venerdì 19 giugno 2015

L'ultima guerra di Turno. Recensione della terza puntata de "I monologhi del destino"

Aspettavo con curiosità questa terza puntata de I monologhi del destino per vedere come avrebbero trattato l'antieroe Turno, il nemico di Enea destinato dal fato a soccombere.
Ero curioso perché la letteratura spesso si dimentica di certe figure "perdenti" sin dalla nascita ma non abbastanza prometeiche da ispirare con il loro sacrificio tragedie, romanzi o opere poetiche.
In controtendenza dunque la scelta della webserie; e una scelta che si dimostra molto felice.
Ci troviamo di fronte a un Turno nei momenti anteriori alla battaglia, che riflette con se stesso sul senso della sua guerra - consapevole di essere destinato al fallimento.
E' un Turno tormentato che alterna momenti di eroica accettazione a ricadute nel nichilismo più assoluto, quando in alcun modo riesce a dare un senso al suo sacrificio che sancirà la vittoria definitiva di Enea. Perché combattere? Perché lottare se tutto è già deciso e se la storia ti ricorderà come l'eterno perdente?
Ed ecco che da dramma personale i tormenti di Turno diventano quelli di tutti i combattenti; proprio perché il sacrificio è inutile diventa un sacrificio per tutti, una lotta per far sì che questa guerra sia l'ultima guerra, che dopo essa non ce ne siano altre e che, dopo il trionfo di Enea, l'umanità possa finalmente vivere in pace.
Il messaggio è molto simile a quello espresso da Patocka nell'ultimo saggio de "Saggi eretici di filosofia della storia". 
Il nonsenso della guerra e del sacrificio inutile di migliaia e migliaia di vite può essere superato soltanto se si comincia a combattere anche per il proprio nemico, nella speranza che questa guerra sia l'ultima. Il conflitto non diventa più una lotta per annientare il nemico, ma una guerra collettiva contro la guerra stessa.
Così Turno è pronto per affrontare la sua ultima ora.
Con gli occhi dello sconfitto viviamo i momenti finali della battaglia, in un interessante ribaltamento di prospettiva.
Il "pio" Enea affonda con ferocia la sua lancia nel petto di un Turno riverso al suolo e il suo volto è tutto fuorché quello di un "buono", così come tramandato dalla tradizione.


Anche la terza puntata è promossa a pieni voti, così come la sceneggiatura di Emilio Bologna, allo stesso tempo autore e attore con la fortuna di dar vita al suo personaggio.

Interessante la scelta scenografica dello sfondo; dai toni cupi e introspettivi delle puntata precedenti, che trasmettono la malinconia dei protagonisti, si passa a uno sfondo di fuoco che trasuda tutta la forza e il coraggio di questo Turno tenace come Leonida.


Daniele Palmieri




martedì 16 giugno 2015

L'elettore della domenica


Odio gli indifferenti. Questa citazione di Gramsci è citata spesso, soprattutto in occasione delle elezioni.
"Votate" si dice "non siate indifferenti".
Ma è davvero così e, soprattutto, era questo il messaggio originale di Gramsci?
Difatti, votare non significa automaticamente essere partigiani; tutt'altro.
C'è un tipo di elettore, il più dannoso di tutti, che io chiamo "l'elettore della domenica".
Cosa fa di così sbagliato questo tipo di elettore, adempiendo il suo dovere civico?
Ebbene, l'elettore della domenica è quel tipo di indifferente che non segue e non approfondisce i dibattiti politici in corso, ma la cui conoscenza del mondo che lo circonda si limita alla propria quotidianità e alle vaghe notizie filtrate da stereotipi e luoghi comuni che gli giungono all'orecchio.
Ma quando si avvicinano le elezioni, purtroppo il suo spirito nazionale si risveglia e allora quei luoghi comuni diventano le sue solide conoscenze che lo spingono a votare un partito piuttosto che un altro.
E come può, lo scrutinatore, riconoscere questo fantomatico elettore della domenica, risvegliatosi dal suo sonno letargico?
Solitamente, l'elettore della domenica lascia la sua impronta indelebile sulla scheda elettorale.
Facendo un esempio pratico, l'elettore della domenica è colui il quale, alle elezioni comunali di Cologno Monzese, vota Lega Nord scrivendo tra le preferenze il nome "Salvini", convinto - si deduce - che Salvini si sia candidato come Consigliere Comunale nella cittadina di Cologno Monzese per il sindaco del centrodestra. Sarebbe comico, se non fosse che schede elettorali siffatte NON SONO CONSIDERATE NULLE.
L'elettore della domenica è il peggior indifferente, poiché la sua indifferenza diventa un'opinione politica.
E qui ritorniamo a Gramsci; anzi, no, ché poi se uno cita Gramsci si risveglia l'acuto spirito critico di alcuni intellettuali che cominciano a urlare: "komunistah!".
Dunque torniamo a Dante, ché ormai il dibattito tra Guelfi e Ghibellini è ormai sopito.
Dante, il padre spirituale della povera Italia che, guarda caso, non è mai citato da questi fantasmatici nazionalisti che dicono di voler difendere la nostra Patria.
Ebbene, parliamo di Dante poiché, centinaia di anni prima di Gramsci, fu il primo a odiare gli indifferenti.
A loro dedicò quello che è forse il luogo più terribile dell'Inferno, ossia l'anti-Inferno. Questa terra di nessuno è la più desolante dell'intero poema, poiché le anime disperate che corrono senza sosta su un tappeto di vermi sono ripudiati sia da Satana che da Dio.
Sciagurati che mai non fur vivi, gli ignavi che nella loro vita non furono mai partigiani, che non si interessarono al mondo intorno a loro e lasciarono scorrere il tutto nella più abietta indifferenza. 
E proprio questi ignavi sono la causa di catastrofi pubbliche, soprattutto quando abbandonano la bolla della piatta quotidianità per avvicinarsi alle urne, sancendo il trionfo dell'ignoranza.

Daniele Palmieri

venerdì 12 giugno 2015

Umberto Eco premio Nobel?

SORRIDI, LA TUA MENTE E' STATA INGANNATA!



Due parole in merito all'articolo che ho scritto ieri su Umberto Eco e la sua critica ai social network.
Nel testo parlo del pericolo maggiore, ossia della diffusione irrefrenabile di bufale che poi condizionano pesantemente l'opinione pubblica.
In base alle statistiche di Facebook e di Blogger so che una ventina di persone ha letto l'articolo.
Tuttavia, c'è un piccolo particolare che ho inserito e che soltanto una persona ha notato, segnalandomi la cosa nei commenti.Citando testualmente il passo incriminato: "La critica del premio Nobel è più che legittima."
Premio Nobel?
Ma Eco non ha mai preso un premio Nobel.
Nell'articolo l'informazione è inserita di soppiatto, data per scontata come se fosse qualcosa che tutti conoscono.
E così, proprio per questa parvenza di banalità, l'informazione viene recepita e immagazzinata più o meno inconsciamente e presa come vera.
Di queste venti persone, diciannove potrebbero essere state condizionate da un'informazione falsa e potrebbero pensare che Umberto Eco abbia effettivamente vinto un premio Nobel.
La nostra opinione è quotidianamente manipolata con sotterfugi di questo tipo e spesso ne siamo inconsapevoli, anche quando crediamo di leggere qualcosa con spirito critico.
Spero che questo semplice esperimento aiuti a comprendere i pericoli delle notizie in rete.
La nostra mente è fatta per cascare in tali tranelli.
Non so perché da bambino avevo sentito che Giovanni Rana era morto e ho scoperto che era vivo soltanto in terza liceo.
E' un esempio stupido, ma dimostra come le informazioni superficiali e i "sentito dire" influenzino le nostre opinioni per anni.
Morale della favola: non fidatevi di nessuno, nemmeno di me.

Daniele Palmieri


Se questo articolo ti è piaciuto, dai un occhio alle mie pubblicazioni.

giovedì 11 giugno 2015

Umberto Eco, gli imbecilli e i pericoli dei social network

Umberto Eco ha ragione, gli imbecilli sono la fauna più diffusa nel mondo della rete



Eco premio Nobel?
Sta facendo molto discutere una dichiarazione di Umberto Eco in occasione della laurea honoris causa conferitagli dall'Università di Torino.
"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività".
Ora, prima di esprimere il mio parere a riguardo, una breve considerazione: lo spaccato, riportato da La Stampa e rimbalzato in tutti i giornali, è soltanto un brevissimo estratto di un discorso durato più di un'ora, che chi non ha seguito la lezione non può conoscere per intero. 
Come al solito, dunque, la stampa italiana dimostra di voler buttare la discussione in caciara concentrandosi su una frase o un avvenimento decontestualizzato e spiaccicato su un titolone ad effetto, giusto per guadagnarsi la condivisione facile.
Difatti, come sottolinea questo articolo de L'Espresso, che comunque non risparmia critiche all'affermazione di Eco, il premio Nobel prima di pronunciare quella frase ha elencato anche gli aspetti positivi dei social network.
Ma, ovviamente, sottolineare questa parte del discorso non permetterebbe di intavolare una discussione degna di questo nome; meglio lasciarsi andare a facili slogan.
Basterebbe questa considerazione per avvalorare la tesi di Eco, ma andiamo oltre.

La critica del premio Nobel è più che legittima. 
Il problema è che se una volta i discorsi superficiali da parrucchiere o da bar rimanevano limitati al tempo di un taglio di capelli o di una birra, adesso i Social Network sono diventati un'immensa cassa di risonanza per le bufale, i discorsi pressapochisti e i soliti luoghi comuni, sui quali campano molte pagine Facebook (di politici e non) che diffondono una disinformazione allarmante.
E questo non è un fenomeno secondario, ininfluente come può essere una discussione da bar. Una bufala riportata da un amico davanti a una birra resta nel bar, o al massimo raggiunge altri tre o quattro amici; una bufala condivisa da centinaia di migliaia di persone condiziona l'opinione di centinaia di migliaia di persone.
Da questo punto di vista, i social network hanno spianato la strada a migliaia di sciacalli e a milioni di imbecilli pronti a cadere nelle loro trappole.
Basta farsi un giro sulla pagina Facebook di Bufale un tanto al chilo​ o di Protesi di complotto​ per accorgersi di quante idiozie girino per il web.
E, se è vero, come sottolinea l'articolo de L'Espresso, che siti come questi che si occupano di sbugiardare la disinformazione sono un anticorpo spontaneo della rete, è altresì vero che: 1) le bufale si diffondono a una velocità irraggiungibile 2) chi condivide articoli fuffa difficilmente avrà la voglia di approfondire l'argomento in maniera critica.
Ma un altro dei gravi difetti dei Social Network è questo: sarà capitato a tutti di discutere con un interlocutore senza alcuna preparazione sull'argomento di discussione ma che, dall'alto dei suoi link ad hoc cercati in rete, si permetteva di pontificare come un massimo esperto della materia.
Ora, non sto dicendo che non è legittimo esprimere la propria opinione; è la stessa cosa che faccio quotidianamente con questo blog e che tutti noi facciamo ogni giorno.
Tuttavia, la rete rende ogni persona un tuttologo, sfruttando un meccanismo che in psicologia viene chiamato "tendenza alla conferma".
Se io, senza alcuna laurea o preparazione di sorta la penso "A" e discuto con una persona preparata in materia che la pensa "B", farò di tutto per far valere la mia opinione quanto l'opinione dell'interlocutore, andando a cercare articoli che confermino la mia "A", credendomi così un esperto in materia.
Ignorare questi problemi e sostenere che la rete è il baluardo della democrazia e della libertà significa tapparsi gli occhi.
Libertà di parola non significa: aprite i rubinetti della vostra mente ed esprimete ogni pensiero che vi passa per il cervello! 
A volte è meglio tacere; soltanto gli imbecilli hanno sempre qualcosa da dire e, da questo punto di vista sottoscrivo in pieno l'affermazione di Eco: i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli.

Daniele Palmieri

Aggiornamento del 12/06/15

Non avete notato nulla di strano?
Allora meglio dare un occhio a questo articolo, forse un piccolo particolare vi è sfuggito.

Era Euridice o forse era il Nulla? Recensione: L'Eterno Incorporeo, seconda puntata de I monologhi del destino

Dopo la Libertà, i Monologhi del destino affrontano la Morte con una puntata commovente






Dopo aver affrontato il tema della Libertà con Il lamento di Prometeo, I monologhi del destino si scontrano con un altro tema delicato, forse il più importante di tutte le religioni e di tutte le filosofie: il tema della morte.
Lo fa con l'eroe mitico che più di tutti ha sofferto sulla propria pelle il dolore della perdita, il divino cantore Orfeo.
Ed è un Orfeo sospeso nella penombra di un limbo indefinito quello che ci troviamo di fronte sin dai primi minuti della puntata; sua unica compagna: la pallida Luna che con il suo fioco bagliore illumina le tenebre.
Proprio la Luna è la musa del suo primo canto, che ricorda l'inno del pastore errante dell'Asia di Leopardi. Alla Luna, unica consolazione nel buio della notte, Orfeo racconta la sua storia e le affida le sue memorie nei momenti successivi alla seconda perdita di Euridice in seguito alla discesa nell'Ade.
Euridice, l'amata Euridice, trascinata nell'Ade dal morso di una serpe e che lui ha tentato di salvare spinto dal suo amore irrefrenabile, discendendo negli inferi grazie al canto melodioso del proprio flauto che placa déi, uomini e bestie.
Tutti conosciamo l'indegna sorte della discesa; ottenuto il permesso di ricondurre alla luce la sua amata, proprio giunto a un passo dall'uscita Orfeo si volta, infrangendo l'unico divieto che gli era stato posto, condannando per sempre Euridice alle tenebre dell'Ade.

Questo è il mito che da millenni viene tramandato; tuttavia "L'Eterno incorporeo", con la sceneggiatura di Alessandro Autore, riesce ad andare oltre e a spiegarci perché Orfeo si è voltato, pur consapevole delle conseguenze.
Che qualcosa di nuovo fosse nell'aria lo avevo compreso sin dalla prima apparizione di Euridice, evocata non dalle tenebre dell'Averno ma dalle lacrime di Ade e di Proserpina in seguito al canto di Orfeo.
Ma l'Euridice che appare, interpretata da Flora Epifania, è la stessa Euridice che Orfeo amava da viva?
Il suo aspetto è fantasmatico, freddo e inerme, i suoi occhi sono spenti e non riconoscono nemmeno il cuore dell'amato che batte per lei; Euridice, la bella Euridice, non esiste più. La morte si è impossessata di lei ed ora rimane soltanto il Nulla.
Questi pensieri attanagliano il protagonista durante l'ascesa verso il mondo esterno, finché nell'oscurità accecante si fa spazio un barlume di luce (forse proprio la luce della Luna), un'epifania che gli fa comprendere che il suo tormento lo sta portando verso un baratro senza fondo, che sta inseguendo soltanto uno spettro e che colei che sta riportando in vita non è l'amata Euridice, ma soltanto la sua ombra.
Ed è per questo che Orfeo decide di voltarsi, di rinunciare a una magra consolazione che altro non è se non uno specchietto per le allodole e di accettare, una volta per tutte, la Morte che tutto comanda.
Ma tale accettazione non è da confondersi con una prostrazione passiva; riconoscendo il Nulla, l'Abisso a cui tutti siamo destinati, Orfeo allontana i suoi spettri, si libera del fato e, per primo, sconfigge il terrore per la Morte e dunque la Morte stessa.
Non a caso Orfeo è considerato dagli Orfici il primo filosofo della storia; per chi volesse approfondire, rimando alla seconda lezione di filosofia sull'Orfismo e sui Misteri di Eleusi (qui).

Tirando le somme, la seconda puntata de I monologhi del destino si dimostra allo stesso livello della prima se non, addirittura, superiore.
Superiore per la profondità con la quale riesce a indagare il nodo cruciale del mito di Orfeo, l'emblematico momento in cui si volta e condanna per sempre la sua amata Euridice.
A tutto ciò si aggiunge il dialogo silenzioso tra l'Orfeo interpretato da Antonio Gentile e l'Euridice interpretata da Flora Epifania, che, grazie anche al montaggio di Massimo Cerullo, raggiunge vette drammatiche davvero commoventi.

Daniele Palmieri

venerdì 5 giugno 2015

Come leggere Sade

Come avvicinarsi all'autore più irriverente e spregiudicato della storia della letteratura


La filosofia del boudoir, Justine, la Nuova Justine, Juliette e, soprattutto, le 120 giornate di Sodoma; chi ha sentito parlare del "Divin Marchese", il Marchese De Sade, di sicuro ha sentito nominare almeno una di queste opere.
Molto probabilmente, accompagnate da un giudizio di repulsione e disgusto per le crudeltà inenarrabili in esse contenute.
E' facile, anzi, inevitabile, avere una reazione del genere a una prima, superficiale lettura, e la tentazione di chiudere il libro diventa forte a partire dalle prime pagine. Io stesso quando cominciai a leggere "La filosofia del boudoir" rimasi spaesato e riuscii a riprenderlo e a terminare la lettura soltanto mesi dopo.
Tutto questo perché le opere di De Sade sono erroneamente catalogate come "letteratura erotica", benché di erotico ci sia ben poco.
Non perché manchino scene di sesso o situazioni "piccanti", tutt'altro; ma esse sono inserite in contesti narrativi e in intrecci che non sono certo quelli di Nove settimane e mezzo o de L'amante di Lady Chatterley.
In Sade sesso e violenza sono intimamente intrecciati; chi si aspetta di leggere romantiche storie d'amore con un tocco frizzante di sensualità è meglio che soffochi queste aspettative, se non vuole rimanere deluso.
Allo stesso modo, chi pensa di trovare le tante famigerate storie BDSM che vanno così di moda nell'ultimo periodo, meglio che si ricreda.
La violenza e la sessualità in Sade non hanno nulla di attraente, come il "fascino proibito" di quell'aborto letterario che è Mr. Grey di 50 sfumature di Grigio, macchietta di basso livello che incarna i peggior stereotipi dell'uomo "tenebroso, bello e dannato".
Non a caso il termine sadismo è stato coniato sul cognome del Marchese Maledetto.
Leggere l'opera di Sade e, soprattutto, apprezzare i contenuti dell'opera di Sade è impossibile se prima non ci si immerge nella filosofia dell'Illuminismo rivoluzionario e nelle estreme conseguenze a cui il Marchese la conduce.
I pilastri su cui essa si regge sono il meccanicismo materialistico di La Mettrie e del suo L'homme Machine e l'ateismo radicale di D'Holbac.
Da questi due autori riprende l'idea di un mondo assolutamente materiale, governato da leggi fisiche immanenti e non certo da qualche fantomatica forza divina. 
In tutto ciò, Dio perde ogni ruolo e diventa un'immaginazione dell'uomo, spodestato dal trono che lo pone al di sopra di tutti gli esseri e ributtato nel fango dal quale è stago generato.
La speranza in una vita futura è vana, dunque tutto ciò che conta è godersi il momento e i piaceri della vita terrena.
Ma, mentre D'Holbac e La Mettrie sostituiscono ai valori religiosi decaduti con l'ateismo valori laici, fondati sul rispetto nei confronti dell'Umanità, Sade si spinge oltre e supera quel limite che nessuno aveva avuto il coraggio di superare.
Non esistono valori universali, l'unica legge è quella della natura ed essa prevede che il forte domini, che il debole soccomba. 
Sade ci sbatte in faccia questa amara verità e, soprattutto con Le 120 giornate di Sodoma, ci mostra cosa succede quando l'uomo si rende conto di essere l'artefice di ogni valore e di possedere, dunque, nient'altro che fantasmi manipolabili.
L'unico scopo della vita diventa sì l'appagamento dei piaceri carnali; ma non soltanto di quelli che la pubblica moralità consente, bensì l'appagamento di tutte le tendenze incise dal nostro cuore dalla natura, anche le più oscure e deplorevoli.
L'umanità che De Sade dipinge è un'umanità perversa, malata, che non si divide in "buoni" e "cattivi", bensì in "cattivi che riconoscono la loro natura" e "bigotti che reprimono questa natura" benché, in segreto, agognino gli stessi piaceri proibiti.
Le poche anime realmente pure, come Justine, sono ingenue vittime della crudeltà altrui; ma il loro soffrire senza imparare dagli errori non è dettato forse da un amore inconscio per la sofferenza?
Dunque è con questa ottica che bisogna leggere le opere più terribili di Sade; come uno squarcio su quella parte più oscura e perversa che si nasconde in ciascuno di noi.
E, giustamente, non c'è bisogno di imbellire questo Abisso poiché:
"Ignoro l'arte di dipingere senza colori; quando il vizio si trova alla portata del mio pennello, lo traccio con tutte le sue tinte, tanto meglio se rivoltanti; offrirle con tratto gentile è farlo amare, e tale proposito è lontano dalla mia mente" (Tratto da Aline e Vancour, ventitreesima lettera)
Perciò, altro suggerimento importante per chi intenda accostarsi all'opera del Marchese, è di non confondere l'autore con la sua opera perché, citando ancora le sue parole:
"Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino" (Lettere da Vicennes e dalla Bastiglia)
Infine, per chi non ha mai letto nulla del Divin Marchese, consiglio di non partire dalle sue opere principali (quelle che ho citato a inizio articolo), poiché sarebbe come voler iniziare a studiare filosofia cominciando da Husserl o da Heidegger.
Per accostarsi da neofiti è bene iniziare da sue opere "minori" come le Storielle o i Crimini dell'amore, veri capolavori della novellistica e del racconto breve, scevre degli orrori e dalle torture che si incontrano nei suoi romanzi e da poco ripubblicate da L'orma editore e da Elliot edizioni, oppure in volume unico da Lindau.

Daniele Palmieri

giovedì 4 giugno 2015

Intervista a Massimo Cerullo, regista de "I monologhi del destino"

Continuano su Nero d'inchiostro gli approfondimenti su "I monologhi del destino", la webserie sugli eroi e gli déi dell'antica Grecia (qui la recensione della prima puntata).
In particolare, quest'oggi conosciamo Massimo Cerullo, regista della serie e , nel tempo libero, penna del suo blog sul cinema La terra dei pochi.

1) Quando e come nasce la tua passione per il cinema e, successivamente, quella per la regia?

In realtà c’è da dire che ho sempre avuto una tendenza verso la settima arte ma ho cominciato dalla recitazione teatrale. La passione per il cinema è in tutti noi, poi c’è chi ci si vuole buttare e chi preferisce restare “spettatore”. E’ un mondo difficile ma penso che sia il miglior modo per esprimersi

2) Quali sono i film che, a tuo parere, tutti dovrebbero vedere?

Per me non ci sono film che si devono vedere, anche perché i gusti variano di persona in persona e di cultura in cultura. Consiglio sempre di vedere film intelligenti o con grandi aspettative psicologiche e di lasciar perdere quei film che si presentano come mero atto commerciale. I film d’autore, da cineforum o di determinati registi e sceneggiatori vanno comunque visti ma, se si devono guardare passivamente e con pregiudizi, meglio lasciar perdere

3) Quali sono i registi che più ti hanno influenzato?

Di certo non posso negare la mia tendenza al diritto umano e all’integrazione e quindi Gabriele Salvatores è, per me, il miglior regista in assoluto in Italia e all’estero. Ogni regista poi ha le proprie qualità e qualche spunto che si può sempre prendere da loro. Due su tutti mi influenzano in senso negativo, ovvero “Non farò mai qualcosa come loro” e parlo di Dario Argento e Quentin Tarantino. Per quanto la gente li stimi, io li odio profondamente.

4)  Parliamo del ruolo del regista; il suo occhio sembra invisibile ma, quando vediamo in film, stiamo in realtà osservando la sua visione del mondo. Quanto è importante il lavoro del regista per produrre un film di qualità?

In realtà quasi tutto ciò che vedi è regia. Regia e sceneggiatura sono i punti cardine di un prodotto ed la collaborazione tra le due si può esaltare sia in modo positivo che negativo.

5) Passando a “I monologhi del destino”, è il tuo primo lavoro come regista?

 Si, primo lavoro, spero non l’ultimo

6) Uno degli scopi de “I monologhi del destino” è portare il teatro su Youtube; teatro dove, però, il regista è assente. Quali accorgimenti tecnici hai adattato per risolvere questo “conflitto” (sempre che di “conflitto” si sia trattato)?

Non si tratta di un conflitto, siamo a metà tra la regia teatrale e quella cinematografica, c’è sempre bisogno di sapersi rapportare con gli attori e con la troupe anche se, in questo caso, la troupe era ridotta al minimo in numeri. Gli accorgimenti tecnici sono stati solo creare determinate inquadrature che potessero staccare violentemente, come si nota, per enfatizzare ciò che al teatro si enfatizza con il tono e il timbro della voce e riuscire ad adattare la visione delle riprese alle esigenze di montaggio, per ovviare al problema delle attrezzature limitate. Per il resto il progetto era valido di suo, con i monologhi scritti bene e linearmente.


7) Com’è stato lavorare a questo progetto e quali sono i tuoi e i vostri progetti per il futuro?

Non saprei rispondere perché in questo progetto ho collaborato da regista, non è un progetto mio. Non escludo che io possa dirigere altri scritti Bologna-Autore ma, di base, si è trattato di una collaborazione che, seppur senza una struttura gerarchica piramidale, non era in mio possesso al 100%, giustamente. Loro fanno le proprie scelte e, di volta in volta, se mi sarà proposto posso collaborare ma, di base, ci muoviamo ancora su due piani diversi. Non si tratta di una troupe o di una produzione consolidata nella collaborazione tra tre persona ma di un’idea trasformata in prodotto,spero di qualità, per il quale sono stato interpellato. Come già detto, mi piace collaborare con loro e mi ci trovo bene e,per il futuro, chiunque potrebbe chiamare l’altro per eventuali collaborazioni.
Personalmente, i miei piani sono quelli di muovermi verso il cinema ( non escludendo loro) e quindi di riuscire a produrre nell’ambito nel quale scrivo. Cortometraggi e lungometraggi di carattere drammatico-horror-realista e di denuncia sociale. In più, mio fermo progetto, è riportare tramite nuove dinamiche, l’astrattismo e le avanguardie al cinema, ormai ferme da novant’anni. Trasportare il classico libretto che segue Opera e Mostre d’arte in libretto da cineforum per l’interpretazione di corti e medio metraggi con messaggi nascosti.


Daniele Palmieri

mercoledì 3 giugno 2015

Breve preparazione culturale per discutere con io salviniani sulla pagina Facebook di Salvini

Perché farsa e tragedia passeggiano sempre a braccetto sul sentiero della storia


pagina facebook salvini

La pagina Facebook di Salvini. Ogni giorno, migliaia di persone si ritrovano in questa agorà pubblica per discutere dei massimi sistemi del mondo; un luogo aperto a tutti, dove si respira il profumo della libertà e del dibattito culturale, degno dei Caffé settecenteschi.
I Like aumentano vertiginosamente; ogni post raggiunge migliaia di visualizzazioni e ciascun utente sente il bisogno irrefrenabile di dire la propria, di prendere posizione in questo dibattito che non si ferma mai.
Vediamo, allora, quali sono i principali temi di discussione, degni di simposi platonici.

Ma, prima di iniziare, una semplice precisazione. Ricordate che Salvini è il leader clemente che mette a disposizione il suo libero spazio, dunque ricordatevi di:

1) Chiamarlo con il suo epiteto preferito, "Capitano" 


capitano mio capitano



capitano mio capitano



2) Cedergli la parola quando è il suo momento


silenzio parla salvini
3) Lasciatevi trasportare dall'emozione, aprite le porte del vostro cuore e lasciate parlare lui al vostro posto:

salvini italiani


Prese queste precauzioni, possiamo iniziare ad addentrarci nel vivo dibattito culturale.
Il primo tema che incontriamo ha a che fare con il mondo dei trasporti; sulla pagina di Salvini sei out se non sei un amante dei motori.
salvini ruspa
Il mezzo preferito dai salviniani? La ruspa (anzi, la RUSPA, rigorosamente in maiuscolo). Ci sono più ruspe tra i commenti della pagina di Salvini che nei concessionari della CAT. E la loro è una scelta coraggiosa, in controtendenza, da veri combattenti. In un mondo in continuo movimento, in cui la parola d'ordine è "velocità", dove ciò che conta è avere tutto e averlo subito, i salviniani dicono: "ehi, un momento, dove andate così di fretta? Respirate, rilassatevi, godetevi la vita e il paesaggio dall'alto della vostra lenta e rumorosa RUSPA".

Il loro è un inno alla vita, alla tranquillità interiore.

salvini ruspa 2

Secondo argomento di discussione che accende gli animi degli intellettuali salviniani è il tema dell'immigrazione. 
Il salviniano è internazionale, è un cosmopolita, un cittadino del mondo. Citando Cicerone: "la casa è lì dove sta il cuore".
Per questo desidera che ogni uomo possa avere la propria patria e che, preferibilmente, ci rimanga per coltivare le virtù della propria terra.

immigrati salvini
E coltivare la propria terra è importante; il salvinismo è impregnato dell'etica del lavoro protestante. "Chi non lavora non mangi", citando San Paolo.
Il salviniano è un uomo costantemente impegnato, che vive non per sé stesso ma per il suo prossimo e per la patria. Instancabile stacanovista, non sopporta le pause, la perdita di tempo, i parassiti della società che vivono senza far nulla. La povertà è soltanto una colpa, come giustamente si credeva nell'epoca vittoriana.

immigrati salvini
immigrati salvini

E chi, più di tutti, nella storia del nostro stivale incarna lo spirito italico di abnegazione, il piacere di essere produttivi e lavorare per il nostro paese? 
Tra i salviniani aleggia una malinconia verso il passato degna degli Inni alla Notte di Novalis; l'utopia a cui si rivolge lo sguardo, espressione dei precedenti ideali, è ovviamente l'epoca di Zio benito, che con il suo amorevole sguardo ci guarda e ci protegge da lassù.

mussolini salvini

Ahh, zio benito. Quando c'era lui l'ItaGlia era un paese migliore (anzi, un "paese MEGLIO); ed è in sua memoria che i salviniani combattono per riportare il nostro paese tra le eccellenze politiche, economiche e culturali del mondo, contro l'ignoranza dilagante che si nasconde dietro a ogni colore.

salvini ignoranza

Questi dunque sono le principali tematiche sulle quali dovrete informarvi se volete partecip... ah, no, e i Marò? Quasi li dimenticavo.
salvini marò
Bene, ora abbiamo tutti gli strumenti culturali per partecipare alla discussione. Si comincia!
Ops, mi sa che non ero abbastanza preparato.


Daniele Palmieri

martedì 2 giugno 2015

Cosa rimane della nostra Repubblica?

Il 2 giugno 1946 nasce la Repubblica Italiana con un referendum popolare.
Il 27 dicembre dell'anno successivo entra in vigore la nuova Costituzione della Repubblica.
Al di là delle retoriche da Altare della Patria, che lasciamo ai politici che ogni giorno sputano sulla stessa, cosa rimane, ad oggi, di quella Repubblica? Basta leggere alcuni dei principi fondamentali della Costituzione per farsi un'idea:

"Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

[...]

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

[...]

Art.7

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

[...]

Art. 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Art. 10

[...]
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Art. 11

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."

Provate a citare una di queste frasi in una discussione politica, probabilmente vi tacceranno di essere:
1) Buonista
2) Radical Chic
3)Comunista
4) Intellettualoide/idealista

Ed è per questo che ritengo che l'unico modo per festeggiare la Repubblica Italiana non sia scendere in piazza ed unirsi alle cariche dello stato che ogni giorno sputano sui principi della nostra Nazione, ma studiare gli articoli fondamentali della costituzione per rendersi conto di tutti i diritti che ci spettano e che ci vengono negati.

Daniele Palmieri

lunedì 1 giugno 2015

Libertà, qual è la tua vera natura? Recensione: "Il lamento di Prometeo", prima puntata de I monologhi del destino

Esordio più che positivo per "I monologhi del destino", una webserie che promette cultura e qualità



La prima puntata de "I monologhi del destino" è finalmente online; e non si poteva pensare a un inizio migliore per questa webserie che punta a rinnovare il mondo del teatro trasferendolo su Youtube, utilizzando la cultura antica come cavallo di Troia.
Questo è l'aspetto più innovativo de "I monologhi del destino"; antico e moderno, passato e presente si fondono per generare un prodotto nuovo, che affonda le sue radici nella vastissima cultura della civiltà classica e che estende i suoi rami verso le nuove tecniche di comunicazione e di condivisione di contenuti.
E lo fa partendo da uno degli eroi della Grecia Antica che più rappresenta l'innovazione, il progresso, la volontà di superare il limite: Prometeo.
Prometeo è il protagonista del primo monologo, intitolato, appunto, "Il lamento di Prometeo".
Colpevole di aver rubato il fuoco agli déi per donarlo agli uomini, da lui plasmati, è costretto a subire il supplizio eterno a cui Zeus l'ha condannato: vedersi squarciare il ventre da un'aquila che ogni notte gli divora il fegato; fegato che la mattina dopo ricrescerà, affinché la tortura non abbia mai fine.
Ed è proprio un Prometeo dilaniato dal dolore quello che ci troviamo di fronte; non il divino demiurgo dell'uomo, conoscitore dei segreti della natura, bensì il Prometeo "uomo", il Prometeo fragile come le creature di argilla che egli stesso ha generato, il Prometeo che conosce tutti i segreti della natura eccetto uno: la libertà.
"Libertà, qual è la tua vera natura?" è il quesito che apre il monologo; domanda che riecheggia in ogni parola sofferta che il titano pronuncia, incatenato alla roccia in attesa del supplizio.
Libertà che sembra non esistere in un mondo dominato dal fato e dalla legge dispotica di Zeus, che tratta i mortali come se fossero un suo capriccio.
Ma è davvero così? La sofferta consapevolezza che Prometeo raggiunge a termine del monologo sembra mettere in dubbio l'onnipotenza del fato e degli déi, la cui fragile perfezione è nulla in confronto alla divina imperfezione dei mortali.

"Il lamento di Prometeo", dunque, è promosso a pieni voti, sotto tutti i punti di vista.
La sceneggiatura Alessandro Autore sembra scritta dalle mani di un tragediografo greco e restituisce la figura di un Prometeo i cui dubbi e le cui sofferenze sono quelle di ogni uomo, di ogni epoca.
L'interpretazione di Francesco Passero dà vita in maniera magistrale ai travagli fisici e psicologici del titano tramite una recitazione espressiva, evocativa, che trasforma il Prometeo letterario e mitologico in un uomo in carne e ossa.
A tutto ciò si aggiunge l'ottima regia di Massimo Cerullo che, con i suoi primi piani, accentua il pathos dei momenti più drammatici e incisivi del monologo.
Una menzione speciale anche alla colonna sonora di Martina di Nardo, In the hands of destiny, la ciliegina sulla torta per godersi anche i titoli di coda.

Per concludere, non resta che iscriversi al canale Youtube, aspettare la seconda puntata, "L'eterno incorporeo", che verrà pubblicata sabato sei giugno e fare i complimenti a tutti i membri del progetto!

Daniele Palmieri