mercoledì 3 luglio 2019

I mille volti del Matto. Simbologia ed esoterismo della carta senza numero

In occasione della pubblicazione del mio nuovo libro sui Tarocchi, I Tarocchi e la tradizione iniziatica, edito da Tlon Edizioni, scrivo questo approfondimento dedicato a una delle carte più misteriose e affascinanti del mazzo: il Matto.
Unica carta del mazzo con il nome ma senza numero (speculare, da questo punto di vista, al XIII arcano, unico con il numero ma senza nome), il Matto è una carta estremamente ricca di significati, come dimostrano i mille volti che l'arcano ha assunto nei diversi secoli, ciascuno dei quali testimonianza delle molteplici sfumature dell'archetipo che incarna.
L'immagine più nota è quella di un uomo barbuto, con i vestiti dai colori sgargianti, trasandati e stracciati da un animale (tendenzialmente un gatto o un cane), con in mano un bastone sormontato da un fagotto, lo sguardo perso, quasi strabico, e uno strano passo, dalle gambe l'una incrociata all'altra, testimonianza del suo moto folle e irregolare.
Ciò nonostante, non è questa la simbologia più antica e originaria della carta, ma una ancor più ferina, selvaggia e misteriosa, emblema di quel lato atavico che ciascun essere umano nasconde nel proprio inconscio.
Mi riferisco al Matto del mazzo dei Visconti conservato alla Morgan Library, che raffigura non il tipico giullare itinerante, bensì un essere a metà tra l'uomo e labestia, con il volto e il corpo ricoperto di peli, delle piume a ornargli i capelli, un mento simile a due testicoli, una pesante clava poggiata sulla spalla e una folta e grezza pelliccia, simile a quella di Eracle.
Parafrasando un passo de La Politica di Aristotele, solo gli dei e le bestie sono in grado di vivere al di fuori dal consorzio umano; eppure, il Matto che ci troviamo di fronte, figura sfuggente, sembra una figura mediana tra i due mondi. Sempre al di là del mondo civilizzato, come testimonia il "numero 0", il non-numero che lo contraddistingue, è tuttavia un essere che non è né propriamente bestia né propriamente dio: un satiro, che incarna le forze primordiali della natura, il lato istintivo, primitivo eppure, proprio per questo, genuino e molto più vicino saggezza della natura, il sapere del bosco, poiché la sua visione del mondo e il suo comportamento non sono mediati e frenati dalle etichette culturali.
Oltre al satiro del mondo antico, il Matto dei Visconti rimanda a un altro simbolo tipico del mondo medievale: l'uomo del bosco o l'uomo selvatico. Un uomo che, vivendo a contatto con la natura selvaggia, è regredito allo stato ferale, divenendo mentalmente e fisicamente simile alla bestia. Tra le iconografie dell'epoca più simili a quella del mazzo dei visconti, troviamo l'affresco dell'homo salvadego di Sacco, in Valtellina, che raffigura una figura tipica del folclore della zona: un uomo selvatico, completamente ricoperto di peli, che regge una pesante clava. Archetipo presente non solo in Italia, Italia, ma in diverse tradizioni folkloriche Europee ed extraeuropee e che, sorprendentemente, sopravvie in alcuni "miti moderni" (ma in realtà ben più antichi) come quello dello Yeti e del Bigfoot.
Come si può notare, alcune caratteristiche del Matto visconteo sono state tramandate anche nelle evoluzioni successive della carta; in primis, il carattere selvatico testimoniato dall'aspetto barbuto e dallo sguardo irrazionale.
A mediare tra il Matto-Satiro e il Matto-Sempliciotto vi è un'altra figura simile del medioevo cristiano medievale: san Cristoforo.
L'iconografia del santo è estremamente simile a quella del Matto: il bastone, il passo incrociato e, come fagotto, il bambino sulla spalla. La sua storia presenta inoltre molti punti di contatto con l'archetipo dell'uomo del bosco. Così come è raccontata da Jacopo da Varezze ne La legenda Aurea, corposa raccolta di biografie di santi, san Cristoforo era un uomo dai tratti ferali e giganteschi, dal comportamento burbero, che viveva lontano dal consorzio civile, in un bosco. Data la sua stazza fuori dalla norma, san Cristoforo si guadagnava da vivere facendo il traghettatore. Un giorno, gli si presentò innanzi un bambino che gli chiese di essere portato al di là del fiume. san Cristoforo lo prese sulla spalla e lo portò con sé ma, ad ogni passo, il bambino diventava sempre più pesante. Nonostante la fatica, portò in salvo il bambino al di là del fiume e soltanto allora il fanciullo gli rivelò di essere Cristo e
che, in quella lunga traghettata, egli aveva portato sulle sue spalle il dolore dell'interomondo. Da qui il nome Cristoforo, letteralmente: portatore di Cristo.
I motivi tipici del Matto "canonico" dei Tarocchi abbondano, così come i collegamenti con il Matto dei Visconti; l'analogia diviene ancor più sorprendente se si considera che nel mondo cristiano Ortodosso è venerata un'altra variante del santo: san Cristoforo Cinocefalo, un santo appartenente alla mitica tribù dei Cinocefali, uomini dalla testa di cane. Ancora un volta, il legame tra follia, bosco, feralità, sacralità.
Benché sempre legato al mondo animalesco, il Matto-Sempliciotto diffuso dai Tarocchi Piemontesi e Bolognesi, che lo trasmetteranno ai Marsigliesi, è un Matto "civilizzato". Rappresenta sempre un lato viscerale e incomprensibile della natura umana, ma più simile all'ingenuità del bambino che alla bramosità e alla violenza della bestia. Il Matto-Sempliciotto è un vagabondo che gira per il mondo, non curandosi del passato, del presente o del futuro, ma viaggiando per il mondo con passo lieve, senza badare ai beni terreni, come testimonia la trascuratezza dei suoi vestiti e la non curanza nei confronti degli animali che gli strappano i
pantaloni. Da questo punto di vista, oltre a san Cristoforo il Matto. Sempliciotto rappresenta un'altra figura tipicamente medievale: san Francesco, il folle di Dio o il giullare di Dio. Si tratta di un altro tipo di follia; non più l'irrazionalità ferale, bensì la follia mistica, l'inebriamento per il divino che conduce a considerare come nullità ogni cosa e, come san Francesco, a abbandonare ogni bene materiale per tornare a una comunione edenica con la natura, gli animali e gli elementi. Si noti che, come nel Matto-Sempliciotto dei tarocchi, anche nelle leggende dedicate a Francesco d'Assisi la nudità gioca un ruolo rilevante, emblema della purezza primigenia dell'Eden. Ne I Fioretti di san Francesco, una delle prime testimonianze sulla vita del santo, oltre al noto episodio in cui Francesco si spoglia, letteralmente, di ogni bene rimanendo nudo di fronte a padre, Vescovo e presenti, ve ne è un altro in cui Francesco predica nudo di fronte a una folla di fedeli, mostrandogli poi come fossero distratti dalle vanità del mondo, più attenti al suo aspetto che alle sue sante parole.
Vi è un altro tipo di giullare, tuttavia, oltre al giullare divino: il giullare di corte. Figura terrena, legata al potere temporale, che incarna non la verità divina ma la verità contingente legata alle vicende umane. Il Matto-Giullare, come appare nei Tarocchi Siciliani ma anche nei Tarocchi Italiani ottocenteschi, non ha più lo sguardo smarrito, irrazionale, contemplativo, ma sveglio e furbo. Lo squillo della sua tromba, nel Tarocco siciliano, ha lo scopo di risvegliare le coscienze. Il Matto-Giullare rappresenta la falsa follia del giullare di corte, che finge di essere matto per poter raccontare, di fronte a tutti, le verità nascoste dai potenti. Ma vive di un eterno paradosso: il potere lo permette, poiché non verrà preso sul serio da nessuno essendo, all'apparenza, soltanto un folle. Troviamo tale figura nel Matto di Re Lear di Shakespeare, giullare che accompagna costantemente il re folle, unico personaggio che, sbeffeggiando il sovrano decaduto, gli mostra tuttavia la verità dei fatti. Pulcinella, scherzando, dice la verità recita un detto italiano.
La furbizia del Matto-Giullare è stata poi tramandata nei mazzi di carte più recenti, come le carte da Poker, nella figura del Joker, o in altri mazzi italiani o francesi nella carta del Jolly: carta che, nei giochi, è spesso mutevole e molteplice, potendo spesso prendere il posto di altre carte ribaltando inaspettatamente il corso della partita.
Vi è, infine, il Matto-Esoterico così come tramandato dai mazzi Rider-Waite-Smith, Crowley-Harris e Tavaglione.
Il Matto-Esoterico è un particolare connubio di tutte le caratteristiche tipiche del suo sviluppo. Nei mazzi Rider-Waite-Smith e Tavaglione, il Matto-Esoterico ha perso l'aspetto ferale e selvaggio, in favore della leggiadria infantile, della saggezza dell'incoscienza tipica dei fanciulli che, come insegnava Blake, sono molto più vicini alla verità rispetto agli adulti. Il fagotto non è più il pesante fardello trasportato da san Cristoforo, ma la promessa di un viaggio al di là del conosciuto; sprezzante del pericolo, sulla cima di una montagna, il Matto-Esoterico contempla l'orizzonte vedendo al di là dei limitati schemi logici e razionali, innalzandosi con la sua leggiadria a un altro piano di realtà.
Il Matto-Esoterico Crowley-Harris riprende la leggiadria del fanciullo, ma recupera l'ebrezza tipica del dio-folle: Dionisio, il briccone divino, che in preda all'estasi considera il mondo un grande gioco al suo comando. Lo controlla, proprio perché ha abdicato a ogni forma di potere e, preso dall'ebrezza, danza sulla terra conscio di essere figlio del cielo.

Per chi volesse approfondire i significati esoterici nascosti nel più misterioso mazzo di carte, è disponibile: I Tarocchi e la tradizione iniziatica, Daniele Palmieri, Edizioni Tlon.
Per chi volesse una copia autografata del testo, potete trovare sia me sia il libro alla Libreria Esoterica di Milano in Galleria Unione 1!



Daniele Palmieri