non consistono in strani riti magici, ma nell'esercizio delle basilari facoltà interiori. "<i>Ci si deve rendere chiaramente conto</i>" scrive Steiner "<i>che si deve partire dai sentimenti e dai pensieri con ci si vive di continuo, e che si tratta soltanto di dar loro una direzione diversa da quella abituale. Ognuno deve dirsi anzitutto che nel mondo dei propri sentimenti e pensieri stanno nascosti i misteri più alti, ma che finora non li ha potuti percepire. In ultima analisi tutto si risolve nel fatto che l'uomo porta con sé di continuo corpo, anima e spirito, ma che è chiaramente cosciente soltanto del proprio corpo, non della propria anima e non del proprio spirito. Invece il discepolo diventa cosciente della propria anima e del proprio spirito, come gli uomini lo sono di solito del corpo. Questa è la ragione per cui importa dare ai sentimenti e ai pensieri la giusta direzione. Allora si sviluppano le percezioni per ciò che è invisibile nella vita ordinaria</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, <i>L'Iniziazione</i>, Editrice Antroposofica, p. 47).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il primo esercizio proposto da Steiner per sviluppare la consapevolezza interiore dell'anima e dello spirito consiste nella seguente visualizzazione, che citeremo per intero in modo da rendere partecipe il lettore del metodo pratico operativo dell'esperienza esoterica steineriana. Scrive l'autore: "<i>Ci si ponga dinanzi il piccolo seme di una pianta. Di fronte a questo oggetto insignificante, si tratta di sviluppare con intensità giusti pensieri e, con essi, determinati sentimenti. Anzitutto ci si renda chiaramente conto di che cosa in realtà si vede con gli occhi. Si descriva la forma, il colore e tutte le altre proprietà del seme, e poi si facciano le seguenti riflessioni: da questo seme, se piantato a terra, nascerà il complesso organismo di una pianta. Ci si rappresenti la pianta costruendola nella propria fantasia, e poi si pensi: le forze della terra e della luce più tardi faranno realmente scaturire dal seme ciò che ora mi rappresento con la fantasia. Se avessi davanti a me un oggetto artificiale che imitasse quel seme con tale perfezione che i miei occhi non potessero distinguerlo da un seme vero, nessuna forza della terra e della luce ne farebbe scaturire una pianta. Chi comprende con chiarezza e sperimenta interiormente questo pensiero potrà anche col giusto sentimento formare il seguente altro pensiero: Nel seme già riposa nascosta, come forza dell'intera pianta, ciò che più tardi ne crescerà e nell'imitazione artificiale questa forza non c'è, nondimeno per i miei occhi entrambi sembrano uguali. Il vero seme contiene dunque qualcosa di invisibile che non esiste nell'imitazione. Su ciò che è invisibile occorre volgere il sentimento e i pensieri. Si pensi: ciò che è invisibile si trasformerà più tardi in pianta visibile che mi apparirà con forma e colore. Ci si fermi su questo pensiero: ciò che è invisibile diventerà visibile. Se non potessi pensare, on mi si potrebbe neppure palesare fin d'ora ciò che diventerà visibile soltanto più tardi. Va sottolineato con precisione: ciò che così si pensa deve anche essere intensamente sentito. Nella calma, senza intromissione disturbatrice di altri pensieri, bisogna sperimentare il pensiero sopra accennato, e lasciarsi il tempo necessario perché il pensiero e il sentimento che ad esso si ricollega, si possano imprimere in certo qual modo nell'anima</i>" </span><span style="font-family: verdana;">(Rudolf Steiner, <i>L'Iniziazione</i>, Editrice Antroposofica, pp. 47-48).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questo lungo passo è emblematico del metodo steineriano. Come è possibile notare, la riflessione filosofica sulla natura della realtà e del pensiero - a tratti simile a quella cartesiana - non sfocia però nella metafisica astratta, nella riflessione teorica fine a se stessa, bensì in un impulso spirituale volto a trasformare l'invisibile in visibile, cambiando radicalmente la struttura interiore della percezione umana. Perciò L'<i>Iniziazione </i>è il testo privilegiato per cominciare ad approfondire Steiner. Per tutta l'opera Steiner non descrive la sua visione del mondo, ma trasmette al lettore i suoi esercizi di esperienza dell'invisibile, affinché questi possa compiere le prime esplorazioni, con i suoi passi, nella dimensione occulta.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-73621253289308381672021-08-19T23:48:00.001+02:002021-08-19T23:48:33.945+02:00In difesa della Wilderness. 5 libri per riscoprire la Natura Selvaggia<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/ae/Nicholas_Roerich_008.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="504" data-original-width="800" height="253" src="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/ae/Nicholas_Roerich_008.jpg" width="400" /></a></div><br />Qualche giorno fa, di ritorno dal Mar Baltico e dalla Foresta Nera, stavo camminando per le strade di Milano. A un certo punto, sotto il caldo torrido dell'estate, acuito dalle temperature infernali provenienti da cemento, vetro e asfalto, mi sono guardato attorno e ho provato una sensazione di angoscia e claustrofobia. Palazzi, asfalto, negozi, rumore, ferro, acciaio, automobili, smog, cemento, pavé, rotaie, semafori; l'intero paesaggio ha iniziato a sembrarmi totalmente innaturale. C'era qualcosa di inquietante, se non addirittura disturbante, in tutto ciò che mi circondava. All'inizio non riuscivo a comprendere cosa avesse provocato questa sensazione di costrizione e prigionia, poi, guardandomi ancora attorno, ho capito: in qualsiasi direzione posassi lo sguardo, non vi era un'area verde. Non un cespuglio, non un albero, non un prato o un'aiuola. Ovunque volgessi lo sguardo, in qualsiasi direzione, non vi era traccia di vita naturale - e la totale assenza di una "via di fuga vegetale", dopo oltre dieci giorni passati a stretto contatto con la natura, era stata percepita dal mio inconscio come una situazione di pericolo, come l'approdo in una terra del tutto aliena e ostile, dalla quale avrei dovuto fuggire al più presto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nel frattempo, in Italia e del mondo, si parlava dei violenti roghi che stavano bruciando (e che stanno bruciando tutt'ora) ettari ed ettari di foreste, le cui foglie, probabilmente, non vedranno più luce di fronte a questa avanzata inarrestabile dell'antropizzazione degli ambienti naturali che da oltre due secoli sta fagocitando ogni spazio libero. E, se nei secoli passati, i grandi disastri erano narrati nelle cronache storiche come punizioni divine, dal significato simbolico, dovute a qualche colpa dell'umanità, proprio ora che gran parte delle responsabilità di ciò che sta avvenendo dipende dalle mani umane, ci si volta dall'altra parte e ci si lava la coscienza cercando di ignorare il problema, incapaci di cogliere la punizione metaforica - ma anche terribilmente concreta - che questi fenomeni eccezionali, sempre più frequenti, incarnano. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questa cecità selettiva nei confronti dell'inquinamento e della distruzione della Natura non è un fenomeno recente ma si protrae da quasi 200 anni, per la precisione a partire dalle grandi rivoluzioni industriali del 1800 e del 1900 che, in nome di un fantomatico e mostruoso Progresso Economico, hanno sacrificato sull'altare del Dio Denaro tanto i diritti umani quanto i grandi spazi naturali, ormai totalmente soggiogati all'idea che il significato e il valore di un terreno o di un'area naturale risieda esclusivamente nelle risorse che da essi è possibile trarre. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ed è interessante notare come profetiche voci di dissenso abbiano iniziato a sollevarsi fin dalla metà del 1800, a dimostrazione di come il "problema ambientale" non sia un'invenzione moderna o una paura infondata dei "gretini", per citare il terribile neologismo inventato per screditare le fondamentali lotte ambientaliste, ma un problema dalle radici storiche estremamente profonde, nei confronti del quale qualsiasi forma di potere ha sempre scelto di voltare lo sguardo dall'altro lato perché considerato un impiccio per l'economia. Guai, infatti, a ostacolare il Dio Progresso.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In questo articolo, ho dunque deciso di presentare cinque letture a tutti coloro che vogliano da un lato evadere da queste prigioni di cemento in cui si sono trasformate le nostre città e che dall'altro lato vogliano approfondire le radici storiche del problema ambientale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Filo conduttore dei cinque libri che suggerirò è la cosiddetta "Wilderness", parola inglese che letteralmente indica le terre selvagge, incontaminate, ma che dal punto di vista metaforico esprime qualcosa di più profondo: la meraviglia atavica che si prova di fronte ai vasti spazi vergini, alla Natura indomita e senza tempo di quei luoghi in cui ancora non sono riusciti a penetrare i tentacoli della civiltà, espressione di una Terra illibata da millenni. Luoghi sempre più rari da trovare, ora che rifiuti, inquinamento e cambiamenti climatici stanno devastando l'interno pianeta, e che alcuni coraggiosi pionieri dell'ambientalismo hanno sempre cercato di tutelare fin dalla prima metà dell'ottocento.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Partiamo in ordine cronologico.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.pianobedizioni.com/wp-content/uploads/2020/06/23-Andare-in-montagna.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="368" height="320" src="https://www.pianobedizioni.com/wp-content/uploads/2020/06/23-Andare-in-montagna.jpg" width="221" /></a></div><b>I primi libri che suggerisco </b>(che considereremo con un unicum, essendo<br /> entrambi legati allo stesso autore) sono legati alla figura di <b>John Muir</b>. Si trattano di <b><i>Andare in montagna è tornare a casa</i></b> e <b><i>Potevo diventare milionario, ho scelto di essere un vagabondo. La vita di John Muir</i></b>. Il primo è una raccolta di scritti dello stesso John Muir, il secondo una biografia a lui dedicata da Alexis Jenni ed entrambi sono stati pubblicati in Italia da Piano B Edizioni. John Muir è stato il pioniere della Wilderness americana. Indomito vagabondo delle terre selvagge, è stato uno dei primi pensatori a denunciare i danni causati dalla civilizzazione sfrenata e a lui si deve il concetto di "salvaguardia" degli ambienti Naturali, l'idea che alcune zone debbano essere protette da qualsiasi forma di sfruttamento umano per preservarne gli equilibri, la vita vegetale e animale e, in una sola parola, la "Wilderness" primordiale. "<i>Così la vita di John Muir</i>" scrive Alexis Jenni per delinearne un poetico ritratto "<i>lunghe camminate in luoghi non occupati dall'uomo. Qui incontra eremiti, uomini decisi a<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.pianobedizioni.com/wp-content/uploads/2021/07/Muir-Jenni.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="368" height="320" src="https://www.pianobedizioni.com/wp-content/uploads/2021/07/Muir-Jenni.jpg" width="221" /></a></div><br /> uscire dal mondo, che si installano là dove non c'è vicinato, per parlare solo alle marmotte e agli uccelli. Con loro passava qualche ora, condivideva un pasto, un fuoco da campo, chiacchierava volentieri ma sapeva anche ascoltare, raccontava storie, ascoltava le loro, poi riprendeva il suo cammino. [...] Muir vuole andare, sempre avanti, più lontano. Questo è tutto. E osservare. Tutto il resto, tutto ciò che di solito è la vita di un uomo, la ricchezza, la comodità, la protezione, è sacrificato a questa libertà</i>" (<i>Potevo diventare milionario, ho scelto di essere un vagabondo</i>, Alexis Jenni, Piano B Edizioni). Questo "lieve vagabondaggio" sulla terra lo accompagnerà per tutta la vita, tra montagne, laghi, fiumi e valli, sempre in cerca della Wilderness originaria che, come un profeta, cercò di incarnare nei suoi ritorni alla civiltà per dar voce, quasi fosse uno Spirito della Natura, a quelle terre vergini e ataviche che la civiltà rischiava e rischia tutt'ora di distruggere.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.pianobedizioni.com/wp-content/uploads/2019/03/18-Pensare-come-una-montagna.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="368" height="302" src="https://www.pianobedizioni.com/wp-content/uploads/2019/03/18-Pensare-come-una-montagna.jpg" width="209" /></a></div><b><br />Il secondo libro </b>è di un autore per certi versi analogo a John Muir, sebbene lievemente più "civilizzato, ossia <b>Aldo Leopold</b>. Si tratta di <b><i>Pensare come una montagna. A Sand Country Almanac</i></b>, anch'esso edito da Piano B Edizioni (a cui si deve il merito di tradurre in Italia alcune opere fondamentali dell'ambientalismo internazionale). Prima ancora di presentare l'autore, le prime righe del suo testo ne compendiano alla perfezione lo spirito e la lotta: "<i>Ci sono uomini che possono vivere senza natura selvaggia e uomini che non ci riescono. Questi saggi raccontano le gioie e i dilemmi di uno che non può farne a meno. Come il vento e i tramonti, la natura selvaggia è sempre stata data per scontata, finché il progresso non ha iniziato la sua opera di devastazione. Oggi ci troviamo di fronte alla questione se un più "elevato" tenore di vita possa compensare la scomparsa di tutto ciò che è naturale, libero e selvaggio. Per noi, che siamo una minoranza, l'opportunità di osservare delle oche è più importante di guardare la televisione e la possibilità di trovare una pulsatilla è un diritto altrettanto inalienabile della libertà di parola</i>" (<i>Pensare come una montagna</i>, Aldo Leopold, Piano B Edizioni, p. 17). Insieme a Muir, Aldo Leopold è stato uno dei "fondatori" dell'ambientalismo americano, per non dire internazionale. Considerato, insieme a <i>Walden </i>di Thoreau, uno dei classici della letteratura naturalistica, <i>A Sand Country Almanac</i> è, come suggerisce il titolo, un almanacco, simile agli almanacchi popolari, che attraverso pensieri, suggestioni sparse, eventi di vita, riflessioni, meditazioni, racconti e brevi saggi cerca di trasmettere la passione per la Natura indomita, sempre nel tentativo di sensibilizzare l'uomo sulla connessione intrinseca che lega la sua sopravvivenza alla conservazione della Wilderness. In quest'opera le descrizioni poetiche della Natura in tutta la sua potenza e in tutto il suo splendore si alternano alle drammatiche denunce dei disastri dovuti all'inquinamento industriale e antropico, sia di un altro grande problema, ancora estremamente attuale, quello del turismo di massa che cerca di trasformare la Natura in un immenso parco giochi. Leopold fu uno dei primi a sottolineare che il fine dell'ambientalismo non sia quello di creare delle aree naturali dove l'uomo possa svagarsi in pace, ma di cercare un sano equilibrio tra il mondo civilizzato e la Natura e, soprattutto, di riscoprire il legame etico che collega la vita alla Terra. "<i>Noi abusiamo della Terra perché la consideriamo come una merce che ci appartiene</i>" scrive Leopold "<i>E' solo quando vediamo la Terra come una comunità a cui appartenere, che iniziamo a trattarla con amore e rispetto. Non c'è altro modo in cui la terra possa sopravvivere all'impatto dell'uomo meccanizzato, né per noi di mietere la messe estetica che essa, sotto l'egida della scienza, è in grado di offrire alla cultura. La terra come comunità è il principio base dell'ecologia, ma che essa sia qualcosa da amare e rispettare è un'estensione di natura etica" </i></span><i><span style="font-family: verdana;">(</span><span style="font-family: verdana;">Pensare come una montagna</span></i><span style="font-family: verdana;"><i>, Aldo Leopold, Piano B Edizioni, p. 18</i>).</span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://th.bing.com/th/id/OIP.3zgJKFdiN50UR98HzeibygHaKs?pid=ImgDet&rs=1" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="684" data-original-width="474" height="320" src="https://th.bing.com/th/id/OIP.3zgJKFdiN50UR98HzeibygHaKs?pid=ImgDet&rs=1" width="222" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Con <b>il terzo libro</b> ci inoltriamo nell'epoca presente. L'autore è Gary Snyder, poeta e ambientalista contemporaneo, e il testo in questione è <i>La Pratica del Selvatico</i>,<br /> edito da Fiori Gialli Edizioni. Come il libro di Leopold, <i>La Pratica del Selvatico</i> è una raccolta di saggi, un vero e proprio invito all'azione per recuperare, appunto, la "pratica della natura", per riavvicinare l'azione dell'uomo a quella terra da cui le città lo hanno tagliato fuori. Le sue parole descrivono alla perfezione il concetto di "Wilderness". Scrive l'autore nel libro: "<i>L'uso che Milton fa del termine Wilderness coglie la vera condizione di energia e ricchezza che si trova così spesso nei sistemi selvatici. Una distesa di dolcezze richiama i miliardi di piccole aringhe e sgombri nell'oceano, i chilometri cubi di krill, i semi delle piante erbacce della praterie [...] tutte la incredibile fecondità dei piccoli animali e piante che nutrono la rete della vita. Ma, da un altro punto di vista, wilderness ha implicato chaos, eros, lo sconosciuto, i reami del taboo, l'habitat sia dell'estatico che del demonico. In entrambi i sensi è un luogo di potere archetipico, insegnamento e sfida</i>" (La Pratica del Selvatico, Gary Snyder, Fiori Gialli Edizioni, p. 22). Per Snyder il "selvatico" è lo stato originario della vita, rappresenta la libertà originaria di ogni essere vivente, il lato indomito che la civiltà, per sua stessa essenza, necessita di domare. Un dominio in parte necessario, ma che si fa dispotico sia nei confronti dell'uomo sia nei confronti della Natura quando comincia a tiranneggiare esigendo il controllo assoluto, per mezzo dello sfruttamento. Tagliare del tutto i ponti con la Natura, così come sta avvenendo nelle nostre città, significa privare l'uomo di questa libertà originaria, renderlo schiavo dei suoi comfort privandolo della capacità di soddisfare i suoi bisogni primari se non per mezzo delle cose che egli può fare e acquistare all'interno della società e della cultura umana. La Pratica del Selvatico consiste nel recupero di questa libertà originaria, che però non deve essere ricercata solo per l'ebrezza del brivido e dell'emozione forte - altra ricerca "negativa", frutto del turismo di massa e del consumismo naturale. "<i>Il galateo del mondo selvatico</i>" scrive Snyder "<i>non richiede solo generosità, ma una specie di rude e allegra capacità di tollerare i disagi con buon umore, di comprendere la fragilità di tutti e una certa umiltà. L'abilità di raccogliere velocemente le more, l'istinto di seguire una pista, di sapere dove si può fare una buona pesca, di saper leggere la superficie del mare o il cielo, queste cose non si conquistano soltanto con la fatica. Andare in montagna richiede le stesse qualità. Per queste azioni ci vuole allenamento, il che richiede una certa dose di sacrificio e intuizione e bisogna svuotarsi di se stessi. Alcuni hanno avuto grandi visioni soltanto dopo essere arrivati a non avere più niente. [...] Per chi vuole cercarla direttamente, entrando nel tempio primordiale, la wilderness può essere un maestro terribile, che dilania all'istante gli inesperti e i distratti. E' facile commettere gli errori che porteranno al punto di non ritorno. In senso pratico, una vita dedita alla semplicità, al giusto coraggio, al buon umore, alla gratitudine, al lavoro e al gioco senza riserve, e tanto cammino, ci portano vicino al mondo effettivamente esistente e alla sua interezza. La gente delle culture della Wilderness raramente va in cerca di avventure. Se rischiano deliberatamente è per ragioni spirituali, piuttosto che economiche" s</i>olo affrontando la Natura con questo spirito<i> "Le lezioni che impariamo dal mondo selvatico diventano galateo di libertà. Possiamo godere della nostra umanità, del suo cervello favoloso e della sua sessualità vibrante, le sue ambizioni sociali e i suoi malumori ostinati e considerarci né più né meno come gli altri essere nel Grande Spartiacque. Possiamo accettare gli altri come esseri uguali a noi, che dormono a piedi nudi sulla stessa terra. Possiamo rinunciare alla speranza di diventare eterni e smettere di combattere la sporcizia. Possiamo tenere alla larga le zanzare e i parassiti senza odiarli. Senza aspettative, attenti e sufficienti, riconoscenti e premurosi, generosi e diretti" (La pratica del Selvatico, </i>Gary Snyder, Fiori Gialli, pp. 34-36<i>)</i></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Dopo aver dato il monopolio letterario ad autori americani, è giusto concedere un po' di spazio ad autori nostrani. E lo faccio con due giovani e promettenti voci letterarie e ambientaliste nostrane.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://th.bing.com/th/id/OIP.ercMx3Q7yNV1QYboQAgRHwAAAA?pid=ImgDet&rs=1" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="213" height="300" src="https://th.bing.com/th/id/OIP.ercMx3Q7yNV1QYboQAgRHwAAAA?pid=ImgDet&rs=1" width="213" /></a></div><br />Così,<b> il quarto libro</b> è di <b>Francesco Boer</b>, scrittore e fondatore del blog Alchimia dei Simboli, <b>Troverai più nei boschi</b>, edito da Il Saggiatore. Ho già avuto modo di parlarne in un articolo a esso dedicato, ma ci tenevo a riparlarne in questa lista perché il libro di Boer recupera un aspetto fondamentale del rapporto con la natura: la connessione simbolica e spirituale. Spesso si pensa alla battaglia ambientalista esclusivamente in termini "scientifici"; i dati, le informazioni, le rilevazioni che dimostrano il nesso causa-effetto tra l'attività umana e l'inquinamento, i cambiamenti climatici, la moria degli animali selvatici e la distruzione degli ambienti naturali. Ma raramente ci si sofferma sul significato simbolico che questa distruzione rappresenta per la psiche e la spiritualità umana. Per millenni l'uomo, anche nelle grandi città del passato, ha vissuto immerso in una natura indomita. Ampi spazi naturali circondavano i paesi; lunghi spostamenti in territori selvaggi e irti di pericoli naturali separavano una comunità dall'altra e questa connessione simbolica di incontro/scontro con il selvatico ha sempre dato vita a miti, riti, usanze, folklore, leggende, emozioni; in altri termini, la Wilderness ha sempre fatto parte dell'esperienza umana, almeno finché la Natura Selvaggia, con l'avanzare della civilizzazione, non è stata ridotta ad aree lontane, a un paesaggio di sfondo, a un lontano ricordo. Quando l'uomo ha abdicato alla Natura, ha messo da parte anche questa connessione originaria con il simbolo - il luogo d'incontro tra la sua interiorità e lo spazio selvaggio. Ma, come scrive Boer: </span><span style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;">"<i>Il simbolo è la via che ci permette di intuire la fratellanza fra coloro che sembrano estranei. Grazie a questa rotta, possiamo tracciare un sentiero al tempo stesso nuovo e antico: la relazione che concilia l'essere umano e la natura. Non è un rapporto di dominio, con ci l'uomo tenta di ergersi sopra l'ambiente in cui vive, per sfruttarlo e renderlo schiavo. Ma non è nemmeno un asservimento dell'uomo, né si tratta di denigrarlo di fronte a un'immagine idealizzata della natura. E' piuttosto un confronto alla pari [...] è riconoscere la propria unicità ma anche comprendere che le diversità sono il canale per comunicare</i>" (Francesco Boer, <i>Troverai più nei boschi</i>, Il Saggiatore, pp. 14-15). Il simbolo è una forma di comunicazione in grado di connettere l'uomo al Pianeta e la Natura, apparentemente muta, ci ha sempre comunicato tramite simboli. Sempre citando Boer:</span></span><span style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;"> "<i>La natura ci parla tramite i simboli. Un prato, un bosco, un fiume: non sono soltanto luoghi esteriori, ma spazi dell'anima. Il simbolo non è solo lì fuori, ma non è nemmeno una nostra elaborazione mentale. La sua vera essenza è nel rapporto, nell'assonanza che fa vibrare all'unisono il cuore e il mondo esterno. Grazie a questa empatia, a questa grande compassione, l'essere umano può accedere a una relazione con la natura che altrimenti gli rimarrebbe preclusa</i>" (Francesco Boer, Troverai più nei boschi, Il Saggiatore, pp. 14-15). Dimenticare questo linguaggio significherebbe condannare a morte un'intera regione del nostro spirito.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;">Concludiamo con il<b> quinto libro</b>, una delle disamine più complete pubblicate in<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://images-eu.ssl-images-amazon.com/images/I/51MeEVzpujL._SY264_BO1,204,203,200_QL40_ML2_.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="266" data-original-width="173" height="266" src="https://images-eu.ssl-images-amazon.com/images/I/51MeEVzpujL._SY264_BO1,204,203,200_QL40_ML2_.jpg" width="173" /></a></div><br /> Italia sui problemi inerenti al cosiddetto Antropocene, l'epoca geologica dell'umano, e sul tentativo di invertire la rotta restituendo alla Natura - ma anche all'interiorità umana - il Selvatico a essa sottratto. Si tratta di <i><b>Into the (Re)Wild</b></i> di <b>Natan Feltrin</b>, testo autopubblicato dall'autore, filosofo e ambientalista italiano, fondatore di Wild Matters, che da molti anni a questa parte ha preso parte a diversi progetti legati alla fauna e alla flora selvatiche. Into the <i>(Re)Wild</i> è il primo testo pubblicato in Italia sul concetto di Rewilding, l'idea di decostruire parte della civiltà "in sovrabbondanza" per restituire alla Natura, vegetale e animale, gli spazi impropriamente sottrattigli. Questa operazione procede di pari passo a una "Rewilding" interiore, analogo alla Pratica del Selvatico descritta da Snyder. "Il Rewilding" scrive Feltrin "è un movimento che mira al ripristino delle condizioni necessarie affinché la natura - gli ecosistemi - sia in grado di autodeterminarsi senza il controllo costante di una sola specie. [...] Il rewilding è un'occasione di ripensamento del nostro rapporto con la natura, di restituzione agli altri viventi, di ricostruzione alle connessioni ecologiche perdute e di disobbedienza all'imperativo genocentrico che vorrebbe favorissimo la nostra specie a scapito di qualunque istanza etica" (Natan Feltrin, <i>Into the (Re)Wild</i>, pp. 29-30). Non bisogna tuttavia confondere questo tentativo di "riparazione" con una restaurazione originaria. Non si tratta di una volontà malinconica e romantica di tornare a un non meglio precisato passato primitivo; si parla anzitutto di sopravvivenza, sia della nostra sia delle altre specie del pianeta, minacciate dalla macchina ormai fuori controllo del progresso umano. "<i>L'idea non è quella di tornare nel pleistocene</i>" scrive Feltrin "<i>bensì di ricreare le condizioni ecologiche più sane e dinamiche di cui siamo a conoscenza, ovvero il rapporto co-evolutivo della comunità Cenozoica prima che la nostra specie - e non il clima - causasse l'estinzione della megafauna</i>". Un processo, quello dell'Antropocene, che nell'ottica dell'autore è ben precedente alla meccanizzazione della civiltà odierna e che è cominciato con la colonizzazione della terra da parte dell'Homo Sapiens fin dalla Preistoria umana. Si tratterebbe, dunque, di un cambio di rotta radicale, un vero e proprio salto evolutivo-cognitivo che dovrebbe portare l'uomo a ridefinire totalmente la sua posizione sulla Terra, giacché fin dalla sua comparsa l'Homo Sapiens pare aver destabilizzato l'intera ecologia del pianeta per plasmarla a sua immagine e somiglianza.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;">Immagine: dipinto di Nicholas Roerich, 1930.</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-55943938839508465732021-06-22T00:15:00.001+02:002021-06-22T00:28:01.504+02:00L'Erba di San Giovanni: miti, riti, e proprietà dell'iperico<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-2hk_UMSbuGo/YNEMcYA_n5I/AAAAAAAABzI/ZbWREquNtO4HOApFKBJVa2rPT0yd39yZACLcBGAsYHQ/s768/230_Hypericum_perforatum.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="516" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-2hk_UMSbuGo/YNEMcYA_n5I/AAAAAAAABzI/ZbWREquNtO4HOApFKBJVa2rPT0yd39yZACLcBGAsYHQ/w269-h400/230_Hypericum_perforatum.jpg" width="269" /></a></div><div><div style="text-align: justify;">I<span style="font-family: verdana;">l 24 giugno è il Giorno di San Giovanni. Una delle festività rituali più importanti, nata in ambito pagano e radicata a tal punto da essere assorbita dal cristianesimo. In questa festività, che cade pochi giorni dopo il Solstizio, l'accensione dei fuochi fungeva da atto magico per celebrare e rinvigorire le forze del Sole, affinché l'astro celeste continuasse a spargere sulla terra i suoi raggi vivificanti, in grado di scacciare freddo e tenebre. Ma l'accensione dei fuochi era soltanto uno dei molti rituali nati per cerebrale il Sole estivo; nel mondo magico-religioso vi è infatti il perpetuo tentativo di cogliere le segnature tra il cosmo e la terra, ossia i legami che vincolano ciò che sboccia sulla terra a ciò che si muove nel cielo. Ed è da questa osservazione magica che nacque la sacralità di un'erba i cui fiori sbocciano proprio in concomitanza con il giorno di San Giovanni: l'iperico.</span></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L'iperico può diventare l'esempio per eccellenza di come simbolo, rito, tradizione e religione possano fondersi per divenire un tutt'uno con botanica, scienza, medicina ed erboristeria. La pianta è infatti un vero e proprio crocevia di culture ed usi differenti, in cui però è possibile rilevare un continuo in cui perfino gli usi terapeutici, dimostrati scientificamente, sembrano strettamente collegati a ciò che la pianta ha sempre rappresentato da un punto di vista simbolico. Andremo ora ad analizzare, da diversi punti di vista, i miti, i riti e gli usi magici che si intrecciano in maniera indissolubile con le proprietà erboristiche dell'Erba di San Giovanni.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Già a partire dal nome, la pianta mostra la sua intrinseca connessione con il mondo invisibile. Come scrive Rossella Omicciolo Valentini ne <i>Le erbe delle streghe nel medioevo</i>: "Il nome iperico deriva del greco ipèr, sopra, e eicòn, immagine, dove la parola immagine vuol dire "spettro, fantasma, demone e ogni altra creatura incorporea. Lo stare al di sopra dell'immagine, quindi, indica la facoltà di dominare tutte le creature incorporee e di allontanarle dagli umani. Così, già nel nome, l'iperico è consacrato a erba cacciadiavoli, capace di respingere soprattutto gli spiriti infernali e tutte quelle creature diaboliche, comprese le streghe, che nella notte di San Giovanni invadevano le strade per recarsi al convegno annuale" (Rossella Omicciolo Valentini, <i>Le erbe delle streghe nel medioevo</i>, Edizioni Penne e Papiri, pp. 107-108). E, similmente, Giuseppe Chia ne <i>L'iperico</i>: "Etimologicamente il nome Hypericum deriva da hyper (sotto) e eikon (immagine). Linneo lo spiega con l'immagine che appare sui petali. Per altri autori il nome deriva dal verbo upereidofal (vedo oltre, mostro me stesso) come riferimento ai puntini trasparenti sulle foglie. Secondo altri autori, il nome deriva da hypo (sotto) e erikin o ereikn (erica), indicando una pianta che cresce sotto l'erica. Infine, secondo altri botanici, l'origine viene da hyper (sopra) e eikon (immagine, spettr) e significa magico, quasi al di soptra degli spettri, perché la gente credeva nelle sue misteriose proprietà erboristiche, oppure perché mette radici su vecchi monumenti" (Giuseppe Chia, <i>L'iperico</i>, Macro Edizioni, p. 32).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">E' interessante notare come tutte le etimologie, benché contrastanti e contraddittorie, vedano però l'iperico come una pianta mediatrice tra il mondo inferiore e il mondo superiore, una sorta di portale botanico in grado di connettere l'uomo con il mondo invisibile e il significato spirituale dei raggi solari.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come accennato in precedenza, fiorendo in concomitanza con il giorno dedicato al santo Giovanni Battista, tutt'altro che morto durante il Medioevo l'interessa per questa pianta miracolosa, essa cambiò nome e venne soprannominata Erba di San Giovanni. Sempre citando Rossella Valentini: "L'iperico è l'erba per eccellenza dedicata a San Giovanni Battista, il martire cristiano messo a baluardo delle streghe e dei demoni che affollano i cieli nella notte solstiziale. In molti paesi, danzando attorno ai falò di San Giovanni, si portavano sul capo corone di iperico, che poi o venivano gettate tra le fiamme per propiziare i raccolti e la salute del bestiame, oppure, spenti i fuochi, si lanciavano sui tetti per proteggere le case da fulmini, incendi e fatture stregonesche" (Rossella Omicciolo Valentini, <i>Le erbe delle streghe nel medioevo</i>, Edizioni Penne e Papiri, pp. 107-108). Immagini, quelle delle danze, dei fuochi e dei riti propiziatori che continueranno a rimanere vivi anche sotto il cristianesimo, benché non sia difficile scorgere al di sotto del velo la loro radice pagana. Non a caso, come scrive anche Giuseppe Chia, lo stesso Giovanni Battista "può essere ritenuto il più pagano dei santi e il santo più legato alla natura selvaggia" (Giuseppe Chia, <i>L'iperico</i>, Macro Edizioni, p. 18). Basti pensare, ad esempio, che viene rappresentato indossando pelli di cammello, stretta soltanto da una cintura di pelle, appoggiato a un bastone rudimentale, e che nei Vangeli viene descritto nutrirsi di insetti e miele selvatico, unico ristoro nella sua vita eremitica, nel deserto, al margine della società - tutte caratteristiche che lo legano all'Homo Selvaticus. Inoltre, venendo egli prima di Cristo rappresenta ancora il mondo pre-cristiano e il suo battesimo di Cristo sembra assumere, dal punto di vista simbolico, una sorta di "passaggio di consegne" tra la vecchia e la nuova religione, la quale, tuttavia, non potrà mai far meno delle sue radici.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma non è solo il giorno di fioritura a donarle le virtù che, nei secoli, hanno reso l'iperico l'erba solare per eccellenza. Una miriade di segnature simboliche la legano al Dio Helios.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il fiore dell'iperico, come il Sole, si erge nel cielo grazie all'altezza del suo stelo; il suo giallo intenso ricorda la luce dell'astro così come i suoi petali, che irrompono dal centro, sembrano un riflesso cosmico dei raggi che si irradiano nel cosmo e, come vedremo a breve, le sue stesse proprietà metaforiche, simboliche ma anche fisiche sono strettamente legate a virtù solari. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Non a caso, come scrive Giuseppe Chia ne <i>L'iperico </i>(Macro Edizioni), la pianta è sempre stata considerata una sorta di "magazzino di energia solare", ad esempio come da autori e medici come Galeno e Paracelso. "Il fatto che l'inizio della sua fioritura coincida con l'inizio dell'estate" scrive lo studioso "ha creato nelle tradizioni di molti popoli un'associazione tra il mistico e il religioso fra le feste di inizio estate e l'iperico" (Giuseppe Chia, <i>L'iperico</i>, Macro Edizioni, p. 18).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questo intrico di connessioni botaniche, religiose, simboliche è descritto, con una certa poeticità, da Wilhelm Pelikan, medico, erborista e antroposofo, nella sua immensa opera scientifico-simbolica <i>Le piante medicinali</i>: "E' certo che questa nobile pianta appartiene proprio al lato luminoso della vita terrestre. Le sementi germinano soltanto alla luminosità; nei luoghi oscuri, nell'umidità, possono soggiornare per anni senza produrre nulla. L'iperico o Erba di San Giovanni predilige i luoghi secchi e magri; cresce spontaneo nei campi abbandonati, lungo i bordi delle strade e dei boschi, fra i cespugli chiari, i tagli rasi, sopra i mucchi di sassi ricoperti di muschio. La sua radice è vivace e vigorosa; in primavera il suo germoglio sale verticalmente, si allarga verso l'alto a parasole, simula un po' una piramide posata sulla sua punta. Si corona di un ricco mazzo di fiori gialli, ordinati in falsa ombrella. Le foglie, piccole e serrate contro gli steli, hanno una forma ellittica-aguzza. [...] In questa pianta tutto tende verso l'alto, verso la luce. Il fiore annuncia il solstizio d'estate, il tempo di San Giovanni, e la forza totale del sole vi si incarna [...]. L'iperico, consacrato senza freni ai processi luminosi del solstizio, li ha fissati, ha depositato le loro eccedenze nel colorante rosso che secernono le sue piccole ghiande, in apparenza nerastre" (Wilhelm Pelikan, <i>Le piante medicinali</i>, Natura e cultura, pp. 39-41).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Conosciuta anche come erba scaccia diavoli, l'iperico veniva reputato in grado di scacciare le creature che popolavano le tenebre e gli incubi notturni, come demoni, streghe e stregoni ed è interessante notare come, anche in epoca moderna, sia utilizzata per scacciare un altro tipo di demone interiore: la depressione. Come si legge nel trattato di farmacognosia di Francesco Capasso: "All'iperico sono state attribuite proprietà ipotensive e diuretiche, ma studi più recenti concordano nel ritenere l'iperico un antidepressivo al punto da considerarlo un prozac naturale. L'azione antidepressiva è la conseguenza di una inibizione delle MAO (enzimi che catalizzano la conversione dei neurotrasmettitori in cataboliti inattivi) ed un blocco della ricaptazione di neurotrasmettitori. Questo comporta un amento dei livelli di neurotrasmettitori nello spazio sinaptico con conseguente adattamento neuronale [...]. L'efficacia dell'iperico negli stati depressivi lievi e moderati è stata riportata in diversi studi clinici. In alcuni di questi l'iperico si è mostrato efficace quanto gli antidepressivi convenzionali o addirittura superiore. L'iperico risulta invece del tutto inefficace nei casi di depressione grave" (Capasso Francesco, <i>Farmacognosia. Botanica, chimica e farmacologia delle piante medicinali</i>, Springer, p. 205). Una connessione, quella tra demoni e depressione, forse non del tutto casuale, giacché da secoli il demone rappresenta la zona d'ombra, l'inquietudine interiore, la personificazione di paure e malattie e, non per nulla, Aleister Crowley sostiene, sia nella sua prefazione al <i>Lemegeton </i>sia ne <i>Il Testamento di Magdalen Blair</i>, che i demoni non siano altro che porzioni del cervello umano o entità simboliche evocate dai tormenti delle malattie interiori.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma questo non è l'unico utilizzo dell'iperico a legarlo simbolicamente al Sole. Fin dall'antichità l'iperico veniva utilizzato come olio o unguento sulla pelle per curare le scottature causate dai raggi solari - ma, allo stesso tempo, un sovradosaggio dell'iperico può causare una ipersensibilità ai raggi solari. E' interessante notare, dunque, come anche questa controindicazione sia strettamente legata alla connessione con il Sole che, negli animali da pascolo con il mantello o il pelo chiaro, può addirittura causare gravi danni cutanei o addirittura la morte nel caso di intossicazione - causando, quest'ultima, una eccessiva fotosensibilità che, a sua volta, provoca nell'animale fenomeno dell'ipericismo con la comparsa, sulla pelle, di bolle, piaghe e ustioni.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Rispetto ad altre "erbe magiche" utilizzate nell'antichità, come, ad esempio, la mandragora, l'iperico è piuttosto comune e semplice da trovare; esso popola i prati soleggiati, i ruderi, i bordi delle strade. Da qui l'ampia diffusione che ebbe sia in medicina sia nel folklore popolare - anche se, paradossalmente, a fronte della sua funzione "scaccia diavoli" e "scaccia streghe", molte donne furono viste con sospetto tra il 1500 e il 1600 per essersi recate nei campi a raccogliere tale erbe nel giorno di San Giovanni e non è raro imbattersi in processi inquisitoriali in cui, tra i capi di accusa, vi era proprio l'essersi recati nei campi, nel Giorno di San Giovanni, a raccogliere erbe utilizzate per "stregherie". Questa contraddittorietà potrebbe lasciare interdetti ma si ricordi che il mito, come il sacro, è sempre duplice e, benché l'Erba di San Giovanni fosse ritenuta in grado di cacciare le streghe, la stessa leggenda delle tregende e dei sabba nelle notte di San Giovanni nacque, paradossalmente, dalla grande quantità di uomini e donne dediti a raccogliere fiori di iperico, nel bosco e nei campi, per gli scopi più disparati. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></p></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-32487842587421679722021-06-17T22:21:00.000+02:002021-06-17T22:21:24.537+02:00Almanacco dell'orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-smIp_fVBL-k/YMuuHmJ0aYI/AAAAAAAAByY/bApLS6LpwhMQMKZi2RF7GwwvP4YA0Y6hgCLcBGAsYHQ/s626/almanacco%2Bdell%2Borrore%2Bpopolare.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="626" data-original-width="462" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-smIp_fVBL-k/YMuuHmJ0aYI/AAAAAAAAByY/bApLS6LpwhMQMKZi2RF7GwwvP4YA0Y6hgCLcBGAsYHQ/w295-h400/almanacco%2Bdell%2Borrore%2Bpopolare.jpg" width="295" /></a></div><br />Esiste, ed è sempre esistita, un’Italia al di là della Storia. Un’Italia popolata da divinità pagane, entità elementali, spiriti inquieti, streghe, stregoni, vampiri, licantropi, mostri ma anche eremiti, demoni e santi. Un’Italia di luoghi nascosti, in cui santità e blasfemia si fondono a formare il Sacro nel vero senso della parola: la sensazione che esista una dimensione-altra in cui ciò che vi è di più santo si fonde con ciò che vi è di più profano, dando vita a una realtà divina che, in quanto tale, si trova al di là del bene e del male. L’uomo che ha la fortuna, o la sfortuna, di entrare in contatto con questa realtà, può vivere la più profonda ma allo stesso tempo la più spaventosa esperienza spirituale. E, in Italia, abbondano le testimonianze, antiche e moderne, di luoghi ed esperienze simili. Per incapparvi basta solo avere gli occhi e l’attenzione per cercarle, anche – o meglio, soprattutto – nel più sperduto paese rurale, sia esso di mare, collina o montagna.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ciò che più si avvicina alla scienza di questo mondo intangibile è il folklore popolare: l’insieme di fiabe, miti, leggende, credenze ma anche esperienze personali, spesso tramandate oralmente, che testimoniano un continuo rapporto tra il mondo quotidiano e il mondo invisibile, tanto più reale quanto più ci si allontana dalla realtà antropica e civilizzata.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L’Italia possiede un immenso patrimonio folklorico, soprattutto grazie alla molteplicità di culture regionali. Ed è proprio a questo immenso patrimonio che attinge <i>Almanacco dell’orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano</i>, edito da Odoya Edizioni a cura di Fabio Camilletti e e Fabrizio Foni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>Almanacco dell’orrore popolare</i> è stata una delle letture più proficue degli ultimi mesi. Attraverso diversi articoli, il libro tocca i principali aspetti della cultura folklorica italiana, riuscendo nel difficile compito di mostrare come le leggende e le usanze popolari non siano l’inutile vestigia di un mondo irrazionale e superstizioso ma, al contrario, una forza immaginativa in grado di dar vita al genio tutelare del luogo; un tentativo, da parte dell’essere umano, di cogliere nella realtà locale un frammento dell’essenza metafisica che si cela dietro la realtà ordinaria. Spesso questa realtà metafisica viene colta nella sua essenza conturbante. Difatti, mentre la visione di Dio acceca, la visione dei “piani più bassi” della realtà invisibile, popolata da disparate entità, pur non sacrificando la vista induce però nell’uomo una sensazione di timor panico, dettata dalla consapevolezza di trovarsi di fronte a forze ataviche, sconosciute, presenti sulla terra prima ancora della sua misera comparsa. E mentre Dio è troppo lontano per essere colto nella sua totalità, il mondo invisibile del folklore è allo stesso tempo abbastanza vicino da essere percepito ma troppo bizzarro per essere compreso e ciò non può che straniare, disorientare, inquietare.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Perciò, spesso, anche nei racconti dei santi e delle esperienze religiose, il folklore popolare possiede un carattere orrorifico, laddove nell’antichità l’orrore, come il mostruoso, era tutto ciò che suscitava un sentimento ibrido di ammirazione e spavento, in altri termini di meraviglia. Da ciò la scelta di toccare questi argomenti folklorici alla luce del cosiddetto “orrore popolare”. Come sottolinea Fabio Camilletti nella sua introduzione, mentre il concetto di folk-horror, manifestazione artistica letteraria e cinematografica moderna di stampo anglosassone legata al recupero degli antichi culti rurali e delle inquietudini popolari, è alquanto recente, l’Italia si è sempre mostrata anticipatrice dei tempi mettendo in scena sul suo territorio una lunga serie di incontri, racconti, leggende, miti ma anche riti religiosi che nel loro fulcro, anche sotto il cattolicesimo, non hanno mai cessato di essere pagani e di volgersi a quel tipo di sentimento religioso tutt’altro che edificante, ma spesso in stretto contatto con questa sensazione di cupa meraviglia propria del folk-horror.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La stessa parola “Almanacco” nel titolo rimanda subito la mente agli antichi almanacchi popolari e al loro universo meraviglioso e mostruoso di simboli, previsioni, profezie, giorni fasti e nefasti, festività religiose, fasi lunari, lavori agricoli, ricette, proverbi, storie di diavoli e santi. Il Krampus in copertina é alquanto eloquente a tal riguardo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come gli antichi almanacchi, Almanacco dell’orrore popolare è un’orchestra di voci. 20 studiose e studiosi che attraverso brevi saggi dedicati ai molteplici aspetti del folklore orrorifico popolare riportano in vita storie antiche e moderne di diavoli, santi, fantasmi, redivivi, vampiri, mostri, licantropi, folletti, sabba e balli notturni, antichi culti pagani, santeria italiana, leggende rurali.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La bellezza del testo risiede proprio in questa polifonia di voci che, tuttavia, come in un coro, dà vita a una sinfonia unitaria, grazie alla capacità di ciascun autore e ciascuna autrice di fondere la ricerca storica e folklorica basata su un preciso lavoro sulle fonti al racconto di ricordi ed esperienze personali. Il tutto crea un effetto narrativo estremamente riuscito: la razionalità dell’erudizione si anima dell’emotività del ricordo, rendendo reale e tangibile anche la fantasia. Così, ogni articolo è un viaggio tanto nelle molteplici regioni d’Italia – si passa dal Piemonte fino ad arrivare alla Sicilia, attraversando quasi tutto lo Stivale – ma anche nelle diverse manifestazioni della cultura in tutte le sue forme: dai racconti di Lovecraft alle fiabe di Emma Perodi, dagli orrori antiquari di Richard Payne Knight all’etruscologia Metapsichica di Mario Signorelli, dal folklore rurale di Leland ai film di Pupi Avanti, dalle atmosfere cupe e grottesche di Dylan Dog a ai mondi onirici di Machen, dalla Torino magica e misteriosa di Giuditta Dembech ai circoli spiritici organizzati da Lombroso, dai sabba e le tregende nei boschi ai riti massonici – e tutto questo non è che il minimo assaggio di un viaggio estremamente profondo e dettagliato che sembra immergere il lettore in ricordi di tempi mai vissuti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Parlando di ricordi, Almanacco dell’orrore popolare mi ha riportato indietro nel tempo, ai primi incontri con il mondo del gotico e dell’horror avvenuto con Dylan Dog, le vecchie edizioni di Lovecraft e Poe, i B-Movie, i pomeriggi all’insegna dei film splatter e della pellicola che provocasse la paura sempre più grande e mi ha permesso di comprendere che nella precoce volontà di sperimentare la paura, tipica di molti adolescenti, si nasconde un desiderio sacro di investigare l’ignoto resistendo a quell’impulso che, istintivamente, ti porterebbe a scappare. E mi ha permesso anche di rivestire di un nuovo fascino quei libri che maneggio quotidianamente al lavoro: i vecchi Armenia e MEB dedicati alla ricerca spiritica e parapsicologica, spesso citati nel testo, molti dei quali ormai fuori catalogo che tuttavia, come spettri, vampiri e redivivi, ancora si aggirano per gli scaffali di alcune librerie o appaiono all’improvviso su polverose bancarelle per richiamare l’uomo verso l’ignoto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In definitiva, Almanacco dell’orrore popolare è un’analisi puntuale del folklore tipicamente italiano legato a streghe, folletti, diavoli, masche, antiche divinità pagane, spesso ispiratore di poesia, arte e letteratura anche in autori esteri e perfino dei movimenti spirituali come la Wicca, che molto deve alla riscoperta da parte di Leland delle streghe e delle pratiche magiche nostrane. Questo folklore non è soltanto un patrimonio culturale di inestimabile valore, ma una dimensione invisibile alla quale è possibile accedere lasciandosi trasportare dai racconti popolari e soprattutto esplorando i luoghi come boschi, grotte, rovine, sotterranei, chiese, santuari, cimiteri, ossari, città ed edifici abbandonati, cascate e sorgenti intrinsecamente legati a questo lato nascosto delle cose, spinti dall’antica meraviglia - un misto di stupore e paura. Esplorazioni che spesso faccio nei miei giorni liberi e a cui Almanacco dell’orrore popolare non ha fatto altro che dare una ulteriore spinta, perché nell’epoca moderna credere in questo mondo invisibile è ormai diventato un atto di ribellione contro una società che ci vuole invischiati, impantanati e incatenati alla materia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div> <div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Almanacco dell’orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano, Odoya Edizioni, a cura di Fabio Camilletti e Fabrizio Foni, con i contributi di: Danilo Arona, Rosario Battiato, Gianmaria Contro, Mariano d’Anza, Lisa Deiuri, Alessandra Diazzi, Lorenzo Fabris, Adolfo Fattori, Orazio Labbate, Alessandra Macchia, Marco Malvestio, Luigi Musolino, Franco Pezzini, Martina Piperno, Claudia Salvatori, Gabriele Scarlessa, Stefano Zammit</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div> <div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-36300523808699942742021-05-16T12:47:00.000+02:002021-05-16T12:47:02.397+02:00Damien Echols: Alta Magick. Pratiche magiche di salvezza nel braccio della morte<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-B9fXt-408PU/YKD3eUcRpSI/AAAAAAAABxQ/MytskKHFU7MibEIpNybsFwVWD_ze7gBUACLcBGAsYHQ/s626/damien%2Bechols%2Balta%2Bmagick.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="626" data-original-width="412" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-B9fXt-408PU/YKD3eUcRpSI/AAAAAAAABxQ/MytskKHFU7MibEIpNybsFwVWD_ze7gBUACLcBGAsYHQ/w264-h400/damien%2Bechols%2Balta%2Bmagick.jpg" width="264" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br />Un crimine efferato - l'omicidio di tre bambini - il tabù più grande e l'atto sacrilego orrendo che si trova nelle fiabe e nel folklore più grotteschi, che scuote l'ordinarietà di un piccolo paese circondato dai campi. La cattura di tre presunti colpevoli, sospettati per i loro interessi "eretici", nei confronti del paganesimo e della magia cerimoniale. Un lungo e vessatorio processo che porta prima all'incarcerazione e poi, dopo anni di soprusi, alla confessione del crimine e all'ammissione della colpa, per poter ottenere la libertà.</span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La storia, raccontata in questi termini, ricalca in maniera sorprendente il racconto di centinaia di casi di processi inquisitoriali, dal 1400 all'inizio del 1700. Eppure, quasi la Storia umana fosse la perpetua riproposizione di eventi già accaduti e già narrati, questi fatti non appartengono agli atti giuridici polverosi di qualche archivio bibliotecario, ma fanno parte dell'epoca presente. In particolare, risalgono al 1994 e videro la loro conclusione, dopo circa 18 anni, nel 2011 e gli imputati divennero noti con il nome di I Tre di West-Memphis. I loro nomi sono Daniel Echols, Jason Baldwin e Jessie Miskelley, tre ragazzi "problematici" figli di famiglie povere. </span><span style="font-family: verdana;">La vicenda è lunga e intricata e, in questa sede, riassumerò brevemente i dettagli principali, per poi passare al protagonista del presente articolo, ossia il primo personaggio citato: Damien Echols.</span><span style="font-family: verdana;"> Tutto ebbe inizio con la denuncia della scomparsa di tre bambini nella città di West-Memphis e la scoperta di tre cadaveri, uno dei quali evirato. In un'America tormentata dall'incubo e dalla paura, spesso irrazionale, del Satanismo, l'omicidio venne ricondotto a un rituale satanico e i sospetti caddero subito sullo stesso Echols, noto in paese per i suoi interessi che, ad oggi, riterremmo normali - metal, esoterismo, neopaganesimo, romanzi horror - ma che in un paesino conservatore degli anni '90 erano già indizi di colpevolezza. Dal primo interrogatorio nei suoi confronti, la situazione cominciò presto a precipitare, assumendo tutti gli aspetti dell'archetipo dell'interrogatorio inquisitoriale, volto a estorcere la confessione. Come scrive lo stesso Echols: "Non è stata una sorpresa quando i poliziotti si sono presentati alla roulotte dove vivevo, hanno ammanettato me e Jason e ci hanno portati alla stazione di polizia per essere interrogati. Mi hanno sbattuto in una cella grande come una cabina telefonica. Non potevo né sedermi né sdraiarmi; dovetti stare in piedi tutta la notti. Ogni tanto un poliziotto veniva a chiedermi se ero pronto a confessare. Non avevo neanche l'idea di cosa stesse parlando. Ma l'ho saputo presto. Al mattino, un giudice mi ha accusato di aver ucciso tre bambini di otto anni nell'ambito di un sacrificio satanico. Qualcun altro - non Jason - aveva ammesso di aver preso parte alla cerimonia e sosteneva che ero io il capobanda. Ho letto la trascrizione della cosiddetta confessione. Era una bizzarra storia da film dell'orrore, un guazzabuglio che non aveva alcun senso, e non lo aveva perché la polizia l'aveva estorta con la forza e la tortura a un ragazzino con un ritardo mentale del mio quartiere, di nome Jessie. Lo avevano torturato psicologicamente, privato di cibo, acqua o sonno per ore e ore, e lo avevano incoraggiato a coinvolgere Jason e me. Il che era tutto ciò di cui avevano bisogno. Non importava il fatto che la descrizione della scena del crimine di Jessie fosse totalmente sbagliata" (Damien Echols, Alta Magick, Venexia, pp. 18-19).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Già da una prima analisi, è possibile constatare come siano presenti tutti gli elementi tipici del meccanismo del capro espiatorio così come evidenziati da René Girard: un crimine indicibile che scuote una condizione condizione ordinaria, la ricerca ossessiva del colpevole per poter riportare l'ordine, l'individuazione di una vittima ai margini della società che, per le sue caratteristiche, si distanzia dalla normalità della comunità incarnando su di sé tutte le caratteristiche negative che devono essere estirpate per riportare l'ordine e, infine, il processo sommario e la condanna che sazia le pulsioni di vendetta scatenate.</span><span style="font-family: verdana;"> </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">A partire da queste prove circostanziali e in mancanza di qualsiasi altra prova scientifica che ne dimostrasse la colpevolezza, come ad esempio la prova del DNA, i tre adolescenti vennero condannati dopo un processo sommario, basato su testimonianze poco attendibili e spesso ritrattate dagli stessi accusatori. In particolare, Jessie e Jason furono condannati all'ergastolo e Damien Echols, ritenuto la "testa" della banda, a fronte anche del suo quoziente intellettivo superiore, fu condannato alla pena capitale e rinchiuso nel braccio della morte, dove rimarrà per oltre diciotto anni quando il suo avvocato, grazie a un cavillo legale, riuscirà a farlo scagionare. Dal '94 in avanti, infatti, nonostante la condanna sommaria, il caso continuò a rimanere aperto grazie alla grande attenzione mediatica che aveva ricevuto e a una serie di film e documentari volti a dimostrare l'innocenza degli imputati. Soltanto nel 2011 fu fatta parziale giustizia, grazie all'avvocato Stephen Braga che patteggerà una sorta di armistizio: la trasformazione dell'ergastolo e della condanna a morte in 18 anni di reclusione, a patto che gli imputati confessassero la loro colpevolezza. Diciotto anni che già erano trascorsi - si trattava dunque di ammettere un crimine mai commesso per poter riottenere la libertà, senza pretendere alcun risarcimento dallo Stato che aveva condannato le tre vittime a questo calvario. Accordo che fu accettato, riecheggiando ancora una volta la storia archetipica della strega o dello stregone che, dopo anni di soprusi e sevizie, giunge ad ammettere la propria colpevolezza assumendo su di sé la narrazione degli inquisitori, pur di mettere la parola "fine" al processo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Tuttavia, in questo caso vi è una seconda parte della storia "magica", che che comincia per Damien Echols proprio dietro le sbarre della prigione ed è legata alle pratiche magiche che gli hanno permesso di sopravvivere all'interno del braccio della morte. Pratiche che ha descritto e compendiato all'interno di un libro, da poco pubblicato dalle Edizioni Venexia: <i>Alta Magick. Le pratiche spirituali che mi hanno salvato la vita nel braccio della morte</i>. Anche questa seconda parte della storia sembra riecheggiare un grande tema archetipico: quella dell'uomo privato della libertà, come Epitteto o Francesco d'Assisi, che nella schiavitù e nella prigionia scopre una via di fuga spirituale che, attraverso la battaglia interiore, lo porta alla liberazione e all'illuminazione.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nei lunghi anni di prigionia, Echols, privato della libertà esteriore, decise di non lasciarsi imbrigliare dai limiti del mondo materiale e, senza mettere da parte i suoi interessi nei confronti della magia cerimoniale, decise anzi di metterli a frutto, mettendosi in viaggio attraverso gli abissi della propria anima, alla ricerca di una libertà assoluta, profonda, svincolata da qualsiasi catena. Come racconta Eddie Vedder - che dal carcere divenne grande amico di Echols - ogni volta che si sentivano a telefono - una delle poche relazioni sociale a lui concesse - Echols gli raccontava le nuove letture intraprese e i nuovi progressi interiori raggiunti, che spaziavano tra le opere magiche della Golden Dawn, di Dion Fortune, Aleister Crowley e di tutta quella parte della magia di area anglofona che, dal '900 in avanti, aveva compiuto un grande sincretismo tra la magia cerimoniale occidentale, la magia cabalistica, le pratiche yoga e le tecniche di meditazione, contemplazione e visualizzazione delle tradizioni tanto orientali quanto occidentali.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Grazie a questi studi pratici, nel libro Echols racconta l'ascesa della sua anima attraverso l'Albero Cabalistico, una vera e propria Scala di Giacobbe che gli ha permesso di evadere dalle fredda mura della prigione per arrivare alle regioni più elevate della divinità. "La Magia mi ha salvato la vita" scrive Echols nel capitolo preliminare del testo "la Magia è stata l'unica cosa in prigione che ha dato uno scopo alla mia esistenza e mi ha mantenuto sano di mente. La Magia era la sola cosa che avevo per proteggermi. Ed è di questo che parla il libro, delle pratiche che mi hanno tenuto in vita per quasi due decenni nel braccio della morte" </span><span style="font-family: verdana;">(Damien Echols, Alta Magick, Venexia, pp. 19).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La Magia diviene per Echols una forma di evasione; ma non quella evasione che aliena ed estrania dalla realtà, bensì quell'evasione che permette all'anima di scoprire una realtà più profonda e di fuggire dalla trappola del mondo illusorio, quello che per gli Gnostici non è altro che la prigione del funesto Demiurgo. Reggendo il libro di Echols, sembra proprio di trovarsi di fronte alla battaglia del mistico Gnostico contro gli Arconti che hanno imprigionato la sua anima dietro le sbarre della materia; assistiamo alla sua perpetua psicomachia (lotta interiore dell'anima) per riuscire a sconfiggere i guardiani della soglia, sovrani di ciascun cielo, fino ad ascendere all'ultimo limite del cosmo, vegliato dal temibile Abraxas, per potersi liberare e accedere alla mistica realtà del Pleroma.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Gli esercizi descritti da Echols per compiere tale liberazione, scalando l'Albero della Vita cabalistico, attingono a piene mani dalla tradizione citata poc'anzi, quella della Golden Dawn, di Dion Fortune e del pensiero Crowleyano; da questo punto di vista, pur non proponendo nulla di particolarmente nuovo e innovativo, ne sono tuttavia un ottimo compendio ma, la cosa più importante, è che ne sono un compendio <i>vissuto</i>, e non una semplice compilazione manualistica. Si percepisce, ad ogni pagina e a ogni riga, l'anelito alla libertà che ha spinto Echols a mettere in pratica i lunghi esercizi spirituali descritti nel libro e traspare che ogni pratica narrata è stata da lui provata, sperimentata, applicata, raffinata e portata a buon fine. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L'aspetto più interessante del libro, oltre alla storia archetipica che si nasconde dietro le sue pagine, è come esso sia in grado di svincolare la Magia dai suoi elementi "esteriori", come gli strumenti cerimoniali, che, seppur simbolicamente importanti, rappresentano sempre un medium atto a catalizzare poteri interiori. Data la sua condizione, Echols, chiaramente, non poteva utilizzare quell'insieme di strumenti ritualistici solitamente associati alla magia - incensi, erbe, profumi, cristalli, vesti, spada, legno, coppa, bastone e così via - ma doveva "ridurre" la pratica al suo nocciolo essenziale, quello interiore, armato soltanto dell'anima e del suo potere di visualizzazione, oltre che di carta, penna e inchiostro. </span><span style="font-family: verdana;">Una condizione di "povertà" che, tuttavia, gli ha permesso di sviluppare al massimo i suoi poteri psichici e di sperimentare gli strati più sottili della realtà senza ulteriori strumenti. "Non fate l'errore di pensare di avere bisogno di un armamentario magico" scrive Echols "non è così. L'ho imparato nel braccio della morte, quando non mi era permesso di comprare online bacchette di frassino più fine, di andare al negozio New Age per l'incenso al sandalo o di installare una serie di cristalli per caricare la mia aurea. Alcuni dei rituali più importanti di tutta la mia vita sono stati eseguiti senza l'uso di un solo strumento perché non avevo altro che l'energia che potevo attingere dall'universo intorno a me. Gli strumenti magici possono benissimo aiutarvi ma non sono indispensabili per praticare la Magia, e io ne sono la prova vivente. Certi oggetti possono acquisire una carica specifica, ma la Magia non risiede in essi - vive in noi. E questo significa che nella vostra interiorità avete già tutto quello che vi serve" </span><span style="font-family: verdana;">(Damien Echols, Alta Magick, Venexia, p. 178).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Perciò in tutti gli esercizi descritti vi è una forte componente legata alla visualizzazione, in grado, con la potenza del pensiero, di percepire l'energia sottile e creare interi mondi.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"Lo strumento più importante da usare per realizzare l'Alta Magia" scrive Echols "è la nostra immaginazione. Quando i maghi parlano di visualizzazione, essenzialmente è di questo che stanno parlando [...]. Ogni volta che richiamate un ricordo [...] state visualizzando. E ogni volta che pensate a cosa farete in futuro [...] anche questo è visualizzare. Ogni volta che immaginate qualcosa che non sta accadendo in quel momento nella vostra piccola parte del mondo fisico, state visualizzando. Ed è questa la vera essenza della Magia. La visualizzazione non deve essere necessariamente visiva. [...] Se riuscite a ricordare l'aroma del profumo di vostra nonna o il modo in cui la sua casa odorava quando confezionava dei biscotti appena sfornati, state impegnando una forma di visualizzazione radicata nel profumo. E se potete ricordare la voce di vostro padre quando vi chiamava per nome, state visualizzando con il suono" </span><span style="font-family: verdana;">(Damien Echols, Alta Magick, Venexia, pp. 51-52). La visualizzazione è il punto di contatto tra mondo materiale e mondo invisibile, un vero e proprio portale che ha permesso ad Echols di applicare le pratiche magiche senza altri medium al di fuori del potere della propria mente e che gli ha permesso di intraprendere il viaggio nei propri abissi interiori. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Sempre citando le sue parole: "La Magia richiede responsabilità personale e autentico coinvolgimento lungo il cammino. La Magia è per le persone che non si accontentano di ciò che il mondo vende loro ogni giorno, o cerca di vendere. [...] La Magia non è una religione e i maghi non sono i seguaci di un culto, piuttosto sono artisti, scienziati ed esploratori della rete multidimensionale dell'energia divina. [...] In tutto il mondo i maghi di un tempo sapevano che i segreti dell'universo fuori di noi si trovano all'interno di noi stessi, che noi siamo un riflesso di quell'universo e, allo stesso tempo, abbiamo un ruolo co-creativo nel suo infinito divenire. Esplorando la cosiddetta interiorità, arriviamo a capire come funziona la cosiddetta esteriorità, e più comprendiamo il processo globale e interdipendente, più è facile plasmarlo e dirigerlo"</span><span style="font-family: verdana;">(Damien Echols, Alta Magick, Venexia, p</span><span style="font-family: verdana;">. 187).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In conclusione, l</span><span style="font-family: verdana;">e pagine di Echols trasudano di vita vissuta e sono una delle testimonianze magiche più autentiche e toccanti che mi è capitato di leggere. </span><span style="font-family: verdana;">Alta Magick è la dimostrazione di come, anche nel XXI secolo, sia possibile volgersi a pratiche spesso bollate, superficialmente, come "irrazionali", per sopravvivere e trarre profitto anche in condizioni terribilmente avverse, come appunto la reclusione in un braccio della morte, convivendo con la consapevolezza di essere destinati all'esecuzione. Ma, senza necessariamente dover vivere eventi e anni così traumatici, dalle pagine di Alta Magick può trarre grandi insegnamenti anche l'uomo "comune". Esse dimostrano come la magia sia plastica, in grado di adattarsi allo spirito del tempo, del luogo, della condizione in cui il praticante si trova, ed è dunque possibile mettere a frutto tali pratiche per evadere dalla prigione della vita di tutti i giorni e cominciare a vivere in una dimensione-altra, una sorta di "sciamanesimo urbano", aperto alle energie primordiali dell'esistenza anche nella cappa soffocante dell'ambiente iper-civilizzato. Come scrive Echols: "Vivo a New York, in uno dei luoghi più popolati e trafficati del mondo. Per uno come me, cercare di evocare l'aiuto e la saggezza del coyote e dell'orso non funziona molto bene e tentare di applicare tecniche sciamaniche come questa ha poco effetto. Io vorrei che la mia Magia fosse soprattutto pratica, quindi le energie con cui lavoro devono avere una connessione e un impatto notevoli sulla mia vita quotidiana. Le intelligenze con cui comunico sono gli spiriti dei treni della metropolitana, gli angeli che presiedono alle varie strade e viali e la sensibilità generale associata alla città stessa. Le culture antiche di tutto il mondo credevano che certi spiriti, energie o divinità vegliassero su particolari città e anche sulle singole case. La gente faceva offerte a queste divinità e io ho adottato questa pratica nella mia vita a New York. Ho scoperto che oltre alla città nel suo insieme, i vari quartieri e le zone possiedono energie identificabili e particolari [...]. Quando mi rivolgo a un luogo particolare [attraverso pratiche magiche] e gli faccio sapere che lo considero altrettanto vivo, consapevole e intelligente di me, mi risponde in modo gentile. [...] Immaginate l'impatto sul mondo se più persone la pensassero così. Quando si arriva all'essenza, nessun posto è più o meno sacro di un altro" </span><span style="font-family: verdana;">(Damien Echols, Alta Magick, Venexia, pp. 182-183</span><span style="font-family: verdana;">).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Damien Echols, Alta Magick, Venexia</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-75792335412189083292021-04-25T13:15:00.004+02:002021-04-25T14:43:08.717+02:00Storia e pratica delle arti magiche<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-Siy3Rxx3mow/YIVLadLsIsI/AAAAAAAABwY/30iWSDwa2u86DlVy7VOaSwhVJaz4R1moQCLcBGAsYHQ/s750/storia%2Be%2Bpratica%2Bdelle%2Barti%2Bmagichee.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="750" data-original-width="500" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-Siy3Rxx3mow/YIVLadLsIsI/AAAAAAAABwY/30iWSDwa2u86DlVy7VOaSwhVJaz4R1moQCLcBGAsYHQ/w266-h400/storia%2Be%2Bpratica%2Bdelle%2Barti%2Bmagichee.webp" width="266" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br /><div style="text-align: justify;">Fin dagli albori della coscienza, l'uomo ha sviluppato la consapevolezza di convivere con un mondo invisibile, che va al di là della grezza sensibilità immediata. Che si dia credito o meno a questa credenza, bisogna ammettere che, oggettivamente, vi è almeno un fatto degno di interesse, ossia che un essere vivente, immerso in un mondo ostile, impegnato in una perpetua lotta per la sopravvivenza, abbia cominciato non solo a credere, ma a basare le proprie azioni, sulla consapevolezza di un mondo-altro, un universo invisibile, un lato nascosto delle cose. Se questo mondo invisibile fosse stato del tutto irrilevante per la vita umana, dal punto di vista evoluzionistico non avrebbe avuto alcun senso il propagarsi di questa idea. Le persone alienate nel mondo nascosto sarebbero dovute soccombere per aver perso la dovuta attenzione nei confronti del mondo materiale. Eppure, così non è stato e, anzi, tutte le culture umane che si sono sviluppate nei millenni a venire hanno sempre sviluppato la consapevolezza - sciamanica, magica, filosofica o religiosa - di un mondo invisibile, degno di interesse tanto teorico quanto pratico.</div></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">E' a partire da questa idea che ho sviluppato <i>Storia e pratica delle arti magiche</i>, il mio ultimo saggio appena pubblicato con Libraio Editore, un testo in cui sono confluiti almeno cinque anni di studi, letture e approfondimenti sul tema. In particolare, l'idea motrice del testo è che, anche nello studio storico/antropologico del mondo invisibile, pur mantenendo un atteggiamento critico, non si debba dare per scontata la falsità del mondo invisibile e che per comprendere alcuni sistemi di pensiero ci si debba necessariamente "sporcare le mani", immergendosi in essi e assumendone la prospettiva. D'altronde, già Ernesto de Martino ne <i>Il mondo magico </i>scriveva: "Appena lo studioso si volge al mondo magico nell'intento di penetrarne il segreto, subito si imbatte in un problema pregiudiziale dal quale dipende in sostanza l'orientamento e il destino della ricerca: il problema dei poteri magici. Ordinariamente tale problema viene eluso con molta disinvoltura, in quanto si assume come ovvio presupposto che le pretese magiche siano tutte irreali e che le pratiche magiche siano tutte destinate all'insuccesso" (E. De Martino, Il Mondo Magico, Bollati Boringhieri, p. 9).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Perciò, quando si trattano certi temi, bisogna riuscire a compiere lo sforzo logico di mettere in dubbio "l'ovvio presupposto" della irrealtà del mondo invisibile. Il che non vuol dire nemmeno sposarne acriticamente la veridicità, ma analizzare le teorie e le pratiche che lo vedono coinvolto evitando lo sguardo di superiorità tipico della civiltà presente, che bolla tutto ciò che esula dal pensiero materialista come una superstizione superata.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Durante i lunghi anni di letture, ho constatato che questa spaccatura risulta essere ancor più marcata quando si tratta del pensiero magico. La letteratura sul tema abbonda e, anzi, è difficile diramarsi nella miriade di scritti sul tema. Eppure, almeno negli ultimi duecento anni, questo vasto <i>corpus letterario</i> si è come polarizzato in due parti: da un lato, testi storici, critici, antropologici e accademici estremamente dettagliati che, tuttavia, mantengono sempre la visione "esterna", senza entrare nel dettaglio della pratica magica per paura di mettere in discussione "l'ovvio presupposto" di cui parla De Martino; e, dall'altro, testi esclusivamente pratici, ora di alta ora di bassa magia, che si limitano a descrivere la pratica senza tuttavia la cognizione storico-critica tipica degli studi accademici che, lungi da essere un vezzo da studioso, risultano fondamentali per mantenere lontana la superstizione e tenere vivo lo spirito critico. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i></i></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><i><a href="https://1.bp.blogspot.com/-RfYwSmdHt-o/YIVLm0UK8_I/AAAAAAAABwc/8_xdXJ5ZuhsslsI9m0kGKnw7SIyA5s9pwCLcBGAsYHQ/s2048/storia%2Be%2Bpratica%2Bdelle%2Barti%2Bmagiche%2B2.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-RfYwSmdHt-o/YIVLm0UK8_I/AAAAAAAABwc/8_xdXJ5ZuhsslsI9m0kGKnw7SIyA5s9pwCLcBGAsYHQ/w300-h400/storia%2Be%2Bpratica%2Bdelle%2Barti%2Bmagiche%2B2.jpg" width="300" /></a></i></span></div><span style="font-family: verdana;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-style: italic;"><br /></span></div><i><div style="text-align: justify;"><i>Storia e pratica delle arti magiche</i> nasce con l'intento di cercare di colmare questa spaccatura. Il libro non vuole essere né solo un trattato storico né solo un testo pratico, ma superando la dicotomia delle due polarità, ho cercato di descrivere l'evoluzione storica della magia con la consapevolezza che essa sia inseparabile dallo studio e dalla comprensione della pratica. Fin dalle sue prime apparizioni, infatti, la magia si contraddistingue da altre forme di "conoscenza dell'invisibile" per il suo essere una "scienza pratica dell'invisibile" e comprenderne lo sviluppo storico significa, necessariamente, studiarne tanto la teoria quanto l'insieme di riti e pratiche che tramandate ed evolutesi dal mondo primitivo a oggi.</div></i></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nel testo, dunque, analizzo le principali "fasi" dello sviluppo della magia in occidente, rintracciando il filo rosso che lega lo sciamanesimo, la teurgia e la goezia greca e romana, la magia medievale e rinascimentale e lo sviluppo della Magia Salomonica, fino ad arrivare alle forme di magia moderna e contemporanea dei circoli massonico/iniziatici, di Mesmer, Levi, della Teosofia, della Golden Dawn, della Wicca e della Chaos Magick. </span><span style="font-family: verdana;">In questa analisi, ho cercato di mostrare come la magia non sia stata un semplice "corpo estraneo" nello sviluppo del pensiero occidentale ma, anzi, uno dei motori che, in un costante rapporto dialettico con la religione, con la teologia e con la filosofia, ne ha contribuito allo sviluppo - tanto filosofico quanto artistico, culturale e perfino scientifico, spesso facendo da collante tra l'alta cultura colta e la bassa cultura popolare. E, soprattutto, ho cercato di illustrare come, a fronte di una molteplicità di percorsi, vi siano sempre stati dei punti fermi che hanno contribuito allo sviluppo del pensiero magico che, lungi dall'essere un pensiero grezzo, superstizioso e primitivo, si è manifestato come un sofisticato sistema culturale il cui fine era quello di "cartografare" il mondo invisibile per conoscerlo, comprenderne le forze e capire come influenzarle.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/--RMfP-hqd30/YIVLukUcjSI/AAAAAAAABwk/OXZAgTjoyVAqxGAQuw67IfEO2DxrBPNdACLcBGAsYHQ/s2048/storia%2Be%2Bpratica%2Bdelle%2Barti%2Bmagiche%2B1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/--RMfP-hqd30/YIVLukUcjSI/AAAAAAAABwk/OXZAgTjoyVAqxGAQuw67IfEO2DxrBPNdACLcBGAsYHQ/w300-h400/storia%2Be%2Bpratica%2Bdelle%2Barti%2Bmagiche%2B1.jpg" width="300" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In particolare, a fronte delle molteplici prospettive, i punti cardine del pensiero magico, che ritornano in ogni secolo, sono:</span></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">1) L'idea dell'esistenza di un "lato nascosto delle cose"</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">2) L'idea che questo mondo invisibile si compenetri con la realtà visibile</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">3) L'idea che tale compenetrazione sia possibile poiché materia, tempo e spazio non sono forme immobili, ma fluide, affini alla natura spirituale del mondo invisibile e soltanto più "densi" di essa</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">5) L'idea che sia possibile sviluppare dei sensi sottili per vedere e conoscere la realtà sottile</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">5) L'idea che l'universo invisibile sia strutturato come una ragnatela, intrinsecamente connessa in ogni sua parte</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">6) L'idea che il lato nascosto delle cose, oltre a essere percorso da "forze intangibili", simili alle forze elementali della natura, sia popolato da altre forme di intelligenza</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">7) L'idea che la conoscenza di tale ragnatela di connessioni permetta al mago di influenzarne la vibrazione, agendo così "a distanza" su ogni parte di essa</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">8) L'idea che sia possibile entrare in contatto anche con le intelligenze, o entità, che popolano il mondo invisibile</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">9) L'idea che l'intero macrocosmo magico sia strutturato gerarchicamente e che tale gerarchia si manifesti attraverso i fili della ragnatela che collegano ogni parte</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">10) L'idea che l'uomo sia un "punto d'incontro", un crocicchio in cui si intersecano mondo invisibile e mondo visibile, e che nella sua anima siano nascosti poteri latenti che la conoscenza, il rito e la pratica magica possono portare alla luce per riconnetterlo al reame nascosto. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In </span><i style="font-family: verdana;">Storia e pratica delle arti magiche</i><span style="font-family: verdana;"> vado dunque ad analizzare come, nei diversi secoli, il pensiero magico abbia sviluppato questi principi e come, a partire da essi, abbia sviluppato concezioni estremamente sofisticate del tempo, dello spazio, della coscienza umana, del ruolo dell'uomo nell'universo, dell'esistenza di realtà parallele e di intelligenze ed entità cosmiche, portando il pensiero umano ai confini della conoscenza e costringendolo così a infrangere le barriere logiche e razionali che, spesso, lo ingabbiano nell'accettare la realtà così come gli si presenta, senza nemmeno sospettare che, citando Girolamo Cardano "</span><i style="font-family: verdana;">la più grande parte di ciò che conosciamo corrisponde alla più piccola parte di ciò che ignoriamo</i><span style="font-family: verdana;">" (Girolamo Cardano, Il Libro dei Segreti, Mimesis Edizioni).</span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Per chi volesse gettare un primo sguardo all'interno del testo allego, sotto, l'indice del libro:</span></p><h4 id="prodIndex" style="box-sizing: border-box; line-height: 1.2; margin-bottom: 5px; margin-top: 25px; padding-bottom: 5px;"><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: #fff2cc; font-size: medium; font-weight: normal;"><span face=""Helvetica Neue", Helvetica, Arial, sans-serif" style="color: #333333;">I</span><span style="font-family: verdana;">ndice</span></span></div><span style="background-color: #fff2cc; font-family: verdana; font-size: medium; font-weight: normal;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><br />Capitolo I<br />Per un nuovo mattino dei maghi<br /><br />Capitolo II<br />Teoria e pratica della magia<br />L'essenza della magia<br />L'essenza del mago<br /><br />Capitolo III<br />Oltre il velo della materia<br />Lo sciamanesimo: la via del sogno e dell'estasi<br /><br />Capitolo IV<br />Spazio sacro e tempo sacro<br />La circoscrizione dello spazio sacro<br />Il fluire del tempo<br />Flusso delle stagioni, solstizi, equinozi<br />Le sfere celesti e lo zodiaco<br />Le ore e i giorni magici<br />Le energie planetarie<br /><br />Capitolo V<br />Le entità del mondo invisibile<br />La catena occulta dell'essere<br />Anime dei morti<br />Spiriti di Natura<br />Angeli e Demoni<br />Il Dio/Uno<br />L'uomo: microcosmo e macrocosmo<br /><br />Capitolo VI<br />L'esercizio dello magia: le pratiche di potere<br />L'evoluzione della pratica magica<br />Gli strumenti del mago<br />Ligature, incantesimi e linguaggio magico<br />Le pratiche di Goezia<br />Le defixiones<br />I simulacri di cera e argilla<br />Il Sabba<br />Le evocazioni demoniache<br />Le pratiche di Teurgia<br />Teurgia onirica<br />Dèi e Spiriti Planetari<br />Le invocazioni angeliche<br />I Talismani<br /><br />Capitolo VII<br />La magia moderna e contemporanea<br />La magia e le nuove divinità planetarie<br />Il potere magico della Volontà e del Pensiero<br />Franz Anton Mesmer, Eliphas Levi e il potere della Volontà<br />Gli Eggregori o Forme Pensiero<br />Lo sviluppo dei poteri psichici: Charles Leadbeater e Franz Bardon<br />William Atkinson e le tecniche di autosuggestione<br />Il mondo magico della Golden Dawn<br />Il magico potere della letteratura<br />La resurrezione del Dio Pan<br />Il contatto con le entità cosmiche<br />Blackwood, Crowley, Dion Fortune e le tecniche di autodifesa magica<br />Prospettive contemporanee<br />La Wicca<br />La Chaos Magick<br /><div style="text-align: justify;">Epilogo: La scomparsa del mondo invisibile</div></span></h4><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Storia e pratica delle arti magiche, Daniele Palmieri, Libraio Editore</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-76868894738468561492021-03-23T20:25:00.003+01:002021-03-24T00:32:44.703+01:00Il fascino del libro proibito: grimori e testi magici nel XVI secolo<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-npFFOpmcf2w/YFo3om6mo0I/AAAAAAAABvI/5k2OIN2B6JINYoTa2ryiUu-CdKsMKEuDQCLcBGAsYHQ/s2048/Dragon_devouring_a_lizard%252C_from_Cyprianus%252C_18th_C_Wellcome_L0036628.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1445" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-npFFOpmcf2w/YFo3om6mo0I/AAAAAAAABvI/5k2OIN2B6JINYoTa2ryiUu-CdKsMKEuDQCLcBGAsYHQ/w283-h400/Dragon_devouring_a_lizard%252C_from_Cyprianus%252C_18th_C_Wellcome_L0036628.jpg" width="283" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br /><div style="text-align: justify;">A circa un mese di distanza dalla pubblicazione dei primi due approfondimenti sulla realtà che si nasconde dietro la narrazione de <i>Il gatto, il mago e l'inquisitore</i> (mio ultimo romanzo uscito a Gennaio per Magazzini Salani), continuo ora la serie con un approfondimento su uno degli aspetti più importanti del romanzo: i libri di magia.</div></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">A più riprese, nel libro, Agrippa e Asmodeo si trovano a citare o a ricercare alcuni libri magici attribuiti a Salomone:<i> La Chiave di Salomone, il Lemegeton, l'Ars Notoria, l'Ars Paulina, il Testamento di Salomone</i>. Tutti i testi citati sono reali e figurano tra i libri di magia più diffusi e ricercati nel XVI secolo, da ogni fascia della società: studiosi, bibliofili, maghi, streghe, stregoni ma anche frati, preti, inquisitori e perfino mercanti, contadini, villici e analfabeti. Nessuno era immune dal "vizio" della magia e i cosiddetti libri proibiti esercitavano un fascino irresistibile, anche a fronte degli innumerevoli rischi che si correva nel possederli. Paradossalmente, è proprio il secolo dell'inasprirsi delle persecuzioni inquisitoriali a coincidere con la massima diffusione di questo tipo di testi. La cosa non deve sorprendere - l'inquisizione aveva creato un circolo vizioso per il quale un libro diveniva ancor più ricercato proprio poiché proibito. Come scrive Federico Barbierato nel saggio <i>Nella stanza dei circoli</i>, dedicato alla diffusione dei manoscritti magici nel mondo occidentale, l'edizione aggiornata dell'Indice dei Libri Proibiti era attesa non soltanto dagli inquisitori, ma soprattutto dai librai consapevoli che i nuovi testi messi all'indice sarebbero stati quelli più richiesti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">D'altro canto, il XVI secolo è l'epoca in cui l'oggetto libro vive un momento di rinnovato splendore. E' in quest'epoca che iniziano a diffondersi le nuove tecnologie legate ai processi di stampa e, soprattutto, è in questo secolo che, grazie all'opera avveniristica di Aldo Manuzio, editore e stampatore veneziano, il libro assume la veste grafica e il formato con cui lo conosciamo oggi. E' infatti abbandonando i grandi manoscritti tipici della cultura medievale che Aldo Manuzio "inventa" il libro "portatile", antenato dei moderni tascabili, stimolando l'intera produzione europea a muoversi in questa direzione e rivoluzionando il desiderio di bibliofili, lettori e collezionisti, trasformando il libro in un vero e proprio oggetto di culto.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il mercato dei libri magici non è immune a questo rinnovato interesse - benché esso, per una serie di proibizioni religiose e politiche, rimarrà per secoli relegato alla diffusione manoscritta. Non era vietato soltanto il possesso dei libri proibiti, ma anche la loro produzione a mezzo stampa - e gravi pene spettavano alle stamperie ree di aver prodotto libri proibiti. Tuttavia, questo divieto non fermerà la diffusione dei libri magici ma, anzi, stimolerà la fantasia e la creatività tanto dei librai quanto dei lettori, creando un vero e proprio mercato parallelo, ricco di espedienti geniali e creativi. Come racconta Federico Barbierato, spesso i libri proibiti venivano nascosti all'interno di altri testi, cambiando copertina, frontespizio e le prime e ultime pagine del testo (quelle più controllate da inquisitori e doganieri). Alcune librerie mettevano a disposizione a pochi, fedeli, lettori, la possibilità di ricopiare - previo pagamento - i manoscritti magici in loro possesso. I lettori potevano anche scegliere di ricopiare esclusivamente le parti a cui erano interessati, per ridurre le spese, e proprio questa forma di diffusione manoscritta diede vita a una molteplicità di testi magici che circolavano su tutto il territorio europeo, spesso anche all'interno di Monasteri, Chiese, Chiostri e Università. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ogni manoscritto era come un seme, che cresceva creando un reticolo di tronchi, radici e rami ad ogni nuova ricopiatura. Nuovi libri nascevano anche dalla fusione di differenti manoscritti. La possibilità di poter ricopiare soltanto una parte del testo dipendeva dal carattere stesso dei manoscritti magici e del loro contenuto di formule, riti, scongiuri, evocazioni, invocazioni volte alle più disparate finalità. Ciascun lettore si trovava a ricopiare, da più testi differenti, soltanto le parti a lui più funzionali. Nacquero così i cosiddetti "grimori", manoscritti magici, redatti dagli stessi studiosi di arti magiche, contenenti le formule e i riti scelti, scoperti e sperimentati dal mago. In questi scritti convivono due esigenze fondamentali: l'esigenza di descrivere, nel minimo dettaglio, ogni fase, elemento e componente del rituale, e la necessità di essere sintetici sia per moderare i costi, sia perché il grimorio doveva essere piccolo, portatile, tascabile, facilmente nascondibile. Spesso il grimorio stesso diventava un oggetto magico, come testimoniano numerosi processi inquisitoriali (si veda ad esempio il libro <i>Streghe, maghi e sortileghi in terra d'Abruzzo</i>, di Romano Canosa e Isabella Colonnello) in cui gli inquisiti erano stati trovati in possesso di piccoli libri o pergamene, contenenti orazioni, preghiere e scongiuri, portati addosso (al collo o in tasca) come veri e propri talismani. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">D'altronde, ne <i>La Chiave di Salomone</i> il grimorio viene descritto come uno degli strumenti più potenti del mago e la sua stessa produzione diviene un vero e proprio rituale magico. "<i>Fai un piccolo Libro</i>" si legge nel testo "<i>che contenga le Orazioni e le Preghiere per tutte le Esperienze, i Nomi degli Angeli in forma di Litanie e i loro Sigilli e Caratteri. Fattolo, consacralo a Dio e agli Spiriti puri nel modo seguente. In luogo acconcio, disporrai un tavolo coperto d'un drappo di seta fine, sul quale disporrai il Libro aperto alla prima pagina, su cui avrai tracciato il Grande Pentacolo; e dopo aver accesa una lampada che sospenderai sul centro del tavolo anzidetto, circonderai il tavolo con una cortina bianca, come una tenda. Indosserai i sacri paramenti e, genuflesso, reciterai sul Libro, con grande umiltà, la seguente Orazione: ADONAI, ELOHIM, EL, EHEIEH ASHER EHEIEH, Principe dei Principi, Esistenza delle Esistenze, abbi pietà di me: volgi gli occhi al Tuo servo che Ti invoca devotissimamente e Ti supplica per il Tuo Santo e Tremendo Nome TETRAGRAMMATON perché Tu gli sia propizio e ordini ai Tuoi Angeli e Spiriti delle Stelle, o voi Angeli e Spiriti Elementali, o voi Spiriti presenti di fronte al Volto di Dio, io, Ministro e servo fedele dell'Altissimo vi invoco: che Dio stesso, Esistenza delle Esistenze, vi convochi in questo luogo a presenziare a questa operazione che io, con grande umiltà, ho intrapreso. Amen. Dopo di ciò, effonderai incenso dell'aroma appropriato al Giorno e all'ora del Pianeta. E richiuderai il Libro sul tavolo [...] badando che la lampada sia sempre accesa durante tutta l'operazione e chiuderai la cortina. Ripeterai il rito per sette giorni</i>" (<i>La Chiave di Salomone</i>, a cura di Sebastiano Fusco, Venexia, pp. 217-218).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-rqnANvYPqQ8/YFo3-JDiKOI/AAAAAAAABvQ/sQix_ZmP_CAiuIGDw9UMItv-Ey-g1Ws0ACLcBGAsYHQ/s700/Clavicula_Salomonis_BL_Oriental_14759_35a.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="671" data-original-width="700" src="https://1.bp.blogspot.com/-rqnANvYPqQ8/YFo3-JDiKOI/AAAAAAAABvQ/sQix_ZmP_CAiuIGDw9UMItv-Ey-g1Ws0ACLcBGAsYHQ/s320/Clavicula_Salomonis_BL_Oriental_14759_35a.jpg" width="320" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br /><div style="text-align: justify;">A fronte di questa consacrazione, il grimorio diviene per il mago un vero e proprio strumento teurgico e uno strumento cerimoniale di fondamentale importanza, alla stregua della spada, della bacchetta o del pugnale, che deve sempre accompagnare il praticante durante i suoi riti. Da ciò il fascino esercitato dai libri di magia che, presto, vengono ritenuti fonte di potere non solo per le informazioni in essi contenute, ma per le virtù magiche intrinseche all'oggetto in sé.</div></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come accennato in precedenza, questa "generazione spontanea" di manoscritti trascritti a partire da altri libri porterà a un corpus magico molto variegato, spesso contraddittorio, un vero e proprio incubo per i filologi ma allo stesso tempo un inno alla creatività umana. Tuttavia, alcuni testi erano ritenuti così importanti che, a fronte delle numerose variazioni, furono però tramandati e trascritti con una certa omogeneità. Da qui i testi magici più importanti della tradizione occidentale come La Chiave di Salomone, contenente la descrizione dell'armamentario del mago e dei riti per consacrarlo, nonché le immagini dei sigilli planetari; il Lemegeton, affascinante quanto tenebroso manoscritti magico contenente i nomi e i sigilli dei 72 demoni infernali; l'Ars Notoria, affine al Lemegeton, ma contenente anche i nomi e i sigilli degli Angeli; l'Ars Paulina e l'Artem Novem, i testi più ricercati dagli studenti, che contengono una serie di sigilli e orazioni per amplificare le proprie conoscenze di materie all'epoca universitarie come Matematica, Retorica, Geometria etc.; il Sesto e il Settimo libro di Mosé, trattato contenente i nomi e i sigilli degli Spiriti Elementali, nonché uno dei pochi manoscritti magici attribuiti a Mosé e non al più inflazionato Salomone; La magia sacra di Abramelin il Mago, testo di tradizione cabalistica; l'Arbatel, una delle più profonde testimonianze della magia cristiana, legato al potere dei Sette Spiriti Planetari.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-VW1XKqNOUrc/YFo4nKfW0LI/AAAAAAAABvc/vlrLI-PxDYsM0Vttf5RXPlucc_LMVbYagCLcBGAsYHQ/s369/osl_henrici-cornelii-agrippae_folioA279o1533_0004.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="369" data-original-width="207" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-VW1XKqNOUrc/YFo4nKfW0LI/AAAAAAAABvc/vlrLI-PxDYsM0Vttf5RXPlucc_LMVbYagCLcBGAsYHQ/w225-h400/osl_henrici-cornelii-agrippae_folioA279o1533_0004.jpg" width="225" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br /><div style="text-align: justify;">Molti di questi testi passarono tra le mani dello stesso Agrippa e furono la fonte del suo <i>De Occulta Philosophia</i>, testo che potremmo in parte considerare come il grimorio personale di Agrippa ma che, a differenza di altri grimori, possiede anche un contenuto filosofico, teologico ed esoterico molto più profondo. Il <i>De Occulta Philosophia</i> fu un testo rivoluzionario nella vasta produzione letteraria di testi magici; Agrippa, infatti, non solo ebbe il coraggio di uscire dalla produzione manoscritta clandestina, dando il libro alle stampe anche a rischio di incorrere nell'ira dell'inquisizione (rischio poi concretizzato) ma, per la prima volta, compendiò le conoscenze magiche dall'antichità alla sua epoca in uno scritto unico e coerente, dando dignità filosofica alla produzione disomogenea di scritti magici. </div></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">A differenza dei classici grimori, infatti, il De Occulta Philosophia possiede un impianto estremamente logico e filosofico. Non è una semplice miscellanea di conoscenze, ma un trattato che descrive un percorso iniziatico all'interno dell'arte magica che parte dalla magia naturale, legata agli elementi e al mondo terreno (primo libro), passa per la magia celeste, legata agli influssi astrologici dei pianeti e delle stelle fisse (secondo libro) e approda alla magia cerimoniale, legata alle entità mediane tra uomo e divino (terzo libro). Il tutto inserito in una cornice di pensiero che attinge alla filosofia neoplatonica, alla cabala, alla mistica cristiana ma anche al pensiero arabo/musulmano, a dimostrazione della vastità di conoscenze ma anche ampie vedute di pensiero di Agrippa.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il grande impatto del testo all'interno del mondo magico è testimoniato dal fatto che, presto, il nome di Agrippa verrà legato, come quello di Salomone, a una serie di grimori apocrifi ispirati alla sua opera, già a pochi anni dalla sua scomparsa, nel 1535. E' già Wier, ad esempio, suo più grande e affezionato discepolo, a lamentarsi del fatto che i librai vendevano i tre libri della De Occulta Philosophia insieme a un presunto "quarto libro", attribuito ad Agrippa, ma in realtà redatto da qualche imitatore sull'onda del successo del mago tedesco.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">A conclusione di questo lungo articolo, vorrei porre l'attenzione su un particolare spesso dimenticato della storia del libro. Spesso, quando si pensa ai libri proibiti e alla loro storia travagliata, vengono subito in mente i grandi roghi, i divieti, le proibizioni e le censure. Eppure, per una volta vorrei soffermarmi sul fatto che l'ampia varietà di libri proibiti giunti fino a noi dai secoli passati dimostra come le fiamme dell'inquisizioni e le forbici dei censori non furono mai in grado di fermare la curiosità del lettori e, a conti fatti, si sono dimostrate più numerose le persone volenterose di leggere e diffondere un libro, piuttosto che di bruciarlo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Immagini: Libro di San Cipriano, Wikimedia Commons</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">De Occulta Philosophia, Internet Archive</span></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-83225236841157789832021-03-14T17:32:00.001+01:002021-03-14T17:34:59.794+01:00Marco Maculotti: Carcosa svelata. Esoterismo, filosofia e folklore in True Detective<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-w8CxUH3T8QI/YE44172VeXI/AAAAAAAABuc/MIgddGFtlawAvv4iJYzGgCQk3LxIzShzACLcBGAsYHQ/s637/carcosa%2Bsvelata.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="637" data-original-width="421" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-w8CxUH3T8QI/YE44172VeXI/AAAAAAAABuc/MIgddGFtlawAvv4iJYzGgCQk3LxIzShzACLcBGAsYHQ/w264-h400/carcosa%2Bsvelata.jpg" width="264" /></a></div><br />Sono ormai passati 7 anni dalla data di uscita della prima stagione di True Detective, serie antologica ideata e creata da Nic Pizzolato, scrittore e sceneggiatore americano. Negli ultimi anni, con il boom della serialità televisiva, alcune opere sono state in grado di sfruttare a pieno le potenzialità di questo mezzo espressivo che, rispetto alla durata ristretta del film, permette di approfondire in maniera più dettagliata la vita e la psicologia dei personaggi, oltre a creare un universo narrativo decisamente più grande e complesso. A distanza di sette anni, reputo la prima stagione di True Detective non solo una delle serie tv, ma soprattutto una delle opere artistiche più profonde del XXI secolo. In essa Pizzolato è riuscito a fondere gli archetipi, la mistica e il folklore dei tempi antichi con la filosofia, il pessimismo e la civiltà del mondo contemporaneo, regalando così allo spettatore una storia che, pur essendo ambientata ai giorni nostri, è in grado di situarsi al di là del tempo e dello spazio, parlando alla parte dell'anima svincolata dal divenire storico - caratteristica dei più grandi classici. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Anche chi è a digiuno di studi esoterici, religiosi e folklorici avrà colto i numerosi simbolismi, alcuni palesi e altri più nascosti, dietro alla prima stagione di True Detective; per chi volesse approfondire la questione, è finalmente uscito, in Italia, con le edizioni Mimesis, un libro che riesce a rendere merito alla profondità dell'opera di Pizzolato, con un'analisi critica altrettanto complessa: <i>Carcosa svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective</i> di Marco Maculotti, fondatore e rettore della rivista online Axis Mundi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In <i>Carcosa svelata</i>, Marco Maculotti analizza le molteplici fonti a cui Nic Pizzolato ha attinto per creare l'universo narrativo e i protagonisti di True Detective, dal legame con analoghi casi di attualità, passando per il simbolismo panico, arcaico e sciamanico che pervade l'intera opera fino ad arrivare alla filosofia di Cioran, Ligotti, Nietzsche e alla letteratura di Lovecraft, Chambers e Machen di cui l'opera è imbevuta. Se già a una prima visione della serie non si può che rimanere toccati dalla profondità della storia, una volta approfondite le molteplici radici che ne hanno permesso lo sviluppo non si può che rimanere meravigliati dal modo in cui Pizzolato è riuscito a dar vita a così tante suggestioni. Ilrisultato è la consapevolezza di trovarsi di fronte a un'opera unica nel suo genere, il cui potere, come scrive Maculotti, risiede più nel non detto che in ciò che è esplicito, e nello "sfruttare più le atmosfere create e i simbolismi sapientemente velati che non quello che accade effettivamente, a livello di azione, nei suoi frangenti narrativi" (Marco Maculotti, <i>Carcosa Svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective</i>, Mimesis, p. 13).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La trama di base della storia è semplice; come, d'altronde, è semplice l'intreccio di ogni storia archetipica. Due detective, Rustin "Rust" Cohle (interpretato da un superbo Matthew MacConaughey) e Martin Hart (un altrettanto bravo Woody Harrelson) si trovano a indagare su una serie di omicidi rituali nelle atmosfere sinistre, degradate e decadenti della Louisiana; le loro indagini, a fronte dei numerosi tentativi di depistaggio, porteranno alla luce una setta, la cosiddetta "Setta della Palude", dedita a sacrifici rituali, atti di pedofilia e infanticidio, e cerimonie blasfeme del tutto affini al "Sabba" delle streghe, riuniti attorno al culto di una figura misteriosa, perturbante ed enigmatica chiamata Il Re Giallo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Se la trama di per sé è abbastanza lineare, intricata è invece la narrazione. La perenne ricerca dei due detective avviene su due piani temporali distinti, il 1995 e il 2012, e a dar voce alla narrazione sono i due protagonisti della storia, con le loro differenti prospettive, Rust e Martin appunto, interrogati da due agenti di polizia che a loro volta si trovano a dover indagare su un caso che si pensava essere risolto. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come sottolinea Maculotti, la potenza della storia risiede nell'attingere all'immaginario collettivo sia dei simboli sia delle paure archetipiche dell'uomo, senza però mai cadere nel grottesco e nel banale proprio per la capacità di Pizzolato - affine a quella di Lovecraft e di altri maestri del gotico - di non mettere mai in mostra direttamente l'orrore, ma di celarlo e alludere a esso, rendendolo così ancora più inquietante.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Non potendo analizzare nell'articolo tutte le sfumature e i punti di forza di True Detective, nonché le numerose fonti che Maculotti riporta alla luce, ci focalizzeremo sui due protagonisti principali e sul simbolismo a essi correlato: Errol Childress (Glenn Fleshler) e Rust Cohle. Prima di iniziare la trattazione, si avvisa il lettore che le righe successive saranno ricche di spoiler sui dettagli principali della trama.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Errol Childress rappresenta "L'Orco" della storia - benché egli non sia l'unico "cattivo", come sottolinea Maculotti, egli incarna su di sé tutte le caratteristiche più nefaste del villain ma anche un simbolismo arcaico e panico, che lo riveste di una potente carica simbolica. E' probabile che egli non fosse realmente a capo della Setta della Palude, le cui influenze, come si intuisce nel corso della narrazione, si estendono fino ad alte cariche dello stato, della finanza e della chiesa; eppure, la sua inquietante "Carcosa", casa diroccata, abbandonata nel bosco, in mezzo a rovine di un antico forte forse di natura militare, che egli ha tramutato in un labirinto simile a quello di Cnosso, assume tutti gli aspetti di un templio fatto di "vecchie pietre nel bosco" in cui i membri si ritrovavano a "venerare il demonio" e la sua figura assurge a quella di ierofante, iniziatore e custode. Basti pensare ai minuti da brividi dell'ultima puntata della stagione, in cui Rust viene letteralmente guidato all'interno del templio/labirinto dalla voce profonda, inquietante, misteriosa ma anche affascinante (nel senso magico del termine) di Childress, fino ad arrivare al centro di esso, dove, di fronte all'idolo/fantoccio del Re Giallo avrà una vera e propria visione cosmica, preliminare allo scontro con lo stesso Childress - che assume tutti gli aspetti di una battaglia tra Teseo e il Minotauro. Benché, dunque, Childress sia uno spostato, psicopatico, senza alcuna influenza politica e sociale, egli tuttavia viene elevato a figura di spicco della Setta della Palude proprio in virtù della potente carica simbolica che egli emana e dal fatto che egli si trova ai margini della società - e dunque a stretto contatto con le forze primordiali, oscure e misteriose dell'essere.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Scrive Maculotti in Carcosa Svelata: "Il primo aspetto di interesse da menzionare riguardo a Childress è la notevole somiglianza che si può riscontrare tra il suo identikit e la simbologia tradizionale del Green Man, figura leggendaria della tradizione europea personificante la forza del potere germogliante vegetale e della natura selvaggia e panica. L'identikit di Childress lo ritrae esattamente come una copia funzionale di queste figure del mito e del folklore: orecchie verdi e foglie ne decorano il viso [...]. Tutto il suo volto appare come trasfigurato da una sorta di cascata vegetale, fiori o frutti sembrano ornare il suo capo, in ciò denotando anche una certa impronta dionisiaca [...]. L'aspetto fisico di Childress lo ricollega anche allo stereotipo morfologico dell'Uomo Selvatico" </span><span style="font-family: verdana;">(Marco Maculotti, </span><i style="font-family: verdana;">Carcosa Svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective</i><span style="font-family: verdana;">, Mimesis, pp. 44-45).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Per certi versi, Childress rappresenta lo specchio nero in cui Rust vede riflessa la sua ombra. Benché sia apparentemente semplice delineare, all'interno della narrazione, la linea che separa i "buoni" dai "cattivi", uno degli aspetti più affascinanti della serie è che nessun personaggio è esente da ombre - ciascuna delle quali ne caratterizza la profondità psicologica. Rust stesso ne è consapevole quando, a un certo punto, dice a Hart che loro non sono altro che cattivi assoldati per fermare persone più cattive di loro. La perenne ricerca dell'Orco, nel corso dei 17 anni di indagine, diviene una metafora del continuo tentativo, da parte di Rust, di comprendere quella parte oscura, malefica e ctonia che si nasconde tanto nell'anima quanto nel cosmo. Mentre Hart rappresenta l'aiutante "sempliciotto" - ma non per questo inattaccabile dal medesimo male - che cerca di dominare o nascondere questa oscurità, Rust la persegue per lunghi anni di ricerca - per lui diviene una vera e propria ossessione che, proprio perché lucida e consapevole, lo porterà a essere emarginato sia dalla società sia dai suoi affetti. Egli ne è talmente affascinato che, nella parte centrale della storia, inizia a sorgere il dubbio, nello spettatore, che il tutto si risolverà con lo scontato colpo di scena - suggerito peraltro dai due detective che si trovano a indagare sui protagonisti - per il quale tutte le indagini siano state depistata da Rust, vero responsabili degli orrendi crimini che lo circondano. Alla fine, per fortuna, il cliché non viene seguito da Pizzolato, la cui genialità narrativa è tale da rendere il "mancato colpo di scena" il vero colpo di scena, poiché la realtà dietro il fascino morboso che Rust prova nei confronti dell'indagine è ancora più profonda. Come ben analizza Marco Maculotti in Carcosa Svelata, benché Rust si professi costantemente ateo, razionalista e realista/pessimista, egli è il personaggio più mistico e spirituale all'interno della storia. Il suo razionalismo, infatti, è molto simile al pessimismo di Cioran, una sorta di pessimismo spirituale che, da un lato, nega l'idea di una provvidenza e una sopravvivenza ultraterrena, così come critica ogni forma di dogmatismo religioso spicciolo e superficiale, ma dall'altro non trova alcuna consolazione nel mondo, il quale anzi suscita una volontà di voler fuggire da esso, come se non fosse altro che un'immensa trappola da cui però, una volta negata la possibilità di un'esistenza metafisica, sembra non esservi alcuna via di uscita. Da qui il sentimento costante, più spesso citato nei "sermoni" di Rust, di essere schiacciati dall'immensa macchina del Tempo, un mostro divoratore dei suoi figli, come Crono. "Il Tempo è un cerchio piatto" dice Rust in uno dei momenti più alti della narrazione "tutto quello che facciamo lo rifaremo ancora, e ancora, e ancora, per sempre"; e, ancora, in un altro passo: "La nostra vita si ripropone ciclicamente come dei kart su una pista. Tutto quello che è al di li fuori della nostra dimensione è eternità. L'eternità ci osserva dall'alto. Ora per noi è una sfera, ma per loro è un cerchio. Nell'eternità dove il tempo non esiste, niente può crescere, niente può divenire, niente cambia. Quindi la morte ha creato il tempo per far crescere le cose che lei ucciderà e ognuno poi rinasce ma sempre nella stessa vita in cui è vissuto in precedenza. Nessuno è in grado di ricordare la propria vita. Nessuno può cambiare la propria vita e questo è il terribile segreto della vita stessa. Siamo in trappola, come in incubo, dal quale continuiamo a svegliaci". </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il suo pensiero, la sua concezione del tempo e dello spazio, lo rendono affine agli gnostici o ai contemplativi della cosiddetta "mistica tenebra", ma questa sua evoluzione spirituale è strettamente legata alla sua indagine e al suo studio, seppur dall'esterno, della Setta della Palude. Egli, nella storia, sembra assumere i tratti e le caratteristiche dello sciamano che, per conoscere la realtà, entra in contatto con tutto ciò che la società considera tabù, divenendo egli stesso un "tabù" per gli altri, per poi scendere nel regno degli inferi, non per unirsi con esso, ma per ricercare la luce nella tenebra. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Rust si sente ingabbiato nella sua esistenza terrena, cerca una via di fuga dal degrado e dal male del mondo; eppure, è come se entrando in contatto con il Male della Setta della Palude abbia scorto, per un attimo, l'esistenza di uno squarcio verso l'eternità - che passa proprio attraverso la comprensione del Male Metafisico della setta.,</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il confronto a distanza tra Rust e Childress, con il quale peraltro egli entra in contatto solo due volte nel corso della storia - e solo nella seconda, alla fine della puntata, con la consapevolezza della sua reale identità - assume tutti gli aspetti del rapporto tra il mistico e il "Dio Ignoto". Non a caso, sempre nella scena iniziatica del conflitto finale tra Rust e Childress, questi lo chiama "piccolo prete", e gli sussurra, da lontano, che <i>è un'esperienza terribile finire nelle mani del Dio Vivente</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Childress diviene dunque per Rust una figura ambivalente; da un lato è il suo guardiana della soglia, eterno nemico. Ma dall'altro, o forse proprio per questo, ne è anche lo psicopompo nel mondo infero, che, con la ferita quasi mortale che gli infligge, lo conduce nel mondo ctonio rivelandogli cosa si nasconde nell'al di là, al sussurro inquietante della frase: Take off your mask (citazione, tra l'altro, del Re Giallo di Chambers). "Questa rivelazione" scrive Maculotti "trova il suo compimento nella conclusiva ascesa da parte di Cohle al mondo atemporale: una volta risvegliatosi dal coma egli appare finalmente liberato, come se l'esperienza vissuta nell'Oltremondo cosmico ne abbia mutato il destino, liberandolo una volta per tutte dalle maledizioni croniche del mondo samsarico, in cui continua a vivere sebbene ontologicamente non ne faccia più parte, alla maniera dei risvegliati delle tradizioni orientali" </span><span style="font-family: verdana;">(Marco Maculotti, </span><i style="font-family: verdana;">Carcosa Svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective</i><span style="font-family: verdana;">, Mimesis, p. 184).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In conclusione, consiglio la lettura di <i>Carcosa Svelata</i> non solo a tutti coloro che desiderano comprendere il profondo simbolismo che si nasconde dietro la narrazione dell'opera di Pizzolato, ma anche a coloro che, pur non avendo visto la serie, desiderano un'ampia e dettagliata panoramica sulla filosofia pessimistica di autori come Cioran e Ligotti, sulla letteratura gotica e fantastica di Chambers, Lovecraft, Machen e Bierce, nonché sulla mitologia "oscura" a essa connessa che, dai culti arcaici del mondo greco, passando per la simbologia del sabba medievale e rinascimentale, è giunta fino a noi in alcuni inquietanti casi di cronaca nera e politica tanto del '900 quanto dell'epoca contemporanea. Menzione d'onore anche alle splendide illustrazioni originali di Marco Sabbatani che corredano l'opera.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Marco Maculotti, </span><i style="font-family: verdana;">Carcosa Svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective</i><span style="font-family: verdana;">, Mimesis.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-91096735412024777612021-03-09T15:42:00.005+01:002021-05-18T18:53:33.327+02:00Aivanhov: Le potenze del pensiero<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-IolZG4OJwkE/YEeI8JpEyGI/AAAAAAAABt4/QjQ47HlX7mU60_dwPbwlK11k0MijCySTgCLcBGAsYHQ/s800/roerich%2Bmohammed%2Bon%2Bmount%2Bhira.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="487" data-original-width="800" height="244" src="https://1.bp.blogspot.com/-IolZG4OJwkE/YEeI8JpEyGI/AAAAAAAABt4/QjQ47HlX7mU60_dwPbwlK11k0MijCySTgCLcBGAsYHQ/w400-h244/roerich%2Bmohammed%2Bon%2Bmount%2Bhira.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br />Omraan Mikhael Aivanhov è stato un filosofo e maestro spirituale bulgaro, fondatosi alla scuola degli insegnamenti di Peter Deunov, principale esponente dell'ermetismo cristiano dell'est Europa. </span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Aivanhov è stato un personaggio unico nel panorama esoterico novecentesco e può essere paragonato agli antichi filosofi greci itineranti, come Senofane o Diogene, poiché per tutto il corso della sua vita viaggiò per l'Europa per diffondere i suoi insegnamenti spirituali per via orale, senza mai scrivere nulla e lasciando ai suoi allievi il compito di stenografare il suo pensiero. In Italia è la casa editrice Prosveta a divulgare il ricco corpus di conferenze stenografate, raccolte in brevi ma densi libretti organizzati, un po' come le opere di Steiner, nelle principali aree tematiche di cui Aivanhov si occupò.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nel suo pensiero, il maestro spirituale bulgaro compie un grande sincretismo tra il cristianesimo evangelico, la cabala e l'esoterismo ebraico e gli insegnamenti orientali di stampo teosofico, senza tuttavia dimenticare gli insegnamenti diretti tratti dal "libro simbolico della natura" e, soprattutto, dalle sue esperienze spirituali. Ne consegue che, leggendo le sue opere stenografate, sembra di trovarsi di fronte al maestro in carne e ossa, simile a un predicatore che dalla vetta di una collina trasmette i suoi insegnamenti spirituali con sentimento, vigore, allusioni, metafore, parabole, nonché esempi e citazioni tratte dai Vangeli e dai grandi filosofi del passato</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il testo di cui ci occuperemo oggi è <i>Potenze del pensiero</i>, un piccolo gioiello in cui Aivanhov discute di uno dei temi principali dell'esoterismo e del pensiero spirituale del novecento: il potere della mente umana.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Devo dire la verità, pur essendomi avvicinato al libro con una certa curiosità, non nutrivo aspettative troppo alte. Non che sottovalutassi il pensiero di Aivanhov, ma credevo di trovarmi di fronte ai soliti insegnamenti teosofici rielaborati in chiave divulgativa. Forse, proprio a causa di queste basse aspettative, la lettura di <i>Potenze del pensiero </i>si è invece rivelata una piacevole scoperta e uno dei libri più originali in materia che, per certi aspetti, si discosta molto dagli scritti di autori classici in materia, già affrontati nel blog, come Leadbeater, Atkinson, Crowley e Franz Bardon.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Pur riconoscendo una grande potenzialità latente nelle facoltà psichiche umane, <i>Potenze del pensiero </i>dosa in maniera oculata la giusta dose di ottimismo e pessimismo nei confronti dell'essere umano e, soprattutto, critica fortemente gli aspetti più volgari e triviali dello sviluppo delle potenze psichiche a scopi meramente materialistici e utilitaristici. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il discorso di Aivanhov parte dalla presa di coscienza del fatto che il 90% dei pensieri prodotti quotidianamente dall'uomo non siano altro che rifiuti.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"Tutti pensano, ma come pensano?" si domanda Aivanhov e, con una sagace metafora, si risponde "Ci si avvicina a un mucchio di immondizie, lo si smuove e ne fuoriesce un odore nauseabondo. Ebbene, spesso le persone pensano proprio in questo modo: smuovono immondizie, facendone scaturire un tanfo pestilenziale! Tutti pensano, non esiste uomo che non pensi; perfino i pigri, che non fanno nulla, pensano, ma il loro pensiero fluttua come una foglia al vento. Molti pensano a come poter ingannare, scassinare o assassinare. Gli esseri umani si servono del loro pensiero giorno e notte, ma non sapendo come servirsene, esso non porterà loro granché; e non solo non porterà loro granché, ma inoltre servirà solo a tormentarli e distruggerli" </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">(Aivanhov, </span><i style="font-family: verdana; text-align: left;">Potenze del pensiero</i><span style="font-family: verdana; text-align: left;">, Prosveta, p. 53).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Le persone disperdono il loro grande potenziale energetico, dissolvendo il loro pensiero in preoccupazioni futili, viziose se non addirittura dannose per se stessi e per gli altri. L'uomo usa il suo pensiero come un musicista inesperto userebbe uno strumento pregiato, producendo un rumore fastidioso anziché una dolce melodia e vanificando, se non addirittura rovinando, la cura con cui lo strumento è stato creato. E il danno non cade soltanto sul singolo, ma sull'intera collettività, soprattutto in città e negli ambienti densamente popolati, dove si crea un circolo vizioso per il quale il soggetto sfoga sul prossimo le proprie frustrazioni e i propri cattivi pensieri, amplificando così la propria onda psichica negativa che, a sua volta, verrà diffusa dai suoi vicini, creando una psicosfera stagnante, simile a una palude. Citando un passo molto evocativo di Aivanhov:</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; text-align: left;">"I pensieri e i sentimenti impuri che gli esseri umani continuano a riversare intorno a sé trasformano l'atmosfera in un vero acquitrino. [...] Un luogo che nessuna acqua nuova viene mai a purificare, un luogo dove pullulano animaletti di ogni genere che lì trovano il proprio nutrimento; essi depositano i propri escrementi nella stessa acqua, cosicché gli uni assorbono i rifiuti degli altri. Ecco l'umanità: vermi, girini e rane in una palude, nell'atto di espellere le proprie immondizie e ingoiare quelle del vicino: la malattia, l'odio, la sensualità, la cattiveria, la gelosia, la cupidigia [...]. Lo si può sperimentare avvicinandosi a una città, dopo un soggiorno in montagna. Quando ci si è abituati alla purezza dei monti, dove vivono entità molto luminose, non si può non percepire, ridiscendendo, la presenza di tutte le nubi che gravano sopra una città. [...] Ci si lamenta sempre di più dell'inquinamento; gli scienziati sono in stato di allerta e scoprono che tutto è inquinato [...]. Anche nel mondo spirituale si propagano dei miasmi che stanno uccidendo l'umanità e se le persone fossero davvero sensibili, sentirebbero che l'atmosfera del mondo psichico è ancora più irrespirabile di quella del mondo fisico [...]. Si accusano le automobili, ma cosa rappresentano le automobili paragonate a cinque miliardi di creature ignoranti che non hanno mai imparato a controllare la propria vita interiore?" </span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">(Aivanhov, </span><i style="font-family: verdana; text-align: left;">Potenze del pensiero</i><span style="font-family: verdana; text-align: left;">, Prosveta, pp. 56-57).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; text-align: left;">Le stesse caratteristiche negative si ritrovano anche nel mondo spirituale, laddove la meditazione e la concentrazione del pensiero non vengono adoperati per elevarsi al di sopra di tale condizione, ma per sguazzare nel fango e accaparrarsi il maggior numero di rifiuti materiali. Aivanhov critica, non troppo velatamente, una certa tendenza del Nuovo Pensiero americano, confluito ai giorni nostri in molti testi di self-help e di Pensiero Positivo, che porta l'uomo ad adoperare i poteri psichici per attirare esclusivamente ricchezze o per sviluppare presunte facoltà paranormali da utilizzare nel dominio della materia. Questo meccanismo perverso non fa altro che creare ulteriore frustrazione; sia perché il potere del pensiero viene così ulteriormente dissipato verso interessi futili, sia perché, spesso, queste pratiche non portano alcun risultato e, anzi, sviano le persone in sentieri estremamente complessi quando, per ottenere ciò che desideravano, avrebbero potuto intraprendere strade più semplici e concrete. Citando un esempio ironico, ma molto profondo, di Aivanhov:</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"La natura ha stabilito delle leggi. Allora perché l'uomo dovrebbe sprecare tanto tempo e tante forze per infrangere quelle leggi? Se volete che una zolletta di zucchero passi direttamente dalla zuccheriera alla vostra bocca, potete concentrarvi quanto vi pare, ma la zolletta non si sposterà e voi rimarrete scoraggiati, delusi. Invece, guardate: prendete la zolletta con una mano, la mettete in bocca, ed ecco fatto senza tante storie! La natura ci ha provvisti di mani per consentirvi di afferrare gli oggetti [...]. Con il pensiero si possono realizzare cose molto più importanti; però occorre conoscere la sua natura, il suo meccanismo e sapere come lavora" (Aivanhov, </span><i style="font-family: verdana;">Potenze del pensiero</i><span style="font-family: verdana;">, Prosveta, p. 82).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Per adoperare al meglio il potere del pensiero bisogna anzitutto conoscerne l'essenza - riconoscerne l'origine immateriale e, soprattutto, comprendere qual è il reale collegamento che lo unisce alla materia. Per Aivanhov, l'uomo occidentale ha ormai sviluppato anche nei confronti del pensiero un rapporto di "dominio" e di "possesso", esattamente come l'uomo occidentale pensa di possedere i propri beni materiali. Di conseguenza, gran parte dei percorsi spirituali spingono l'uomo a sviluppare il dominio, il possesso, il controllo nei confronti del pensiero - come se fosse un oggetto tra gli altri. Tuttavia, tale prospettiva svia il praticante spirituale fin dal principio. Il pensiero, nella sua essenza più pura, non è qualcosa che ci appartiene. Esso è simile a un elemento primordiale, come il fuoco, l'aria, l'acqua o la terra - un elemento impalpabile, come una scarica di corrente elettrica, che tuttavia è in grado di veicolare idee e verità provenienti da un mondo altro, che Platone aveva identificato con il mondo degli Archetipi. </span><span style="font-family: verdana;">Dice Aivanhov: "Il pensiero è una forza, un'energia, ma è anche una materia estremamente sottile che lavora su un piano fisico. Prendiamo come esempio le antenne [...]. Occorre sempre un punto di partenza materiale per produrre delle onde, ma di per sé le onde non sono materiali. Dunque le antenne captano delle vibrazioni, captano certe lunghezze d'onda, per poi trasmettere ad apparecchi di ogni genere" </span><span style="font-family: verdana;">(Aivanhov, </span><i style="font-family: verdana;">Potenze del pensiero</i><span style="font-family: verdana;">, Prosveta, p. 83).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ne consegue che l'uomo non è padrone del pensiero; semmai, in lui <i>abita </i>il pensiero e il suo scopo non è né quello di dominarlo né quello di farsi dominare, ma di incanalarlo costruendo degli argini che ne consentano il libero e naturale fluire, o delle antenne in grado di amplificarlo. In particolare, usando la metafora di Aivanhov, l'uomo deve essere in grado di costruire ponti tra il mondo sovrasensibile e il mondo terreno, affinché il pensiero possa fluire nella materia. Citando le sue parole: </span><span style="font-family: verdana;">"Il pensiero passa attraverso muri e gli oggetti senza lasciare traccia e, affinché possa agire sulla materia, bisogna costruire ponti, ossia tutta una serie di intermediari. Fatelo passare per quegli intermediari e vedrete che è in grado di scuotere l'intero universo. [...] Occorre sempre un intermediario, e il pensiero è potente e attivo solo a condizione che lo si faccia passare attraverso alcuni intermediari che gli permettano di scendere fin nella materia" </span><span style="font-family: verdana;">(Aivanhov, </span><i style="font-family: verdana;">Potenze del pensiero</i><span style="font-family: verdana;">, Prosveta, p. 86-87).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Da questa prospettiva si noterà quanto sono futili gli sforzi di coloro che cercano di veicolare il potere del pensiero soltanto per realizzare i propri interessi materiali. Nel mondo-altro, il mondo invisibile delle forme Archetipiche, non vi è nulla in cui i grezzi interessi umani possano riflettersi. Essi sono scorie nate nel mondo materiale e destinate a rimanervi. Allo stesso tempo, non basta avere degli ideali, per quanto puri, per vederli realizzati. Questo è l'altro grande inganno di alcune branche del Pensiero Positivo, per le quali basta pensare intensamente a una cosa per vederla realizzata. Sarebbe come voler attraversare un fiume impetuoso pensando intensamente a un ponte e sperando di poterlo percorrere solo grazie all'intensità del proprio pensiero. No, quel ponte deve prima essere visualizzato, in ogni minimo dettaglio, esso cioè deve essere tratto dal mondo archetipico; ma poi deve essere realizzato attraverso l'azione. Usando una metafora poetica, Aivanhov sostiene che bisogna essere in grado di "far scendere" le idee: </span><span style="font-family: verdana;">"Voi avete delle idee, e sono meravigliose, se non addirittura divine, d'accordo, ma avete realmente dei risultati? No? Ciò dimostra che dovete ancora lavorare per far scendere quelle idee fino al piano fisico. Eh sì, questo è il punto; occorre farle scendere. Voi dite: Io ho delle idee. Bravi, benissimo, ma quelle idee vi faranno morire di fame e di sete se non sapete come concretizzarle mediante l'azione. Non basta avere delle idee. Molti ne hanno, ma vivono in maniera tale che non esiste mai comunicazione fra quelle idee e le loro azioni. Occorre un intermediario, un ponte, e quell'intermediario è il sentimento" </span><span style="font-family: verdana;">(Aivanhov, </span><i style="font-family: verdana;">Potenze del pensiero</i><span style="font-family: verdana;">, Prosveta, p. 87).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il sentimento è ponte principale, a far da collante tra mondo delle idee e mondo materiale, attraverso il quale le idee possano "incarnarsi". Il sentimento è il motore che permette all'animo umano di impegnare le proprie energie per la realizzazione dell'idea. Senza questo motore, l'idea è destinata a dissolversi o a rimanere un oggetto di contemplazione. "Quando lo spirito agisce sul pensiero" dice Aivanhov "il pensiero a sua volta coinvolge il sentimento e il sentimento si getta sul corpo fisico per farlo correre, gesticolare e parlare. Dunque il corpo fisico si muove per effetto del sentimento, il sentimento viene risvegliato dal pensiero e il pensiero nasce sotto l'influsso dello spirito" </span><span style="font-family: verdana;">(Aivanhov, </span><i style="font-family: verdana;">Potenze del pensiero</i><span style="font-family: verdana;">, Prosveta, pp. 88-89).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-w1tnfDpxWEM/YEeJM9T6tUI/AAAAAAAABuA/1CLdLYpoiBERiV2SoLodGG2yICmv-JwOwCLcBGAsYHQ/s1600/potenze-del-pensiero-aivanov.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="986" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-w1tnfDpxWEM/YEeJM9T6tUI/AAAAAAAABuA/1CLdLYpoiBERiV2SoLodGG2yICmv-JwOwCLcBGAsYHQ/s320/potenze-del-pensiero-aivanov.jpg" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br />Ne consegue che la produzione di pensieri futili, negativi e nefasti non farà altro che provocare sentimenti altrettanto dannosi, portando alla proliferazione del male e di quella atmosfera stagnante di cui le città, come paludi psichiche, sono ricoperte. Al contrario, idee nobili sono in grado di produrre sentimenti nobili e nel momento in cui l'uomo, mediante l'azione, cerca di realizzare questi progetti, la materia stessa ne viene innalzata. D'altronde, Aivanhov è lungi dal demonizzare la materia; per il pensatore bulgaro, non vi è nulla di negativo di per sé nell'esistenza materiale, poiché essa è la hyle primordiale nella quale si manifesta e realizza il piano divino.</span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nella materia, tutto ciò che pensa, agisce, prova sensazioni e sentimenti e, non ultimo, possiede una forma, è frutto di un pensiero, "un'idea divina cristallizzata", così come la definisce Aivanhov. L'uomo, "antenna del divino", ha la possibilità di amplificare il raggio di frequenze che egli può ricevere e porsi come canale della divinità, per realizzare nella materia obiettivi più elevati rispetto ai suoi interessi individualistici. In questo dono risiede la più grande potenza del pensiero.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Aivanhov, Potenze del pensiero, Prosveta Edizioni</span></p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana;">Dipinto: Roerich, Mohammed on mount Hira</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-79369309900703679412021-02-13T00:47:00.002+01:002021-02-13T00:48:01.423+01:00Francesco Boer: Troverai più nei boschi. La connessione simbolica con la Natura<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-hrG3HiAUnfw/YCcRBGjL2nI/AAAAAAAABs4/ufylEtuxNKIQk4C9aIzAaLcixgOQpnlbwCLcBGAsYHQ/s637/trroverai%2Bpi%25C3%25B9%2Bnei%2Bboschi.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="637" data-original-width="452" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-hrG3HiAUnfw/YCcRBGjL2nI/AAAAAAAABs4/ufylEtuxNKIQk4C9aIzAaLcixgOQpnlbwCLcBGAsYHQ/w284-h400/trroverai%2Bpi%25C3%25B9%2Bnei%2Bboschi.jpg" width="284" /></a></div><br />Quando, dopo i lunghi mesi di zona arancione e rossa, trascorsi nell'alienazione della città, ho potuto finalmente tornare a vagar per boschi, provato nel mio corpo e nella mia anima l'emozione di essere tornato al mio elemento naturale. E' stato come se i sensi e la coscienza si fossero espansi, fondendosi con il paesaggio; ho vagato per oltre cinque ore tra i sentieri del sottobosco, senza percepire un minimo di fatica - sentendomi come un satiro vagante nella natura selvaggia.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Ho già parlato dell'importanza di mantenere sempre vivo il legame con la Natura in un articolo precedente, legato al GreenMan e all'Homo selvaticus e a un'omonima opera di Federico Gasparotti, ma anche nella recensione de <i>La Via delle querce </i>di Ossian d'Ambrosio. <br /></span><span style="font-family: verdana;">Continueremo ora la serie di approfondimenti sul legame tra uomo e natura con l'analisi di un libro recentemente pubblicato da Il Saggiatore: <i>Troverai più nei boschi. Manuale per decifrare i segni e i misteri della natura</i>, di Francesco Boer.<br /></span><i style="font-family: verdana;">Troverai più nei boschi</i><span style="font-family: verdana;"> è un ibrido ben riuscito tra gli antichi bestiari/erbari/lapidari medievali e la filosofia della natura ottocentesca di Emerson, Thoreau e Whitman. Il rapporto simbolico con la natura viene recuperato non solo con l'immersione nel bosco e la contemplazione del paesaggio - la via del "macrocosmo" - , ma soprattutto, scendendo nella molteplicità di forme animate- insetti, animali, vegetali - che danno vita al microcosmo variegato che si nasconde tra i petali, i fili d'erba, le foglie, le tane. In questo duplice movimento, ora di espansione e ora di contrazione, la coscienza è costretta ad ampliarsi e a restringersi, a diventare grande per poter ammirare con un solo sguardo l'intero bosco per poi rimpicciolirsi alla taglia di un fiore - come Alice in Alice nel Paese delle meraviglie - ed è così portata a riscoprire la meraviglia che si cela in ogni aspetto dell'esistenza - nella vastità e nel dettaglio.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Questa forma di meraviglia permette l'instaurarsi di una particolare forma di conoscenza della Natura; non la conoscenza teorica e scientifica che, per quanto possa poi trasformarsi in "pratica", presuppone sempre un distacco se non, addirittura, una forma di utilitarismo nei confronti dell'oggetto studiato, bensì una forma di conoscenza esperienziale e simpatetica: la conoscenza simbolica.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Come scrive Boer:</span><i style="font-family: verdana;">"Il simbolo è la via che ci permette di intuire la fratellanza fra coloro che sembrano estranei. Grazie a questa rotta, possiamo tracciare un sentiero al tempo stesso nuovo e antico: la relazione che concilia l'essere umano e la natura. Non è un rapporto di dominio, con ci l'uomo tenta di ergersi sopra l'ambiente in cui vive, per sfruttarlo e renderlo schiavo. Ma non è nemmeno un asservimento dell'uomo, né si tratta di denigrarlo di fronte a un'immagine idealizzata della natura. E' piuttosto un confronto alla pari [...] è riconoscere la propria unicità ma anche comprendere che le diversità sono il canale per comunicare"</i><span style="font-family: verdana;"> (Francesco Boer, Troverai più nei boschi, Il Saggiatore, pp. 14-15)</span><i style="font-family: verdana;">.<br /></i><span style="font-family: verdana;">Il simbolo diviene dunque una forma di comunicazione in grado di connettere l'uomo non soltanto ai suoi simili, ma anche alle altre forme di vita animale e vegetale, se non addirittura agli enti generalmente ritenuti "inanimati" come acqua, terra, fuoco, aria, pietre e perfino interi ambienti come boschi, montagne e grotte. Questa connessione si instaura quando l'anima dell'esploratore incappa in un elemento della realtà in grado di far risuonare in essa emozioni e stati mentali complessi - come, appunto, se l'animale, il vegetale, l'oggetto o il paesaggio ci stesse comunicando qualcosa senza l'ausilio di parole, ma soltanto mediante l'utilizzo di stimoli visivi, olfattivi, tattili, gustativi, sonori. Scrive Boer: </span><i style="font-family: verdana;">"La natura ci parla tramite i simboli. Un prato, un bosco, un fiume: non sono soltanto luoghi esteriori, ma spazi dell'anima. Il simbolo non è solo lì fuori, ma non è nemmeno una nostra elaborazione mentale. La sua vera essenza è nel rapporto, nell'assonanza che fa vibrare all'unisono il cuore e il mondo esterno. Grazie a questa empatia, a questa grande compassione, l'essere umano può accedere a una relazione con la natura che altrimenti gli rimarrebbe preclusa" </i><span style="font-family: verdana;">(Francesco Boer, Troverai più nei boschi, Il Saggiatore, pp. 14-15)</span><i style="font-family: verdana;">. </i><span style="font-family: verdana;">Da questa relazione, nel punto di incontro tra osservatore e mondo, nasce il "simbolo", un'entità effimera che potremmo definire come una forma di conoscenza esperienziale del mondo né puramente soggettiva né puramente oggettiva, che comunica al soggetto un qualcosa di metafisico che si nasconde al di là della realtà materiale dell'oggetto. Questo qualcosa è una verità morale, emotiva, spirituale, che non è direttamente percepibile con i sensi - benché nasca da un incontro visivo, olfattivo, tattile, sonoro o gustativo con l'oggetto - eppure nell'anima altrettanto tangibile, a tal punto da suscitare forti moti interiori, sia emotivi sia riflessivi.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Entrando in un bosco, tutti i sensi sono sovrastimolati da impulsi simbolici; la costante sensazione di meraviglia, unita a un certa percezione di pericolo, nonché alla necessità di mantenere l'attenzione costante, risveglia nell'anima istinti atavici che portano l'uomo a ricercare costantemente "segni" nell'ambiente circostante. Si instaura un costante rapporto dialettico tra l'esploratore e il paesaggio e, come descritto in precedenza, questa attenzione ora si espande, volgendosi all'intero ambiente circostante, ora si restringe, focalizzandosi su singoli aspetti del sentiero - e indipendentemente da dove si posa l'attenzione, il bosco è in grado di svelare un universo, una fitta trama di reti simboliche in cui tutto si rivela intrinsecamente interconnesso. Da ciò la sensazione di timore reverenziale che si prova varcando la soglia che separa il mondo civilizzato da quello selvatico. </span><i style="font-family: verdana;">"L'uomo di animo sensibile entra nel bosco. Lo fa come se entrasse in un tempio a lui proibito" </i><span style="font-family: verdana;">dice Boer, </span><i style="font-family: verdana;">"Cerca un contatto con la natura, ma al tempo stesso porta dentro di sé un senso di colpa, il misfatto di appartenere a quella umanità che ha devastato e continua a rovinare la natura" </i><span style="font-family: verdana;">(Francesco Boer, Troverai più nei boschi, Il Saggiatore, pp. 14-15)</span><i style="font-family: verdana;">. <br /></i><span style="font-family: verdana;">La restaurazione del rapporto simbolico con la Natura è il tentativo di riscattare questo peccato originale. Non a caso nei bestiari della tradizione medievale, così come nel testo di Boer, vi era il costante tentativo di leggere le molteplici manifestazioni della vita naturale su diversi livelli - non sono quello fisico e materiale ma anche quello morale e spirituale, come se la Natura fosse il linguaggio con cui Dio comunica all'uomo; o, usando una suggestione di Scoto Eriugena, come se gli animali, i vegetali, i minerali e gli elementi altro non fossero che una teofania, una rivelazione del divino che, se decifrata, permette di ricollegarsi con la fonte segreta dell'Essere. Non a caso il titolo stesso del libro ricalca una massima di Bernardo di Chiaravalle, che recita, appunto: <i>troverai più nei boschi che nei libri</i>. <i>Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà</i>.<br /></span><span style="font-family: verdana;">Fedele a questa corrente di pensiero, nei diversi capitoli di <i>Troverai più nei boschi</i> Francesco Boer prende spunto dalle sue esplorazioni tra le montagne, i boschi, i campi, i mari, i laghi e i fiumi per recuperare lo sguardo simbolico tipico della sapienza medievale. Attraverso le sue parole, i suoi pensieri e le sue descrizioni, ogni aspetto della Natura, sia esso un albero, un fiore, un insetto, un animale, un elemento, si trasforma in un simbolo in grado di permettere all'uomo non solo di trovare risposte, ma soprattutto di sollevare nuove domande sui misteri della vita e di riscoprire il mistero che si nasconde anche in un semplice filo d'erba.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Francesco Boer, <i>Troverai più nei boschi</i>, Il Saggiatore.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></div>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-63328985640027018212021-01-30T23:12:00.005+01:002021-01-30T23:16:30.730+01:00Asmodeo: storia e simbolismo di un demone antico<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-uKCywIIqGUM/YBXZUhIfZXI/AAAAAAAABsI/lS8vRzXFmM4PP3W_I0sI5ql3cNts9WVlQCLcBGAsYHQ/s268/asmodeo%2Bgatto%2Bmago.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="128" data-original-width="268" height="191" src="https://1.bp.blogspot.com/-uKCywIIqGUM/YBXZUhIfZXI/AAAAAAAABsI/lS8vRzXFmM4PP3W_I0sI5ql3cNts9WVlQCLcBGAsYHQ/w400-h191/asmodeo%2Bgatto%2Bmago.jpg" width="400" /></a></div><span style="font-family: verdana;">Riprendiamo la rubrica dedicata ad approfondire alcuni aspetti de <i>Il gatto, il mago e l'inquisitore</i>, mio ultimo romanzo edito da Salani Editore. Dopo aver parlato di Cornelio Agrippa von Nettesheim, passiamo ora al secondo protagonista principale del libro: il gatto Asmodeo.</span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br />Nel romanzo, Agrippa è riuscito, mediante a un segreto esperimento magico, a donare al felino parola, ragione e immortalità. Egli, dunque, assurge a ruolo di famiglio: custode magico dello stregone che ne serba i segreti, gli rivela conoscenze magiche e, seguendo antichi echi di tradizione sciamaniche, ne funge perfino da occhi e orecchie, per permettere al mago da lui custodito di spingersi al di là dei confini dello spazio, del tempo, del suo corpo e della sua mente.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Asmodeo è il custode segreto di Agrippa, dotato sia dei poteri donatogli dal mago sia dalla naturale affinità felina con il lato nascosto delle cose. Egli, come Agrippa, è dotato della "seconda vista", la facoltà di vedere quanto di invisibile si nasconde dietro il mondo materiale. Così, come il mago, anche Asmodeo può vedere gli Spiriti Elementali, gli Incubi e, soprattutto, i demoni che infestano le strade dell'Europa. E con essi Asmodeo condivide molto altro. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La scelta del nome non è casuale. "Asmodeo", nella religione e nel folklore, è uno spirito antico, la cui storia affonda le radici nella cultura Babilonese, nello Zoroastrismo iranico e nell'Ebraismo arcaico. In tutte queste culture è presente la figura del demone Asmodeo, che appare come uno spirito divino potente e iracondo, strettamente legato alla lussuria umana.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Una figura arcaica, di origine pagana, che tuttavia riuscì ad attraversare i millenni rimanendo vivo perfino nella cultura giudaico-cristiana. Il suo nome e la sua forza riecheggiano, ancora, facendo tremare gli uomini, perfino nei manoscritti di magia medievali e rinascimentali, soprattutto in quelli legati alla tradizione salomonica.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La magia salomonica è una branca della magia ebraica che fa capo alle conoscenze, teoriche e pratiche, attribuite, appunto, al leggendario Re Salomone. Già nei testi canonici dell'<i>Antico Testamento</i> si trovano numerosi cenni al fascino provato da Salomone nei confronti delle religioni orientali, dei culti pagani e della sapienza magica - ed è in questi interessi occulti che, nel testo biblico, viene rintracciata la causa della progressiva decadenza dello regno ebraico.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">L'aurea di grande sapienza e tenebrosa conoscenza rendeva Salomone un personaggio poliedrico, dalle numerose luci, ombre e sfaccettature che non poterono che affascinare anche gli uomini dell'antichità. La sua fama di Re, Sapiente, mago, taumaturgo e sciamano fece dunque fiorire una molteplicità di scritti magici a lui attribuiti tra cui il <i>Testamento di Salomone.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il </span><i style="font-family: verdana;">Testamento di Salomone </i><span style="font-family: verdana;">è uno dei più antichi testi magici legati alla tradizione salomonica,</span><span style="font-family: verdana;"> in cui si racconta come egli abbia costruito il Tempio con l'ausilio di un anello magico, recante inciso il pentagramma, che gli permetteva di evocare, avvincere e controllare i demoni. Il testo è simile a una novella orientale, quasi ai racconti de <i>Le mille e una notte</i>, ed è strutturato come una lungo dialogo tra Salomone e i demoni che, di volta in volta, vengono da lui evocati per conoscerne il nome, il sigillo e la funzione per poi, in base a tali caratteristiche, costringerli a costruire una parte del Tempio - grande metafora di come le forze infere e ctonie possano essere dominate per dar vita a qualcosa di sacro. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Tra i demoni evocati dal Re, appare anche Asmodeo, che</span><span style="font-family: verdana;"> viene descritto come un demone fiero e vanitoso, restio a piegarsi perfino di fronte alla potenza magica dell'anello di Salomone. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-bqxqwUaAWsM/YBXXcjHQ8iI/AAAAAAAABr0/pbMrrQX56CklQXRlLh_9X04QfTLffgeiwCLcBGAsYHQ/s226/asmodeo.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="226" data-original-width="223" src="https://1.bp.blogspot.com/-bqxqwUaAWsM/YBXXcjHQ8iI/AAAAAAAABr0/pbMrrQX56CklQXRlLh_9X04QfTLffgeiwCLcBGAsYHQ/s0/asmodeo.jpg" /></a></div><span style="font-family: verdana;">"Chi sei?" gli domanda Salomone e questi, furioso e altezzoso, gli risponde dicendo "Tu, chi sei? [...] Come pretendi che ti risponda? Tu sei figlio d'un omo: io sono nato da seme angelico che fecondò una figlia d'uomo, e nessuno di nostra stirpe celeste può essere appellato in modo arrogante da chi è nato sulla terra. Perché anche la mia stella è alta in cielo e gli uomini talvolta la chiamano l'orsa, altre volte figlia del drago. Presso la stella io vivo. Non chiedermi molte cose, perché il tuo regno fra breve non esisterà più e la tua gloria durerà una breve stagione. Presto terminerà la tirannia che ci è imposta e allora saremo nuovamente liberi di agire fra gli uomini, che ci adoreranno come dèi, poiché essi non conoscono, miseri che sono, i nomi degli angeli che ci dominano" (<i>Testamento di Salomone</i>, in <i>La Chiave di Salomone</i>, a cura di Sebastiano Fusco, Venexia, p. 37).</span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Alla fine, tuttavia, Asmodeo è costretto a cedere alla forza magica di Salomone che, stringendone ancor di più i ceppi, lo costringe a rivelare il suo nome, l'angelo che lo governa, il suo ruolo nel cosmo e l'elemento che più teme: l'acqua. Non senza un certo sadismo, Salomone lo costrinse dunque a reperire il materiale più importante per la costruzione del Tempio: l'argilla, la materia atta a comporre ogni singolo mattone, e l'acqua necessaria a bagnarla.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Come accennato, la tradizione dei testi magici attribuiti a Salomone fu molto ampia e variegata ed ebbe la sua massima espressione tra il medioevo e il rinascimento. Dallo stile narrativo e novellistico del <i>Testamento</i>, si passerà a una miscellanea di precetti e rituali volti a tramandare la conoscenza di Salomone e i demoni che nel testo precedente venivano descritti in maniera disomogenea, verranno ordinati in una gerarchia sistematica, fino ad arrivare alla precisa esposizione del <i>Lemegeton</i>, uno scritto di magia cerimoniale contenente il nome dei 72 demoni infernali, i sigilli per evocarli e la descrizione delle loro caratteristiche, dei loro poteri e dei doni che possono elargire al mago evocatore.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/94/Asmodeus.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="704" height="320" src="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/94/Asmodeus.jpg" width="282" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br />Anche tra essi, come nel <i>Testamento</i>, appare Asmodeo, qui descritto nel seguente modo: </span><span style="font-family: verdana;">"Il trentaduesimo spirito nell'ordine è chiamato Asmoday. E' un grande Re, molto potente. Appare con tre teste, delle quali la prima è come quella di un Toro, la seconda come d'Uomo, la terza come d'Ariete; ha per coda una Serpe che dalla bocca vomita fuoco e fiamme; i suoi piedi sono come zampe d'oca; è assiso su un Drago Infernale; in mano reca una lancia con un'insegna. [...] Quando l'esorcista lo invoca, che stia composto, si alzi in piedi, si scopra il capo, perché altrimenti Asmoday lo ingannerà e farà sì che ogni cosa si compia in modo errato [...]. Dona l'anello della virtù; insegna le Arti dell'Aritmetica, della geometria e dell'Astronomia e fornisce tutte le capacità tecniche in modo completo; risponde in modo veritiero ed esaustivo a tutte le domande; rende l'uomo invisibile; mostra i luoghi ove sono riposti i tesori e li custodisce" (</span><i style="font-family: verdana;">Lemegeton</i><span style="font-family: verdana;">, in </span><i style="font-family: verdana;">La Chiave di Salomone</i><span style="font-family: verdana;">, a cura di Sebastiano Fusco, Venexia, pp. 235-236).</span><p></p><p style="text-align: justify;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-yphizKMLdXo/YBXY3vOdJyI/AAAAAAAABsA/O4wJPMTRkXA5J0wycLqFOck5UkA9Bs8CgCLcBGAsYHQ/s518/Le_diable_de_l%2527%25C3%25A9glise_Sainte-Marie-Madeleine.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="518" data-original-width="303" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-yphizKMLdXo/YBXY3vOdJyI/AAAAAAAABsA/O4wJPMTRkXA5J0wycLqFOck5UkA9Bs8CgCLcBGAsYHQ/s320/Le_diable_de_l%2527%25C3%25A9glise_Sainte-Marie-Madeleine.jpg" /></a><span style="font-family: verdana;"><span style="font-family: verdana;"></span>Benché Asmodeo provocasse timore e terrore e nonostante fosse uno dei demoni</span><span style="font-family: verdana; text-align: left;">più potenti, e dunque pericolosi, delle Gerarchie Infernali, sono molti i manoscritti magici e i "patti demonici" che recano il suo sigillo - a dimostrazione di come il suo fascino attirasse gli uomini. Ed anche in ambito sacro la sua figura rimase presente, nell'ombra, a svolgere il lavoro sporco delle "fondamenta" che, per quanto relegate all'oscurità del sottosuolo, sono tuttavia fondamentali per reggere l'intero tempio. In quest'ottica si deve leggere il simbolismo di una delle più misteriose figure dell'arte cristiana: l'Asmodeo che regge l'acquasantiera nella Chiesa di Santa Maria Maddalena di Rennes le Chateau che, a secoli di distanza, sembra riecheggiare il mito salomonico del demone costretto a costruire i mattoni portanti del Tempio.</span></p><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Tutte queste manifestazioni del demone Asmodeo sono strettamente legate a una cultura dualistica, che lo vede relegato nel mondo del maligno, seppur depositario di conoscenze profonde. Ma Asmodeo, in quanto demone nel senso greco del termine, ossia intermediario ed emissario tra uomo e divino, è stato in grado di reinventarsi nella cultura moderna e in ambito artistico lo ritroviamo in una curiosa intervista rilasciata da Alan Moore, noto fumettista americano, autore di <i>Watchmen</i>, <i>From Hell</i>, <i>Prometea</i>, <i>The Killing Joke.</i> Ne la <i>La magia in azione</i>, intervista rilasciata a Jay Babcock pubblicata sul n.4 di Arthur, Alan Moore racconta le sue esperienze, sia teoriche sia pratiche e "dirette", con il mondo dell'occultismo e narra di essere entrato in contatto, durante un rito, con un'entità che gli si presentò con il nome, appunto, di Asmodeo. Come narra Alan Moore:</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"Ho avuto anche un'esperienza con una creatura demoniaca che disse di chiamarsi Asmodai, ovvero Asmodeo. E quando di fatto mi fu concesso di vedere l'aspetto della creatura, o almeno cosa era disposta a mostrarmi, sembrava questa specie di reticolo... immaginatevi un ragno e poi immaginate delle immagini multiple di quello stesso ragno, in qualche moto legate tra loro - immagini multiple su scale diverse, tutte legate assieme - è come se questa cosa si muovesse attraverso una sorta di differente piano temporale [...]" (A. Moore, <i>Magia in Azione, in Funghi di Yuggoth</i>, Panini Comics, p. 129).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Mentre nella narrazione religiosa tradizionale Asmodeo viene relegato, spesso, alla lussuria e all'ira, nell'esperienza di Alan Moore si mostra nel ruolo di "guardiano della soglia" di dimensioni superiori, parimenti al felino Asmodeo protagonista de <i>Il gatto, il mago e l'inquisitore</i>, in grado di rivelare all'artista il lato nascosto delle cose, una dimensione a cui si può accedere soltanto liberandosi dai limiti razionali e dogmatici della propria mente. Sempre come racconta Alan Moore:</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"Nelle settimane seguenti cominciai a fare ricerche su Asmodeo e scoprii che in realtà è il demone dei matematici. Inoltre c'è una cosa che a quanto par, per tradizione, è in grado di offrire e sarebbe il volo di Asmodeo. E' dove il demone vi trascina, portandovi in aria, nel cielo, e voi potete guardare in giù e vedere tutte le case come se i tetti fossero stati rimossi e si vede cosa accade all'interno" </span><span style="font-family: verdana;">(A. Moore, </span><i style="font-family: verdana;">Magia in Azione, in Funghi di Yuggoth</i><span style="font-family: verdana;">, Panini Comics, p. 129).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Una dimensione elevata, la cosiddetta "quarta dimensione" della matematica pura o della fisica moderna, in cui sono trascese le coordinate ordinarie del tempo e dello spazio, come nel volo che conduce al Sabba delle Streghe, per accedere a una dimensione in cui la coscienza si espande a tal punto da poter essere onnipresente in più luoghi, tempi e prospettive contemporaneamente.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-i8K38PRrmko/YBXZeptjkKI/AAAAAAAABsM/swWZF0w6om0UT1zoWEQOKUvOxG20g4hTgCLcBGAsYHQ/s400/il%2Bgatto%2Bil%2Bmago%2Be%2Bl%2527inquisitore.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="269" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-i8K38PRrmko/YBXZeptjkKI/AAAAAAAABsM/swWZF0w6om0UT1zoWEQOKUvOxG20g4hTgCLcBGAsYHQ/s320/il%2Bgatto%2Bil%2Bmago%2Be%2Bl%2527inquisitore.jpg" /></a></div><span style="font-family: verdana;">L'Asmodeo felino de <i>Il gatto, il mago e l'inquisitore</i> incarna, dunque, parte della simbologia di questo spirito antico. Come sostengono Kramer e Sprenger nel <i>Malleus Maleficarum</i>, streghe e stregoni si accompagnano spesso a gatti i quali, spesso, non sono che demoni trasmutati in forma animale. E l'Asmodeo felino altro non è che il famiglio custode del mago, il guardiano della soglia per il mondo occulto, in grado di accompagnare Agrippa nel mondo affascinante e tenebroso della magia e di difenderlo, con il suo potere e la sua superiorità, dalle insidie e gli inganni non solo dei demoni, ma soprattutto degli umani, e di rivelargli con i suoi occhi felini la vera essenza della realtà.</span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il gatto, il mago e l'inquisitore di Daniele Palmieri, edito da Magazzini Salani, in<br /> tutte le librerie e in tutti gli store online. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Chiunque volesse acquistarne una copia con dedica, può contattarmi presso la Libreria Esoterica di Milano al numero Whatsapp: 3516024375.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-7895856548146095602021-01-29T22:25:00.000+01:002021-01-29T22:25:13.040+01:00Il gatto, il mago e l'inquisitore. Ritratto di Cornelio Agrippa von Nettesheim<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-lA2DMxLQC8E/YBR9B2dpWQI/AAAAAAAABrY/1KJdAlYxTg8tnCw3TfDX-jWLqYuDoV6SQCLcBGAsYHQ/s400/il%2Bgatto%2Bil%2Bmago%2Be%2Bl%2527inquisitore.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="269" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-lA2DMxLQC8E/YBR9B2dpWQI/AAAAAAAABrY/1KJdAlYxTg8tnCw3TfDX-jWLqYuDoV6SQCLcBGAsYHQ/w269-h400/il%2Bgatto%2Bil%2Bmago%2Be%2Bl%2527inquisitore.jpg" width="269" /></a></span></div><span style="font-family: verdana;"><br />E' da poco uscito in tutte le librerie <i>Il gatto, il mago e l'inquisitore</i> il mio nuovo libro, edito da Salani Editore.</span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il testo fa parte della trilogia inaugurata con <i>Diario di un cinico gatto</i> e proseguita con<i> Storia di un gatto bibliotecario</i> (anch'essi editi da Salani); una trilogia atipica che, seppur collegata da un filo rosso che lega tutti e tre i testi, si sviluppa in maniera non-lineare. Ogni libro condivide con gli altri il medesimo universo narrativo ma ciascun testo della saga possiede il proprio protagonista e la propria ambientazione. Alcuni avvenimenti si intersecano tra loro in tutti e tre i libri, creando una rete che si estende negli anni e perfino nei secoli, ma ogni testo può essere letto come un libro a sé e, soprattutto, non è necessario seguire l'ordine cronologico di pubblicazione. Anzi, variando l'ordine di lettura si coglieranno in maniera differente le sfumature che collegano la trilogia.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>Il gatto, il mago e l'inquisitore</i> trascina il lettore nell'Europa del 1500. Protagonisti del romanzo sono Enrico Cornelio Agrippa, filosofo, mago e alchimista rinascimentale, il felino Asmodeo - a cui Agrippa ha donato la parola e l'immortalità mediante la sua conoscenza magica - e il suo fidato cane Monsieur che, insieme all'ingenuo cocchiere Duval, si barcamenano tra le principali nazioni europee a caccia di demoni - e sfuggendo dall'ira di inquisitori, re, regine, principi e creditori.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Mentre <i>Diario di un cinico gatto</i> e <i>Storia di un gatto bibliotecario</i> sono interamente frutto della mia fantasia (benché già in Storia di un gatto bibliotecario vi siano nascosti numerosi riferimenti alla letteratura, ai libri, alla magia, all'esoterismo e a personaggi realmente esistenti), <i>Il gatto, il mago e l'inquisitore</i> mi ha impegnato in un lungo studio storico, biografico, folklorico e magico. Sebbene sia, in parte, frutto dell'immaginazione, le vicende principali del romanzo seguono passo passo la vera storia di Cornelio Agrippa von Nettesheim, personaggio realmente esistito, con il quale sia nello studio sia nell'anno di scrittura ho sviluppato una forte affinità - sia per entrare in connessione con lui, per impersonarne al meglio le caratteristiche, sia perché, studiandone le vicende biografiche, sono giusto a stimarne la sapienza, il coraggio, la forza ma anche, e soprattutto, l'umanità e le debolezze.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">In questo articolo vorrei dunque rendergli un breve tributo, per parlare dell'Agrippa storico che ha ispirato le vicende del libro e svelare quanto di vero si nasconde tra le pieghe della fantasia. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Partiamo dalle fonti. Come dice spesso Jorge Luis in <i>Storia di un gatto bibliotecario</i>, i libri permettono di immergerti in microcosmi a se stanti ed è proprio grazie ai libri che ho potuto non solo viaggiare indietro nel tempo, fino all'epoca di Agrippa, ma immergermi direttamente nel suo pensiero e nella sua vita privata. Da questo punto di vista, sono ampiamente debitore di due saggi. Il primo <i>Enrico Cornelio Agrippa. Vita e opere secondo la sua corrispondenza di Joseph Orsier</i>, edito in Italia dalla PiZeta, una dettagliata ricostruzione della biografia di Agrippa a partire dalle sue lettere private - delle quali è riportata una selezione di 70 lettere personali rivolte ad amici, studiosi, parenti - ma anche principi, creditori e nemici. Il secondo testo è invece di un autore nostrano, si tratta di <i>Cornelio Agrippa e la sua magia </i>di Arturo Reghini, un saggio estremamente prezioso che, oltre a raccontare la vita di Agrippa a partire dalle lettere e da documenti della sua epoca, analizza il suo pensiero e i profondi insegnamenti iniziatici contenuti nelle opere. Anche quest'ultime, ovviamente, mi hanno permesso di conoscere l'ingegno e la sapienza di Agrippa direttamente dall'interno, soprattutto il suo scritto principale, il <i>De occulta philosophia</i>, immenso compendio di arti magiche dall'antichità alla sua epoca, ma anche testi apparentemente "minori", ma solo perché meno conosciuti, come il <i>De nobilitate et praecellentia foeminei sexus</i> (Sulla nobiltà e l'eccellenza del sesso femminino, che ho anche curato personalmente per conto di Libraio Editore), una brillante difesa e lode alla donna scritta nell'epoca della caccia alle streghe, e il <i>De vanitate scientiarum </i>(<i>La vanità delle scienze</i>), pungente, ironica e coraggiosa opera scettica in cui il nostro attacca ogni forma di sapere dogmatico, sia esso quello dei teologi, dei matematici, dei filosofi e di ogni studioso che, nella sua epoca, credeva di possedere la verità in tasca - causando, con tale arroganza, più danni che benefici, sia per il sapere sia per il quieto vivere degli uomini.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il ritratto che ne esce da questa variegata moltitudine di testi è quello di un personaggio combattivo, tenace, amante del sapere, della ricerca e soprattutto del libero pensiero, disposto a rischiare la vita per proteggere non solo la conoscenza ma anche i più deboli che rischiavano di venire schiacciati dalla follia e dal dogmatismo. Una personalità poliedrica ma anche multiforme. "Mi contraddico, sì, mi contraddico: sono vasto, contengo moltitudini" recita un verso di Walt Whitman e, utilizzando un linguaggio "goetico", la complessità di Agrippa era talmente vasta da contenere intere legioni. A bilanciare così elevati pregi vi era il peso grave di altrettanti difetti - e più alta è la levatura di un uomo, più grandi si fanno anche i suoi difetti. Così, come il "mutaforma", il "trickster" delle fiabe, nonché da sapiente illusionista, Agrippa fu abile nel destreggiarsi nell'arte della menzogna, dell'inganno, della fuga, del trasformismo - abilità, occorre specificare, sempre adoperate per salvarsi la vita, per sfuggire a Re, Regine, creditori e Inquisitori, per salvare il frutto del suo lavoro e della sua conoscenza. Non bisogna dimenticarsi che, in origine, egli fu uomo di guerra, soldato nelle file dell'esercito del Re di Spagna. Il suo sapere, perciò, si spingeva al di là della teoria, al di fuori delle corti precise, ricche, ordinate e sicure dei nobili o degli accademici, e affondava anche nel fango, nel sangue, nel sudore, nella fatica, nel pericolo - come si evince da una delle prime lettere riportate da Orsier, le cui vicende ho anche riportato nel libro, in cui Agrippa narra di una rocambolesca fuga in seguito all'assedio di una città finito male. Tutto questo per dire che il mago sapeva come dosare l'arte della strategia e della guerra anche nella vita quotidiana e, probabilmente, fu questa virtù, che porta con sé molti vizi e difetti, che gli permise di salvarsi la vita dalle fiamme dell'Inquisizione e dalle ghigliottine dei tiranni.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma l'aspetto che più mi ha fatto entrare in <i>simpatia </i>- nell'accezione antica, e magica, del termine - con Agrippa, che mi ha permesso di immedesimarmi nei suoi pensieri, nelle sue azioni, nelle sue parole e nelle sue avventure, è stato, soprattutto, la sua profonda umanità. Tanto dalla sua biografia quanto dalle lettere traspare la personalità di un uomo dilaniato da due spinte contrapposte, che per tutta la vita cercò di conciliare: la volontà di ampliare i confini della conoscenza, al di là dei limiti e dei dogmi, e il desiderio di vivere una vita tranquilla con i suoi affetti più cari: la sua famiglia e, non ultimo, i suoi animali domestici.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Non entrerò, ora, troppo nei dettagli delle sue relazioni personali, giacché non ho intenzione di svelare al lettore informazioni importanti sulla trama del libro, che si scoprono con l'avanzare della lettura; basti sapere , per ora, che Agrippa amò e soffrì intensamente per tutta la sua esistenza. Amò sua moglie e i suoi figli, soffrì per il distacco, e cercò in ogni modo di ritagliare per lui e per loro una sicurezza che, tuttavia, doveva perennemente scontrarsi con i guai causati dalla sua audace libertà e dal suo spirito combattivo e indomito. Un rifugio che, come ogni dimensione magica che si rispetti, era perennemente vegliato dalla figura di un famiglio; in particolare, i cani, suoi animali domestici per eccellenza, con cui convisse fino alla sua dipartita.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Sia i suoi primi biografi sia i suoi avversari riportano, in maniera differente, come egli fosse solito accompagnarsi a cani. Così, sia Monsieur, grosso mastino nero protagonista del libro, sia Filiolus (suo predecessore, che viene solo citato) sono realmente esistiti e hanno realmente accompagnato il nostro mago nelle sue lunghe peripezie. Agrippa ne parla con affetto in molte sue lettere, Wier, suo discepolo, ricorda con affetto, in alcuni scritti, i giorni di studio e scrittura passati nella casa di Agrippa proprio insieme a Monsieur, e i suoi oppositori "postumi", come Martin DelRio, narrano di come Monsieur, alla morte del mago, sarebbe scappato dal suo capezzale mostrando a tutti la sua natura demoniaca. Sciocchezze! Gli fu risposto, dallo stesso Wier, che difese il ricordo sia del mago sia del cane da tali infondate accuse raccontando di come molte volte egli avesse accompagnato con il guinzaglio il mansueto animale durante le sue lunghe passeggiate.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ma come, penserà ora il lettore, Agrippa fu un grande amante dei cani? E Asmodeo, allora?</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ebbene sì, Agrippa fu del partito dei cani - ma egli fu anche del partito dei maghi e, si sa, che di fianco a ogni grande strega o stregone si nasconde sempre un grande gatto, suo famiglio, depositario delle conoscenze proibite. Ed è qui che è dovuta intervenire l'immaginazione magica, per dar vita all'aiutante segreto, spirito guida in forma felina, di Enrico Cornelio Agrippa von Nettesheim. Perché, se dobbiamo convenire sul fatto che le sue lettere non ne citano il nome e la presenza, è altresì vero che non ne negano l'esistenza - tuttalpiù considerando che, <i>Malleus Maleficarum </i>in mano, il gatto è l'animale a cui si accompagnano streghe e stregoni e mostrarsi accompagnati a gatti poteva essere non solo un indizio, ma una ammissione di colpevolezza.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Dunque, giacché Agrippa non ne poté mai parlare, i tempi sono ormai maturi per riportare a galla la storia segreta del felino e del suo compagno mago, di Asmodeo e di Enrico Cornelio Agrippa von Nettesheim, a cui, in calce a questo articolo, va il nostro pensiero, la nostra riconoscenza e, soprattutto, la nostra reverenza.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">E, siccome la vanità è una virtù felina, rimandiamo a un prossimo articolo per l'approfondimento della figura di Asmodeo e del suo significato simbolico.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il gatto, il mago e l'inquisitore di Daniele Palmieri, edito da Magazzini Salani, in tutte le librerie e in tutti gli store online. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Chiunque volesse acquistarne una copia con dedica, può contattarmi presso la Libreria Esoterica di Milano al numero Whatsapp: 3516024375.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri </span></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1814006210891708785.post-56976957162134982122021-01-26T19:53:00.002+01:002021-01-26T19:58:36.428+01:00Ossian: La via delle querce. Introduzione al druidismo moderno<p><span style="font-family: verdana;">Il Piemonte è un luogo denso di mistero, la cui antica tradizione esoterica risale alle prime popolazioni celtiche che si insediarono tra le valli e le montagne, lasciando tracce nei boschi, tra vette e colline, che ancora celano resti megalitici, tombe e incisioni rupestri antiche di millenni. Gran parte di questi luoghi non hanno il rilievo nazionale (e internazionale) che si meriterebbero, data la loro importanza storica e archeologica - ma forse è meglio così, poiché il loro segreto ne consente di preservarne il potere magico. </span></p><p><span style="font-family: verdana;">Tra questi luoghi, uno dei più misteriosi che mi è capitato di visitare è la Riserva naturale di Bessa, nei pressi di Biella</span></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La Riserva Naturale di Bessa è uno dei tanti luoghi nascosti d’Italia, sconosciuto ai più se non agli abitanti della zona. La Riserva Naturale è stata prima uno dei luoghi sacri delle arcaiche popolazioni piemontesi, per via dei suoi innumerevoli massi erratici sui quali hanno lasciato petroglifi, altari e coppelle rituali, e poi il centro di una delle più grandi attività estrattive di oro da parte dei Romani, che hanno lasciato sul paesaggio un’impronta incredibile: tonnellate su tonnellate di massi sparsi per oltre 7 km quadrati di territorio. Gli “scarti” dell’attività estrattiva da parte dei Romani. È impossibile descrivere la monumentalità delle colline di pietra create dagli schiavi costretti a setacciare la valle in cerca delle pepite d’oro, dei metalli e delle pietre preziose. Il risultato di tale attività antropica è stata l’involontaria creazione di un vero e proprio labirinto immerso nel bosco. Gli estrattori d’oro passavano l’intera loro vita immersi in questo ambiente e sia loro sia i contadini e le popolazioni che subentrarono quando la cava cadde in disuso hanno creato, con questo scarti, non solo enormi cumuli ma lunghe file di terrazzamenti, muri a secco, rifugi, capanne che si estendono come un intricato dedalo fondendosi con il sottobosco che, lentamente, si sta riprendendo i suoi spazi.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Per tutto il bosco si respira un’aria ctonia, per via delle rocce strappate dal sottosuolo come a voler riportare il mondo infero in superficie e la consapevolezza che ogni singola pietra di quegli immensi cumuli è stata toccata, in passato, da mani umane è spiazzante. Camminando pare ancora di sentire le picconate, le urla, la fatica e il sudore degli schiavi, che rintoccano a ogni singolo passo. Di questa cosa ci si rende conto solo quando ci si ferma. Solo allora, infatti, cala un silenzio così assoluto che si fa strada la consapevolezza che i propri passi non potevano essere così rumorosi, che qualcun altro camminava e faticava con te. Un qualcuno che, nel silenzio, pare ora nascosto nell’ombra, dietro gli alberi, sotto le pietre o nei nascondigli nel sottosuolo, a scrutarti dietro il velo del Tempo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Camminando per i sentieri, oltre al timore costante di perdersi e alla tristezza nel pensare allo sfruttamento a cui furono sottoposti gli schiavi, si prova una sensazione di impotenza nei confronti dell'incuria che i Romani ebbero nei confronti di questo bosco sacro. Tuttavia, il Tempo ha sanato anche quella ferita; molti massi erratici si ergono ancora, monumentali, sulle rovine della miniera e i petroglifi su essi incisi hanno mantenuto intatta la volontà magica originaria dei druidi che lasciarono traccia del loro passaggio e delle loro celebrazioni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Le antiche divinità sono tornate, viene da pensare. O, meglio, non se ne sono mai andate; forse si erano soltanto nascoste nelle viscere della terra, pronte a riprendere il dominio sulla loro terra sacra. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">E, nella nostra epoca, si sono anche riunite con gli antichi celebranti. Il druidismo non è morto; anch'esso è resistito ai secoli per ripresentarsi, in vesti moderne, nel XX secolo. Basta spostarsi di qualche chilometro dalla Riserva Naturale della Bessa per incontrare uno di questi moderni celebranti, a Biella. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il luogo è la Bottega dell'Anticaquercia - non un semplice negozio ma, appunto, una bottega, come quelle degli artigiani dei secoli passati, il cui fondatore e proprietario, Ossian d'Ambrosio, oltre a costruire con le proprie mani gioielli e preziosi ispirati all'arte magica, celtica e druidica, porta avanti con la propria attività culturale le conoscenze religiose druidiche. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Nato in Germania nel 1970 e trasferitosi a Biella nel 1980, dagli anni '90 segue la via del druidismo e nel 2008 ha fondato il Cerchio Druidico Italiano, divenendo nel 2009 il primo Druida italiano a celebrare il Solstizio d'Estate presso Stonehenge. Ma oltre a questo è anche musicista, studioso di folklore e sciamanesimo e, non ultimo, scrittore. Con la rivista <i>Vento tra le fronde</i> è stato, fin dal 2003, tra i principali divulgatori delle cultura druidica in Italia, ma l'articolo di oggi è dedicato a un libro in cui ha compendiato la storia, le dottrine e le pratiche del druidismo antico e moderno: <i>La via delle querce. Introduzione al druidismo moderno</i>, edito da Psiche 2.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br />La via delle querce</i> è un ottimo spaccato sulla cultura druidica, che permette di comprendere quali siano le sue origini e come esso si sia sviluppato nel passare dei secoli, fino ad arrivare ai giorni nostri, per spiegare, infine, quale sia il significato di essere un druido nella società contemporanea, sfatando molti miti e stereotipi legati a questa forma di cultura.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-7OuemuUoaQ0/YBBmPtitFpI/AAAAAAAABrM/OIANdaz1tEIgMi4FZRXT21ZuNlW7j-gyACLcBGAsYHQ/s672/via-delle-querceossian.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="672" data-original-width="469" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-7OuemuUoaQ0/YBBmPtitFpI/AAAAAAAABrM/OIANdaz1tEIgMi4FZRXT21ZuNlW7j-gyACLcBGAsYHQ/w279-h400/via-delle-querceossian.jpg" width="279" /></a></div><br />Uno degli aspetti principali del testo è proprio quello di chiarificare alcune confusioni che si creano quando si parla di druidismo, soprattutto quelle inerenti alle pratiche moderne e ai loro legami storici con il culto originario. Fin dalle prime pagine del testo, <i>La via delle querce</i> mette in chiaro, nella sua breve ma dettagliata ricostruzione storica, che non bisogna considerare il druidismo moderno come frutto di un'unica espressione culturale rimasta immutata nel corso dei secoli. Al contrario, esso ha avuto una storia molto travagliata, passando anche per l'oblio e, infine, per la necessità di ricostruire e reinventare alcuni aspetti andati perduti - così come si sostituiscono e si restaurano parti di statue o edifici andati in rovina.</span></div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Bisogna dunque distinguere tre forme di druidismo che, pur essendo collegate dal medesimo "lignaggio", non devono essere confuse tra loro.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La prima forma di druidismo è il druidismo storico, ossia il culto, pubblico e privato, praticato dalla casta sacerdotale delle popolazioni celtiche. Di esso ci restano pochissime testimonianze scritte e, come sostiene Ossian, gran parte di esse sono da ritenersi inaffidabili, in quanto tramandate dai "conquistatori", ossia autori Romani come Giulio Cesare, Plinio, Tacito etc. che, non essendo iniziati al culto druidico, non potevano comprenderne a pieno il significato e, soprattutto, tendevano a romanizzare le divinità e le cerimonie da loro descritte. A fronte delle scarne testimonianze scritte sono invece molteplici le testimonianze archeologiche come tombe, monumenti megalitici, incisioni, amuleti, talismani che, tuttavia, hanno il problema di essere "mute"; esse richiedono una minuziosa interpretazione che, per forza di cose, necessita di passare attraverso il filtro della cultura contemporanea e dell'analisi storica. Ultima, ma non meno importante, vi è una lunga tradizione di racconti orali, tramandati dalle fiabe, dal folklore, dai miti e anche dai cicli epici poi cristianizzati che, seppur nella loro continua metamorfosi e fusione culturale, hanno conservato storie antiche, risalenti alle epoche più remote del druidismo originario.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">La seconda forma di druidismo è quella del druidismo moderno. Esso nasce nel 1700 ad opera di Jon Toland, prima, e di Iolo Morgannwg poi. Pur basandosi, in parte, sul druidismo storico, il druidismo moderno nasce sulla spinta delle organizzazioni segrete di stampo massonico e nazionalista tipiche del XVIII e del XIX secolo. Caratteristica del druidismo moderno è quella di inserirsi nel filone di riscoperta folklorica e nazionalista, di riprendere parte degli insegnamenti tramandati oralmente, di generazione in generazione, di cercare di ricostruire l'antico spirito celtico alla base di tali storie, senza però disdegnare né rinnegare il retroterra e la morale cristiana tipiche di quel periodo. Prendendo, ad esempio, il Barddas di Iolo, ritrovare un sincretismo tra la morale biblica e la poesia e le leggende di tradizione druidica. D'altronde, è sempre in quest'epoca che iniziano le prime scoperte o valorizzazioni archeologiche legate agli altari, alle tombe e ai cerchi megalitici di origine celtica ma che, al contempo, nella tradizione neodruidica vengono fuse con testi "bardici" dalla presunta antichità, ma in realtà creati ad hoc da autori e poeti di quel periodo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Pur con le sue contraddizioni, il Druidismo settecentesco ha fatto da apripista al druidismo contemporaneo. L'avanzare degli studi storici, archeologici e antropologici ha permesso di penetrare più in profondità nel druidismo "originario", e la rinascita dell'interesse nei confronti della magia e delle pratiche sciamaniche del '900, oltre a rimuovere la patina cristianeggiante tipica del Druidismo settecentesco, ha ampliato la sfera "esperienziale" del druidismo originario collegato a un contatto diretto con le forze naturali. Così, come scrive Ossian, il druidismo contemporaneo è figlio di diverse forze: </span><span style="font-family: verdana;">"Le pratiche religiose sono l'espressione di un condizionamento temporale tra ben precise e radicate tradizioni di magia cerimoniale e pratiche sciamaniche, che cercano di armonizzare l'essenza dell'uomo moderno con gli spiriti della natura per collocarlo e radicarlo con le energie del territorio che lui abita. Il movimento non è spirituale per una intesa più animista del termine ma diventa tale solo perché la pratica religiosa è incondizionatamente collegata con l'interazione e la conoscenza del mondo degli spiriti della natura e dei proprio antenati. Ecco che il moderno Druido diventa anche ecologista ed ambientalista, in quanto non solo cerca di preservare le tradizioni della propria patria, con gli studi della storia e della mitologia, ma anche preservando il proprio ambiente o meglio Madre Terra da un declino ecologico. Tutto ciò lo porta inevitabilmente ad un culto politeista verso archetipi e divinità collocate nell'antica tradizione celtica" (Ossian d'Ambrosio, </span><i style="font-family: verdana;">La via delle querce. Introduzione al druidismo moderno</i><span style="font-family: verdana;">, Psiche 2, p. 21-22).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Questo lavoro spirituale "esperienziale" viene portato avanti sia in solitaria sia in gruppo. Il Druidismo contemporaneo non possiede una gerarchia ma si organizza in gruppi o cerchi o "boschetti", ossia strutture circolari in cui vi è una trasmissione equanime e circolare della conoscenza. "Nel cerchio" scrive Ossian "si focalizza principalmente il collegamento dei membri con gli spiriti della natura e dei luoghi sacri, si organizzano e si celebrano le otto porte cosmiche delle festività stagionali dell'anno; si celebrano i consueti riti di passaggio della comunità" </span><span style="font-family: verdana;">(Ossian d'Ambrosio, </span><i style="font-family: verdana;">La via delle querce. Introduzione al druidismo moderno</i><span style="font-family: verdana;">, Psiche 2, pp. 53-54). Questa è forse una delle principali differenze rispetto al druidismo originario, laddove il druida/sciamano possedeva un ruolo esclusivo e privilegiato, quasi elitario, pur essendo un punto di riferimento per l'intera società, mentre nel druidismo contemporaneo vi è l'idea di trasmissione e diffusione delle esperienze sciamaniche all'interno del cerchio, dove il lavoro interiore e individuale si accompagna sempre alla condivisione collettiva (mediante le festività e le cerimonie condivise).</span><span style="font-family: verdana;"> </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Sintetizzandone i valori del druidismo contemporaneo, Ossian elenca undici principi che non costituiscono "dogmi" o "comandamenti", bensì principi in perpetua metamorfosi ma che fungono da linee guida per un'esperienza religiosa aperta, che si manifesta in molteplice forme, così come le forze naturali. Questi undici principi sono: </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>"1) La Natura è sacra e divina.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>2) E' necessario il rispetto e l'amore per la natura.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>3) La divinità è sia immanente (dentro di noi) che trascendente (esterna a noi).</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>4) La divinità può manifestarsi sia in forma maschile che femminile.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>5) Non esiste nessuna forma di divinità che incarni il male assoluto.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>6) Le divinità possono essere sia creatrici ma anche distruttrici.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>7) L'etica e la morale devono essere basate sull'amore, la gioia, il rispetto per se stessi e il rispetto per il prossimo.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>8) Rispetto e tolleranza per le differenze.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>9) I bambini nascono puri senza nessun peso di peccato originale e neanche affiliazione a qualsiasi idea religiosa.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>10) Lo spirito è immortale.</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><i>11) Il viaggio dell'anima nella vita prosegue, dopo la morte del corpo fisico, nei reami dell'altro mondo per poi ritornare con la reincarnazione".</i></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-family: verdana;">(Ossian d'Ambrosio, </span><i>La via delle querce. Introduzione al druidismo moderno</i><span style="font-family: verdana;">, Psiche 2, p. 61)</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Il ritratto che ne esce, dunque, è quello di una religione sciamanico/naturalista, in cui il contatto con la dimensione divina passa necessariamente attraverso la natura in tutte le sue manifestazioni e in tutta la sua potenza, senza però dimenticare né disdegnare il lato umano e sociale dell'esistenza terrena, alla ricerca di un bilanciamento in grado di creare una simbiosi tra l'uomo e la Terra e risanare la frattura creatasi tra mondo naturale e mondo umano - forse unico "peccato originale" di cui è colpevole la nostra specie.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Ed è su questo "peccato" che si concentra il ruolo principale del Druida nella società contemporanea. Lungi dall'essere una religione morta, legata a consuetudini e riti passati, il Druidismo contemporaneo cerca di opporsi alla progressiva devastazione del Tempio Sacro della Natura portata avanti dalla società industriale e consumistica.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">"Oggi il Druida" scrive Ossian "è una persona che può servire per ristabilire un certo equilibrio tra l'uomo e la natura. Potrebbe anche essere definito un nuovo guardiano delle foreste, attento osservatore per un ripristino ecologico e difensore di quelle idee che servono a contrastare movimenti che non vogliono rispettare i valori umani ed animali. Il Druida è colui che cerca un nuovo contatto con i misteri della terra e rifiuta il caos urbano del sistema. E' colui che ricomincia a sporcarsi le mani con la terra, a osservare i segni che gli spiriti e gli Dei gli comunicano. Il Druida deve anche esaltare e curare l'artista interiore, giungere alla saggezza studiando la storia del passato e delle proprie radici [...] accetta la divinità insita nel mondo naturale e rifiuta che ci sia un unico potere creatore esterno allo stesso [...]. Riconosce una divinità maschile e femminile ed il rapporto senza confini tra la magia e la pratica religiosa" </span><span style="font-family: verdana;">(Ossian d'Ambrosio, </span><i style="font-family: verdana;">La via delle querce. Introduzione al druidismo moderno</i><span style="font-family: verdana;">, Psiche 2, pp 82).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Un'utopia? Forse. Ma come insegna la storia della Riserva Naturale della Bessa, anche dopo la devastazione portata dalle miniere romane la Natura, e con essa gli Antichi Dèi, hanno ripreso il controllo sui domini a cui avevano, soltanto momentaneamente, abdicato.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-family: verdana;">Ossian d'Ambrosio, </span><i>La via delle querce. Introduzione al druidismo moderno</i><span style="font-family: verdana;">, Psiche 2</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-family: verdana;"><br /></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;">Daniele Palmieri</span></p>Nero d'inchiostrohttp://www.blogger.com/profile/00685191312631293511noreply@blogger.com0